Copertine e schede editoriali (001-010) – Maura Del Serra, Gianfranco La Grassa, Sergio Quinzio, Luca Grecchi, Costanzo Preve, Norberto Bobbio, Giancarlo Paciello, Henry Laurens, Francis Jennings, Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir, Ain Zara Magno, Luisa Giaconi, Ilaria Rabatti.

001-010

001
Maura Del Serra, Congiunzioni. Ventiquattro poesie inedite.
ISBN 88-7588-096-4, 2004, pp. 32, formato 115×167 mm, Euro 5.
In copertina: Matrimonio dell’acqua e del fuoco, antica raffigurazione indiana.

002
Gianfranco La Grassa, Il capitalismo oggi. Dalla proprietà al conflitto strategico. Per una teoria del capitalismo.
ISBN 88-7588-099-9, 2004, pp. 192, formato 170×240 mm, Euro 15 – Collana “Divergenze” [39]
In copertina: M. Chagal, Il giocoliere.

003
Luca Grecchi, La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio.
ISBN 88-7588-098-0, 2004, pp. 176, formato 140×210 mm, Euro 15 – Collana “Il giogo” [1].
In copertina: Sergio Quinzio.

004
Luca Grecchi, L’anima umana come fondamento della verità.
ISBN 88-87296-46-4, 2002, pp. 112, formato 140×225 mm, Euro 12 – Collana “La ziqqurat” [4].
In copertina: Juseppe de Ribera, detto lo Spagnoletto, I saltimbanchi, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid.

005
Luca Grecchi, Karl Marx nel sentiero della verità.
ISBN 88-87172-37-8, 2003, pp. 176, formato 140×225 mm, Euro 15 – Collana “La ziqqurat” [5].
In copertina: Leonardo da Vinci, Canone di proporzioni.

006
Luca Grecchi, Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx.
ISBN 88-87172-25-4, 2003, pp. 64, formato 140×225 mm, Euro 7 – Collana “Quaderni di Koinè”.
In copertina: Cupola dell’Eremo di San Galgano, sulla collina di Montesiepi.

007
Costanzo Preve, Le contraddizioni di Norberto Bobbio. Per una critica del bobbianesimo cerimoniale.
ISBN 88-87172-20-3, 2004, pp. 160, formato 140×210 mm, Euro 12 – Collana “Divergenze” [37]. In copertina: Alchimisti al lavoro intorno ad un alambicco di distillazione; illustrazione xilografica dal De Secretis Naturae (1544) di Philip Ulstadt.

008
Giancarlo Paciello, La conquista della Palestina. Le origini della tragedia palestinese. Con testi di Henry Laurens, Francis Jennings, Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir.
ISBN 88-87172-19-X, 2004, pp. 304, formato 170×240 mm, Euro 20 – Collana “Divergenze” [38]. In copertina: Una rifugiata palestinese separata – con il filo spinato – dalla sua casa dalla “Linea Verde”, la linea armistiziale definita dopo la guerra arabo-israeliana del 1948. Oggi si costruisce IL MURO.

009
Ain Zara Magno, Parole d’amore, a cura di Ilaria Rabatti.
ISBN 88-88172-03-3, 2001, pp. 64, formato 120×180 mm., Euro 8,00 – Collana “Filo di perle”.
In copertina: Amedeo Modigliani, Jeanne Hébuterne seduta in fronte, 1918.

010
Luisa Giaconi, Dalla mia notte lontana, a cura di Ilaria Rabatti.
ISBN 88-88172-02-5, 2001, pp. 64, formato 120×180 mm., Euro 8,00 – Collana “Filo di perle”. In copertina: D. G. Rossetti, Sogno a occhi aperti (1878), Oxford, Asmolean Museum.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Cesare Pianciola – Il colloquio di Costanzo Preve con Norberto Bobbio

Cesare Pianciola. Norberto Bobbio - COstanzo Preve

Cesare Pianciola

Il colloquio di Costanzo Preve con Norberto Bobbio

Vorrei chiarire qualche aspetto del rapporto tra Bobbio e Costanzo Preve (1943-2013), con il quale ho avuto un legame di lunga data, che a tratti si è incrinato ma che si è sempre riannodato e mantenuto fino alla fine[1].

Preve, per molti decenni docente in un liceo torinese e filosofo marxiano autore di molti libri tradotti in varie lingue, fu impegnato politicamente nella sinistra, dal PCI a Lotta Continua a Democrazia proletaria. Negli ultimi decenni reagì alla cosiddetta “crisi del marxismo” con il programma di ricostruire una filosofia di ispirazione marxiana che si congedasse non solo dai marxismi – rimanendo però legato all’ontologia dell’essere sociale di Lukács e anche ad alcune nozioni di Althusser – ma anche dalla sinistra, nel senso che si sentiva del tutto alieno dagli schieramenti politico-ideologici tradizionali (dal 1992 non votava più alle elezioni politiche). Così – nonostante i riconoscimenti italiani e internazionali[2] – finì di trovarsi a Torino in un progressivo isolamento di cui spesso si lamentava, benché avesse un folto gruppo di giovani amici e di allievi affezionati, alcuni dei quali hanno raccolto saggi sul suo pensiero per riproporlo e svolgerne alcuni motivi dopo la sua scomparsa[3]. I suoi libri furono pubblicati da piccole case editrici (soprattutto, prima dall’editore Vangelista di Milano, poi dalla CRT di Pistoia, diventata in seguito Petite Plaisance), ma nel 2004 uno dei suoi libri più elaborati uscì presso Bollati Boringhieri: Marx inattuale. Eredità e prospettiva. Dopo la morte prematura del coordinatore editoriale Alfredo Salsano (1939-2004), che nel 2003 gli aveva anche affidato la introduzione della ristampa del saggio di Günther Anders L’uomo è antiquato, la casa editrice torinese non accettò le altre proposte di Preve.
Negli ultimi anni Costanzo non perdeva occasione per ribadire la sua estraneità rispetto all’ambiente politico-culturale della sinistra torinese, sia quella di matrice operaista e movimentista, sia quella che si rifaceva al riformismo liberaldemocratico (ed è noto che a Torino tra i due filoni ci sono state varie mescolanze).
Ma ce l’aveva più con gli allievi che con il maestro. Il suo rapporto con Bobbio era stato coinvolgente e profondo e ci fu una autentica amicizia tra i due, testimoniata anche dal fatto che Bobbio si faceva dare del tu da un interlocutore di oltre trent’anni più giovane.
Preve racconta che conobbe Bobbio e ne fu affascinato nell’anno accademico 1962-63 quando seguì un suo seminario sulla pace e la guerra. Allora Preve era iscritto alla Facoltà di giurisprudenza; poi cambiò facoltà e andò a studiare all’estero, a Parigi, a Berlino, ad Atene.
Tornato a Torino – a laurearsi in storia sotto la guida di Alessandro Galante Garrone per poi insegnare storia e filosofia nei licei – frequentò regolarmente Bobbio dalla metà degli anni Settanta e collaborò attivamente al Seminario Etica e politica iniziato nel 1980 presso il Centro studi Piero Gobetti, che fu per molti anni un luogo di discussione molto vivo con Bobbio, coordinato da Pietro Polito e Marco Revelli. Ebbe inoltre con il filosofo un importante scambio su Marx e il marxismo uscito su «Teoria politica» nel 1992-93, a proposito del libro Il filo di Arianna. Quindici lezioni di filosofia marxista (Vangelista editore, Milano 1990). La recensione di Bobbio e il carteggio che ne seguì furono poi riportati integralmente da Preve in Le contraddizioni di Norberto Bobbio (CRT, Pistoia 2004)[4], che però non mi pare tra i suoi libri migliori, sembrando spesso indeciso tra l’affetto e l’apprezzamento dei meriti di Bobbio, e la volontà di rimarcare la presa di distanza teorico-politica. Da notare il sottotitolo Per una critica del bobbianesimo cerimoniale. All’indomani della morte del filosofo, Preve era irritato per le celebrazioni che gli facevano temere una monumentalizzazione acritica. Quindi voleva esprimere francamente nel libro i punti di contatto e di dissenso.
Bobbio stimava molto Preve, riconosceva la sua competenza su Marx e la sua padronanza della sterminata letteratura marxista in varie lingue (in effetti le appendici dei suoi libri che contengono bibliografie ragionate sono una miniera di informazioni e di giudizi spesso acuti). Gli piaceva anche il suo modo netto e chiaro di porre le questioni. Questo modo apparteneva anche a Bobbio, che però non approvava le intemperanze verbali di Preve, spesso condite da veri e propri improperi nei confronti degli avversari – e anche dei vicini – in cui il maestro torinese vedeva un vizio storico dei marxisti. C’era una profonda differenza di atteggiamento: Preve era portato alle esagerazioni “estremistiche”, ai paradossi, all’uso delle maiuscole; Bobbio all’accumulo delle distinzioni, delle domande e dei dubbi, alla comprensione delle ragioni dell’avversario, all’uso delle minuscole. Bobbio comunque non insisteva sugli eccessi polemici che appartengono allo stile di Preve, da cui pensava che non bisognasse lasciarsi distrarre, se si vuole venire in chiaro dei consensi e dei dissensi.
Sul piano del metodo, Preve apprezzava di Bobbio quella che definiva «l’etica della comunicazione» rivolta non già alla persuasione retorica ma alla determinazione pubblica di antinomie e di problemi che in questo modo vengono chiariti, ciò che Preve chiamava il socratismo di Bobbio. Ma anche sulla chiarezza bobbiana Preve aveva delle riserve e sottolineava che questa ha un prezzo, perché il metodo dicotomico di Bobbio si basava, a suo avviso, su un approccio aprioristico-trascendentale di tipo kantiano e sulla costruzione di modelli idealtipici che con difficoltà si applicano poi alla realtà storico-sociale.
Sul piano dei contenuti, Preve dichiarava di accettare pienamente la lezione di Bobbio sul nesso inscindibile tra libertà formali e sostanziali (anche se poi accumulava i se e i ma sulle “libertà formali” e diceva di preferire la Cuba castrista e la Cina autoritaria rispetto alle ipocrite liberaldemocrazie occidentali).
Respingeva soprattutto quello che chiamava il «bobbianesimo forte», e in particolare tre tesi:

