Enrico Berti – Nichilismo moderno e postmoderno

Enrico Berti 2019-02 Nichilismo
Il pasto del cieco 1903

P. Picasso, Il pasto del cieco, 1903.

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Enrico Berti

Nichilismo moderno e postmoderno

Per “cifra” si può intendere sia la connotazione essenziale, sia l’esito necessario e quindi la conseguenza. In entrambi questi sensi il “nichilismo” è stato inteso come cifra del moderno da parte di alcune filosofie postmoderne, che pertanto si presentano come la denuncia del nichilismo moderno e al tempo stesso come forma più compiuta del nichilismo. Tali sono le filosofie che si richiamano alla genealogia formata da Nietzsche, da un certo Heidegger, dal poststrutturalismo francese e dal “pensiero debole” italiano.

  1. Il “nichilismo” moderno secondo l’interpretazione post-moderna

L’interpretazione della filosofia moderna come nichilista a causa della centralità da essa assegnata al sovrasensibile (Nietzsche), o alla tecnica (Heidegger), o alla metafisica del soggetto (Vattimo), fa propria, in realtà, l’interpretazione dell’intera storia della filosofia elaborata da Hegel e diffusa dalla storiografia hegelianizzante (Zeller, Fischer, Gentile), così come fa propria la periodizzazione su cui essa si fonda. Questa, però, non ha un valore cronologico, bensì assiologico, perché trae dalla successione temporale un giudizio di irreversibilità ed assume la storia come suo argomento (l’unico, in verità).

L’esistenza, pertanto, di tradizioni moderne alternative a quella interpretabile come nichilismo può costituire una vera e propria confutazione di tale interpretazione. Se si ammette ad esempio, come ha osservato Del Noce, che l’ateismo debba essere il risultato finale del processo, fa difficoltà il riconoscimento di filosofie ateistiche all’inizio o nel corso di esso (cfr. il libertinismo), come fa difficoltà il riconoscimento di una tradizione teistica all’interno della filosofia specificamente moderna (cfr. la tradizione platonizzante che va da Descartes a Pascal, a Malebranche, a Vico, a Kant ed a Rosmini).

Emblematico è, al riguardo, il modo di intendere il rapporto fra teoria e prassi. Questo, nella linea specificamente moderna, cioè antitradizionale, comporta la riduzione della teoria (filosofia) alla scienza (matematica) e la concezione della prassi o come non razionalizzabile affatto (Descartes) o come suscettibile di razionalizzazione rigorosamente scientifica (Spinoza per l’etica, Hobbes per la politica, Petty per l’economia, Pufendorf per il diritto). Conseguenza di ciò è la separazione fra descrizione e prescrizione (Hume), la negazione di qualsiasi capacità conoscitiva alla «ragione pratica» (Kant), la concezione delle Geisteswissenschaften come scienze descrittive (neocriticismo) e la dichiarazione della loro “avalutatività” (Weber).

Da ciò l’incapacità della conoscenza ad orientare la prassi, l’impossibilità per la ragione di affrontare i problemi di senso, l’estraneità della scienza «al mondo della vita» (Husserl), e quindi il nichilismo.

  1. Le tradizioni alternative in età moderna

Si potrebbe facilmente mostrare, ed è stato fatto recentemente da Paolo Rossi, che la filosofia moderna non è tutta, in realtà, quale la presenta l’odierno nichilismo, ma è almeno in parte essa stessa alternativa alla sua immagine. Oppure si potrebbe segnalare l’esistenza, all’interno di essa, di una tradizione platonizzante alternativa a quella dominante, come ha fatto Del Noce. Ma nessuna di queste due alternative è sufficientemente radicale per costituire una confutazione dell’interpretazione dominante. La tradizione, invece, più radicalmente alternativa alla filosofia specificamente moderna, quella a cui quest’ultima soprattutto si oppone, è l’aristotelismo. Ebbene, proprio questo sopravvive nei primi tre secoli dell’età moderna, sia nella sua versione “laica” sia in quella “scolastica” .

Nei secoli XVI e XVII l’aristotelismo laico si diffonde, ad opera di Zabarella e di Melantone, nell’Europa protestante ed eretica, influenzando sia la logica, sia l’etica e la politica (sino a giungere poi, attraverso Priestley e Jefferson, negli Stati Uniti). L’aristotelismo scolastico si diffonde, invece, ad opera dei Gesuiti, nell’Europa cattolica, alimentando filosofie politiche alternative alle teorie dello Stato sovrano.

Entrambi mantengono viva, specialmente nelle università, la tradizione della philosophia practica, la quale, sempre a proposito del rapporto fra teoria e prassi, evita sia la razionalizzazione matematistica della prassi, sia la sua completa separazione dalla teoria. Questa tradizione dà luogo all’economia cameralistica, alla concezione della politica come «dottrina dell’amministrazione» o scienza del «buon ordinamento» (Polizey) ed alla teoria della «prudenza» come virtù del principe.

Essa viene tuttavia progressivamente logorata, nel secolo XVIII, dal giusnaturalismo, che si insinua nella stessa filosofia pratica (con Thomasius e soprattutto con Wolff), e viene definitivamente spazzata via da Kant (che non a caso critica violentemente la stessa prudenza). Malgrado il breve tentativo di restaurazione dell’aristotelismo compiuto da Hegel con la filosofia dello Spirito oggettivo, tentativo reso vano dalla scissione tra Stato e società civile, la tradizione in questione scompare quasi totalmente sia dalle università che dagli stessi seminari ecclesiastici lungo tutto il secolo XIX, il quale vede invece il trionfo della linea innovatrice ad opera del positivismo e del neocriticismo. Solo un aspetto alquanto parziale, cioè il tomismo, sarà oggetto di un tentativo di restaurazione, peraltro effimero, alla fine del secolo, ad opera del papa Leone XIII.

