Alberto Giovanni Biuso – Quei labirinti temporali che redimono il dolore. Recensione del libro «Fenomenologia e patografia del ricordo» di Pio Colonnello.

Pio Colonnello01

9788857543772_0_0_0_75

004 Il tempo ha una struttura labirintica, le sue direzioni sono molteplici, esso va e viene sia nelle componenti profonde della materia atomica sia nella materia consapevole di se stessa, i cervelli animali.

 

Anche per questo la domanda sul tempo non riguarda soltanto il movimento fisico delle

xxSalvatdor Dalì, La persistenza della memoria, 1931

S. Dalì, La persistenza della memoria, 1931

cose, dei viventi, degli astri. È una domanda che ha sempre a che fare anche con la memoria. È tale complessità che Pio Colonnello ha indagato in Fenomenologia e patografia del ricordo (Mimesis 2017, pp. 151, euro 16), ponendo in connessione il lavoro della memoria con il «bisogno di redimere il dolore», di rendere lieve il peso dell’accaduto, di riunire il separato, di coniugare l’adesso con il già stato in modo da dare un senso a ciò che sta per avvenire e che verrà. Passato, presente e futuro sono delle «estasi», sono delle aperture ai ricordi, al percepito, all’atteso ed è per questo che «nel singolare rapporto delle ekstasi temporali tra loro, entra finalmente in gioco la riconciliazione, il rinnovato accordo dell’uomo con il suo proprio destino».

 

Le immagini del passato possono risultare molto più vive rispetto a quelle che abbiamo davanti in questo momento, perché sono immagini-sintesi di sentimenti profondi, di angosce superate soltanto in parte, di ferite sempre dolenti, di desideri che non sono finiti. È la ragione per cui queste immagini «chiedono ancora spiegazioni al presente, mentre dal pozzo della memoria, cavità cupa ed evanescente, affiorano solo pallide immagini, lievi simulacri».

Percorriamo di continuo il magnifico labirinto del tempo, fatto con i mattoni dei nostri ricordi, i quali però non sono mai rappresentazioni statiche, ferme e sempre uguali a se stesse. No, i ricordi sono continuamente cangianti, riletti e riscritti alla luce delle urgenze presenti e delle aspirazioni future. Questo vuol dire Husserl quando sostiene – come prima di lui aveva fatto Agostino – che il presente della mente si distende e si estende in ogni altra dimensione del tempo, sino a creare quei ricordi di fantasia che sono generati «dalla capacità della coscienza intenzionale di ricollocarsi in ogni punto del flusso e di produrlo “ancora una volta”». Su questi ricordi si incentra con particolare attenzione la psicoanalisi.

Forme di realizzazione e compimento dell’accordo con sé e della riconciliazione con gli altri sono il perdono e la promessa, due facce dello stesso volto del tempo, poiché «l’una è rivolta al non-più e l’altra al non-ancora».

Giustamente Paul Ricoeur mette in guardia «dalla trappola del perdono facile», che pretende di cancellare il conflitto con un atto unilaterale, mentre la conciliazione va chiesta, maturata, faticosamente conquistata, là dove è possibile che accada. In questi fenomeni insieme interiori e sociali mostra tutta la sua potenza il divenire, capace di dare quiete anche ai più frenetici e feroci gesti della storia collettiva e di mutare segno alle speranze, ai desideri, alle illusioni, agli amori.

 

xxUmberto Boccioni, Tre donne, 1909

Umberto Boccioni, Tre donne, 1909

Tutti recisi dalla falce del tempo ma che del tempo sono sostanza. Una volta accaduti, infatti, essi lo sono per sempre. E i ricordi costituiscono la viva testimonianza della loro presenza adesso e qui, nel tessuto dei mesi, delle ore, dei giorni.

 

Il ritmo pacato e attento di questo libro, della sua scrittura, mostra tale divenire in filosofi e narratori come Arendt, Borges, Jaspers, Freud, Nietzsche, Heidegger. In tutti loro la salute umana mostra di essere in primo luogo equilibrio e gioco tra il ricordo e l’oblio, tra la tenacia dei sentimenti già vissuti e l’apertura ad accogliere il nuovo.