  1. a) La dicotomia fra destra e sinistra.
    Secondo Preve, la dicotomia proposta da Bobbio nel fortunato libretto del 1994 ha un significato empirico-storico ma non un significato teorico. Marx, che era indubbiamente di sinistra, è il pensatore della libera individualità e non dell’eguaglianza, e dunque non rientra negli schemi di Bobbio; Heidegger, indubbiamente di destra, fa capire il capitalismo più di Engels, indubbiamente di sinistra, e via dicendo. Al di là dei paradossi, la dicotomia è inutilizzabile se quello che conta è l’anticapitalismo radicale. Questo in fondo è il metro che interessava Preve, il quale dava per defunta la sinistra ed era disposto anche a dialogare con i settori anticapitalistici della destra e a pubblicare alcuni libri presso case editrici di estrema destra, adducendo la ragione che lui era un libero filosofo e l’unica condizione che poneva era di non subire alcuna censura. Era inutile ricordargli che il contesto qualifica almeno in parte il discorso e che le convergenze con un certo anticapitalismo di destra sembrava giustificare la polemica di chi vedeva confluire gli “opposti estremismi”. Il comunitarismo di cui si faceva teorico era però lontano da quello dei gruppuscoli della destra anti-imperialista. In Verità e Relativismo. Religione, scienza, filosofia e politica nell’epoca della globalizzazione (Alpina, Torino 2006) e nell’Elogio del comunitarismo (Controcorrente, Napoli 2006) nel complesso Preve sosteneva un comunitarismo contrario all’individualismo liberal-liberistico ma anche alle alternative organicistiche e anti-universalistiche tipiche della destra[5].
  2. b) Il contrasto tra laicismo e religione.
    Preve proclamava “la bancarotta” del pensiero laico e razionalistico di derivazione illuministica e dichiarava più religiosa la società capitalistica di quella medievale perché permeata dalla «credenza nella insuperabilità destinale del modo di produzione capitalistico e nella fatalità delle leggi della sua riproduzione» (p. 128). Difendeva il significato della religione come sentimento della dipendenza degli individui dalla natura e dalla cooperazione comunitaria, e in ultima analisi come espressione in forma simbolica del legame sociale, contro i laicismi, visti come portatori di individualismo nichilistico. Bobbio ribadiva le ragioni della laicità sul piano dello Stato laico, su quello etico e sul «contrasto mai spento tra ragione e fede» in filosofia: «Se c’è un’epoca in cui il dibattito fra una visione laica e una visione religiosa della vita non accenna a spegnersi, è, caro Costanzo, proprio la nostra» (p. 136).
  3. c) Il pacifismo.
    Secondo Preve, il pacifismo istituzionale di Bobbio aveva mostrato la corda nella giustificazione nel 1991 della prima guerra del Golfo e nel 1999 di quella del Kosovo. Bobbio aveva sostenuto a più riprese che nella situazione atomica non possono più esserci guerre “giuste” perché è in gioco la distruzione dell’umanità, ma – dice Preve – «quando la guerra ridiventò possibile, perché diretta contro stati privi di armi atomiche (Irak nel 1991 e Jugoslavia nel 1999) la giudicò anche “giusta”» (p. 96). «Bobbio non è un pensatore pacifista» (p. 147), e se cerca teoricamente le vie della pace, in realtà interiorizza un punto di vista geopolitico imperialistico occidentale. Le argomentazioni più compiute e risentite sul tema sono espresse in un libro a cui Preve teneva molto e il cui titolo ossimorico già dice qualcosa sui contenuti: Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna evidente (CRT, Pistoia 2000).

 

Riassumendo, Preve sottolineava l’estraneità di Bobbio alla sostanza del pensiero di Marx (pur molto studiato e considerato un classico imprescindibile della modernità), e difendeva il proprio progetto di una filosofia ispirata a quello che riteneva il Marx più autentico e vivo:
Se qualcuno mi chiedesse qual è a mio avviso, sulla base di quasi quarant’anni di studi marxiani, la filosofia di Marx – scriveva –, risponderei così: un’antropologia filosofica iscritta in una filosofia della storia. Più esattamente, un’antropologia filosofica della libera individualità sociale iscritta in una filosofia dialettica ed emancipativa della storia. Non un rovesciamento di Hegel, ma una concretizzazione comunista di Hegel[6].
Questa rifondazione filosofica doveva abbandonare come inutile e dannoso gran parte del bagaglio storico marxista, riconnettere Marx alla filosofia greca e all’idealismo tedesco, e mettere al centro la nozione dell’uomo come essere sociale, insieme al grande tema dell’alienazione.
Quanto a Bobbio, il suo atteggiamento critico, analitico, empiristico, non gli impediva di salvare in Marx, contro le frettolose liquidazioni post-89, almeno due tesi fondamentali: il primato del potere economico su quello politico e ideologico, e la previsione della mercificazione sempre più pervasiva e universale. Di questo discusse a lungo con Sylos Labini tra il 1991 e il 1994. Fuori luogo mi appare l’accusa di Preve a Bobbio di avere trascurato la critica al capitalismo come riduzione di ogni aspetto della vita umana alla forma di merce. Anzi, questa critica – secondo Bobbio – è proprio uno degli aspetti da salvare della eredità teorica di Marx. Sylos Labini concedeva a Bobbio che la mercificazione era un punto decisivo e che già Adam Smith aveva detto cose profetiche sul consumismo, ma in una lettera del 7 gennaio 1994[7], Bobbio insisteva:

per me la riduzione di ogni cosa a merce, […] è l’inevitabile risvolto dell’esaltazione del mercato […] come unico rapporto buono, e quindi da incoraggiare tra gli uomini, per cui tutto si può comprare e vendere, e dunque il sesso, gli organi del corpo, i voti, la coscienza, purché ci sia un libero compratore e un libero venditore, è qualcosa di ben più grave del consumismo.

 

Tenendo presenti le obiezioni di Bobbio e rendendole pubbliche, Sylos modificava in bozze il libro uscito da Laterza nel 1994 Carlo Marx: è tempo di un bilancio.
Bobbio volgeva ripetutamente ai marxisti due inviti: a) il richiamo alla realtà dei fatti e alle “repliche della storia”, contro il dottrinarismo e l’instancabile esegesi dei testi dei fondatori della dottrina; b) la richiesta di confrontarsi con i risultati e i metodi delle scienze economiche, giuridiche, politiche e sociali contemporanee. Bobbio non amava le dispute, spesso scolastiche, «che dilettano i filosofi e sono oscure ai profani» e chiedeva: «non sarebbe più saggio, come fanno del resto gli economisti e i sociologi che si richiamano al marxismo, utilizzare l’opera di Marx per quel che è ancora utilizzabile, allo scopo di ricavarne strumenti concettuali adatti all’analisi della società contemporanea?»[8]. In certo senso era quello che Preve cercava di fare: non si trincerava dietro alle citazioni filologiche e si domandava quali aspetti di Marx si erano dimostrati errati alla prova di un colossale fallimento storico (per esempio, respingeva l’idea marxiana della classe operaia come soggetto storico capace di effettuare la transizione verso un modo di produzione alternativo al capitalismo).
Se andiamo al fondo del loro dissenso, in Bobbio e in Preve c’era una concezione diversa, prima ancora che del marxismo, della filosofia. Bobbio attribuiva alla filosofia «un compito critico, di revisione e di controllo, piuttosto che direttivo e di illuminazione globale»[9], compito che riteneva più modesto ma più utile. Invece, per Preve occorreva «una ispirazione metafisica della prassi politica» (p. 28), come c’era stata in Fichte, in Hegel, in Gentile. Proprio quella ispirazione idealistica che Bobbio pensava fosse da evitare come fonte di pericolose mistificazioni, o almeno di logomachie inconcludenti.
Bobbio in una lettera a Preve della fine del 1992 trovava «eccentrico» il suo marxismo e il suo ritorno a un Marx tanto inedito quanto troppo liberamente interpretato come filosofo della libera individualità. Ma gli ricordava che nella traduzione inglese del Profilo ideologico del Novecento aveva citato Preve come prova che con la rovina del comunismo storico il marxismo critico non era morto e rimaneva «come una riflessione, amara ma non rassegnata, su una grande sconfitta e come una sfida ai vincitori»[10]. Una posizione a cui Bobbio, pur nella distanza, guardava con rispetto.

 

Cesare Pianciola

 

[1]    Riprendo in parte un mio intervento all’incontro organizzato all’Università di Torino dal prof. Enrico Pasini, il 13 novembre 2014, a un anno dalla scomparsa di Preve.

[2]    Ricordiamo l’introduzione di André Tosel a C. Preve, Storia critica del marxismo. Dalla nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco (1818-1991), Edizioni Città del Sole, Napoli 2007, e l’ampio spazio dedicatogli da Cristina Corradi nella Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma 2005.

[3]    Si vedano i saggi raccolti da A, Monchietto e G, Pezzano in Invito allo straniamento. Vol. 1: Costanzo Preve filosofo e, a cura del solo Monchietto: Invito allo straniamento. Vol. 2: Costanzo Preve marxiano, Pistoia, Petite Plaisance, 2014 e 2016. Numerose interviste a Costanzo Preve condotte da Diego Fusaro si trovano su YouTube.

[4]    Le successive indicazioni di pagina tra parentesi si riferiscono a questo libro.

[5]    Non voglio con ciò minimizzare il suo contributo perfettamente consapevole a un’area politica “nazionalitaria” che ci tenne a riaffermare anche negli ultimi anni, per esempio quando nel 2012 ribadì la sua stima per il teorico della destra sociale Alain de Benoist e dichiarò che se fosse stato in Francia avrebbe votato per Marine Le Pen, della quale lodava vari punti del libro Pour que vive la France, pur con la precisazione: «Sottolineo per chiarezza che la mia dichiarazione “scandalosa” […] non comporta in alcun modo la condivisione del razzismo e della xenofobia anti-immigrati, con le quali la Le Pen si deve e si dovrà inevitabilmente confrontare sul piano elettorale». Nello stesso articolo si congedava definitivamente dal proprio passato: « In Italia ho goduto della consuetudine con alcuni pensatori più anziani (Norberto Bobbio, Ludovico Geymonat, Cesare Cases, Franco Fortini, fra gli altri), ma essi sono stati per me un esempio umano, non certo filosofico» (C. Preve, Se fossi francese, 18/04/2012, in https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=43120%20Costanzo%20Preve). Su questa deriva della sua posizione “ni droite ni gauche” eravamo veramente molto distanti.

[6]    C. Preve, Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, CRT, Pistoia 2003, p. 101.

[7]    Corrispondenza con Sylos Labini in Archivio Bobbio presso Centro studi Piero Gobetti di Torino.

[8]    N. Bobbio, Quale socialismo? Discussione di un’alternativa, Einaudi, Torino 1976, p. 25.

[9]    N. Bobbio, Né con Marx né contro Marx, a cura di C. Violi, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 202 (nel contesto di una critica alla confluenza di Marx e Husserl propugnata da Enzo Paci) .

[10]   Ibidem, p. 240, e C, Preve, Le contraddizioni di Norberto Bobbio, cit., p. 137.