  1. Il nichilismo postmodermo e le sue alternative attuali

Il nichilismo postmoderno, ponendosi come legittimo erede del nichilismo moderno, nella forma di un nichilismo “compiuto”, non è, in realtà, diverso dal suo genitore, perché continua ad usare come unico argomento la storia, sia pure non più intesa come progresso o superamento, bensì soltanto come Verwindung o “congedo”. Esso mantiene infatti la categoria dell’“ora” (modo), che è mera funzione temporale (C.A. Viano), come criterio assiologico d’irreversibilità («ora non è più possibile … »). Al mito giovanilistico del progresso esso sostituisce l’ossessione del declino, che è in realtà l’angoscia dell’invecchiamento: espressioni entrambi di un sentimento del tipo biologico. Anch’esso viene confutato dall’esistenza di posizioni alternative, nate tutte dopo la crisi della “modernità”, ma non derivanti da quest’ultima.

Basti menzionare sommariamente, sempre in riferimento al modo di concepire il rapporto fra teoria e prassi: la nuova «filosofia politica» di Strauss, di Voegelin e della Arendt o quella di Maritain, di Simon e del “gruppo di Chicago”, sviluppatesi entrambe in America intorno alla metà del secolo XX; la «teoria dell’ argomentazione» come logica delle discipline non formalizzabili (Perelman); «l’urbanizzazione» di Heidegger compiuta da Gadamer con la riproposta della filosofia pratica di Aristotele (ripresa da Hennis, Bubner, Höffe); l’uso in senso cognitivistico della filosofia pratica kantiana inaugurato da Apel e l’«etica discorsiva» o «comunicativa» di Habermas (da quest’ultimo proposta esplicitamente come alternativa al «discorso filosofico della modernità»); i recenti sviluppi della filosofia analitica nella direzione di un’«etica pubblica» (Rawls, MacIntyre); più in generale la nuova domanda di etica, prodotta dalle nuove tecnologie, e di filosofia politica, suscitata dal declino dello Stato moderno.

Al di là del rapporto fra teoria e prassi, si potrebbero menzionare gli sviluppi della filosofia analitica nella direzione ontologica (Strawson, Kripke, Wiggins), ed altre posizioni ancora (la nuova epistemologia, ecc.).

Quasi tutte queste posizioni sono ancora eccessivamente “deboli”, e perciò forse insufficienti come autentiche alternative al nichilismo, a causa del persistente sospetto, che esse condividono col nichilismo stesso, verso la metafisica.

Enrico Berti

Articolo già pubblicato su Avvenire, 6 novembre 1988, e ripubblicato su Grande Enciclopedia Epistemologica, n. 108, Edizioni Romane di Cultura, 1997, pp. 53-56.


Enrico Berti – La mia esperienza nella filosofia italiana di oggi.

Enrico Berti – Per una nuova società politica

Enrico Berti – La capacità che una filosofia dimostra di risolvere i problemi del proprio tempo è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché essa sia giudicata eventualmente capace di risolvere i problemi di altri tempi, o del nostro tempo, e dunque possa essere considerata veramente “classica”.

Enrico Berti – Ciò che definisce l’uomo è anzitutto la parola. Non è del tutto appropriata la traduzione latina della definizione di uomo messa in circolazione dalla scolastica medievale, cioè animal rationale, la quale si basa sulla traduzione di logos con ratio. Certamente l’uomo è anche animale razionale, ma il concetto di logos è molto più ricco di quello di “ragione”.



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Maurice Blanchot (1907-2003) – La cultura lavora per il tutto. Il suo orizzonte è l’insieme. L’ideale della cultura è di riuscire a comporre un quadro d’insieme, delle ricostruzioni panoramiche che permettano di situare in una stessa prospettiva Schoenberg, Einstein, Picasso, Joyce – e possibilmente anche Marx.

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La conversazione infinita

La conversazione infinita

«La cultura lavora per il tutto: è il suo compito, ed è un compito degno. Il suo orizzonte è l’insieme […]. La letteratura ci comunica in un suo modo caratteristico la società, gli uomini e gli oggetti. […] L’ideale della cultura è di riuscire a comporre un quadro d’insieme, delle ricostruzioni panoramiche che permettano di situare in una stessa prospettiva Schoenberg, Einstein, Picasso, Joyce – e possibilmente anche Marx […]».

Maurice Blanchot, La conversazione infinita. Scritti sull’«insensato» gioco di scrivere, trad. di R. Ferrara, intr. di Giovanni Bottiroli, Einaudi, Torino 2015, pp. 483-484.



Maurice Blanchot – La lettura fa del libro quel che il mare e il vento fanno con le opere forgiate dagli uomini. La lettura conferisce al libro l’esistenza brusca che la statua “sembra” dovere solo allo scalpello. Il libro ha bisogno del lettore per farsi statua.

Maurice Blanchot (1907-2003) – Una giusta risposta è sempre radicata nella domanda. Vive della domanda. La risposta autentica è sempre vita della domanda.



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César Vallejo (1892-1938) – Occorre spezzare la barriera secolare che esiste fra l’intelligenza e il popolo, fra lo spirito e la materia, e ciò deve avvenire orizzontalmente, non verticalmente, cioè spalla contro spalla.

