Un nuovo modo di pensare è necessario per attraversare il deserto antiumanistico in cui sta cadendo la nostra società e può venire compendiato in cinque assiomi

Henri Matisse, La danza II (1910), olio su tela, 260×391 cm, Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Lo sfacelo del sistema-scuola in Italia. Mediocrazia e autonomia scolastica. Difendere la scuola pubblica significa schierarsi filosoficamente e politicamente per la comunità, e far avanzare il pubblico contro le privatizzazioni. La razionalità irrazionale del capitalismo giunge fino ad inserire nel corpo vivo della comunità l’automatismo dell’uso, inducendo all’accecamento dei fini.


Salvatore Bravo

Lo sfacelo del sistema-scuola in Italia. Mediocrazia e autonomia scolastica.

Difendere la scuola pubblica significa schierarsi filosoficamente e politicamente per la comunità,
e far avanzare il pubblico contro le privatizzazioni.

La razionalità irrazionale del capitalismo giunge fino ad inserire nel corpo vivo della comunità
l’automatismo dell’uso, inducendo all’accecamento dei fini.

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Filosofia e metafisica critica

Vi sono autori trattati come “cani morti”, poiché le loro analisi permettono di svelare le contraddizioni cariche di potenzialità rivoluzionaria del proprio tempo storico. La filosofia è attività teoretica e politica mai conclusa. La riflessione sulla totalità storica in cui si è implicati consente di valutarne non solo la qualità, ma anche le contraddizioni ma anche i processi strutturali in atto. Filosofare è operazione metodologica e logica, è metodo d’indagine in quanto capacità di tessere assieme le parti ideologicamente separate dal potere, è logica in quanto il tessere le parti ideologicamente separate comporta la comprensione razionale del proprio tempo concettualizzato nella sua verità. L’ostilità e l’ostracismo colpiscono solo i veri filosofi, gli accademici e gli eruditi che si limitano alla specializzazione filosofica sono favorevolmente accolti dal potere, in quanto alla coscienza critica del proprio tempo hanno sostituito l’adattamento opportunistico e carrieristico. Massimo Bontempelli1 è stato filosofo del nostro tempo, attraverso le analisi sulla condizione della scuola dopo la caduta dell’Unione Sovietica pone in evidenza la decadenza dell’intero tessuto sociale privatizzato e saccheggiato dalle logiche privatistiche comuni alla destra e alla sinistra. L’annichilimento di un’istituzione non si può astrarre dal suo contesto storico. Massimo Bontempelli fu un pensatore hegelo-marxiano, la sua metodologia di indagine è stata concreta, ovvero metafisica nel senso alto della parola. La metafisica non è un trascendere oltre lo spazio e il tempo, ma un oltre che ricongiunge la complessità storica costituita da dati, istituzioni e modi di produzione. Per poter concettualizzare è necessario ricongiungere ciò che appare diviso per ricostruirlo nei suoi nessi storici e strutturali, sono in tal modo “l’oltre” si rivela nel “con” per dare senso alla totalità. Lo sfacelo del nostro tempo storico è comprensibile, se lo si riporta al disastro delle istituzioni pubbliche sotto la spinta del neoliberismo. L’analisi critica sulle patologie che ammorbano l’istituzione scolastica permette di capire il presente nella sua totalità, in quanto l’approccio di Massimo Bontempelli è olistico:

Lo sfacelo del sistema-scuola, dunque, è nello stesso tempo espressione e concausa dello sfacelo della nazione2”.

La privatizzazione del patrimonio pubblico ha comportato la privatizzazione della scuola pubblica, essa è formalmente pubblica, ma gestita secondo criteri aziendalistici e, specialmente, deve formare sudditi che perseguono la sola logica del profitto. Nel disastro della scuola è riflessa la controrivoluzione neoliberista che ipostatizza se stessa con l’eliminazione veloce di ogni residuo comunitario, pertanto la scuola, luogo dove si dovrebbero formare cittadini dallo spirito critico, è stata pesantemente travolta dal ciclo di controriforme che hanno interessato globalmente l’intero asse sociale:

È la storia del disastro sociale provocato dal grande ciclo delle privatizzazioni che tra il 1993 e il 1999 ha smantellato l’economia pubblica italiana. Le pressioni più forti ad avviare tale ciclo non sono state nazionali, ma estere, provenendo dalle nuove regole iperliberiste dell’Unione economica e monetaria europea nata da Maastricht nel 1992, e dalla grande finanza anglosassone, desiderosa di prendersi a buon mercato i pezzi più produttivi e profittevoli della nostra industria nazionale3”.