Un tuffo …

… tra alcune pubblicazioni di Cesare Pianciola …

Cesare Pianciola, Kosik e Sartre, «Quaderni piacentini», anno IV, n. 2, 1965dicembre-1965


Il pensiero di Karl Marx, Loescher, 1971


Filosofia e politica nel pensiero Francese del dopoguerra, Loescher, 1979


Piero Gobetti. Biografia per immagini, Gribaudo, 2001


Piero Gobetti. Opera critica, Edizioni di storia e letteratura, 2013


N. Bobbio, Scritti su Marx. Dialettica, stato, società civile.
Testi inediti a cura e con una introduzione di Cesare Pianciola e Franco Sbarberi, Donzelli, 2014


Raniero Panzieri, Centro di Documentazione di Pistoia, 2014


Esistenza, ragione, storia. Pietro Chiodi (1915-1970), Petite Plaisance, 2017 (con Giuseppe Cambiano)

Pietro Chiodi (1915-1970), filosofo esistenzialista che negli anni Sessanta insegnò Filosofia della storia all’Università di Torino, è ricordato soprattutto per la sua attività di studioso e traduttore di Heidegger che ha ricreato per i lettori italiani il vocabolario filosofico del pensatore tedesco. Non meno importanti i suoi saggi su Kant e le traduzioni della ‘Critica della ragion pura’ e degli ‘Scritti morali’. Questo libro, curato da due tra i suoi primi allievi, contiene contributi sull’opera filosofica e sui confronti teorici in cui si è impegnato (con Abbagnano e Paci, con Sartre, con i marxisti), ma anche saggi sulla drammatica vicenda resistenziale consegnata a ‘Banditi’ – il diario partigiano che Fortini considerò “quasi un capolavoro” -, sul rapporto di profonda amicizia e di influenze reciproche con B. Fenoglio, sul suo interesse poco noto per le arti figurative. In appendice un inedito su socialismo e libertà, a proposito di ‘Riforme e rivoluzione’ di A. Giolitti, e una testimonianza della sua compagna, Aida Ribero, sulla coerenza tra filosofia e vita. Chiude il volume una completa bibliografia degli scritti di e su Chiodi.


La guerra d’Algeria e il «manifesto dei 121», Edizioni dell’Asino, 2017

Nel 1960 un gruppo di intellettuali sottoscrive il “manifesto dei 121”, che denuncia la brutale repressione e l’uso sistematico della tortura praticata dall’esercito francese in Algeria, e solidarizza con l’insubordinazione alle gerarchie militari e con il sostegno alla causa della indipendenza algerina. È un episodio della storia politica e culturale del Novecento da rimeditare nella sua complessità. Chiude il libro la testimonianza di Louisette Ighilahriz, algerina militante all’epoca nel Fronte di liberazione nazionale.


Il critico e il pittore. Gobetti, Casorati e la sua scuola, Aras Edizioni, 2018

Felice Casorati (1883-1963) ci ha lasciato di Piero Gobetti (1901- 1926) un ritratto penetrante e idealizzato dipinto per la fondazione del Centro studi a lui intitolato. La critica d’arte, nella multiforme attività di Gobetti, fu seria e impegnativa. Tra i pittori contemporanei che apprezzò (Carrà, De Chirico, Soffici…), la figura centrale è Casorati, su cui scrisse e pubblicò nelle sue edizioni una monografia nel 1923. Il pittore era legato al suo critico da una «amicizia tenace completa perfetta», come la definì alla morte del giovane antifascista. Gobetti fu anche il primo a mettere in rilievo l’importanza della scuola di Casorati ai suoi inizi, vedendovi «una cosa completamente nuova, lontana da ogni sistematicità di accademia». Piero e Ada erano intimi delle sorelle Marchesini: Maria, Dadi e Nella, che fu la prima allieva del maestro. I saggi qui raccolti esplorano diversi aspetti di una vicenda che parte da Gobetti e si dipana in un tessuto culturale da cui è possibile trarre nuovi echi.


Marxismo. Tradizioni di pensiero, il Mulino, 2019

A partire dagli autori fondativi, le diverse correnti di pensiero vengono caratterizzate attraverso l’esposizione dei loro temi portanti e delle figure in cui si sono concretati. Indice del volume: Premessa. – I. Dal marxismo a Marx. – II. Dall’opposizione al potere. – III. Marxismi occidentali. – IV. Lavoro e valore tra economia, filosofia e sociologia. – V. Un’eredità politica contrastata. – VI. Complicazioni: nazione, genere, ambiente. – Bibliografia. – Indice dei nomi.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Norberto Bobbio (1909-2004) – Non dissipare il poco tempo che ti rimane. Ripercorri il tuo cammino. Ti saranno di soccorso i ricordi. Nella rimembranza ritrovi te stesso, la tua identità, nonostante i molti anni trascorsi, le mille vicende vissute.

Norbetto Bobbio 01

«Concentrati. Non dissipare il poco tempo che ti rimane. Ripercorri il tuo cammino. Ti saranno di soccorso i ricordi. Ma i ricordi non affiorano se non vai a scovarli negli angoli più riposti della memoria [ … ]. Nella rimembranza ritrovi te stesso, la tua identità, nonostante i molti anni trascorsi, le mille vicende vissute. Trovi gli anni perduti nel tempo, i giochi di quando eri ragazzo, la voce, i gesti dei tuoi compagni di scuola, i luoghi, soprattutto quelli dell’infanzia, i più lontani nel tempo [ … ]».

Norberto Bobbio, De senectute e altri scritti autobiografici, Einaudi, Torino, 2013.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore A. Bravo – Vogliamo ricordare Costanzo Preve, l’uomo e il filosofo che, con la sua resistenza al capitalismo speculativo, ha testimoniato che è possibile vivere diversamente dal nietzschiano “ultimo uomo”. È sceso nelle profondità sistemiche della nostra epoca e scandagliato filosoficamente la genesi dell’odierno economicismo nichilistico.

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costanzo-preve_mr copia    Costanzo Preve (1943 – 2013) –  La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.

 

 

Salvatore A. Bravo

Vogliamo ricordare l’uomo e il filosofo che, con la sua resistenza al capitalismo speculativo, ha testimoniato che è possibile vivere diversamente dal nietzschiano “ultimo uomo”. È sceso nelle profondità sistemiche della nostra epoca e scandagliato filosoficamente la genesi dell’odierno economicismo nichilistico.

 

  

Il 23 novembre del 2013, cinque anni fa moriva Costanzo Preve.
Vogliamo ricordare un uomo, un filosofo che ha testimoniato la resistenza ai poteri, e specialmente al capitalismo speculativo, come Preve definiva l’attuale fase del capitalismo. Nei suoi innumerevoli scritti ha denunciato il nichilismo, l’alienazione della natura umana; la quale, da essere per sua natura di ordine simbolico, è ridotta ad essere ad una funzione dell’immenso organismo cannibalico del capitalismo assoluto.
La Bestimmung, la resistenza attiva e propositiva, come vocazione duratura, è stata la stella polare di un’esistenza che ha vissuto in pienezza la sua resistenza.
La Filosofia è sempre Filosofia del presente, affermava Preve, ovvero è risposta alle contingenze storiche nell’alveo della tradizione veritativa della Filosofia.
La passione durevole per la Filosofia e per la politica sono state la sua catabasi, la discesa nell’agorà, sempre con l’intento di guardare in pieno viso il nichilismo del capitalismo speculativo/capitalismo assoluto, sciolto da ogni legame, curvato sull’illimitatezza, sul saccheggio ordinario non tanto delle finanze, ma della natura umana (Gattungswesen).
Per Costanzo Preve il mondo accademico della Filosofia aveva rinunciato alla Filosofia così come al suo fondamento veritativo.
Il nichilismo del capitalismo speculativo è stato l’oggetto dei suoi studi, ma non secondaria è stata la denuncia dell’asservimento dello specialismo accademico al capitalismo assoluto: in nome di una falsa libertà deregolamentata, perché senza fondamento, il mondo accademico è diventato lo sgabello del capitale, così come le “sinistre” dei soli diritti individuali.

Costanzo Preve si è sottratto a tali logiche. Ha vissuto la marginalità cui veniva sospinto il suo pensiero e la sua ricerca, in modo eticamente alto e forte (accettandone consapevolmente la sofferenza). Anzi, ha scelto l’isolamento, che gli ha consentito di guardare in profondità le menzogne spacciate per verità dai complici del nichilismo. Ha filosofato con il vomere come direbbe Nietzsche o con lo scandaglio secondo la definizione del filosofare di Hegel. È sceso nella profondità della nostra epoca per ricostruirne la genesi dell’economicismo nichilistico ed attraverso di essa, ha visto, ha ascoltato i suoi sommovimenti, per proporre un’uscita dalla «gabbia d’acciaio», dalla caverna che ci fa vivere nel continuo abbaglio dell’errore non pensato. All’immediatezza della caverna, alla furia del dileguare, ha proposto in alternativa il dialogo socratico, la razionalità dell’ascolto contro la ragione strumentale, per ridefinire in modo corale, logico ed argomentato il fondamento della natura umana.

Per poter far resistenza, condizione imprescindibile è la chiarezza concettuale della contingenza ipostatizzata in cui siamo caduti, della trappola dell’illimitato, ed a ciò contrapporre il pensiero concreto della verità, delle persone, della qualità relazionale. La sua esperienza nei decenni che verranno – a partire da questi giorni difficili –, ci inviterà ad un confronto responsabile con la verità della globalizzazione/glebalizzazione.

Nel ricordare la sua testimonianza di vita, la sua resistenza spesso solitaria, non possiamo che continuare a pensare in modo libero, a trarre forza veritativa da chi è assente nello spazio del nostro presente, ma le cui idee sono dialetticamente poste nel tempo della coscienza dinanzi a noi. Sta a noi ora decidere se guardare in pieno volto il nichilismo e dare i nostro contributo in questa resistenza nel limite di quello che siamo, delle nostre identità e delle nostre storie.

La memoria è una delle componenti della resistenza. Non l’unica: ogni resistenza necessita anche di una casa, ma non del tutto arredata e completa, perché si muove all’interno di spazi da reinterpretare responsabilmente assumendosi il rischio del nuovo. Costanzo Preve si è assunto il rischio del nuovo in un momento storico lasco e fondato sulle passioni tristi secondo la bella accezione di Spinoza.

Non resta che dare il proprio contributo, perché il finale non è stato scritto, riposa anche in noi, nell’agere di ogni giorno. Ricordare ha oggi una valenza polisemica di resistenza. Non è solo giusto in sé, ma dobbiamo anche rammentarci che il capitalismo speculativo ci vuole senza memoria, senza volto, non come liberi individui nella dimensione comunitaria, in modo da spingerci verso il cammino del consumo belante.