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César Vallejo, in un disegno di Pablo Picasso

César Vallejo, in un disegno di Pablo Picasso

César Vallejo

1892 – 1938

Occorre spezzare la barriera secolare che esiste fra l’intelligenza e il popolo,

fra lo spirito e la materia, e ciò deve avvenire

orizzontalmente, non verticalmente,
cioè spalla contro spalla

 

A cura di Fernanda Mazzoli

 


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Fernanda Mazzoli, César Vallejo

Vallejo,+César[1]

César Vallejo nasce nel 1892 in un villaggio andino, ultimo di undici fratelli, figlio di un alcalde e nipote di due nonne indiane. Era un albino, un cholo (meticcio) – come si definì lui stesso – e che farà del paesaggio della sua infanzia, silenzioso, aspro e duro, un paesaggio dell’anima tormentata da una ferita incurabile.
Studente brillante, nel 1910 si iscrive alla Facoltà di Lettere della città di Trujillo, ma, per sopravvivere, deve lavorare come impiegato nelle miniere di Quiruvilca e poi nell’amministrazione di una piantagione di canna da zucchero, dove scopre la dura condizione dei peones e si avvicina all’APRA (Alleanza Popolare Rivoluzionaria Americana), un movimento che inscriveva la specificità ibero-americana nelle radici indio.

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Rubén Darío.

Attivo negli ambienti intellettuali e artistici di Trujillo, inizia molto presto a pubblicare i suoi versi in diverse riviste. Sensibile alle influenze del modernismo del nicaraguense Rubén Darío, così come alla grande poesia spagnola del Siglo de oro e alle nuove tendenze poetiche venute d’Europa, la sua poesia si nutrì tuttavia quasi visceralmente, anche negli anni di un esilio senza ritorno, delle reminiscenze della terra natale, gli scoscesi altopiani delle Ande.

 

Frequenta il "Grupo Norte" in Perù.

Frequenta il “Grupo Norte” in Perù.

Dove conosce altri intellettuali della sua epoca

Dove conosce altri intellettuali.

 

 Il giovane Vallejo.

Il giovane Vallejo.

 

Era domenica

Era domenica nelle chiare orecchie del mio asino,
del mio asino peruviano in Perù (scusate la tristezza).
Ma oggi sono già le undici alla mia esperienza personale,
esperienza di un solo occhio, inchiodato in pieno petto,
di una sola asineria, inchiodata in pieno petto,
di una sola ecatombe, inchiodata in pieno petto.

È così che rivedo le colline ritratte della mia terra,
ricche in asini, figli di asini, genitori a venire,
che ritornano già dipinte di credenze,
colline orizzontali dei miei dolori.

Sulla sua statua, di spada,
Voltaire incrocia la sua cappa e guarda il piedistallo,
però il sole mi penetra e caccia dai miei incisivi
un numero crescente di corpi inorganici.

E sogno allora di una pietra
verdastra, diciassette,
roccia numerale che ho dimenticato,
suono di anni nel rumore di ago del mio braccio,
pioggia e sole in Europa, e come tossisco! come vivo!
come mi fanno male i capelli a presagire i secoli settimanali
e anche, per contraccolpo, il mio ciclo microbico,
voglio dire la mia tremante, patriottica pettinatura!

 

 

Prima edizione di Los heraldos negros, 1919

Prima edizione di Los heraldos negros, 1919.

Los Eraldos

Los eraldos2

 

Gli araldi neri

Ci sono colpi nella vita, così forti … io non so!
Colpi come l’odio di Dio; come se di fronte ad essi,
la risacca di tutto il sofferto
ristagnasse nell’anima … Io non so!

Sono pochi; però sono … Aprono solchi scuri
nel volto più fiero e nel lombo più forte.
Saranno forse i puledri di barbari Attila;
o gli araldi neri che ci invia la Morte.

Son le cadute profonde dei Cristi dell’anima,
di qualche fede da adorare che il Destino bestemmia.
Questi colpi sanguinosi sono i crepitii
di qualche pane che sulla porta del forno ci si brucia.

E l’uomo … Povero … povero! Gira lo sguardo, come
quando una pacca sulla spalle ci chiama;
Gira gli occhi pazzi, e tutto il vissuto
ristagna, come una pozzanghera di colpa, nello sguardo.

Ci sono colpi nella vita, così forti … Io non so!

(traduzione di Federico Guerrini)

Si innamora di Maria Sandoval che muore inferma

Si innamora di Maria Sandoval (che muore inferma),
ed è la sua musa tragica in Los Heraldos Negros.

Ed è la sua musa tragica in "Los Heraldos Negros"

Nel 1920 si verifica l’avvenimento che segnerà Vallejo per la vita: in occasione di disordini scoppiati nel bel mezzo di una festa religiosa nel suo borgo natale in seguito al provocatorio comportamento dei gendarmi, s’intromette per sedare la rissa, ma viene arrestato dalle autorità locali come istigatore dei disordini.
Dopo quattro mesi di prigione durante i quali continua a scrivere le poesie che comporranno poi la sua nuova raccolta Trilce (Oh, le quattro pareti della cella / Ah le quattro pareti albicanti / che senza rimedio danno sul medesimo numero), ottiene la libertà provvisoria, grazie a diverse petizioni in suo favore, ma resta sotto la minaccia di un processo che incomberà su di lui come un incubo negli anni successivi.

 

La prima edizione di Trilce

La prima edizione di Trilce

 

Non tollerando più l’ambiente di Lima (A Lima … A Lima sta piovendo / l’acqua sudicia di un dolore / così mortale. Sta piovendo dalla crepa del tuo amore), dove alterna la collaborazione a riviste a una saltuaria attività di insegnante e dove sperimenta una condizione di crescente oppressione ed estraneità («Volevo partirmene, scappare da tutto, non sfiorare nulla, né essere sfiorato da nulla, non essere in alcun luogo, non essere con nulla»), decide di partire per l’Europa. Sempre attento ai presagi che gli araldi neri erano soliti inviargli dal futuro, presagisce che lo attende un viaggio senza ritorno, perché così nella prosa poetica di El buen sentido (Il buon senso), saluta l’amata madre: «C’è, madre, un posto nel mondo, che si chiama Parigi. Un luogo molto grande e molto lontano, e ancora molto grande. La donna di mio padre, ascoltandomi, mangia, e i suoi occhi mortali scendono dolcemente lungo le mie braccia».
Arriva a Parigi il 13 luglio 1923, senza soldi, senza lavoro e con nessuna conoscenza della lingua. Seguono anni di miseria e di ripetuti soggiorni in ospedale in seguito ad un’emorragia sopravvenuta dopo un intervento. Collabora a diverse riviste sudamericane e comincia a legarsi agli artisti di Montparnasse, diventando amico di Juan Gris, di Marcel Aymé, di Tristan Tzara, di Antonin Artaud, di Jean Cassou, di Juan Larrea con il quale fonda una rivista a cui collaborerà anche Neruda.