Per poter smantellare velocemente ogni resistenza la testa d’ariete che ha fatto “il lavoro sporco” è stata la sinistra parlamentare, la quale si è immediatamente venduta e adattata, dopo il 1989, per non perdere i privilegi acquisiti. In tal modo ha mostrato il nichilismo ideologico che ne ha eroso gradualmente le fondamenta. Senza idee e senza verità metafisiche ha puntato unicamente a conservare il potere, l’assenza di ideali e di progetti politici ha favorito la salita alla ribalta di personaggi mediocri.

 

Mediocrazia e autonomia scolastica

La mediocrità è l’espressione del nichilismo neoliberista: la realtà storica non è compresa nella sua complessità e nei suoi pericoli, si adattano ad essa ricette miracolose con cui sfuggire allo sfacelo che avanza. Sullo sfondo restano calcoli politici dalla gittata limitata ed irresponsabilità verso gli elettori e la nazione tutta. La mediocrità non ha progettualità, in politica è ripiegamento trasformistico verso la difesa di interessi personali o lobbistici, per cui non si ha la tempra morale e politica per porre un limite ai condizionamenti che provengono dall’esterno. In questo clima si introduce l’autonomia scolastica. Il nichilismo è svuotamento dei significati linguistici. La lingua smette di essere punto di contatto, in quanto le parole sono un mezzo per dominare e manipolare l’opinione pubblica. La parola autonomia è resa innocua e traviata, non più indipendenza dalla burocrazia e dall’economia, ma diviene il cavallo di Troia, il grande inganno con cui far entrare il neoliberismo a scuola e renderla dipendente dal mercato. La scuola quale istituzione principe della formazione si eclissa, è solo l’obbediente serva del mercato. Perde ogni specificità e senso per essere “azienda tra le aziende”:

Berlinguer, così, già nel 1997, disarticola il sistema nazionale della pubblica istruzione, assimilando i singoli istituti scolastici ad aziende che producono ciascuna una propria offerta formativa, ma credendo di compiere una riforma progressista nel nome della cosiddetta autonomia delle scuole. Autonomia è una parola seducente, che evoca una prassi democratica e una libertà da pastoie burocratiche. La realtà che si nasconde dietro quella parola è però il diminuito impegno dello Stato nel finanziare il sistema scuola, la consegna data ai singoli istituti scolastici, sia pure per un futuro non immediato, a cercarsi finanziamenti privati, e l’abbandono di ogni progetto educativo nazionale con contenuti culturali vincolanti per l’insegnamento nelle singole scuole, tutti elementi che discendono dal contesto storico e ideologico, proprio dell’epoca, di privatizzazione del pubblico”.

Lo scopo finale per lo Stato assimilato dalle potenze della finanza è abbandonare la scuola al suo destino, limitare i finanziamenti, renderla economicamente autonoma. La scuola deve reperire i fondi per la sua sussistenza, è parte della guerra perenne del mercato all’interno del quale l’unico scopo è reperire risorse. Il cittadino non è più tale è suddito del mercato: il docente deve adoperarsi per il marketing, il preside dev’essere un manager e in ultimo lo studente non è più persona che si apre al mondo conoscendosi nella concretezza della classe, ma è solo consumatore e produttore. Massimo Bontempelli è venuto a mancare nel 2011, non ha visto, ma ha profetizzato con lo sguardo della civetta la “Buona scuola” di Renzi e la lunga e inesorabile discesa e scomparsa dell’istituzione nel nichilismo del mercato.

