«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
L’abbaglio con cui si cerca di ingannarenoi tutti è un incanto illusorio. L’Occidente è senza Daimon e Genius loci e offre unicamente l’ametista ingannevole dei soli diritti individuali
Aspettando i barbari
Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza? Stanno per arrivare i Barbari oggi. Perché un tale marasma al Senato? Perché i Senatori restano senza legiferare?
È che i barbari arrivano oggi. Che leggi voterebbero i Senatori? Quando verranno, i Barbari faranno la legge.
Perché il nostro Imperatore, levatosi sin dall’aurora, siede su un baldacchino alle porte della città, solenne e con la corona in testa?
È che i Barbari arrivano oggi. L’Imperatore si appresta a ricevere il loro capo. Egli ha perfino fatto preparare una pergamena che gli concede appellazioni onorifiche e titoli.
Perché i nostri due consoli e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata? Perché si adornano di braccialetti d’ametista e di anelli scintillanti di brillanti? Perché portano i loro bastoni preziosi e finemente cesellati?
È che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari.
Perché i nostri abili retori non perorano con la loro consueta eloquenza?
È che i Barbari arrivano oggi. Loro non apprezzano le belle frasi né i lunghi discorsi.
E perché, all’improvviso, questa inquietudine e questo sconvolgimento? Come sono divenuti gravi i volti! Perché le strade e le piazze si svuotano così in fretta e perché rientrano tutti a casa con un’aria così triste?
È che è scesa la notte e i Barbari non arrivano. E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari…
E ora, che sarà di noi senza Barbari? Loro erano comunque una soluzione.
K.P. Kavafis
La catastrofe globale a cui l’Occidente va incontro è spesso pensata nei soli termini di rovina ambientale irreversibile. Gli studiosi di filosofia al pari degli scienziati sciorinano dati sul clima, sullo scioglimento dei ghiacciai e sull’economicismo. L’esattezza di tali dati è indubitabile, ma dietro il declino, ormai prossimo alla catastrofe, vi è una verità che è necessario riportare alla luce. I dati scientifici con cui si profetizza la catastrofe sempre più vicina rischiano di occultare il senso di tali dati. Dietro la cortina di ferro della loro scientificità, vi è il declino vitale dell’Occidente incapace di progettare se stesso. L’Occidente – affetto da ipertrofia della razionalità strumentale – aspetta i nuovi barbari, affinché – come nella poesia di K. P. Kavafis – possano portare nuova linfa per evitare il suo tramonto. L’economicismo ha divorato il pensiero di ogni possibilità, per cui incapaci di promuovere vera politica e di praticare la ricerca della verità, li si attende cercando di affascinarli con i preziosi, ostentandoli, essi sono l’elemosina che l’Occidente usa per irretirli:
“Perché i nostri due consoli e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata? Perché si adornano di braccialetti d’ametista e di anelli scintillanti di brillanti? Perché portano i loro bastoni preziosi e finemente cesellati?
È che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari”.
Abbagli L’abbaglio con cui si cerca di ingannare i barbari è l’incanto illusorio, in cui si è sempre vissuto e che ci rifiutiamo di riconoscere. L’immigrato è il barbaro che deve salvare dal declino demografico e culturale: lo si invoca, e lo si sfrutta. Si cade nel caos ideologico, sintomo della decadenza razionale. Si frodano i barbari con lo stesso registro valoriale che ha esaurito le forze vitali e creative: l’economicismo. Senza pensiero divergente che si arrischi nella ricerca autonoma della verità non vi è soluzione alla catastrofe. Si attende la soluzione dall’esterno, ma non verranno i barbari a liberarci. Non vi sono soluzioni che vengano dall’esterno:
“È che è scesa la notte e i Barbari non arrivano. E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari… E ora, che sarà di noi senza Barbari? Loro erano comunque una soluzione.”
Si attendono i barbari, si abdica ad ogni responsabilità politica e sociale. Non si ha la forza per deviare il cammino dall’abbaglio collettivo della crematistica e del narcisismo disperato. Non si “osa” invocare l’impegno alla lotta alle ingiustizie e dichiarare la verità del modello di sviluppo dell’attuale sistema. L’Occidente si nasconde tra le pieghe dei “barbari” che divengono il mezzo per sfuggire alla sua verità autorappresentandosi come il migliore dei mondi possibili.
Occidente senza Daimon e Genius loci La decadenza è iniziata con un processo di estraniazione dal proprio “demone”, ovvero con la messa a tacere di ogni vocazione individuale e collettiva. L’economicismo ha sepolto la capacità di ascoltare la propria vocazione profonda in nome del facile successo e della regressione ad un infantilismo di massa osannato con ogni mezzo. Il ciclo produttivo non saccheggia solo il pianeta, ma nella sua spirale svuota gli individui, che in nome del diritto a tutto hanno abdicato ai loro doveri, alla solidarietà umana, all’ascolto del Genius loci[1] che abita i paesaggi. Senza l’ascolto dell’invisibile racchiuso nella storia dei territori del pianeta ogni luogo è solo merce per un ultimo e letale scambio mercantile. L’architettura – costola dell’economia –insegue l’onnipotenza dell’economicismo, progetta il territorio secondo una pianificazione astratta che ne sfregia l’identità e la bellezza:
«Dunque, perfetta identità di vedute tra studiosi di così diversa estrazione culturale ed appartenenti a discipline così distanti: l’architettura moderna ha dimenticato o del tutto frainteso il concetto di Genius loci, scambiandolo, frequentemente, con la pura e semplice “genialità” del progressista o dell’artista che, di volta in volta, programma l’intervento trasformatore del territorio, o più prosaicamente, ignorandolo in supina adorazione dei più biechi interessi speculativi». [2]
Senza l’ascolto del Daimon personale e del Genius loci che costruiscono un’unità di senso sotterranea da tradurre in concetto, non resta che la pianificazione algoritmica della vita, la violenza che si estende sulla vita in un delirio attivistico che in realtà è solo onnipotenza nichilistica. Il risultato di tale prassi è l’essenza della vera vita, minacciata in ogni sua forma.