Alberto Giovanni Biuso

***

L’articolo è già stato pubblicato su «il manifesto» del 20 gennaio 2018.


Alberto Giovanni Biuso – Recensione del libro “Discorsi sulla morte” di Luca Grecchi.

Alberto Giovanni Biuso – Recensione al libro di Roberto Marchesini «Alterità. L’identità come relazione»

Alberto Giovanni Biuso – Recensione al libro di Renato Curcio «L’EGEMONIA DIGITALE. 
L’impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro». La colonizzazione dell’immaginario scandisce «un progresso tecnologico inesorabilmente avverso ad ogni anelito di progresso sociale»


Alcuni libri di Pio Colonnello

 

Tempo e necessità. Ricerche su Kant, Husserl e Heidegger

Tempo e necessità. Ricerche su Kant, Husserl e Heidegger

Storia esistenza libertà. Rileggendo Croce

Storia esistenza libertà. Rileggendo Croce

Orizzonti del trascendentale

Orizzonti del trascendentale

Melanconia

Melanconia

Martin Heidegger a Hannah Arendt. Lettera mai scritta

Martin Heidegger a Hannah Arendt. Lettera mai scritta

 


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 29-01-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


Seguici sul sito web 

cicogna petite

Perché «Petite Plaisance»

00 Biblioteca

Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada. Eraclito

Non obbedire a chi ti dice di rinunziare all’impossibile! / L’impossibile solo rende possibile la vita dell’uomo. / Tu fai bene a inseguire il vento con un secchio. / Da te, e da te soltanto, si lascerà catturare. M. Guidacci

 

Michele Gasapini – La caduta di Icaro. Analisi del mito e della modernità

Marc ChagallLa Caduta di Icaro

Marc Chagall, La Caduta di Icaro.

Anche se non si volesse credere alla verità che nascondono,
è impossibile non credere alla loro incomparabile potenza simbolica.
Nonostante la loro consunzione moderna,
i
miti restano,
al pari della metafisica,
un ponte gettato verso la trascendenza.

E. Junger[1]

 

  1. Introduzione

Può un mito antico più duemilacinquecento anni raccontare e interpretare il presente? Inizio provando a rispondere a questa domanda che mi permette di esplicitare le premesse, garanzie non tanto di oggettività ma di trasparenza, su cui si basa questo lavoro.
In primo luogo, ricordando la lezione di Cassier[2]  l’uomo è un animale simbolico e dunque il mito contiene verità senza tempo sugli aspetti ultimi della natura umana. Natura umana che nel mondo della post-modernità sembra perdersi in favore di individualità prive di legami, funzionali all’attuale sistema ideologico – sociale. Occorre dunque ripartire dallo spirito greco, dalla concezione aristotelica di uomo come come politikon zwon[3] e zwon logon econ[4]  e dal concetto filosofico di metron[5]  come chiave fondativa non solo di qualsiasi interpretazione ma di ogni tentativo di riformulazione del presente. L’analisi proposta punta a compiere quel rovesciamento gestaltico rispetto alle tradizionali interpretazioni che aprirà alla comprensione, non solo del mito di Dedalo e Icaro, ma anche del nostro tempo.
Il lavoro si divide dunque in due parti, pur con le inevitabili contaminazioni, una prima parte dove saranno analizzate le strutture simboliche ricorrenti e una seconda dove queste premesse saranno sviluppate in un’analisi della modernità. Spetterà poi al lettore stabilire se si è trattata di un’indebita oppressione di un mito greco sul letto di Procuste della critica sociale oppure se le suggestioni suggerite dal percorso avranno contribuito ad allargare la comprensione del mondo attuale.

  1. Il mito[6]  e le sue strutture

Abbiamo quindi individuato le cinque strutture fondamentali da cui partire nell’interpretazione del mito. Non è rilevante individuare una versione unitaria della storia quanto analizzarne i suoi significanti fondamentali, senza perdersi in dettagli, filologicamente interessanti, ma privi di importanza per il lavoro che ci siamo proposti.
Le strutture individuate sono:

  • il minotauro
  • il labirinto
  • la costruzione delle ali
  • il volo e la caduta

Queste cinque costellazioni simboliche[7]  serviranno da guida nell’esplorazione dei significati del mito, nella convinzione che questi possano essere, non esauriti, ma ricondotti all’interno di queste cinque categorie fondamentali.