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Pubblica Poemas en prosas e Contra el secreto profesional, un intenso manifesto in cui definisce la sua concezione dell’arte poetica, prendendo le distanze dagli scrittori «latino-americani» della sua generazione, cultori di una poesia presa in prestito dalle avanguardie europee (ispirate a l’esprit nouveau, da lui ritenuto «un movimento distruttore di incurabile nullità storica») cui Vallejo oppone la specificità «ibero-americana» che scaturisce dall’autenticità dei popoli del continente e si nutre di uno spirito «fatto di verità, di vita, infine di sana ed autentica ispirazione umana» e di un’emozione «secca, naturale, pura».

 

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Gli anni fra il 1927 e il 1928 sono anche quelli in cui il suo “male di vivere” poetico e la sua crisi morale maturano alla luce della consapevolezza del legame del suo destino con quello degli altri uomini.

 

Georgette Marie Philippart Travers

Georgette Marie Philippart Travers.

 

Con Georgette a Parigi

Con Georgette a Parigi.

Georgette Philippart – che diventerà sua moglie nel 1932 e sua inseparabile compagna al di là della morte per la devozione che voterà all’opera del poeta di cui raccoglierà e farà pubblicare tutti i componimenti sparsi – ricorda così quel periodo che fu anche quello del loro incontro: «Sarebbe difficile ammettere che a quest’epoca Vallejo, che ha trentacinque anni, si cercasse e si cercasse per sé solo. […] Si interroga sulla partecipazione che sente di dover apportare agli uomini. […] Crisi morale, crisi di coscienza, e non d’intellettuale ma di uomo e di poeta, poiché vi scopre la causa del suo smarrimento: la sua lontananza dai problemi sociali ed economici dell’umanità asservita».
Da questa nuova consapevolezza alla sua adesione al comunismo, il passo è breve e matura nel corso di un viaggio in Russia, dal quale ritorna con la convinzione, riportata da Georgette, che «un sistema interamente nuovo, unanimemente rifiutato dagli sfruttatori e dai dominatori, deve inevitabilmente implicare un miglioramento certo e fondamentale per le masse proletarie». Sul finire del dicembre del 1928 si iscrive al Partido Socialista del Perù (divenuto più tardi il Partito comunista peruviano) fondato ad José Carlos Mariátegui, il pensatore rivoluzionario peruviano che, dopo essersi distaccato dall’APRA, segnerà in modo indelebile il marxismo latino-americano. A lui dobbiamo una delle interpretazioni più profonde della poesia di César Vallejo.

José Carlos Mariátegui La Chira

José Carlos Mariátegui.

Scrive Mariátegui, a proposito di Heraldos negros e di Trilce, che il suo pessimismo è quello dell’Indiano, non è un concetto, non è un atteggiamento letterario e nemmeno una nevrosi: è, piuttosto, un sentimento, ricco di tenerezza e carità. Non genera il narcisismo disincantato ed esacerbato dei romantici, perché non nasce da una pena personale. «Vallejo sente tutto il dolore umano. […] La sua anima è triste da morirne della tristezza di tutti gli uomini. E della tristezza di Dio». È quel sentimento per il quale il poeta, amaramente conscio del limite della parola («E se dopo tante parole / la parola non sopravvive»), conierà un neologismo, capace di dire tutto il dolore del mondo: tristumbre che contiene in sé pesadumbre (dolore) e tumba (tomba). E a proposito del suo stile, Mariátegui sottolinea la purezza e l’innocenza, l’austerità, l’umiltà e la semplicità orgogliosa della forma, fino a definirlo «un mistico della povertà che cammina scalzo affinché i suoi piedi conoscano nudi la durezza e la crudeltà del cammino».

 

VA CORRENDO, ERRANDO, FUGGENDO…

Va correndo, errando, fuggendo
i suoi piedi …
Va con due nubi nella sua nube,
immobile apocrifo, serrando nella mano
i suoi tristi per, i suoi funerei allora.

Corre lontano da tutto, errando
fra proteste incolori; fugge
salendo, fugge
scendendo, fugge
a passo di sottana, fugge
sollevando il male sulle braccia,
fugge
diritto a piangere solo.

Ovunque vada,
lontano dai suoi rumorosi, caustici talloni,
lontano dall’aria, lontano dal suo viaggio,
per fuggire, fuggire, e fuggire e fuggire
i suoi piedi – uomo su due piedi, fermo
di tanto fuggire – avrà sete di correre.
E nemmeno l’albero, se indossa ferro di oro!
E nemmeno il ferro, se copre il suo fogliame!
Nulla, se non i suoi piedi,
nulla se non il suo breve brivido,
i suoi viventi per, i suoi viventi allora …

 

Al ritorno da un secondo viaggio in Russia, milita in una cellula operaia del partito comunista dove tiene un corso di marxismo; la sua militanza attira l’attenzione della polizia francese che l’arresta ripetutamente per brevi periodi. Alla fine del 1930 è espulso dalla Francia per “attività sovversive”. Risiede in Spagna, dove vive di traduzioni dal francese e dove frequenta poeti come Juan Bergamín, Rafael Alberti, Garcia Lorca. Si iscrive al partito comunista spagnolo e pubblica un romanzo, El tungstène, in cui rielabora la sua esperienza nelle miniere peruviane. Scrive per il teatro, ma le sue opere, “troppo tristi”, sono rifiutate. Si reca una terza volta in Russia, invitato al Congresso internazionale degli scrittori.