Senza memoria è l’ultimo uomo, figura idiomatica dello Zarathustra dei Nietzsche, perché nichilisticamente perso nel mercato, senza dio, senza verità.

Costanzo Preve giudicava l’ultimo uomo la figura più vera e rappresentativa dello Zarathustra.

Ha testimoniato che è possibile vivere diversamente dall’ultimo uomo.

La memoria dei legami spezza lo spazio angusto dei piccoli mercanteggiamenti per restituirci la dimensione temporale e spaziale sempre orientata verso il possibile, verso la potenzialità creativa. Sta a noi, nel tempo che ci è dato vivere, scegliere. Ma ogni scelta complessa e consapevole, per aprire un nuovo tempo, deve mediare il presente con la memoria.

Salvatore A. Bravo

 


 

Luca Grecchi,
Per l’amico Costanzo Preve. Un ricordo personale

 


 


Venturi non immemor aevi

 

Nel pensiero di Costanzo che vivendo ci fu caro,
pensiamo la sua memoria, ma… Venturi non immemor aevi.

 

Il cartiglio sullo stemma di uno del martiri della Rivoluzione napoletana del 1799, Gennaro Serra di Cassano, reca una scritta che, per la sua espressione incipitale (Venturi), sollecita a proporne la lettura (o la rilettura) anche a tutti gli estimatori e amici di Costanzo:

Venturi non immemor aevi

Vi si esprime l’esigenza di saldare il passato al futuro e il futuro al passato. Il futuro che si riverbera così nel passato, come il passato – quasi transitando per il presente – attende, a sua volta, la sua ventura rammemorazione, orientando il futuro stesso. Come se il futuro svernasse nel passato, raccogliendo le aspettative e le speranze sinora inascoltate in vista della loro realizzazione. E dunque, caro Costanzo, “ad multos annos” per i semi che hai lasciato: questo l’augurio, per una nuova “avventura” che occorre desiderare (avventura, l’andare verso le cose future, ad ventura), aspirando e impegnandosi sempre a dare un senso alla propria vita proiettandola nell’altrove della “buona utopia”, che è assoluta negazione dell’indeterminato capitalistico, una concreta “utopia comunitaria” perseguita secondo itinerari da inventare, progettare, non immemor aevi venturi. È questa la sostanza della “passione durevole” che a partire da Lukács hai trasmesso a molti.

Carmine Fiorillo

*[Non immemor, Non immemore / Aevi (genitivo di aevus, aevi; età, vita, epoca, periodo della storia passata, esistenza, speranza o durata della vita umana) / Venturi (genitivo di venturus, venturi; venturo, futuro; come sostantivo neutro venturum, venturi: il futuro)].

Andrea Rovere – Cade in questi giorni il quinto anniversario della morte del filosofo Costanzo Preve. Scriveva: «L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere».


Costanzo Preve

indicepresentazioneautoresintesi

 


 

***

 


196GCostanzo Preve

Una nuova storia alternativa della filosofia.
Il cammino oltologico-sociale della filosofia

indicepresentazioneautoresintesi

 

 

 

 

 


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Costanzo PreveLuca Grecchi

indicepresentazioneautoresintesiinvito alla lettura


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Luca Grecchi

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Costanzo Preve

Storia dell’etica

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Costanzo Preve

Storia della dialettica

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Costanzo Preve

Storia del materialismo

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Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.
Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.
Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante
Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.
Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.
Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica
Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.
Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare

 


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Andrea Rovere – Cade in questi giorni il quinto anniversario della morte del filosofo Costanzo Preve. Scriveva: «L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere».

Preve Costanzo 026

 

 

Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.

 

 

Andrea Rovere

Cade in questi giorni

il quinto anniversario della morte

del filosofo Costanzo Preve, nato a Valenza,

he ha vissuto molte mattinate alessandrine

 

  

 

costanzo-preve_mr copia    «Siamo nell’epoca in cui un signore [l’artista Piero Manzoni] ha potuto inscatolare la sua merda e venderla col nome di Merda d’Artista. Ora: una società che quota in borsa la merda d’artista, pagandola migliaia di Euro, anziché prendere a calci nel sedere questo signore per uno scalone, è una società chiaramente malata».

 

Sono parole di Costanzo Preve, filosofo e politologo di origini valenzane di cui pochi giorni fa, esattamente il 23 novembre, ricorreva il quinto anniversario della morte.
E già da qui, da queste poche righe, s’intuisce il genuino spirito anticonformista di Preve, di un uomo che ha vissuto praticando con coerenza la lezione dei filosofi greci dell’antichità, il loro richiamo a farci interpreti di una critica feconda e quotidiana dell’esistente per giungere alla verità, e che di tale coerenza ha pagato il prezzo.

Se infatti di questo grande pensatore, umile come tutti i veri grandi, si parla ancora troppo poco – e magari con un po’ di sufficienza –, è perché la sua voce è stata sistematicamente silenziata per decenni. Lui, autore di tanti saggi importanti che le maggiori case editrici si rifiutavano di pubblicare, e che le riviste specializzate evitavano accuratamente di recensire, nei salotti buoni dell’intellighenzia del Belpaese non ci è mai entrato, poiché scomodo, indisponibile al compromesso, e di un’onestà intellettuale che mal si combina al conformismo culturale di un’Italia che, da questo punto di vista, non è mai stata tanto “italietta” quanto negli ultimi quindici anni.
“Rossobruno”, gli gridavano da sinistra; “comunista”, facevano eco a destra. Ma la realtà è che Preve non era uomo da potersi tirare in ballo nello squallido gioco delle etichette oggi tanto in voga, ed è proprio questa sua libertà, questa sua indifferenza alle mode intellettuali e ai diktat del politicamente corretto, che proprio non poteva essere tollerata là dove si decide chi debba assurgere al rango d’intellettuale e chi no. Ovviamente a prescindere dai meriti.

 

indicepresentazioneautoresintesi

 

E così Preve è rimasto in disparte. Uno dei più attenti studiosi ed originali interpreti di Marx e del marxismo a livello internazionale, nonché analista politico raffinato e autore di saggi di carattere filosofico profondamente ispirati come Lettera sull’umanesimo e Una nuova storia alternativa della filosofia, ai quali il tempo renderà giusto merito, ha patito l’emarginazione e l’ostracismo di coloro i quali, una volta egemonizzati i circoli intellettuali più influenti, hanno sterilizzato quasi completamente il dibattito culturale italiano producendo mediocrità a tonnellate.

196G

Una nuova storia alternativa della filosofia.
Il cammino oltologico-sociale della filosofia

indicepresentazioneautoresintesi

Costanzo Preve, invece, era tutto tranne che un mediocre. E se oggi ci si comincia finalmente ad accorgere di lui, se si discutono tesi di laurea sulla sua opera, e se in generale è cominciata una riscoperta del pensiero previano quantomeno all’interno degli ambienti più sensibili alla voce di chi ha sempre cantato fuori dal coro, è soprattutto grazie all’attività divulgativa di chi, allievo e amico, ha beneficiato in prima persona dell’opportunità di un confronto di idee con un uomo che ha fatto del logos socratico il proprio stile di vita.

Ed era proprio qui, in uno dei bar del centro di Alessandria, che Preve trascorreva talvolta i suoi sabati mattina da quando, insieme all’amico ed ex allievo Alessandro Monchietto (oggi coordinatore didattico all’Università degli Studi di Torino), aveva preso a frequentare quello che sarebbe diventato uno dei confidenti più cari del filosofo, oltre che un collaboratore stimato la cui opinione era presa in attenta considerazione nonostante il grosso divario di età fra i due. Mi riferisco a Luca Grecchi, docente all’Università di Milano Bicocca (ecco perché Alessandria, città a metà strada fra Torino, dove abitava Preve, e Milano), saggista, nonché direttore della rivista filosofica Koinè e coautore con Preve d’una pubblicazione del 2005 dal titolo Marx e gli antichi Greci.

 

indicepresentazioneautoresintesiinvito alla lettura

È lui che abbiamo voluto raggiungere telefonicamente per avere viva testimonianza di quelle mattinate alessandrine spese a “praticare la filosofia”, oltre al breve ritratto inedito di un maestro che ha lasciato un vuoto pesante nel cuore di coloro che come Grecchi, Monchietto e Diego Fusaro, oggi noto ai più grazie alla ribalta mediatica di cui è oggetto da alcuni anni a questa parte, hanno saputo apprezzarlo tanto come studioso quanto per le sue qualità umane.
Il professor Grecchi ci dice di quando lo conobbe nel 2002. Fu lui, allora neodirettore di Koiné, a rivolerlo a tutti i costi come collaboratore della rivista, dalla quale Preve si era allontanato in seguito ai dissidi con il filosofo Massimo Bontempelli; e sempre lui a curarne la pubblicazione dei testi più recenti nella collana di cui è tuttora responsabile, «il Giogo», della casa editrice Petite Plaisance di Pistoia.
Grecchi ci dà poi un’idea del Preve insegnante, dal momento che Costanzo parlava spesso della sua quarantennale esperienza di professore di liceo, restituendoci l’immagine di un uomo profondamente consapevole dell’importanza del ruolo di educatore, pieno di energia, di entusiasmo, e coinvolgente come solo chi ha forte passione per ciò che insegna sa essere.
Del resto, Preve viveva la filosofia come prassi quotidiana, con l’atteggiamento di chi preferisce l’agorà all’accademia, poiché è lì che si fa davvero filosofia.

 

indicepresentazioneautoresintesi

Su questo, forse anche grazie a quelle mattinate alessandrine spese a fare esperienza filosofica insieme a Costanzo, sarà lo stesso Grecchi a scrivere un libro che già nel titolo – Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia – allude alle difficoltà che si riscontrano oggi a praticare autenticamente la filosofia all’interno delle facoltà universitarie, dove spesso e volentieri è la conoscenza specialistica e non la ricerca della verità e del bene a finire al centro.

Fra l’altro, questo breve saggio uscirà in libreria proprio nel 2013, anno della morte di Preve.

In quegli ultimi mesi, i contatti fra i due filosofi erano soprattutto telefonici a causa delle condizioni di salute di Costanzo, come chiarisce Grecchi già nel bellissimo ricordo pubblicato sul sito di Petite Plaisance, alcuni giorni dopo la morte dell’amico.