 

Scuola e senso

Il filosofo e storico pisano evidenziava che la scuola non è il luogo dove si impara il lavoro, quest’ultimo si impara nei luoghi deputati a ciò, la scuola deve formare la persona alla vita comunitaria sviluppando senso critico e politico. La scuola formatrice di lavoratori sarà sempre in affanno nell’inseguire il mercato, è negata nella sua finalità ontologica e assiologica, e ciò non potrà che comportare la frustrazione di coloro che vi operano e un senso di impotenza depressiva che non può che contribuire a realizzare i processi di derealizzzazione. Non a caso il risultato di tale meccanismo posto in essere è il trionfo della mediocrità con cui il potere può saldamente conservarsi. Docenti attenti alla carriera, e non ai contenuti e all’educazione, e formule didattiche finalizzate a presentare il niente come innovazione hanno prodotto la ricetta della mediocrità. I peggiori nelle istituzioni sono diventati il “punto di riferimento”, l’insegnamento ha realizzato il nichilismo didattico: si tengono in ordine le carte, si valorizza la quantità burocratizzata. I contenuti disciplinari e i processi educativi con annessi ostacoli da superare con lo sviluppo del concetto sono declassati ad attività secondarie e moleste, in quanto non attraggono iscritti:

Formulari vuoti, e divoratori di tempo, si sostituiscono alla serietà dei contenuti dell’insegnamento, progetti parcellari interrompono la continuità dei percorsi disciplinari, la demenziale esaltazione della flessibilità organizzativa corrode forme di omogeneità indispensabili alla scuola, persino l’unità del gruppo-classe alle elementari. Scocca, in quegli anni, l’ora degli insegnanti mediocri, che sono finalmente legittimati a disinteressarsi alla loro preparazione culturale e di ogni vincolo di contenuto ai loro insegnamenti, e possono ritagliarsi un’immagine positiva indaffarandosi nel nulla di scartoffie, griglie, funzioni promozionali, formule valutative (come il demenziale giudizio tripartito su capacità conoscenze e competenze)4”.

L’analisi impietosa e senza infingimenti di Massimo Bontempelli non può limitarsi alla sola critica, ma deve intraprendere e inerpicarsi per il sentiero che porta all’uscita da tale condizione. Per poter ricostruire il senso della formazione bisogna prendere atto che la scuola ha la sua genesi all’interno della formazione dello Stato-nazione. Solo una nuova consapevolezza nazionale e comunitaria senza nazionalismo può indurre la comunità a prendere consapevolezza che la scuola svuotata di ogni senso e umanità corrisponde all’annichilimento della cultura nazionale. Senza cultura nazionale non vi è progetto politico, ma dipendenza linguistica, politica ed economica dalle forze capitalistiche globali:

Non si può dunque ricomporre un sistema-scuola, contrastando l’analfabetismo culturale, e l’impoverimento mentale di massa diffusi dal suo sfacelo, senza ricomporre uno Stato-nazione, finalità generali ben distinte dagli interessi particolari, funzioni pubbliche ben distinte dalle attività private. Solo una tale dimensione statale, infatti, ha bisogno di una cultura della cittadinanza e di una scuola che la promuova, mentre una società di mercato ha bisogno di ottusità consumistica, non di scuola5”.

 

Capitalismo reale

La scuola non è un’agenzia lavorativa, non si può assegnare alla scuola tale compito che spetta allo Stato come la Costituzione recita. La scuola forma persone e non lavoratori, l’istituzione scolastica è prassi di umanesimo integrale. La comunità è viva e sana se riconquista politicamente il “senso metafisico” delle istituzioni. Il capitalismo reale, parafrasando la definizione di comunismo reale utilizzata per denigrare i paesi al di là del muro, nella sua verità storica è forza assimilatrice e intrinsecamente nichilista, nega la natura umana che si materializza nelle istituzioni. La propaganda del “capitalismo reale” struttura il consenso su temi a cui i popoli sono naturalmente sensibili come il lavoro per far deflagrare le istituzioni che dovrebbero formare alla cittadinanza critica. L’utile e il lavoro divengono grimaldelli per attaccare frontalmente le istituzioni formative, le quali se formano non producono, pertanto sono inutili e non preparano all’attività lavorativa:

La soluzione del problema drammatico della mancanza di lavoro (e soprattutto dei diritti del lavoro riconosciuti dalla nostra Costituzione) è compito di un esteso intervento statale nell’economia, da ricostituire secondo il dettato costituzionale e in nome dell’integrità della nazione, e non rientra nella possibilità della scuola6”.