 

El Tungsteno

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È un periodo di intensa militanza e di piena assunzione della coscienza che l’artista «è inevitabilmente un soggetto politico». Tuttavia, sono altrettanto forti in lui la consapevolezza che «l’arte non è un mezzo di propaganda politica, è l’impulso supremo di ogni creazione politica» e l’esigenza della necessaria libertà della creazione artistica: «Posso simpatizzare con la rivoluzione e lavorare per essa, ma come artista non è nelle mie mani, né in quelle di nessuno, di controllare la portata politica che possono celare le mie poesie».
Nel 1932 riesce finalmente ad ottenere un permesso di soggiorno provvisorio per la Francia (regolarizzato l’anno successivo), a condizione di rinunciare a qualsiasi attività politica. Si sposa con Georgette, vive con lei in Hôtel o case ammobiliate del quartiere di Montparnasse, scrive instancabilmente e dà lezioni di spagnolo. Le sue condizioni di salute peggiorano.

 

Pubblica "Escalas" e "Fabla Salvaje" in Peù

Pubblica Escalas e Fabla Salvaje in Peù

 

Parigi, ottobre 1936

Di tutto ciò sono il solo che parte.
Me ne vado da questo banco, dai miei pantaloni,
dalla mia grande situazione, dalle mie azioni,
dal mio numero sezionato da parte a parte,
da tutto ciò sono il solo che parte.

Dagli Champs-Elysées o girando
nella strana Rue de la Lune,
la mia morte se ne va, se ne parte la mia nascita,
e circondata da gente, sola, in fuga
la mia immagine umana si gira
e congeda una a una le sue ombre.

E mi allontano da tutto,perché tutto
là resta a far da copertura:
la mia scarpa, il suo occhiello, anche il suo fango,
fino alla piega del gomito
della mia propria camicia abbottonata.

 

Sfidando l’interdizione di partecipare alla vita pubblica, è presente a tutte le iniziative antifasciste. Nel giugno del 1935 assiste a Parigi al primo Congresso degli scrittori antifascisti per la difesa della cultura, al quale presenziano anche degli scrittori sovietici, venuti ad esporre le basi del “realismo socialista”, decisamente lontane dall’essenza della poesia di Vallejo. Resta traccia della sua lacerazione fra fede rivoluzionaria e senso profondo nella forza della poesia in una nota del suo taccuino alla data del 7 novembre 1937. «È meglio dire “io”? O è meglio dire “l’uomo”, come soggetto dell’emozione lirica ed epica? In verità, è più profondo e più poetico dire “io” – preso naturalmente come simbolo di “tutti”».
Non appena scoppia la guerra di Spagna, malgrado il suo scetticismo nei riguardi dei Fronti popolari, si dedica interamente alla difesa della causa repubblicana, scrivendo articoli e partecipando a numerosi incontri pubblici a sostegno del popolo spagnolo. Si reca più volte in Spagna, dove nel luglio del 1937 interviene al secondo congresso degli scrittori antifascisti in qualità di delegato del Perù, affrontando il tema della responsabilità dello scrittore di fronte ai momenti più gravi della storia e proclamando la necessità di spezzare «la barriera secolare che esiste fra l’intelligenza e il popolo, fra lo spirito e la materia», e che ciò avvenga «orizzontalmente, non verticalmente, cioè spalla contro spalla».
Riferendosi al detto di Gesù che il suo regno non è di questo mondo, Vallejo propone alla coscienza dello scrittore rivoluzionario un’altra formula che sostituisca la precedente, «Il mio regno è di questo mondo, ma è anche dell’altro», che ben corrisponde alla duplice esigenza che ne ispirò la vita e l’opera: impegno civile e ricerca con e per la poesia di una profonda verità umana. Molti anni più tardi ci fu chi lesse in queste parole una premonizione della “teologia della liberazione” che portò tanti preti sudamericani a prendere le armi a fianco del loro popolo, sull’esempio di Camillo Torres.

 

Poemas Humanos

Poemas Humanos

 

Al suo ritorno a Parigi, partecipa alla creazione del comitato ibero-americano per la difesa della repubblica spagnola di cui è nominato segretario, nonché redattore del bollettino Nuestra España che si attirerà, però, la diffidenza di alcuni scrittori comunisti che vi scoveranno simpatie trotskiste, al punto che Pablo Neruda, membro anche lui del comitato di redazione, non pubblicherà gli articoli affidatigli da Vallejo che, ferito, lascia l’incarico.
Negli ultimi tre mesi dell’anno lavora febbrilmente alla composizione di molte delle poesie che saranno, poi, raccolte in Poemas humanos (Poemas del exilio) e España, aparta de mí este cálíz (Spagna, allontana da me questo calice).

Lo raggiunge a Parigi la notizia della fucilazione in Spagna di Julio Gálvez, il ragazzo con cui si era imbarcato per l’Europa una quindicina di anni prima.

 

MASSA

Finita la battaglia,
e morto il combattente, venne a lui un uomo
e gli disse: «Non morire, ti amo tanto!»
Però il cadavere, ahi, continuò a morire.

Altri due si avvicinarono e gli ripeterono:
«Non lasciarci! Coraggio! Ritorna in vita!».
Però il cadavere, ahi, continuò a morire.

Accorsero in venti, cento, mille, cinque cento mila,
esclamando: «Tanto amore , e non potere nulla contro la morte!».
Però il cadavere, ahi, continuò a morire.

In milioni lo circondarono,
con una preghiera comune: «Resta, fratello!».
Però il cadavere, ahi, continuò a morire.