L’ametista dei soli diritti individuali I sussulti del sistema sono dinanzi a noi: ci si appella all’uguaglianza di genere, al voto ai sedicenni, al fine di ottenere una manciata di voti per sopravvivere senza doversi dare una vera prospettiva. La parità di genere è divenuto un espediente per evitare la critica alle istituzioni ed alle pratiche economiche dell’illimitato. Il voto ai sedicenni è un modo per affascinare gli adolescenti e manipolarli abilmente, ben sapendo che età e cultura non consentono loro un voto consapevole. Si cerca – con tattiche elettorali – di consolidare le fondamenta di istituzioni senza fondamento ideale. Si erode il dissenso trasportando in esso donne e sedicenni, in modo da tacitare ogni valenza critica. Il progresso illuministico è divenuto “rivoluzione passiva”; si teme la critica, perché la vista della verità, in cui siamo implicati, potrebbe far implodere il sistema. E in assenza di prospettive consegnarci alla nostra verità senza filtri: la violenza sregolata. I barbari sono all’interno delle nazioni ed erodono – in nome dell’ultimo letale boccone a cui non vogliono rinunciare – quel che resta dello spirito critico e vitale di un popolo. L’ametista dei diritti individuali senza i diritti sociali e i doveri trasforma i diritti sociali nella barbarie del consumo senza prospettiva, dell’egoismo divenuto modello per le plebi. I processi di autodistruzione sono in atto e palesi, ma i barbari che abitano nel ventre delle nazioni sono sfiniti dalle loro pratiche ed attendono liberatori che non verranno, mentre la catastrofe è sempre più vicina. Dinanzi a tale verità solo l’ascolto del Daimon e del Genius loci può essere l’inizio di un riorientamento gestaltico. Per ritrovare la via è necessaria una cesura, uno strappo senza compromesso. È tale la nostra condizione che necessitiamo di giovani animati dalla «passione durevole» di cui parlava György Lukács, e che riportino l’Umanesimo al centro del cammino della storia.
Salvatore Bravo
[1]Genius loci è, nella definizione di Christian Norbert-Schultz, il significato profondo del luogo che è iscritto nella sua essenza. Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura, Electa, Milano 1979; «Il carattere è determinato da come le cose sono, ed offre alla nostra indagine una base per lo studio dei fenomeni concreti della nostra vita quotidiana. Solo in questo modo possiamo afferrare completamente il Genius Loci, lo “spirito del luogo” che gli antichi riconobbero come quell'”opposto” con cui l’uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare» (ibidem, p. 14).
[2] Francesco Bevilacqua, Genius Loci il dio dei luoghi perduti, Rubbettino, 2010 pag. 36
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Onore a quanti nella propria vita
si proposero la difesa di Termopili.
Mai allontanandosi dal dovere;
giusti e retti in tutte le azioni,
con dolore perfino e compassione;
generosi se ricchi e, se poveri,
anche nel poco generosi,
pronti all’aiuto per quanto possono;
sempre con parole di verità
ma senza odio per chi mente.
E ancora maggiore onore è loro dovuto
se prevedono (e molti lo prevedono)
che alla fine apparirà un Efialte
e i Medi infine passeranno.
***
Itaca
Quando ti metti in viaggio per Itaca,
devi augurarti che sia lunga la strada,
ricca di avventure e conoscenze.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
l’ira di Poseidone non temere,
mai li incontrerai sul tuo cammino
se il pensiero è alto, se nobile
il sentimento che ispira il corpo e lo spirito.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
il feroce Poseidone non li incontrerai,
se non li porti dentro l’anima,
se l’anima non te li alza contro.
Devi augurarti che sia lunga la strada
e molti i mattini d’estate
quando – con gioia e piacere –
approderai in porti mai visti
e ti fermerai negli empori fenici
a comprare fine mercanzia:
madreperle e coralli, ambra e ebano,
ogni genere di profumi sensuali,
quanti più puoi, profumi sensuali.
Va’ in molte città dell’Egitto
a imparare e imparare dai sapienti.
Non dimenticarti mai di Itaca.
Raggiungerla è la tua meta.
Ma non affrettare il viaggio.
Meglio che duri molti anni
e, vecchio ormai, tu approdi nell’isola,
ricco di quanto ti ha dato il viaggio,
senza pensare che Itaca ti dia ricchezze.
Itaca ti ha dato il bel viaggio.
Senza di lei non ti avventuravi.
Non ha altro da darti.
E se la trovi povera, Itaca non ti ha ingannato.
Ormai saggio, ricco di esperienze,
avrai capito quel che significa un’Itaca.
***
Kostantinos Kavafis, Poesie d’amore e della memoria, a cura di Paola Maria Minucci, Newton Compton Editori 2006
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E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Konstantinos Petrou Kavafis
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