2.1 Il minotauro

Il Minotauro è una figura che ha affascinato artisti di ogni epoca storica proprio in virtù della sua duplice natura di uomo e animale.[8]  Pur non apparendo direttamente all’interno del racconto, il suo ruolo rimane quello di un primus movens:

  1. Dedalo è responsabile del suo concepimento, costruendo la giovenca di legno che permetterà a Pasifae, moglie di Minosse, l’incestuoso accoppiamento.
  2. per lui Dedalo costruisce il labirinto dove sarà rinchiuso insieme al figlio
  3. la sua presenza rende la fuga necessaria

La caratteristica fondamentale del minotauro è appunto il suo essere al medesimo tempo uomo e animale, creando una figura dove questi due aspetti non possono essere esaminati singolarmente ma nella loro unione. Il minotauro, quindi, come unione bestiale tra uomo e animale, frutto del cedere al desiderio irrefrenabile e innaturale, alle pulsioni irrazionali interne all’essere umano. Reificazione mostruosa, nel concepimento come nell’aspetto, del duplice tabù della zoofilia e del cannibalismo, trasformati in vivida verità che non possono essere semplicemente e privatamente negati nella loro realtà, ma per poter mantenere lo status quo devono essere rimossi dal visibile e nascosti in quella simbolizzazione dell’inconscio rappresentata dal labirinto[9].
E’ interessante osservare come il peccato originale da cui scaturisce quest’essere mostruoso è un peccato del maschile, un peccato del padre; padre e re e quindi peccato della comunità stessa come struttura sociale. La passione che si accende in Pasifae è scatenata da Nettuno per punire Minosse, reo di essersi rifiutato di sacrificare al dio il vitello bianco per tenerlo all’interno della propria mandria. Il peccato originale è dunque un peccato di accumulo, il desiderio di possedere ciò che era destinato agli dei[10]  crea il minotauro, che appunto reifica il desiderio sfrenato e che continuamente ha da essere alimentato tramite il più terribile dei sacrifici[11], senza poter essere eliminato.
La sua apparizione è il momento di consapevolezza dell’uomo nella forma della sua rappresentazione simbolica e da quel momento, il minotauro può essere celato, nascosto, ma rimane. E’ l’ente che rappresenta la realtà di questo lato della natura umana: il prodotto di un unione perversa che distorce l’essenza stessa dell’umano producendo un abomino.[12] E’ quindi un inganno consapevole quello che viene messo in atto, tramite il suo nascondimento all’interno del labirinto.

2.2 Il labirinto[13]

La seconda struttura che incontriamo nel nostro percorso è quella del labirinto. Costruito da Dedalo su ordine di Minosse è il luogo della prigionia del Minotauro, e il luogo in cui il suo costruttore venne rinchiuso insieme al figlio.
Il labirinto risponde a una duplice funzione nei confronti della creatura:

  1. imprigionare
  2. nascondere

Imprigionata per proteggere la comunità dalla sua furia, celata perchè la sua stessa presenza è scandalo e seppure sia necessario contenerlo non può essere eliminato dalle forze che l’hanno creato. La stessa costruzione del labirinto richiama costantemente alla sua presenza: non in una cella segreta ma in una struttura gigantesca e ben visibile è rinchiuso il Minotauro. Di fronte a queste premesse risulta quasi banale associare al labirinto la parte della psiche e al Minotauro la parte nera e scura, l’ombra dell’inconscio che si nutre di istinti irrefrenabili.
A chi appartiene dunque il labirinto? E’ il labirinto di Minosse certo, ma è anche il labirinto di Dedalo e delle sue colpe, è in fondo il labirinto dell’uomo, del Dedalo e del Minosse che è in ognuno di noi e che ciascuno di noi costruisce non solo come singoli ma anche come società.
Ma il labirinto è sempre anche una porta aperta verso l’ignoto. Accanto ai drammi, alle difficoltà, al rischio di perdersi al suo interno, l’idea del labirinto ci lascia la possibilità d’intravedere un’uscita, una soluzione agli enigmi, agli inganni, alle illusioni che esso ci pone davanti. Ecco che il nostro labirinto prende forma con le sue luci e le sue ombre, gli antri oscuri e i cortili da cui vedere il sole, una costruzione dell’uomo, dove perdersi e dove ritrovarsi.
Un luogo catartico nel quale ci si trova di fronte all’ombra, una sorta di bozzolo nel quale troviamo la possibilità di reale riscatto o di perdita definitiva. In un caso come nell’altro il labirinto apre alla scelta autentica tra la conquista della luce e il disperdersi nelle tenebre.