 

Luca Grecchi,
Per l’amico Costanzo Preve. Un ricordo personale

 

Alle chiacchierate qui nella nostra città, dove era quasi sempre Preve a tener banco attraverso aneddoti e preziosi spunti di riflessione, si sostituiva così la dimensione del colloquio, lungo i fili che collegano Torino e Milano. Tuttavia, la memoria di quelle ore trascorse insieme è ancora assai viva in chi rimane oggi a testimoniare ciò che Costanzo Preve era nel profondo: uno strenuo e appassionato cercatore della verità, oltre che una persona buona e un caro amico.
Ma qual è l’eredità di Costanzo Preve? Grecchi non ha dubbi circa l’importante lascito di questo pensatore nato proprio qui nella nostra provincia. Un’eredità data dagli spunti disseminati un po’ ovunque nei suoi numerosi libri, ancora tutti da approfondire, e in modo particolare dall’originalissima interpretazione di Marx e di Hegel che il filosofo valenzano (ci piace pensarlo valenzano, anche se crescerà a Torino) ha elaborato nel corso di una vita votata alla filosofia.
Frequentatore e amico di tanti fini intellettuali come Norberto Bobbio, Gianfranco La Grassa e Alain De Benoist, solo per citarne alcuni, questo signore laureato in scienze politiche a Torino, perfezionatosi in filosofia a Parigi – dove studiò con filosofi del calibro di Sartre e Althusser – e in ellenistica ad Atene, che si esprimeva correttamente in sei lingue e che ha scritto più di cinquanta libri, nondimeno possedeva l’umiltà indispensabile a sottoporre a critica severa per primo se stesso e le proprie idee. Non era raro sentirlo ammettere i propri sbagli, come quando si definì un “ragazzo presuntuoso” ricordando il giorno in cui durante un confronto a casa di Jean-Paul Sartre, insieme ad altri studenti della Sorbona, Preve lo contraddisse bruscamente e quasi lo insultò, salvo poi rendersi conto tempo dopo di aver detto delle sciocchezze dettate dall’inesperienza e dalla foga della gioventù. «Non posso ricordare con piacere questo colloquio, poiché mostrai semplicemente la mia arroganza di giovane estremista ventenne». Così il Preve maturo si esprimerà riguardo quella giornata, dandoci una lezione preziosa con l’implicito invito a vivere autenticamente, e quindi a riconoscere i nostri errori per migliorarci e per sgombrare il campo dagli ostacoli sulla via della verità.
Virtù che Grecchi sembra riconoscergli fino in fondo al di là delle parole che utilizza, poiché già dal tono di voce con cui si esprime sull’onda dei ricordi è molto chiaro ciò che prova: gratitudine.
Questa è stata quantomeno la mia impressione. Tanto che solo quando prendiamo a parlare di ciò che sta germogliando dai semi che Preve ha lasciato cadere lungo il suo percorso, Luca – così il professor Grecchi m’invita a rivolgermi a lui fin da subito, considerando anche me in qualche modo un amico di Costanzo – si rabbuia un poco. Ad oggi, di germogli ancora non se ne vedono sbucare. Ma Grecchi è convinto sia solo questione di tempo, poiché le grandi intuizioni necessitano talvolta di molti anni per venir colte ed elaborate.
Il tempo di Costanzo Preve deve dunque ancora venire. Questo il destino di tutti coloro che hanno rappresentato l’avanguardia del pensiero. E questa la convinzione di tutti noi che i suoi libri li abbiamo letti, amati, e anche criticati come lui per primo avrebbe voluto.

 

Andrea Rovere

 

 

 Articolo già pubblicato su:

Alessandria oggiAlessandria oggi

del 29-11-2018


Venturi non immemor aevi

 

Nel pensiero di Costanzo che vivendo ci fu caro,
pensiamo la sua memoria, ma… Venturi non immemor aevi.

 

Il cartiglio sullo stemma di uno del martiri della Rivoluzione napoletana del 1799, Gennaro Serra di Cassano, reca una scritta che, per la sua espressione incipitale (Venturi), sollecita a proporne la lettura (o la rilettura) anche a tutti gli estimatori e amici di Costanzo:

Venturi non immemor aevi

Vi si esprime l’esigenza di saldare il passato al futuro e il futuro al passato. Il futuro che si riverbera così nel passato, come il passato – quasi transitando per il presente – attende, a sua volta, la sua ventura rammemorazione, orientando il futuro stesso. Come se il futuro svernasse nel passato, raccogliendo le aspettative e le speranze sinora inascoltate in vista della loro realizzazione. E dunque, caro Costanzo, “ad multos annos” per i semi che hai lasciato: questo l’augurio, per una nuova “avventura” che occorre desiderare (avventura, l’andare verso le cose future, ad ventura), aspirando e impegnandosi sempre a dare un senso alla propria vita proiettandola nell’altrove della “buona utopia”, che è assoluta negazione dell’indeterminato capitalistico, una concreta “utopia comunitaria” perseguita secondo itinerari da inventare, progettare, non immemor aevi venturi. È questa la sostanza della “passione durevole” che a partire da Lukács hai trasmesso a molti.

Carmine Fiorillo

*[Non immemor, Non immemore / Aevi (genitivo di aevus, aevi; età, vita, epoca, periodo della storia passata, esistenza, speranza o durata della vita umana) / Venturi (genitivo di venturus, venturi; venturo, futuro; come sostantivo neutro venturum, venturi: il futuro)].

 


Costanzo Preve

Storia dell’etica

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Costanzo Preve

Storia della dialettica

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Costanzo Preve

Storia del materialismo

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Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.
Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.
Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante
Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.
Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.
Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica
Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.
Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare

 


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Carlo Carrara – La domanda del senso. Per una filosofia del “ri-trovamento”

La domanda del senso

Carlo Carrara

La domanda del senso. Per una filosofia del “ri-trovamento” [Introduzione di Massimo Bontempelli. In appendice scritti di: Walter Kasper, Dario Antiseri, Luigi Giussani, Abraham J. Heschel, Juan Alfaro, Norbert Fischer, Bernhard Welte, Karl Rahner, Armando Rigobello, Günther Anders, Wolfhart Pannenberg, Norberto Bobbio].

ISBN 88-87296-74-X, 2000, pp. 176, formato 140×225 mm, Euro 10,00 – Collana “La ziqqurat” [3].

indicepresentazioneautoresintesi

Il sentiero qui percorso, muovendo i primi passi verso la necessaria chiarificazione della semantica e della polivalenza del termine «senso», seguirà la via del senso come domanda radicale, per poi proseguire sulla via del senso come problema fondamentale, per raggiungere il senso come mistero avvolgente. Tre vie con un unico intento: ri-passare la struttura ontologico-esistenziale ultima umana. Riallacciandosi poi alla situazione propria dell’uomo contemporaneo, il cammino ripercorrerà le tappe della perdita della domanda del senso, per arrivare alla mancanza del senso e all’insensatezza effettiva dominante. Tre vie con un unico intento: ri-levare l’odierna condizione umana. Gli ultimi passi volgeranno verso la ri-cerca responsabile del senso ultimo da parte di ogni singolo uomo, con la ri-proposta della domanda del senso, per un «ri-trovamento» di quanto di più umano vi sia nell’uomo. Infine, alcuni approfondimenti di noti e attuali studiosi, ricondurranno a ripercorrere in modo più particolareggiato i diversi aspetti della questione esaminata.

«[…] l’uomo contemporaneo, in genere, non sente neanche più la necessità di enunciare la scomparsa del senso ultimo, preoccupato com’è a dar vita ai «suoi» sensi; tanto è vero che il suo pensare al senso come mistero avvolgente dura per lo più quanto l’attimo di un lampo, che potrebbe comunque anche folgorarlo; il suo riflettere sul senso come problema fondamentale dura forse poco più di un’ora, giusto il tempo per supporre e dire qualcosa, per poi lasciare nuovamente il tutto sospeso nel vuoto o nel dubbio; il suo percepire il senso come domanda radicale sta invece alla circostanza che lo suscita come il sole sta a un giorno, che potrebbe tanto irradiare quanto accecare, o come la luna sta a una notte, che potrebbe tanto guidare quanto fuorviare, ma in qualunque modo stiano le cose, il domani sarà sempre un altro giorno e un’altra notte.  Per il resto del suo tempo, cioè, per tutto il tempo, l’uomo contemporaneo non fa che pensare, fare e dire «per» questo mondo, «con» questo mondo e «in» questo mondo, a se stesso, in unità con la felicità di questo mondo, da conquistare mediante la ricerca, il possesso e il godimento (per quanto frenetici, esasperati e inappagabili possano essere) di tutti quei beni che il menù del mondo gli offre (potere, denaro, successo, piaceri, divertimenti, ecc.), augurandogli “buon senso!”». «La domanda del senso rimanda al mistero della vita e del mondo che avvolge integralmente l’uomo. Non più risposte a domande, ma domande a risposte; non più soluzioni a problemi, ma problemi a soluzioni; e nemmeno tentativi di pensare qualcosa di ciò che è non ancora pensato, di aspirare a trovare qualcosa di ciò che è non ancora trovato; ma soltanto il mistero che avvolge e coinvolge l’uomo, che lo inonda con le sue imprendibili acque, tenebrose per la sua ragione, sorgente di speranza per il suo cuore» (Carlo Carrara).


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Alessandro Monchietto: Intervista a Costanzo Preve (Estate 2010, «Socialismo XXI»)

Spirito del capitalismo

In questo numero, ampio spazio è stato dedicato all’analisi di due contributi – il tuo libro scritto con Orso ed il volume di Boltanski e Chiapello – entrambi accomunati dall’intento di rivitalizzare una disciplina che (in tempi di postmodernismo e disincantamento del mondo) appariva totalmente demodé: la diagnosi (socio-filosofica) del capitalismo reale. Nel tentativo di mettere a fuoco motivi e argomenti che possono forse permettere al lettore di arricchire la propria prospettiva su tali questioni, prenderei le mosse da questi due rilevanti studi per iniziare la nostra breve discussione. Boltanski concludeva il proprio discorso con un’affermazione molto importante: nel capitalismo “la natura della risposta in termini di giustizia dipende in gran parte dalla critica.Se gli sfruttati, gli infelici, coloro che non riescono restano silenziosi ed esclusi, allora non c’è necessità per il capitalismo di rispondere in termini di giustizia”. Il fatto nuovo per il pensatore francese è che – nella terza età del capitalismo – il mondo del lavoro ha rinunciato a rovesciare il capitalismo, limitandosi ad aggiustarlo o riformarlo.

In una recensione dedicata a Le nouvel esprit du capitalisme, de Benoist evidenziava magistralmente come ci si continui a scontrare sulla ripartizione del plusvalore, ma non si discuta più sulla maniera migliore per accumularlo:

È quella che Jacques Julliard ha definito ‘l’interiorizzazione da parte dei lavoratori della logica capitalistica’. Ciò che sembra in tal modo scomparire è un orizzonte di senso che giustifichi ilprogetto di cambiare in profondità l’attuale situazione. Di fatto, tutti quanti si piegano perché nessuno crede più alla possibilità di un’alternativa. Il capitalismo viene vissuto come un sistemaimperfetto ma che, in ultima analisi, rimane l’unico possibile. La sensazione si diffonde a tal punto che non è più possibile sottrarsene. La vita sociale ormai viene vissuta esclusivamente nella prospettiva della fatalità. Il trionfo del capitalismo risiede innanzitutto in questo fatto, di apparire come qualcosa di fatale”.