Allora, tutti gli uomini della terra
lo circondarono: li vide il cadavere triste, commosso;
si alzò lentamente,
abbracciò il primo uomo, prese a camminare…

 

L’intenso lavoro aggrava le sue precarie condizioni fisiche: nel marzo del 1938 si ammala gravemente, febbre ed esaurimento fisico gli sono compagne costanti: dalla camera d’albergo in cui viveva con la moglie, Rue Daguerre – XIV arrondissement, viene trasportato il 14 aprile in una clinica del vicino boulevard Arago. L’eminente professore Lemière che lo ha in cura si dichiara vinto da una malattia che non riesce a diagnosticare. («Tutti i suoi organi sono nuovi. Vedo che quest’uomo muore, ma non so di cosa»). Il mattino del 15, venerdì santo, muore: a Parigi, come già sapeva , lui che aveva scritto, pochi mesi prima, che «in fin dei conti, non possiedo per esprimere la mia vita, che la mia morte».

 

PIETRA NERA SU PIETRA BIANCA

Morirò a Parigi nello scroscio
di un giorno che ho già vivo nel ricordo.
Morirò a Parigi – non m’inganno –
come oggi forse un giovedì d’autunno.

Di giovedì sarà. Oggi che proso
questi versi e gli omeri ho malmesso,
è giovedì e mai come oggi giunsi,
con tanta strada a rivedermi solo.

César Vallejo è morto, lo picchiavano
tutti senza che lui facesse nulla;
lo legnavano sodo e duramente

lo cinghiavano: sono testimoni
i giorni giovedì, l’ossa degli omeri,
la vita sola, la pioggia, le strade…

(traduzione di Roberto Paoli)

 

Muore nel 1938

Muore nel 1938.

 

Il 19 aprile è sepolto nel cimitero di Montrouge; lo accompagnano nell’ultimo viaggio amici francesi, sudamericani, spagnoli e le parole di congedo di Louis Aragon. Il 3 aprile 1970, i suoi resti vengono trasportati nel cimitero di Montparnasse dove mani amiche hanno continuato a lungo a portare sulla sua tomba mazzi di fiori con i colori della bandiera repubblicana spagnola. Sembra che le sue ultime parole siano state per chiamare la madre ed evocare la Spagna (España, me voy a España).
Sulla sua pietra tombale Georgette Vallejo ha fatto incidere queste parole:

J’ai tant neigé pour que tu dormes

 

È a lei che si deve la pubblicazione delle opere dell’esilio e della maturità, è lei che ha trovato il titolo Poemas humanos, mentre la prima edizione critica, che ha contribuito a fare riconoscere in Vallejo una delle più grandi voci della letteratura in lingua castigliana di tutti i tempi, è opera dell’amico di sempre, il poeta Juan Larrea. España, aparte de m este cálíz fu inviato in Spagna e pubblicato nel settembre del 1938, nel pieno della controffensiva repubblicana dell’Ebro, a cura di una unità culturale delle milizie repubblicane, ma, visto che le sorti della guerra volgevano in peggio, mancò il tempo per mettere in circolazione la raccolta. Se ne salvò un solo esemplare che fu, poi, ripubblicato in Messico con un ritratto dell’autore disegnato da Picasso.

 

Juan_Larrea_escritor

Juan Larrea.

 

Espana

La pubblicazione riunì quattro figure eminenti della cultura ispanica: un pittore, Pablo Picasso, e tre poeti: César Vallejo, autore del libro di poesie, Juan Larrea, prologo del libro, e Manuel Altolaguirre, responsabile per l’edizione. Il libro è stato stampato nel monastero di Montserrat 10 giorni prima della fine della guerra civile.

 

Vallejo-Guevara

Vallejo-Guevara

Ernesto Che Guevara amò intensamente la poesia di Vallejo
e ne ha recitato Los heraldos negros.
Si veda: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=146620

 

Al di fuori della Francia, dove sin dagli anni del dopoguerra l’attenzione per l’opera del poeta peruviano è stata sempre piuttosto viva, le traduzioni più accurate e complete si devono in lingua tedesca allo scrittore Hanz-Magnus Enzensberger (1966), in inglese a Clayton Eshleman che allo studio di Vallejo ha dedicato cinquant’anni di vita (1968), e in Italia a Roberto Paoli (1964) per le Edizioni Lerici, riproposta nel 2008 per i tipi della Gorée.

 

The Complete Poetry

The Complete Poetry

César Vallejo (Author), The Complete Poetry, A Bilingual Edition, by César Vallejo (Author), Clayton Eshleman (Translator), Clayton Eshleman (Editor), Mario Vargas Llosa (Foreword), Efrain Kristal (Introduction), December 2009.

 

Pesie Lerici

Nella traduzione di Roberto Paoli.i

 

In Perù nel 2102, in occasione delle celebrazioni per il 120° anniversario della sua nascita, qualcuno è riuscito finalmente a fargli quel processo che pendeva su di lui da un secolo circa e che lo aveva spinto all’esilio, naturalmente riconoscendo la sua colpevolezza: in un articolo apparso su un quotidiano, un giornalista lo ha accusato di essere in parte responsabile, con la sua poesia triste, dell’inconscio nazionale e della presunta tendenza dei Peruviani al disfattismo. Per timore di non essere stato ben capito, l’autore dell’articolo è passato poi a sostenere le teorie liberali che, sole, fornirebbero quegli elementi utili allo sviluppo di cittadini con una mentalità vincente e senza complessi…
Non sono mancate le indignate reazioni che hanno volto in ridicolo questa postuma condanna, attribuendo ironicamente al grande poeta la responsabilità di tutti i mali che hanno colpito il Perù nell’ultimo secolo. Nello stesso anno sulla facciata della casa che César Vallejo abitò a Trujillo spiccava un gran cartello che ne annunciava la vendita.
Ma dal fondo degli anni e di tanto oblio e di una speranza che continua a cercare se stessa è Vallejo che ci tende una mano fraterna:

«Nessuno vive più nella casa, mi dici; tutti se ne sono andati.
La sala, la camera, il patio, giacciono spopolati.
Non resta nessuno, perché tutti sono partiti.
E io ti dico:
Quando qualcuno se ne va, qualcuno resta.
Il punto da cui è passato un uomo non è più solo.
Non è solo, di solitudine umana,
che il luogo dove nessun uomo è passato.