2.3 La costruzione delle ali[14]

Dedalo costretto nel labirinto si trova di fronte a due soluzioni: soccombere di fronte all’oscurità o trovare una via d’uscita. Tuttavia il labirinto non ha una soluzione, non esistono vie di fuga o passaggi segreti che la permettano. Ha costruito per se stesso la prigione perfetta: se una via di fuga esiste, Dedalo non è in grado di trovarla all’interno del labirinto, deve crearla. Artefice fino in fondo delle sue fortune, così come delle sfortune, Dedalo, allora, per fuggire insieme al figlio, progetta la costruzione di un paio d’ali[15].
A questo punto il mito ci mette di fronte a due figure fondamentali che si sovrappongono.

  1. Dedalo non riceverà aiuti esterni per fuggire, non l’appoggio di dei o salvatori, può contare solo sulle sue forze, sul suo ingegno, sulle sue scelte: sulla sua prassi, intesa come azione trasformatrice. Come l’uomo crea con le sue azioni il labirinto e il mostro che lo popola, ugualmente con le sue azioni è in grado di superarlo e fuggirlo. E’ la fuga da un labirinto a determinare la sconfitta, la soluzione dello stesso. Qui il concetto diventa più sottile: il mostro e il labirinto non sono superati con il loro annientamento, perchè intimamente connessi all’uomo. Il tentativo di affrontarli in questo strada apre unicamente la porta a nuovi labirinti e nuovi mostri e la futura storia di Teseo ce lo mostra molto bene. Il labirinto può essere superato, cioè risolto e quindi sconfitto nella sua essenza più propria, ma solo trascendendolo attraverso una prassi mirata e consapevole.
  1. Il secondo punto riguarda il livello su cui basare questa ricerca. La leggenda ci insegna che il labirinto non può essere superato rimanendo sul suo stesso piano. E’ necessario una sorta di salto quantico di consapevolezza per fuggire da questa prigione. L’unica azione che può salvarci deve portarci appunto a trascendere la realtà narrata dal labirinto. Una realtà che non può essere negata ma può essere superata con la forza del nostro ingegno e la determinazione delle nostre azioni. Il labirinto non è una necessità insuperabile è stato creato dall’uomo ed è nel potere dell’uomo superarlo. Un superamento che non è la sua distruzione o il suo annullamento, cosa che non è nelle possibilità dell’uomo, il labirinto rimane, ma l’uomo con le sue scelte e le sue azioni determina il proprio esserne o meno prigioniero.

2.4 Il volo e la caduta

Arriviamo all’analisi dell’ultima immagine presente nel mito, il tragico volo di Dedalo e di suo figlio Icaro. La via di fuga è una corda tesa su due lati di un abisso: è questo lo spazio dell’uomo che rimane sospeso tra gli dei e gli animali e che quindi si trova nella continua situazione di poter perdere l’essenza del suo essere. E’ la capacità di ragionamento[16] che gli è propria a permettere all’uomo di trovare il suo posto nel giusto mezzo che gli spetta. Il tema del metron, cifra della saggezza greca, ritorna prepotentemente anche in questo mito: solo la capacità di realizzarsi nella propria natura più intima che non è quella della bestia nè del dio, permette all’uomo di essere libero e trovare la propria salvezza. Nel momento in cui Icaro non si accontenta del suo essere uomo ma crede di poter arrivare fino agli dei, ecco si consuma la sua rovina. Il desiderio di oltrepassare quel limite, l’avvicinarsi al sole fa si che la cera che tiene insieme le piume si sciolga per il troppo calore e che precipiti nel mare. Lo spazio dell’uomo è, quindi, lo spazio del mezzo, uno spazio che richiede uno sforzo continuo per essere abitato ma che è l’unica strada che ci è offerta. Il desiderio, l’ardire di Icaro, disattendendo l’avvertimento del padre, di raggiungere lo spazio riservato agli dei provoca la sua caduta. Non è un immagine casuale, Icaro non viene distrutto dal calore, assorbito da esso, nonostante tutti i suoi sforzi il sole rimane irraggiungibile e il suo destino è quello di precipitare scomparendo tra i gorghi.