Assistiamo oggi a una degenerazione del principio di realtà, un’assenza completa di illusioni e un’attrazione irresistibile della “forza delle cose”; “Adeguati!” è il comandamento psicologico-politico del momento: per sopravvivere bisogna andare “a scuola di realtà”.

Un’intera epoca – pervasa dalla certezza che la storia avesse un senso, in cui si era convinti che il passaggio dalla preistoria alla storia fosse una questione di anni o al massimo decenni – si è rovesciata dialetticamente nella sicurezza (tale da diventare quasi un pilastro del senso comune) che il mondo che ci troviamo davanti è qualcosa di immodificabile e intrascendibile.

Il sistema è un grande Moloch invincibile, contro cui è inutile battersi e a cui al massimo si può strappare qualche concessione. Viviamo in una sorta di “positivismo tragico” – come lo definisce Sloterdijk – “il quale, ben prima d’ogni filosofia, sa già che il mondo non va né interpretato né cambiato: esso va sopportato”.

Ci si adatta all’ingiustizia. Si perde l’abitudine ad indignarsi. E ci si autoinibisce a priori la possibilità di cambiare lo stato di cose presente. La disoccupazione, la mortalità infantile, la povertà sono oggi trattate come il risultato di forze impersonali che agiscono ad un livello globale, contro cui non si può fare nulla.

Qual è la tua posizione a proposito? C’è una possibile via d’uscita, o bisogna “rassegnarsi” come suggeriva Umberto Galimberti in una recente intervista?

 

Quando ero giovane, avevo un programma massimo, che era quello di cambiare il mondo. Diventato vecchio, ho ormai un programma minimo, quello di impedire al mondo di cambiarmi. Anche io, come Sloterdijk, sopporto il mondo. Ma, a differenza di lui e dei suoi innumerevoli cloni meno dotati, rifiuto di trasformare la sopportazione in esito terminale della filosofia della storia, e questo in base al principio elementare del pudore.

Civettando con il linguaggio di Hegel, la nostra è un’epoca di gestazione e di trapasso verso un’impotenza sociale collettiva senza precedenti storici. In mancanza di precedenti storici che ci permettano di fare analogie, non esistono filosofie del passato (neppure quelle ellenistiche dell’interiorità all’ombra del potere e del rifugio in una comunità protetta di amici) che possano veramente aiutarci a pensare la sconvolgente novità epocale del nostro tempo. Superate le precedenti fasi astratta e dialettica e giunto alla fase speculativa, il capitalismo sembra essersi rinchiuso da solo in una gabbia d’acciaio (Max Weber) ed in un dispositivo tecnico imperforabile (Martin Heidegger). Le facoltà di filosofia sono ormai in occidente o palestre per carrieristi disincantati, o cliniche antidepressive per gente con velleità culturali.

Gli oppressi restano silenziosi perché (esattamente come Sloterdijk, ma a differenza di lui senza sapere chi erano Kant o Hegel) ritengono che non ci sia niente da fare. Questo è ad un tempo elementare ed enigmatico. Fichte avrebbe definito la precarietà in termini di Non – Io, ma egli viveva in un tempo in cui l’Io era ancora concepito come l’intera umanità pensata come in grado di fare il proprio destino. In appena due secoli la situazione è rovesciata. Oggi il concetto filosofico novecentesco che sembra connotare meglio l’attuale situazione è quello heideggeriano di Dispositivo (Gestell), e questo non a caso. Naturalmente non sono in grado di dare indicazioni per il superamento dell’attuale situazione. La filosofia, come la nottola di Minerva, si alza al crepuscolo. So però che di fronte alla globalizzazione finanziaria non bisogna perseguire l’inclusione, ma l’auto – esclusione. Il rovesciamento magico della globalizzazione in comunismo postmoderno, e cioè la teoria di Negri, è una vera e propria vergogna. Come sempre è avvenuto nella storia, la Resistenza verrà in un tempo ed in uno spazio determinato, non in un mappamondo finanziario.

Non so però né dove, né come, né quando.

 

 

A tuo parere – come si può rinvenire in molti saggi da te pubblicati – il pensiero marxiano è inficiato da due “errori di previsione”, che falsano le analisi di Marx e da cui è necessario separarsi per non incappare nuovamente in un’inevitabile sterilità teorica e politica:

 

1) il proletariato non è affatto una classe rivoluzionaria in grado di attuare la transizione decisiva dal modo di produzione capitalistico alla società senza classi. Le classi subalterne non sono state in grado di resistere alla radicalizzazione della sottomissione del lavoro al capitale, che al contrario le ha integrate nei gruppi sociali di produzione capitalistica “smentendo empiricamente” l’attribuzione metafisica che aveva fatto di queste classi un soggetto intermodale.

2) il capitalismo (a differenza di quanto Marx credeva) si è mostrato capacissimo di sviluppare le forze produttive, ed a svilupparle anzi ad un ritmo prodigioso, nonostante i danni enormi che ha inflitto sia all’uomo che alla natura.

 

Nel momento in cui si decide di accettare tali critiche, la scientificità di ciò che un tempo si chiamava “materialismo storico” non rischia di entrare drammaticamente in crisi?

Cerco di spiegarmi meglio. Come sappiamo per Marx “una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza”; il Nuovo diverrà necessario esclusivamente allorquando il Vecchio si sarà tramutato in “vincolo e pastoia“.

Giungerà il momento in cui, compiutamente sviluppato, il capitalismo diverrà un limite alla produttività umana che fino ad allora aveva promossa, e sarà allora che il proletariato si ergerà come classe emancipatrice dell’intera umanità, chiudendo il ciclo storico delle società divise in classi e aprendo le porte alla futura società comunista.

Ma se – preso atto degli errori che inficiano l’analisi marxiana – è impossibile delineare il momento in cui il vecchio diviene “vincolo e pastoia”; e se inoltre il proletariato si rivela affetto da una “pittoresca ed incurabile subalternità”, la scientificità della concezione materialistica della storia non va completamente all’aria?

Il problema non è marginale. La forza e la fortuna avuta da Marx e dal marxismo nel novecento derivava infatti proprio dalla certezza che il materialismo storico avesse un carattere scientifico, previsionale. Quando Marx contrappone il suo socialismo, in quanto scientifico, al socialismo utopistico di Owen, di Saint-Simon e di Fourier, intende sostenere che il suo socialismo – a differenza dell’altro – è in grado non solo di dire come stanno le cose, ma anche di indicare che necessariamente dovranno andare in un determinato modo.

Bisogna trarre la conclusione che il famoso passaggio “dall’utopia alla scienza” è stato in fin dei conti illusorio, ed il comunismo non è affatto il movimento reale che abolisce lo stato presente di cose (né l’orizzonte verso cui conduce il meccanismo del modo di produzione capitalistico indagato scientificamente) ma un’utopia che viene spacciata come scienza? Ed in un quadro come questo, non è forse secondario continuare a discutere sullo statuto filosofico di Marx (idealista o materialista) mentre sarebbe necessario proporre una via d’uscita dall’empasse in cui la critica marxiana è finita?

 

Fino ad alcuni anni fa avevo l’abitudine di autocertificarmi e di autodefinirmi “filosofo marxista”, ma si trattava spesso di una pura intenzionalità ideologico – politica, di una testarda fedeltà alla mia giovinezza e ad amici defunti (Labica, eccetera), di un rifiuto dell’approdo liberaldemocratico o postmoderno, eccetera. Oggi capisco che si trattava di un inutile equivoco, ed ho rotto con questa autocertificazione.

In Marx esiste una specifica schizofrenia, che si tratta di individuare con precisione. Da un lato una filosofia della storia di origine idealistica (a metà fichtiana ed a metà hegeliana), fondata su di un uso originale del concetto di alienazione. Dall’altro una teoria della storia di tipo positivistico, fondata su di una concezione predittiva (o, più esattamente, pseudo – predittiva) delle leggi storiche, pensate come omologhe alle leggi delle scienze della natura (donde materialismo dialettico e teoria gnoseologica del rispecchiamento).

Questa schizofrenia non permette in alcun modo una coerentizzazione del pensiero complessivo di Marx, che infatti non è coerentizzabile. Il successivo marxismo Engels – Kautsky (1875 – 1895) non lo coerentizzò, ma edificò una variante di sinistra del positivismo su base gnoseologica neokantiana. Ebbene, meglio tardi che mai. Sebbene in ritardo, sono ormai estraneo sia all’illusione di avere scoperto il “vero” Marx, sia alla dichiarazione identitaria di appartenenza alla “scuola marxista”.

In quanto al fatto se Marx sia prevalentemente idealista o materialista, si tratta di un problema di storiografia filosofica che mi è ormai del tutto indifferente. Propendo tuttavia per l’interpretazione idealistica per un insieme di ragioni non storiografiche e non filologiche. Primo, troppo spesso il “materialismo” è o ateismo (con il bel risultato di far risucchiare il pensiero di Marx nel laicismo nichilistico), o strutturalismo (con gli esiti finali aleatori dell’ultimo Althusser), o teoria del rispecchiamento (adatta alle necessità conoscitive delle scienze della natura, ma non alla doppia conoscenza – valutazione veritativa delle filosofia). Secondo, idealismo significa scienza filosofica (vedi Scienza della Logica di Hegel), e la scienza filosofica dell’approdo alla libertà del concetto – soggetto è la sola alternativa alla scienza positivistica della previsione.

Il discorso sarebbe lungo, ma per ora può bastare. Comunque, per me oggi Marx non è più il solo classico di riferimento, ma è un classico fra gli altri, ed Aristotele ed Hegel gli stanno ormai davanti.

 

 

Uno dei centri della tua riflessione è la negazione della pertinenza attuale della dicotomia Destra/Sinistra come criterio di orientamento nelle grandi questioni politiche, economiche, geopolitiche e culturali.