Le case nuove sono più morte delle antiche,
perché i loro muri sono fatti di pietra o di acciaio, ma non di uomini.

[…] Tutti sono partiti dalla casa,
n realtà,
ma in verità sono tutti restati.

(No vive ya nadie en la casa)».

Ed ecco che è sorta a Santiago de Chuco, Perú, la Casa Museo César Vallejo.

 

Casa museo

Santiago de Chuco, Perú, la Casa Museo César Vallejo

 

statua02

statua01

 

Statua04

Questo monumento al poeta peruviano César Vallejo Mendoza si trova nella Piazza del Teatro, nel centro di Lima. Autore è lo scultore Lambayecan Miguel Baca Rossi, che lo realizza nel 1983.

***

Alcuni riferimenti bibliografici
César Vallejo, Poesías completas, Edición de Ricardo Silva – Santistenban, Colección Visor de Poesía, Madrid.
César Vallejo, Poèmes humains. Espagne, écarte de moi ce calice, ed. Seuil, Paris, 2011 (traduzione di François Maspéro).
César Vallejo, Poesie, Lerici, Milano, 1964.

 



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César Vallejo (1892-1938) – Me moriré en París con aguacero, un día del cual tengo ya el recuerdo. Hay golpes en la vida, tan fuertes… ¡Yo no sé!

César Vallejo

Vallejo

Piedra negra sobre una piedra bianca

Me moriré en París con aguacero,
un día del cual tengo ya el recuerdo.
Me moriré en París – y no me corro –
tal vez un jueves, como es hoy de otoño.

Jueves será, porque hoy, jueves, que proso
estos versos, los húmeros me he puesto
a la mala y,
jamás como hoy, me he vuelto,
con todo mi camino, a verme solo.

César Vallejo ha muerto, le pegaban
todos sin que él les haga nada;
le daban duro con un palo y duro

también con una soga; son testigos
los días jueves y los huesos húmeros,
la soledad, la lluvia, los caminos…

***

Pietra nera su una pietra bianca

Morirò a Parigi nello scroscio
di un giorno che ho già vivo nel ricordo.
Morirò a Parigi – non m’inganno –
come oggi forse un giovedì d’autunno.
Di giovedì sarà. Oggi che proso
questi versi e gli omeri ho malmesso,
è giovedì e mai come oggi giunsi,
con tanta strada a rivedermi solo.
César Vallejo è morto, lo picchiavano
tutti senza che lui facesse nulla;
lo legnavano sodo e duramente
lo cinghiavano: sono testimoni
i giorni giovedì, l’ossa degli omeri,
la vita sola, la pioggia, le strade…

***

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  LOS HERALDOS NEGROS

Hay golpes en la vida, tan fuertes… ¡Yo no sé!
Golpes como del odio de Dios; como si ante ellos,
la resaca de todo lo sufrido
se empozara en el alma… ¡Yo no sé!

Son pocos; pero son… Abren zanjas oscuras
en el rostro más fiero y en el lomo más fuerte.
Serán tal vez los potros de bárbaros Atilas;
o los heraldos negros que nos manda la Muerte.

Son las caídas hondas de los Cristos del alma
de alguna fe adorable que el Destino blasfema.
Esos golpes sangrientos son las crepitaciones
de algún pan que en la puerta del horno se nos quema.

Y el hombre… Pobre… ¡pobre! Vuelve los ojos, como
cuando por sobre el hombro nos llama una palmada;
vuelve los ojos locos, y todo lo vivido
se empoza, como charco de culpa, en la mirada.

Hay golpes en la vida, tan fuertes… ¡Yo no sé!

César Vallejo, 1918



César Vallejo, Opera Poetica completa, Edizioni Gorée

A cura di Roberto Paoli e Antonio Melis
Traduzione di Roberto Paoli
Prefazione di Antonio Melis e Roberto Paoli

L’opera, in due volumi, è pubblicata con testo a fronte in lingua originale spagnola. Comprende l’opera completa di César Vallejo (composta dalle raccolte “Araldi neri”, “Trilce”, “Poemi in prosa”, “Poemi umani”, “Spagna, allontana da me questo calice”),

Il poeta peruviano César Vallejo (1892-1938), emerge sempre di più come la voce più originale e profonda della poesia latinoamericana. Il suo messaggio umano e poetico ha profonde radici nell’anima india, ma non nasce da un’intenzione bardica e celebrativa, esterna e, per così dire, paternalistica rispetto ai valori di un gruppo emarginato ed oppresso, bensì da un’originaria identità. Con Vallejo il lettore europeo si trova davanti a un linguaggio tanto inaudito e atipico quanto sommamente espressivo.

 

***

César Vallejo es uno de los poetas peruanos más reconocidos de todo el mundo, dada la impresionante innovación que supuso su obra para la poesía del siglo XX. Nació el 16 de marzo de 1892 en Santiago de Chuco y falleció en París a los 46 años.
Su poesía se caracteriza por presentar un lenguaje poético muy auténtico que, si bien se apoyó en sus comienzos (“Los heraldos negros“) en las bases del modernismo, poco a poco consiguió diferenciarse tanto que no tuvo punto de comparación (“Trilce“). Además cultivó la narrativa, ofreciendo obras como “Escalas” y “Paco Yunque“, uno de sus relatos más famosos.
Se considera que Vallejo es uno de los autores que supo anticipar el vanguardismo; su legado como artista implicó una renovación del lenguaje literario al que se unirían muchos poetas que le sucedieron, como Huidobro o Joyce.
La mirada de Vallejo siempre había estado puesta en el viejo mundo y cuando finalmente consiguió visitarlo se sintió tan cerca de todo lo que siempre había deseado que jamás deseó volver a su tierra natal. Estuvo en Francia, España y Rusia pero lamentablemente, a causa de trabajar excesivamente, falleció siendo aún muy joven. Como se lo había pedido su esposa, sus restos fueron enterrados en el Cementerio de Montparnasse.