  1. Il mito e la modernità

Partendo dall’analisi delle strutture del mito svolta in precedenza proveremo ad arrivare al centro dell’obiettivo che ci eravamo prefissati e cioè aprire una finestra sul mondo che ci circonda. Ripercorrendo il sentiero svolto in precedenza proporremo, attraverso le suggestioni dei simboli incontrati, un percorso interpretativo in grado di portare in luce pieghe altrimenti nascoste del presente.

3.1 Minotauro: l’illimitatezza del desiderio

Il minotauro racconta lo spirito del capitalismo[17], lo spirito del mondo a cui apparteniamo e della sua cifra che è l’illimitatezza. Dove il mondo greco aveva posto il limite (peras) e la misura (metron) come dimensione dell’umana esistenza, il capitalismo, ponendo a fondamento del proprio essere l’accumulo illimitato del capitale, rovescia tali valori e la dimensione che gli è propria è quella dell’illimitatezza del desiderio astratto. Desiderio rappresentato dalla voracità insaziabile del minotauro che come il capitale non si ferma nemmeno di fronte alla vita umana per poter soddisfare la sua fame inestinguibile. Il meccanismo spietato che porta ogni anno a sacrificare vittime al minotauro non è forse lo stesso dispositivo che vediamo tutti i giorni alimentare l’appetito senza fine del capitale a discapito dei diritti, della dignità umana e della natura? Il mostro nato dal desiderio di possesso di Minosse, che in quanto re rappresenta simbolicamente l’uomo, cioè dal rifiuto di restituire agli dei ciò che era loro di diritto per assegnarlo alla propria sfera privata, genera un mostro che con la sua presenza più o meno consapevole, più o meno celata soggioga la vita e le dinamiche dell’intera comunità. Tuttavia la storia c’insegna anche un’altra verità, come il minotauro è stato creato dall’uomo così rientra nelle possibilità dell’uomo distruggerlo: il minotauro non è il destino ma qualcosa che, se dio vuole, avrà un destino.

3.2 Il labirinto: la gabbia d’acciaio

Il labirinto è il regno del capitale, il regno del minotauro nel quale Dedalo è imprigionato e noi con lui. Il labirinto evoca atmosfere differenti ma complementari a quelle dell’immagine weberiana della gabbia d’acciaio[18] arricchendone il ritratto con sfumature essenziali. Il labirinto non solo rinchiude, inganna. Inganna per la sua complessità, apparentemente inestricabile per chi si trova al suo interno, inganna per la falsa idea di libertà che trasmette, per le false vie che nascondono vicoli ciechi al posto delle uscite. E’ possibile passare la vita persi nel labirinto fino a convincersi che non esista altro al di fuori, che la realtà e il significato possano essere cercati soltanto all’interno dello spazio stabilito dal capitale e che sarebbe vana ogni ricerca che volesse portarci oltre le sue pareti. Oltre questo il labirinto veicola in sè, a differenza della gabbia d’acciaio, anche l’idea della sua risoluzione: di una libertà dal labirinto e non nel labirinto. Se il mondo di Weber è un esito finale, un destino ineluttabile a cui piegarsi e contro cui ogni battaglia è destinata a fallimento più o meno eroico, ecco, nascosta nel cuore del labirinto batte la speranza.