Hai infatti più volte sostenuto la convinzione secondo cui la globalizzazione nata dall’implosione dell’URSS non si lasci più “interrogare” attraverso le categorie di Destra e di Sinistra, e richieda invece altre categorie interpretative. In un recente dibattito con Losurdo hai infatti scritto:

 

La mia bussola di orientamento oggi si basa su tre parametri interconnessi:

 

  1. a) il principio di eguaglianza massima possibile all’interno di un popolo su diritti, consumi, redditi, partecipazione alle decisioni. Centralità del tema dell’occupazione. Posto fisso preferibile al lavoro temporaneo, flessibile e precario. Diritti eguali agli immigrati (che non significa immigrazione incontrollata). Messa sotto controllo del capitale finanziario speculativo di ogni tipo. Preferenza del lavoro rispetto al capitale. Difesa della famiglia e della scuola pubblica;
  2. b) il rifiuto del colonialismo e dell’imperialismo, che oggi hanno come aspetto principale l’impero USA ed in Medio Oriente il suo sacerdozio sionista, che utilizza per i suoi crimini il senso di colpa dell’Europa e dei suoi intellettuali rispetto al genocidio effettuato da Hitler, che ovviamente non mi sogno affatto di negare. Diritto assoluto alla lotta per la liberazione patriottica (lo stato nazionale esiste, eccome, ed è un bene e non un male, come dicono i seguaci di Negri e del Manifesto) per l’Iraq, l’Afganistan e la Palestina. Appoggio a tutti i governi “sovranisti” indipendenti (Venezuela, Iran, Birmania, Corea del Nord, Bolivia, eccetera), il che non implica necessariamente l’approvazione di tutti i loro profili interni ed esteri;
  3. c) considerazione dell’elemento geopolitico e rifiuto della sua virtuosa ed infantile rimozione. A differenza di Losurdo, non penso affatto che la Cina abbia una natura sociale “socialista”. Ma la appoggio egualmente, perché un equilibrio multipolare è preferibile ad un unico impero mondiale USA con vari vassalli (fra cui l’Italia è la più servile, con possibile eccezione di Panama e delle Isole Tonga). Chi appoggia questa cose è per me dalla parte giusta. Se poi si dichiara di destra o di sinistra, questo è affare suo, della sua biografia politica e della sua privata percezione valoriale. Ma la percezione valoriale è un affare privato, come i gusti sessuali e letterari e la credenza o meno in un Dio creatore”.

 

Lasciando da parte la pur pertinente critica avanzata da Losurdo, secondo cui ciò che tu cacci dalla porta rientra dalla finestra, cosa bisogna fare per tradurre (e – soprattutto – cosa accade quando si traduce) politicamente la critica di questa dicotomia?

Cosa distinguerebbe ciò dalla semplice riproposizione di un’ideologia da “terza posizione”?

 

Sebbene io sia spesso considerato un pensatore del superamento della dicotomia Destra / Sinistra (cosa che ovviamente non rinnego affatto), questo per me è ormai un argomento superato, secondario e poco interessante. Mi interessa invece il superamento del presupposto storico – ideologico della dicotomia, che è a sua volta la falsa dicotomia Progresso (sinistra) / Conservazione (destra). Per me il progresso e la conservazione sono solo opposti simmetrici in solidarietà antitetico – polare, ed io li respingo entrambi, il che mi costringe anche a respingere la loro concretizzazione identitaria (la dicotomia Destra / Sinistra appunto). Il prezzo da pagare in termini di fraintendimenti e diffamazione fa parte di quella costellazione chiamata da Heidegger “chiacchiera” (gerede). Come non sono né laico né cattolico, parimenti non sono né progressista né conservatore. Se devo definirmi in positivo lo faccio da solo, e non mi faccio classificare dagli altri, e per di più da altri maligni, ostili ed in malafede.

Sul così detto rossobrunismo c’è un equivoco da sfatare. Io non mi considero assolutamente un rosso-bruno, non lo sono e so di non esserlo, e questo non solo politicamente (non mi sono mai sognato di appartenere a gruppi rosso – bruni), ma anche e soprattutto filosoficamente. Il rossobrunismo è del tutto interno all’accettazione ideologica della dicotomia Progresso / Conservazione, e semplicemente vuole unire i “lati buoni” di entrambe le posizioni.

E così si coniugano insieme Marx e Nietzsche, Stalin e Mussolini, con il risultato di fare non solo una grande confusione, ma anche di offrire agli ideologi del potere (e cioè della pseudo democrazia come fantasma di legittimazione) un repertorio di diffamazione su di un piatto di argento. Un conto è essere rosso-bruni, ed un conto è essere oltre il Rosso ed il Bruno. Mi spiace di dover usare un lessico alla Nietzsche / Vattimo, che come sai non mi appartiene, ma è necessario insistere sul fatto che cercare di essere oltre la dicotomia Rosso / Bruno significa non essere né Rossi, né Bruni, né infine rossobruni.

Come scrisse Dante Alighieri, bisogna “lasciar dir le genti”. La capacità di ragionare è inversamente proporzionale all’esibizionismo presenzialistico, che oggi il facile accesso ad internet ed il superamento (Umberto Eco) della separazione fra alta cultura e cultura di massa ha portato a livelli socialmente e culturalmente intollerabili.

 

 

Il potenziale del capitalismo di generare crisi ambientali sorpassa di gran lunga quello di tutti i sistemi economico-sociali precedenti, e ciò è intrinseco alla sua stessa logica di sopravvivenza.

Ben lungi dal riconosce il comune interesse delle generazioni presenti e future per la natura e la società quali condizioni dello sviluppo umano, il capitale converte la natura e le relazioni sociali in puri mezzi di sfruttamento e di accumulazione monetaria.

Fulcro della tua proposta filosofica è l’insistenza sul fatto che l’etica comunitaria dei greci era basata sul metron (ossia la misura opposta allo smisurato), da te intesa come il “cuore sempre vivo dell’insegnamento dei nostri maestri greci”.

Nei tuoi studi sostieni infatti la tesi secondo cui la democrazia della polis antica era prima di tutto una tecnica politica rivolta a limitare e ad addomesticare la dinamica spontanea dell’arricchimento illimitato di pochi (dinamica che porta infallibilmente alla dissoluzione della comunità), dichiarando altresì che la filosofia stessa “trova la sua origine storica nella piazza pubblica greca detta agorà, in cui i cittadini mettevano in mezzo (es meson) la loro capacità di ragione, linguaggio e calcolo (logos), e che questa messa in mezzo comunitaria era rivolta a portare la misura (metron) nelle cose pubbliche di tutti (ta koinà), in modo che concedendo ai cittadini l’eguale accesso regolato alla parola pubblica (isegoria) si potesse raggiungere un nuovo equilibrio (isorropia), e questo nuovo equilibrio potesse portare infine alla concordia fra cittadini (omonoia)”.

A tuo parere Marx stesso è hegelianamente un avversario della “illimitatezza indeterminata”, ed è aristotelicamente un amico della misura nella riproduzione sociale; per il pensatore di Treviri la contraddizione fondamentale del capitalismo sarebbe perciò quella fra ricchezza per il capitale e ricchezza per i produttori e le loro comunità.

In una recente intervista hai inoltre sostenuto che “il problema fondamentale del capitalismo attuale sta nella dinamica di sviluppo illimitato della produzione capitalistica, e nel fatto che l’infinito-illimitato è il principale fattore di disagregazione e di dissoluzione di qualunque forma di vita comunitaria”. Sembri perciò auspicare una rinnovata applicazione del concetto normativo di metron al mondo sociale (ed ambientale); è così?

Murray Bookchin sosteneva che «Il capitalismo non può essere “convinto” a porre dei limiti al proprio sviluppo più di quanto un essere umano possa essere “convinto” a smettere di respirare»; Condividi tale affermazione? A tuo parere, il sistema capitalistico potrebbe tramontare perché costretto a darsi un fine diverso dal profitto, vale a dire la salvaguardia della base naturale (e conseguentemente sociale)?

 

Murray Bookchin coglie genialmente il cuore filosofico della questione del capitalismo, anche se non sono affatto ottimista sulla possibilità di riuscire a darci un fine diverso dal profitto. Per questo ci vuole sempre la buona vecchia rivoluzione, anche se non si vedono soggettività individuali (teoria) e collettive (prassi) in grado di riprendere sensatamente il progetto rivoluzionario. Comunità politica e decrescita economica sono per ora soltanto idee – forza senza basi storiche realmente efficaci.

In greco antico metron significa misura, ma il termine non ha nulla a che vedere con il concetto di misura della rivoluzione scientifica moderna, che ha permesso di passare dal mondo del pressappoco all’universo della precisione (la formula è di Alexandre Koyrè). Si tratta di una misura sociale e politica, legata al termine logos, che non significa soltanto parola pubblica o ragione (logos contrapposto a mythos), ma significa soprattutto calcolo sociale (il verbo loghizomai significa calcolare). L’unione fra logos (calcolo politico e sociale) e metron (misura politica e sociale) sta alla base della teoria della giustizia antica (dike), che non ha ovviamente nulla a che vedere con le moderne teorie della giustizia (Rawls, Habermas, Bobbio), che prescindono tutte dalla sovranità democratica sulla riproduzione economica, eretta ad un Assoluto che ha sostituito il vecchio Assoluto religioso cristiano (comparativamente migliore, a mio avviso, al di là della sua pessima funzione ideologica di legittimazione feudale e signorile).

Polanyi ha fatto molto bene a tornare al concetto di metadoni ed alla distinzione aristotelica fra economia e crematistica (su cui fonda la sua ricostruzione dell’umanesimo greco il filosofo Luca Grecchi). Tutti coloro che invece enfatizzano unicamente i due significati di logos come discorso pubblico o come ragione (ad

esempio Hannah Arendt), dimenticando che invece il significato principale di logos è quello di calcolo sociale rivolto alla doppia fatale dismisura del potere e della ricchezza (metaforizzata, a mio avviso, dall’apeiron di Anassimandro), ci ripropongono una grecità normalizzata e “decaffeinata” (per usare un arguto termine di

Slavoj Zizek). Ma una grecità correttamente interpretata sarebbe ancora più attuale non solo della liberaldemocrazia ottocentesca, ma anche della stessa tradizione marxista, ribadendo che ciò che generalmente passa per “marxismo” non è che un positivismo di sinistra a base gnoseologica neokantiana.

 

 

Vorrei soffermarmi ancora brevemente su tale concetto. Tu infatti sostieni che impadronirsi della genesi della filosofia (e della democrazia) come “razionalizzazione logica (logos) e dialogica (dialogos)” dei conflitti sociali in termini di scontro fra Misura (metron) e Dismisura (apeiron) “è di importanza eccezionale, perché permette di tenere ferma ancora oggi la centralità del conflitto sociale e politico senza più fare ricorso al concetto di Progresso”.

Sembri quindi delineare la possibilità che – attraverso il recupero del principio greco del metron – sia possibile criticare ogni apologia incondizionata del progresso “illimitato”; è così?