Dinanzi ad un capitalismo incapace di autocorreggere i suoi postulati i resistenti devono palesare le contraddizioni del “capitalismo reale” e difendere le culture nazionali dalla globalizzazione del mercato. Difendere la comunità e la pratica del pubblico è possibile mediante la graduale processualità che deve condurre l’individuo a partecipare attivamente alla vita dello Stato, tale passaggio non può realizzarsi con “la furia del dileguare”, per cui la scuola è uno dei luoghi etici dove coltivare il concetto e la pratica comunitaria.

 

Ontologia in costruzione

Difendere la scuola pubblica significa schierarsi politicamente e filosoficamente per la comunità, e far avanzare il pubblico contro le privatizzazioni e la sussunzione. Massimo Bontempelli rileva che coloro che affermano ripetendo quanto ossessivamente si dichiara nei media di regime che il pubblico è inefficiente “approfittano” della cultura dell’astratto. In un contesto governato dalla violenza dei soli interessi privati, in cui il pubblico è additato quale causa del debito pubblico è inevitabile l’inefficienza del pubblico. In realtà si occulta con tale manovra la corruzione e l’alienazione che producono le attività private. Per rendere il reale razionale bisogna riportare l’astratto nella storia, diviene non rimandabile una cultura storica, non come vuota erudizione, ma come capacità filosofica di relazionare i dati e gli eventi per astrarre il concetto. In tal modo l’attività critica non può che condurre alla consapevolezza e alla prassi. La lingua e la storia umanizzano l’essere umano, sono veicolo di senso, sono ontologia in costruzione:

C’è poi un’altra area di scuole, prevalentemente insediate in zone socialmente più fortunate e costituite per lo più, ma non solo, da licei classici e scientifici, in cui gli allievi sono sufficientemente scolarizzati. In quest’area l’asse culturale dell’insegnamento dovrebbe essere di tipo storico, per almeno tre motivi. In primo luogo la formazione di una consapevolezza storica è oggi indispensabile per il semplice fatto che le menti sono state totalmente destoricizzate7.

La storia svela la verità dei processi di naturalizzazione del presente e dei paradigmi sociali, e specialmente ci offre la possibilità di raffrontare modelli sociali ed economici con cui capire il presente ed elaborare percorsi di emancipazione:

Per poter pensare al cambiamento non di questa o quella cosa particolare, ma di un cosmo sociale, occorre infatti che esso non sia naturalizzato dalla nostra mente, ma sia relativizzato sulla scala del tempo. La storia è la grande tastiera di comparazione attraverso la quale un cosmo sociale viene relativizzato dal confronto con altri cosmi sociali di altri tempi e di altri luoghi. Chi conosce la storia delle pòleis greche può comparare il dominio dell’economia sulla politica del nostro tempo con il dominio della politica sull’economia nel tempo greco, e quindi relativizzarlo e pensarlo di conseguenza modificabile8”.

In un momento oscuro della nostro tempo la lettura di autori che fortemente hanno pensato il nostro presente è attività non antiquaria ma plastica con la quale far lievitare la consapevolezza critica, la quale è impegno e responsabilità nel presente. Il concreto è lo storicizzarsi, per capire il reale storico contro «l’esclusione assoluta di ogni problema di realtà» come György Lukács sentenziava nell’Ontologia dell’essere sociale. Ad una tale nichilistica esclusione bisogna opporre la razionalità metafisica dell’impegno quotidiano (che può iniziare con la lettura di autori e filosofi autenticamente veritativi). Massimo Bontempelli ha tematizzato la razionalità irrazionale del nostro tempo e la tecnica che trionfa con la rimozione dei fini dall’orizzonte umano. La razionalità irrazionale del capitalismo giunge fino ad inserire nel corpo vivo della comunità l’automatismo dell’uso, inducendo all’accecamento dei fini così da far volgere lo sguardo (naturalizzato) unicamente ai profitti. La tecnica diviene, in tal modo, “arte nichilistica del profitto”, e la scuola l’istituzione che forma all’automatismo ideologico. È in tale dramma della contemporaneità che Massimo Bontempelli ha pensato con le categorie hegelo-marxiane l’urgenza della metafisica:

«Una razionalità irrazionale non è affatto, come potrebbe sembrare, una contraddizione in termini. Si tratta, invece, di un modello di razionalità, che possiede, cioè, caratterizzazioni proprie della ragione (precisione, rigore, calcolabilità, prevedibilità, efficacia), ma che non ha scopi, e che perciò include tutte quelle caratterizzazioni in un orizzonte di irrazionalità. Nell’universo tecnico la razionalità non può che non avere scopi, ed essere perciò irrazionale, in quanto la tecnica appartiene per definizione alla sfera dei mezzi, non degli scopi. Finché dunque la tecnica è subordinata ad altre istanze sociali, essa è ancora compatibile con una razionalità connessa a scopi. Ma in un universo tecnico lo scopo è lo stesso apparato scientifico-tecnologico, cioè un mezzo senza alcun intrinseco scopo che non sia la sua natura di mezzo. Inoltre il nostro universo è anche un universo di merci, e la circolazione delle merci ha come scopo l’accrescimento senza limite del denaro [e ciò, si è visto, riveste una decisiva importanza al fine di definire la specifica fisionomia storicamente acquisita dallo stesso sviluppo tecnico], che è un altro mezzo (il denaro) senza alcun altro intrinseco scopo che non sia la sua natura di mezzo».9

Nella scuola, come nell’intera società, agiscono forze che vorrebbero mercificarla e che, specialmente, vorrebbero deformare la natura umana. Il compito che ci spetta è quello di denunciare le contraddizioni e le manipolazioni mercificanti. Occorre dunque promuovere una educazione capace di rimettere al centro i fini e, dunque, la metafisica con la quale riportare la razionalità olistica e assiologica dove oggi regna la sola razionalità strumentale (in quanto tale irrazionale).

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Note

1 Massimo Bontempelli (Pisa, 26 gennaio1946– Pisa, 31 luglio 2011) è stato uno storico, filosofo, saggista e insegnante italiano, autore del saggio L’agonia della scuola italiana, Petite Plaisance, Pistoia 2000.

2 Fabio Bentivoglio, Massimo Bontempelli, Storia di uno sfascio epocale, 2009 in Dossier Scuola, pag. 20

3 Ibidem,  pag. 20.

4 Ibidem,  pag. 23.

5 Ibidem,  pag. 25.

6 Ibidem,  pag. 28.

7 Ibidem,  pag. 30.

8 Ibidem,  pag. 31.

9 Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, Petite Plaisance, pag. 123



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Natoli – La tecnologia non solo manca gli obiettivi, ma dà luogo a controfinalità e ad effetti perversi. Il progresso tecnico si presenta carico di ambiguità e di pericoli. L’etica del finito nell’età della tecnica significa comprendersi a partire dalla propria finitudine. Un possibile modello: una vita lunga, non una vita eterna. In una parola, una vita buona.

Salvatore Natoli - I nuovi pagani

«Etica del finito significa comprendersi a partire dalla propria finitudine. Anche il cristianesimo postula un’etica del finito, ma, a differenza del paganesimo, per il cristianesimo l’uomo è finito perché è creato, mentre per il paganesimo l’uomo è finito perché è mortale. […] Per il paganesimo tutto ciò che nasce è destinato a perire, ma il fatto che tutto perisca non vuol dire che non sia degno di vivere. […] Ora, nella fine della cristianità, il paganesimo riaffiora come un possibile modello: una vita lunga, non una vita eterna. In una parola, una vita buona. Un’etica del finito nell’età della tecnica. […]

L’uomo contemporaneo non può ipotizzare per sé soluzioni utili che non siano tecnologiche e nel contempo la tecnologia non solo manca gli obiettivi, ma dà luogo a controfinalità e ad effetti perversi. In tal caso proprio ciò che offre sicurezza genera rischio e quel che dovrebbe rasserenare inquieta. In questo quadro, il progresso tecnico non è più configurabile secondo uno schema di crescita illimitata e continua, ma si presenta carico di ambiguità e di pericoli. Mai l’uomo in tutta la sua storia si era trovato di fronte a una possibilità così ampia di scelte, e nel contempo così piena di rischi».

Salvatore Natoli, Diagnosi e confutazione del nichilismo [1989], in I nuovi pagani. Neopaganesimo: una nuova etica per forzare le inerzie del tempo, il Saggiatore, Milano 1995, pp. 8-16 e p. 95.