3.3 La costruzione delle ali: la prassi trasformatrice

La speranza che batte al centro del labirinto è un’impulso verso il futuro, il nucleo della dottrina di Marx secondo l’interpretazione, a mio parere corretta, che vede il suo pensiero ricondotto nell’alveo dell’idealismo, e l’analisi economico scientifica secondaria all’impianto filosofico che la sostiene e la attraversa, riemergendo come un torrente carsico che si nasconde solo per riaffiorare, in tutto il percorso del filosofo di Treviri[19]. Questa speranza non è sogno, si basa sul fatto che come l’uomo crea il minotauro e costruisce il labirinto con le sue azioni, con le sue azioni può liberarsi dalla sua prigionia. La costruzione della ali è quindi metafora della prassi trasformatrice che l’uomo ha la possibilità di mettere in atto, per rompere le catene che egli stesso ha forgiato e stretto ai proprio polsi. Costruire ali per permettere un radicale cambio di prospettiva, un allontanarsi verso l’alto che permetta una visione complessiva dell’inganno insito nel labirinto e che spinga l’umanità a sviluppare un pensiero in grado di comprendere e valutare la totalità. La soluzione del labirinto non si trova all’interno del labirinto ma nel suo superamento, un superamento che non può prescindere dalla prassi[20] e dalla volontà dell’uomo.

3.4 Il volo e la caduta: lo stretto percorso dell’emancipazione umana

Il cammino emancipativo dell’umanità è tortuoso e avvolto nella nebbia, il rischio di smarrirsi accompagna ogni passo; e d’altra parte se si fosse trattato di una strada diritta non staremmo dove stiamo, e cioè a valutare il successo di una persona sulla base del numero di optional che monta sulla macchina. Non esistono soluzioni preconfezionate, l’unica via percorribile richiede un continuo esercizio per conformarsi ad essa, un incessante sforzo che permetta la progressiva emancipazione dell’uomo da questa condizione di inautenticità. Un percorso dove il rischio di fallire è costante, fallimento che nel mito si concretizza simbolicamente in due opposti tra loro correlati: il cielo e la terra[21], il destino estraneo all’uomo proprio rispettivamente delle bestie e degli dei. Lo spazio dell’uomo è quello intermedio[22], e il costo di non accettare la necessità di uno sforzo costante di riappropriazione della propria umanità, mediato dalle capacità razionali dell’uomo e diretto a creare o riposizionare le condizioni politiche, economiche e sociali che permettano una reale realizzazione dell’essere più proprio, porta alla dissoluzione di coloro che non possono essere nè animali nè dei.
La caduta di Icaro e il suo perdersi nell’abisso rappresentano il rischio dell’illimitatezza: non soddisfatto di essere sfuggito al minotauro, il suo desiderio di raggiungere gli dei, è l’errore di chi non accetta la sua natura ma vuole spingersi oltre il giusto limite. Questo tipo di desiderio, lungi dal realizzarsi, conduce alla rovina, l’allontanarsi dalla traettoria del mezzo, isola, conduce a una singolarità priva di legami, destinata a perdere le ali che si sciolgono sotto il calore del sole; a perdere cioè la capacità di produrre una prassi trasformatrice della realtà, nella realtà, irretito dal desiderio di possedere l’ideale. Non è questa la strada riservata all’uomo, l’abisso che accoglie Icaro è l’abisso di colui che dopo aver abbandonato il reale per l’astratto, la comunità per la singolarità, scompare nelle profondità privo di strumenti per creare.