Hai inoltre recentemente sostenuto che il principio ideologico del progresso ed il principio filosofico dell’emancipazione devono essere non solo distinti, ma separati, evidenziando la necessità di abbandonare il primo senza rinunciare ad una prospettiva emancipativa. Puoi sviluppare più ampliamente questa tua idea?

 

Molto spesso i critici del principio ideologico del progresso sono anche scettici sulla possibilità di realizzare concretamente il principio filosofico dell’emancipazione (pensiamo alla dialettica negativa di Adorno, al pessimismo radicale dell’ultimo Horkheimer ed al famoso “un solo Dio può ancora salvarci” di Heidegger). Inversamente, si hanno anche sostenitori del principio filosofico dell’emancipazione che restano attaccati al principio ideologico del progresso (pensiamo all’ontologia dell’essere sociale di Lukàcs o all’utopismo escatologico di Bloch). Si tratta allora di capire se vi sia una terza strada, diversa sia da quella di Adorno, Horkheimer ed Heidegger, sia da quella di Lukàcs e di Bloch. Il principio ideologico del progresso ed il principio filosofico dell’emancipazione sono dunque inscindibili ed inseparabili?

Non lo credo, e si tratta appunto di una delle mie principali tesi filosofiche, ed una di quelle cui tengo di più. Il principio ideologico del progresso è “ideologico” appunto perché nacque al servizio di una legittimazione ideologica della borghesia europea settecentesca, che costruì una filosofia progressistica della storia universale (poi sistematizzata in forma ulteriormente meccanicistica, deterministica e finalistica dal positivismo ottocentesco e dal suo fratellino minore, il marxismo storico). Ma ad esempio già l’idealista Fichte fonda la sua teoria dell’emancipazione non su di una ideologia del progresso, ma su di una interpretazione radicale del diritto naturale. Lo stesso “progressismo “ di Hegel (indubbiamente un pensatore progressista) è assai più una teoria dell’acquisizione di una libera autocoscienza, che una teoria della successione obbligata di “stadi” nella storia, come avvenne più tardi nel marxismo, dottrina integralmente “progressista”. Georges Sorel fu uno dei pochissimi pensatori che cercarono di separare il principio del progresso da quello dell’emancipazione, e ritengo che si muovesse nella direzione giusta, anche se il suo codice teorico benemerito era indebolito da una insufficiente comprensione del pensiero greco e di quello idealistico. Ma si tratta di riprendere un secolo dopo il corretto programma di Sorel, radicalizzandolo con un esplicito ritorno al pensiero dei greci, che definirei sommariamente un pensiero della giustizia sociale e politica, sia pure in assenza di una filosofia della storia nel senso moderno del termine.

 

 

In diversi tuoi libri hai sostenuto la tesi per cui in verità la realtà in cui stiamo vivendo è quella di un’oligarchia o, più esattamente, un sistema oligarchico controllato congiuntamente da un circo mediatico e da una rete di mercati finanziari: “un sistema di potere periodicamente legittimato da referendum elettorali di facciata, che ha incorporato residui costituzionali della tradizione liberale classica”.

La democrazia sarebbe in realtà un fantasma di legittimazione, così come erano fantasmi di legittimazione il carattere cristiano della societas christiana del Medioevo europeo o il riferimento al pensiero di Karl Marx del comunismo storico novecentesco. Puoi precisare questa tua argomentazione, facendo riferimento alla prospettiva delineata ne Il popolo al potere?

 

Come già in due casi precedenti (l’interpretazione controcorrente del pensiero filosofico di Karl Marx e la ricostruzione controcorrente della storia della filosofia occidentale dai greci ad oggi) anche nel caso della filosofia politica moderna (di cui la teoria della democrazia è parte integrante) io perseguo un esplicito riorientamento gestaltico. La teoria moderna della liberaldemocrazia insiste su di una dicotomia virtuosa, quella Democrazia / Dittatura. La democrazia è il lato buono, la dittatura (nelle sue varie forme, fasciste, comuniste, populiste, fondamentalistico – religiose, eccetera) il lato cattivo. Io considero questa dicotomia un fantasma di legittimazione, e “fantasma” perché il fondamento della democrazie, il popolo, deve essere in qualche modo sovrano sulla forma essenziale della sua riproduzione sociale. Ma questa sovranità non esiste, perché è nelle mani di oligarchie che nessuno ha eletto. La dicotomia non è dunque oggi (parlo di oggi, non del 1930) Democrazia / Dittatura, ma Democrazia / Oligarchia.

Se si accetta questo riorientamento gestaltico (ma esso è rifiutato da tutto il pensiero universitario, mediatico e politico, non importa se di destra, di centro o di sinistra) il problema non è più di forma, ma di contenuto. E il contenuto sta nella sovranità militare (niente basi atomiche straniere sul territorio nazionale), ed economica (niente delocalizzazioni industriali, precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro, eccetera), cui poi seguono “a cascata” tutte le altre sovranità (mediatica, culturale, linguistica, eccetera). È del tutto evidente che oggi non esistono neppure gli elementi minimi di questa sovranità, e per questo la presunta “democrazia” non è che un fantasma di legittimazione.

Vi è quindi “democrazia” oggi (sia in senso greco, che in senso popolare ottocentesco) soltanto quando si è in presenza di reali movimenti sociali e politici di tipo anti – oligarghico, che non si fanno spaventare dal teatro dei burattini delle accuse di “populismo”, categoria tuttofare che ha sostituito il vecchio mostro totalitario a due teste fascismo / comunismo, che è oggi obsoleto come la dicotomia Guelfi / Ghibellini. Benedetto Croce e Norberto Bobbio hanno fatto il loro tempo, e prima o poi forse qualcuno

se ne accorgerà, se riuscirà a perforare la crosta della dittatura ideologica dei mercati finanziari, dei politici, dei giornalisti e dei politologi universitari.

 

 

In questi ultimi anni hai lavorato moltissimo dando alla luce decine di importanti saggi (molti dei quali ancora inediti); prima di congedarci, ci concederesti qualche informazione circa i tuoi progetti editoriali futuri?

 

A proposito del lavoro svolto nei trent’anni precedenti io posso dichiararmi insieme soddisfatto ed insoddisfatto. Sono moderatamente soddisfatto sia per la quantità sia soprattutto per la qualità di molti miei lavori (non di tutti). È vero che non toccherebbe a me dirlo, ma penso che un autore debba avere una certa autoconsapevolezza soggettiva della natura del suo lavoro. Il riconoscimento sociale è stato pressochè nullo, ma tendo a pensare che la ragione di fondo sia dovuta all’assoluta novità delle soluzioni proposte, inaccettabili e irricevibili della casta degli “intellettuali di sinistra”. E’ possibile, anche se lo considero poco probabile, che ci possa essere un moderato riconoscimento postumo. In ogni caso, quando saremo ridotti in polvere, il riconoscimento o meno ci sarà del tutto indifferente.

Sono moderatamente insoddisfatto per almeno due ragioni. Primo, per l’incredibile ritardo identitario a sganciarmi anche formalmente dalla tribù marxista ufficiale – ufficiosa, laddove ormai ero divenuto un filosofo del tutto indipendente. Secondo, il fatto che da un lato ho sempre rimproverato Marx per non avere coerentizzato il suo pensiero, e poi dall’altro neanch’io sono riuscito a coerentizzare il mio. Lo ritengo una lacuna molto grave.

Detto questo, ad altri più giovani toccherà, se lo vorranno, giudicare il mio pensiero. Ritengo però che i miei lavori migliori e significativi siano ancora inediti, e ne segnalo il contenuto a quelle poche decine di amici di cui ho conquistato la stima.

Ho scritto molti saggi monografici su Marx, ma ce n’è ancora un ultimo inedito che ritengo più significativo di altri. In quest’ultimo ho esplicitato oltre ogni dubbio la mia interpretazione di Marx come pensatore tradizionale (e non progressista) e come filosofo idealista (e non materialista) e soprattutto come allievo minore di Aristotele e di Hegel. Non c’è nulla di definitivo finchè si vive, ma ritengo questa interpretazione il mio provvisorio bilancio definitivo di Marx.

Il lavoro cui tengo di più è però una mia originale storia della filosofia, di cui ho scritto una variante più breve (250 pagine) ed una più lunga (600 pagine). Si tratta di una ricostruzione dell’intera storia della filosofia occidentale che non ha precedenti (almeno a me noti), perché da un lato utilizza sistematicamente il metodo “materialistico” della deduzione storico – sociale delle categorie del pensiero filosofico (metodo proposto nel novecento da Alfred Sohn – Rethel, che io però utilizzo in modo del tutto originale), e dall’altro questo metodo è però inserito in una concezione pienamente veritativa del pensiero filosofico, ispirata non certo ai sociologi marxisti, ma ai greci e ad Hegel. È questo il lavoro che considero il più significativo della mia vita.

Vi sono poi alcuni saggi monografici inediti, non casuali, ma che compongono un disegno coerente. Primo, un saggio su Althusser, in cui esamino il suo pensiero, e ne prendo decisamente le distanze su di un punto essenziale. Mentre per Althusser l’equazione filosofica peggiore si scrive come (Soggetto = Oggetto) = Verità, questa per me è invece l’equazione filosofica migliore che si possa scrivere. Secondo, un saggio su Adorno, in cui prendo decisamente le distanze dalla dialettica negativa, considerandola in termini di una sofisticata apologia ideologica di adattamento al capitalismo travestita da opposizione radicale. Terzo, un saggio su Sohn – Rethel, in cui da un lato elogio il metodo della deduzione sociale delle categorie, dall’altro rifiuto la sua la sua critica dell’idealismo ed il suo sociologismo relativistico. Quarto, un saggio su Karel Kosìk, visto come uno dei pochissimi filosofi marxisti novecenteschi che non si sono vergognati di scrivere un capolavoro di filosofia pura (La Dialettica del Concreto) senza sempre travestirla da ideologia. Quinto, un ritorno meditato sulla Ontologia dell’Essere Sociale di Lukàcs, sempre lodata e stimata, ma anche questa volta maggiormente criticata per le sue insufficienze.

Vi sono anche altri studi sul comunitarismo, ancora inediti, e interventi su riviste che prima o poi qualcuno forse raccoglierà. Ma ciò che più conta in un filosofo è quello che i tedeschi chiamano Denkweg, e cioè il percorso di pensiero.

Approfondendo con radicalità il marxismo, ed applicando anche al marxismo stesso la marxiana critica delle ideologie (cosa che in generale i marxisti non fanno, mostrando così a tutti la loro miseria), sono arrivato alla fine a riscoprire il pensiero greco e la cosiddetta metafisica classica. E questo non certo per conversione o pentimento, ma al contrario proprio sulla base del metodo della critica immanente, metodo dialettico se mai ce n’è stato uno.

E con questo posso proprio chiudere.