***

César Vallejo, in un disegno di Pablo Picasso

César Vallejo, in un disegno di Pablo Picasso


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Elio Vittorini (1908-1966) – L’ambivalenza dell’animo favorisce, naturalmente, l’affermazione italiana del fascismo. È sempre tanto più facile lasciarsi prendere da una corrente che resistervi.

Vittorini 01 copia
Il garofano rosso

Il garofano rosso

Ha il fascino dei libri
della prima giovinezza,
quando il talento
è una specie di follia,
e vivere è come viaggiare
in incognito con se stessi …
Gianna Manzini

«Il principale valore documentario del libro è nel contributo che può dare a una storia dell’Italia sotto il fascismo e ad una caratterizzazi’bne dell’attrattiva che un movimento fascista in generale, attraverso malintesi spontanei o procurati, può esercitare sui giovani. In quest’ultimo senso il libro ha un valore documentario non solo per l’I talia.
Si parla dal ricordo d’infanzia che viene, nelle prime pagine, attribuito al ragazzo protagonista. “E. ricordo d’un desiderio, conosciuto nella primissima infanzia, di uccidere qualcuno. L’esistenza successiva del protagonista e l’educazione ricevuta non lo hanno eliminato, o lo hanno semplicemente represso. A sedici anni egli è ancora posseduto da una vaga impressione che, per affermare se stesso, “entrare nella vita degli adulti”, essere
riconosciuto uomo, occorra “forse” uccidere qualcuno o, comunque, versare sangue.
Tutti i ragazzi intorno a lui si comportano come se fossero, tutti, posseduti più o meno, e più o meno vagamente, dalla stessa impressione. C’è in loro, verso il mondo costituito) una diffidenza che li accomuna e un atteggiamento di rivolta non preciso ma costante per cui sono portati a credersi rivoluzionari e sono pronti a simpatizzare con qualunque movimento politico appaia loro rivoluzionario. Hanno sentito parlare di socialismo, hanno sentito parlare di comunismo, e vedono intanto il fascismo.
Sono i giorni del delitto Matteotti, e i tempi, in Sicila, del soldino. Il fascismo ha ucciso Matteotti: vale a dire ha ucciso, come ciascuno di essi ha l’impressione d’aver bisogno di fare, qualcuno. Agli occhi loro, che vedono gli altri partiti non uccidere, il fascismo è forza, e come forza è vita, e come vita è rivoluzionario. Ma hanno sentito parlare, ripeto, di socialismo, e di rivoluzioni comuniste per il socialismo. Ne sanno quanto basta per pensare che ogni mutamento rivoluzionario del mondo debba avvenire in senso socialista. Il mondo che loro vorrebbero è come s’immaginano che lo voglia il socialismo. Cosi le ragioni confessate per le quali aderiscono al fascismo e fanno chiasso dentro al fascismo derivano, nella maggioranza, dall’idea che il fascismo non possa non avere un contenuto socialista.
Ne nasce in loro, coi dubbi che pur conservano sulla possibilità di un tale contenuto nel fascismo, una condizione di ambivalenza. Essi sono disposti al socialismo e al fascismo nello stesso tempo. E l’ambivalenza del loro animo favorisce, naturalmente, l’affermazione italiana del fascismo. È sempre tanto più facile lasciarsi prendere da una corrente che resistervi.
Un ultimo avvertimento.
Lo stato d’animo giovanile rispetto al fascismo non è analizzato nel libro in modo da riflettere storicamente qual esso fu al sorgere della dittatura. Vi si combinano convinzioni che si erano formate, tra i giovani, più tardi, e illusioni molto comuni proprio negli anni in cui scrivevo il libro, il ’33 e il ’34. Anzi, i giudizi espliciti su fascismo e comunismo messi in bocca al ragazzo Tarquinio, l’amico più grande del ragazzo protagonista, sono tipici di quegli anni. Ricorrevano di continuo nella stampa dei G. U. F. e persino in qualche settimanale di Federazione. Doveva essere la posizione che prese la stampa ufficiale nei riguardi degli avvenimenti viennesi di febbraio ’34, a darci la prima smentita per noi efficace circa il nostro granchio».

Milano, dicembre 1947.

Elio Vittorini, Il garofano rosso, Mondadori, 1975, pp. 213-214.

Risvolto di copertina
Scritto negli anni trenta, ma pubblicato in volume solo nel dopoguerra a causa della censura fascista, questo romanzo di Elio Vittorini è un'opera corale: il conteso «garofano rosso», dono di una studentessa liceale a un compagno di scuola, interessa e coinvolge oltre all'autore-protagonista diversi gruppi di ragazzi furiosamente vitali. Erano gli anni 1920-24, i tempi del delitto Matteotti. In quel clima rovente, anche un garofano rosso all'occhiello, un ingenuo pegno d'amore, poteva apparire un simbolo sovversivo. I giovani erano posseduti allora da una diffidenza e da un bisogno di ribellione che li portava a simpatizzare con qualsiasi movimento rivoluzionario, con il presagio però che altre esigenze avrebbero finito per prevalere: come in politica, cosi nell'amicizia e anche in amore, la stessa incertezza dolorosa, la stessa rabbiosa necessità di «entrare nella vita degli adulti.

 

Immagine in evidenza:
Pablo Picasso, Natura morta con testa antica, part., 1925. Museo Nazionale di Arte Moderna, Parigi.

 

 


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