  1. Conclusioni

L’analisi del mito di Dedalo e dalla sua fuga dal labirinto ci ha accompagnato con le sue suggestioni alla ricerca di quel filo che possa condurre anche noi verso l’uscita. Si è trattata, dunque, di un’operazione lecita? Con che diritto abbiamo preso un mito dell’antica grecia per porlo alla base di una critica della società capitalista e del suo necessario, qui utilizzato nel senso di necessità storica e non d’inevitabilità, superamento. Il successo di questo tipo di operazione, se successo è stato, si basa sul fatto che il mito racchiude in sé verità senza tempo, e pur nascendo in un determinato periodo storico-sociale, contiene un eccedenza veritativa in grado di parlarci al di là dei secoli, rivolgendosi direttamente a ciò che la natura umana ha di più proprio. E’ proprio a questa natura a cui dobbiamo aggrapparci per trovare una strada che ci porti al dì là di questa gabbia: una natura umana che è nella sue radici profonde incompatibile col sistema capitalista. Per quanto il labirinto del mondo del capitale sia grande e complesso, per quanto il minotauro sia una sorta di fratello mostruoso delle nostre pulsioni distruttive, ci sarà sempre un parte della natura umana che non confonderà le pareti del labirinto con i confini della storia e la sagoma deforme del minotauro con il reale spirito dell’uomo. E questo per l’intrinseca falsità che sta nel profondo della riproduzione capitalistica, a livello strutturale così come nel piano simbolico. Sarebbe però pericoloso affidarsi a questa speranza confondendo la possibilità con la necessità, non esistono scorciatoie o strade in discesa, per superare lo stato attuale dovremmo essere in grado di compiere un atto creativo che è nell’uomo e oltre l’uomo: costruirci delle ali per spiccare il volo. Lo sforzo di pensare una società e un mondo oltre il capitalismo è un esigenza, ora sopita, ma destinata a riemergere perchè legata inestricabilmente alla natura ultima dell’umanità, e alla fondamentale domanda sul suo essere sociale.
E’ solo nell’iniziare a pensare la possibilità di un suo superamento che ci apriamo al superamento nel suo essere storico, finchè ragioniamo all’interno delle dinamiche capitaliste con le sue logiche apparentemente esatte perchè incapaci di cogliere l’intero, resteremo prigionieri della perfezione geometrica di questo labirinto.
Superare il labirinto significa riprenderci la nostra libertà, quella di rifiutare di schierarci da un lato o dall’altro di questa gabbia convinti che questo possa avere un significato, per poter cercare con l’esercizio della nostra ragione un’apertura che ci riporti sul cammino diretto all’autentica determinazione e felicità dell’uomo.

Michele Gasapini

Note

[1]Antonio Gnoli, Franco Volpi, I prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jünger, Adelphi, 1997. p. 96.

[2] “Il simbolo non è il rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario ed essenziale. Esso non serve soltanto allo scopo di comunicare un contenuto concettuale già bello e pronto, ma è lo strumento in virtù del quale questo stesso contenuto si costituisce ed acquista la sua compiuta determinatezza”. E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Intr., §II

[3]Nella Politica (libro A) l’uomo è detto zòon lògon èchon (animale avente il logos – deriva dal verbo leghein, legare, poi traslato in dire e pensare), ed evidentemente qui il logos riferito all’uomo è la parola. Dopo aver ribadito che l’uomo è animale politico, qui si distingue la voce (phonè), che è data anche agli altri animali, dal logos, che costituisce il proprio dell’uomo, che è l’unico ad avere coscienza del bene e del male. Anche nell’Organon (De Interpretatione) il discorso è suddiviso in phonè e pathèmata (realtà accolte), le cose ricevute dall’anima, contenute nell’intelletto umano. Il discorso umano è allora una realtà simbolica, è una manifestazione sensibile di significati colti dall’intelletto. La definizione sembra allora ottenere completa compatibilità, e se leggiamo anche il libro E dell’Etica Nicomachea, vediamo come l’anima sia dotata di ragione: tuttavia per Aristotele anima è comunemente intesa come sinonimo di sinolo umano, dunque forse lògon èchon va anche qui inteso come l’uomo stesso, in quanto dotato della componente razionale dell’anima.

[4] Le origini della filosofia antica: alla ricerca della misura delle cose. Breve saggio sul concetto di logos come misura dei beni della comunità sociale. A cura di Alessandro Volpe https://www.academia.edu/1920035/Lorigine_della_filosofia_greca_alla_ricerca_della_misura_delle_cose. Questo saggio che raccoglie in maniera importanti alcuni contributi del filosofo torinese Costanzo Preve sulla filosofia greca, rilegge in chiave ontologico sociale i concetti artistotelici qui riportati, dandone un’interessante chiave interpretativa.