Salvatore Natoli – Se il coraggio allude ad un’arditezza che oltrepassa ogni timore, senza perciò divenire temerarietà, il reggere nella sofferenza allude alla capacità di tenere oltre ogni dolore, senza decadere al livello della semplice sopravvivenza. Qui la dignità e la misura
Salvatore Natoli – Il perseverare esige l’essere forte ma nel senso del mantenersi saldo, di durare nel tempo. La perseveranza coincide con la continuità nel bene soprattutto a fronte, contro e in mezzo alle difficoltà. È uno stabile e perpetuo permanere nel bene.
Salvatore Natoli – Le parole, prima ancora di pronunciarle, bisognerebbe ascoltarle, ci sono state donate. La sapienza delle parole ha preceduto la filosofia.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Günter Anders (1902-1992) – Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi come i soggetti della storia. Ci siamo detronizzati e al nostro posto abbiamo collocato un solo altro soggetto della storia: la tecnica. Cambiare il mondo non basta. Nostro compito è anche interpretarlo.

Günter Anders 07

«Abbiamo rinunciato (o ci siamo lasciati costringere a questa rinuncia) a considerare noi stessi (o le nazioni o le classi o l’umanità) come i soggetti della storia; ci siamo detronizzati (o lasciati detronizzare) e al nostro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia, anzi un solo altro soggetto: la tecnica, la cui storia non è, come quella dell’arte o della musica, una fra le altre, bensì la storia, o perlomeno è diventata la storia nel corso del più recente sviluppo storico; il che trova terribile conferma nel fatto che dal suo corso e dal suo impiego dipende l’essere o il non-essere dell’umanità» (p. 258).

«Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo cambiamento awiene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche interpretarlo. E ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinché il mondo non continui a cambiare senza di noi. E alla fine, non si cambi in un mondo senza di noi» (p. 1).

Günter Anders, L’uomo è antiquato, voI. II: Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 1992.


Günter Anders (1902-1992) – L’Apprendista stregone è invidiabile perché fa ancora il tentativo di fermare ciò che ha provocato o che è sul punto di provocare. Oggi viviamo in una foresta di manici di scopa che diventa sempre più fitta
Günter Anders (1902-1992) – Il conformista ottimale non è solo conformista, ma anche “congruista”. Costui si assimila ai contenuti che gli sono forniti, e rende il contenuto della sua vita psichica coincidente con tali contenuti. Nella società conformistica la mancanza di pudore passa per franchezza, dunque per virtù, e questa virtù per un attestato di lealtà.
Günter Anders (1902-1992) – La metamorfosi dell’«Apprendista stregone». Oggi viviamo in una foresta di manici di scopa che diventa sempre più fitta.
Günter Anders (1902-1992) – L’odio è sì negazione dell’altro, ma è anche l’autoaffermazione e l’autocostituzione attraverso la negazione e l’eliminazione dell’altro.

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Alberto Meschiari – Il disincanto di Weber aveva ceduto alla tecnica. Ma oggi ha preso la forma della mercificazione di ogni esistente. La razionalità neoliberista ha spinto sempre più verso un progressivo processo di desolidarizzazione.

Alberto Meschiari 02

«Il disincantamento di cui parlava Max Weber all’inizio del Novecento si riferisce a un mondo in cui la magia premodema ha ceduto il posto alla tecnica. Ma oggi il disincanto ha preso la forma della mercificazione di ogni esistente, esseri umani compresi, natura compresa, perché ridotti a cose, strumenti e non fini. Negli ultimi decenni la razionalità neoliberista ha spinto sempre più verso un progressivo processo di desolidarizzazione. Le dinamiche che vigono in economia hanno finito per invadere e determinare anche la sfera privata e relazionale, portando a considerare se stessi, gli altri e la natura in un’ottica strumentale, di prestazioni e guadagno. Il Sé, l’altro e la natura sono stati ridotti a cose manipolabili per i fini del mercato. Questo significa oggi disincanto».

Alberto Meschiari, Il magico mondo dei libri. Perché un libro non solo un testo a stampa. Strategie del reincanto, Edizioni Tassinari, Firenze 2017, p. 163.