[5] Costanzo Preve, La saggezza dei Greci. Una proposta interpretativa radicale per sostenere l’attualità dei Greci oggi [pubblicato su Koinè, Periodico culturale – Anno XVI – Gennaio-Giugno 209 Direttore responsabile: Carmine Fiorillo – Direttori: Luca Grecchi, Diego Fusaro].

[6] La tradizione riporta differenti versioni del mito di Dedalo e Icaro che tuttavia non ne vanno a intaccare il significato fondamentale della nostra interpretazione, rimanendo costanti i riferimenti simbolici.

[7] “Costellazione”, quale “rete di simboli” afferenti ad uno specifico motivo archetipico. Secondo la definizione di Gilbert Durand (Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale). Qui inteso nel senso che i cinque paragrafi individuati contengono in realtà un’insieme di simboli tra loro significativamente correlati.

[8] Per citarne alcuni Durenmatt, Borges, Dante per la letteratura, Dali, Picasso, Watts per le arti figurative.

  1. Forme labirintiche si trovano in pressoché tutte le civiltà conosciute: nella grafica preistorica, nei mandala orientali, in talune danze rituali, nella cultura classica greca e latina, nei testi alchemici, nei pavimenti delle cattedrali cristiane, nella letteratura simbolica ed emblematica dal medioevo all’età moderna. Simbolo ampiamente utilizzato in psicanalisi da Freud a Jung.

[10] Minosse lo sottrae allo dimensione del sacro, per definizione esterna al ciclo di riproduzione economica (il tempio è sacro perchè non è in vendita, per usare le parole di Heidegger), per portarlo all’interno del suo privato possesso.Dimensione sacra che può essere vista senza particolari forzature come dimensione garante dell’integrità della comunità e che viene rotta da questa azione, che rimane, fuor di metafora, un azione sociale e non certo personale.

[11] Sette fanciulli e sette fanciulle. L’equilibrio che il sette rappresenta in numerologia, viene rotto dall’azione fagocitante del minotauro.

[12] Nel momento in cui l’uomo rompe il patto comunitario, garantito all’interno del mito dal diritto degli dei, ecco che nasce qualcosa del tutto inconciliabile, che mette in discussione la sua stessa esistenza. “Ma quest’essere grande che possiede Genio inventivo, oltre ogni speranza Ora si volge al male e ora al bene. Chi rispetta le leggi della patria e il giurato diritto degli dei quest’uomo è il cittadino di uno Stato che egli stesso è servito ad innalzare; ma l’uomo che si fa compagno il male per gusto temerario è un senza patria. L’uomo che vuole agire in questo modo, mi stia sempre lontano dalla casa e dal cuore” (Sofocle, Antigone. I stasimo. II Antistrofe).

[13] Il labirinto è simbolo dei cammini tortuosi della vita o della coscienza. Invita alla ricerca interiore per uscire dallo smarrimento, evoca due tendenze opposte: la liberazione o la prigionia. “E’ un simbolo interiore: siamo tutti labirinto, intrigo di viscere e di pensieri contorti. Per uscirne è necessario entrarvi. Perdersi nelle strade di una città, è un modo per avvertire quanto questo assomigli alla nostra mente, alla nostra vita; può essere un esercizio per reggere lo spaesamento incombente.”

[14] Le ali indicano la facoltà di conoscenza, colui che comprende ha le ali. Cfr.  J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei Simboli, BUR , 2005.

[15] “Hope” is the thing with feathers” (E. Dickinson)

[16] In quanto appunto zwon logon econ.

[17] Y. Varoufakis, Il Minotauro Globale. L’America, le vere origini della crisi e il futuro dell’economia globale. Asterios, 2012. Nel quale il futuro ministro dell’economia greco usa il minotauro come metafora degli USA e dell’attuale fase del capitalismo globale.

[18] M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR, 1991.

[19] A questo proposito, cfr. G. Lukacs, Storia e coscienza di classe, Sugar Editore, 1973.

[20] “La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica”. (K. Marx, VIII tesi su Feuerbach)

[21] Rappresentati in questo caso dal sole e dal labirinto.

[22] ”L’uomo è intermedio tra dei e animali” (Plotino, Ennade III).