Paracadutista, alpinista, navigatore e fotografo, Alberto Meschiari è stato per trentacinque anni ricercatore di Filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha studiato la filosofia tedesca a Berlino prima della caduta del muro. Si è occupato di storia della filosofia, filosofia del linguaggio, filosofia morale, storia della scienza e narrativa, pubblicando una quarantina di volumi. È autore, fra l’altro, della proposta di un’etica del reincanto e di cinque strategie del reincanto per riprendersi la vita. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: Psicologia delle forme simboliche (Le Lettere, 1999), Sul dialogo (Il Campano, 2008), Il libriccino del silenzio (Tassinari, 2012), Microscopi. Amici nella ricerca scientifica (Fondazione Giorgio Ronchi, 2014), Filosofia del camminare (Tassinari, 2014), La luna d’autunno (Tassinari, 2015), L’arte di amare (Tassinari, 2016) e A che servono i poeti? (Tassinari, 2018).

Marino Gentile (1906-1991) – Umanesimo e tecnica. Tutto ritorna all’uomo. L’umanesimo non è un’epoca storica, ma una concezione generale dell’uomo, presente in tutte le epoche.

Marino Gentile 002

308 ISBNMarino Gentile

Umanesimo e tecnica

Tutto ritorna all’uomo

Introduzione di Mario Quaranta

indicepresentazioneautoresintesi

 

Nell’opera Umanesimo e tecnica (1943) Marino Gentile espone la sua concezione dell’umanesimo che, rispetto a molte altre e diverse interpretazioni, è transpolitica, ossia non è cultural-politica, o sociologica, o psicologica, ma filosofica. Egli sostiene che l’umanesimo non è circoscrivibile a una determinata epoca storica, ma è «una concezione totale dell’uomo e della vita», presente in tutte le epoche. Ma anche la tecnica è «una concezione speculativa e dottrinale» al pari dell’umanesimo: da ciò la necessità di affrontare questo «duello gigantesco fra due concezioni della realtà» contrapposte, mettendo in campo tutte le ragioni dottrinali per evidenziare la superiorità dell’umanesimo tradizionale e perenne che si perfeziona nell’incontro con l’esperienza cristiana, che più compiutamente soddisfa le esigenze originarie dell’umanesimo. Un altro aspetto fondamentale dell’analisi di Gentile è l’affermazione di una continuità fra la cultura greca e quella romana, dichiarata esplicitamente da Aulo Gellio (II sec. d.C.) in Notti Attiche, in cui equipara l’humanitas romana alla paideia greca; c’è uno stretto nesso tra umanesimo e latinità; soltanto Roma «ha fatto concretamente della cultura ellenica il principio dell’educazione civile di tutto il mondo».


267 ISBN

Marino Gentile

Come si pone il problema metafisico

Introduzione di Carmelo Vigna

indicepresentazioneautoresintesi

«Nel dare inizio a un corso di lezioni sul tema: come si pone il problema metafisico, è necessario anzitutto rammentare e riconoscere l’ampiezza delle ostilità e delle perplessità che suscita, nella cultura filosofica e non filosofica contemporanea, il nome stesso della metafisica».

Marino Gentile


coperta 99

Marino Gentile

La metafisica presofistica

in Appendice:
Il valore classico della metafisica antica

Introduzione di Enrico Berti
indicepresentazioneautoresintesi

 

«Quest’opera è un esempio perfettamente riuscito di confluenza tra impegno storiografico, di valore ineccepibile, e impegno teoretico, ovvero filosofico, di grande respiro. Essa perciò
costituisce il modello di un modo di fare storia della filosofia e filosofia teoretica insieme, che restò poi a caratterizzare altri lavori storici di Marino Gentile, in cui nessuna delle due discipline è sacrificata all’altra […] ma ciascuna valorizza l’altra. […] La maniera del tutto particolare, e innovatrice, di intendere la metafisica classica da parte di Marino Gentile, rappresenta la gloria maggiore del maestro, quella per cui vale ancora la pena dichiararsi con orgoglio suoi allievi».

ENRICO BERTI


Marino Gentile (1906-1991) – L’umanesimo si attua come paideia
Marino Gentile (1906-1991) – È necessario anzitutto rammentare e riconoscere l’ampiezza delle ostilità e delle perplessità che suscita, nella cultura filosofica e non filosofica contemporanea, il nome stesso della metafisica.

 

 


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