Salvatore Bravo – Trasgressione, Filosofia, Vita. Essere felicemente inadeguati al conformismo del politicamente corretto, facendo della vita che ci accomuna un’opera d’arte filosofica

Salvatore Bravo

Trasgressione, Filosofia, Vita

Essere felicemente inadeguati al conformismo del politicamente corretto,

facendo della vita che ci accomuna un’opera d’arte filosofica

 

La filosofia, per sua struttura epistemica ed etica, è trasgressiva. Essa sovente disorienta, in quanto pone in discussione dogmi e verità sclerotizzate che alla luce del logos si svelano “ideologiche”. In ogni tempo è in tensione feconda con le strutture di dominio e, dunque, con l’egemonia di classe che determina linguaggi e visioni della realtà. Filosofare è anche arte politica ed è impegno etico. Ma nel nostro tempo storico – dominato dal monologo culturale fondamentalmente narcisistico –, la filosofia è oggetto di una precisa operazione ideologica finalizzata a renderla irrilevante: per i potentati può e deve essere soltanto mero onanistico compiacimento della propria servile attività, deprivata programmaticamente di ogni possibilità – dialogica e comunitaria – di flusso vitale. Innumerevoli sono i festival della filosofia e gli interventi nei media da parte di cultori, di studiosi, di specialisti di “materia” filosofica, ma lo scopo è sempre il medesimo: rendere la filosofia impotente. Nel migliore dei casi essa è presentata come la disciplina che pone sì domande, ma solo in un circolo di infinite problematizzazioni che non approdano mai alla verità. Disciplina, dunque, che rafforza e affina soltanto le capacità retoriche. Insomma, essa prepara agli artifici linguistici con cui si conquistano posizioni nel mercato del lavoro, nel mercato delle merci e nel migliore posizionamento possibile in una carriera fondata esclusivamente sul merito postulato dai centri di potere. Fin quando la filosofia sarà soltanto ossequioso ospite nei salotti “bene” e sarà soltanto chiacchiera “colta” per signori e signore annoiati, al più potrà essere usata per consolidare le capacità linguistiche dei futuri venditori delle merci globalizzate. Sarà alienata, quindi, da un sistema economico e sociale che ha nella reificazione la sua forza perversa.

In questa cornice di violenza organizzata occorre preparare, nel presente, la critica radicale della autentica filosofia, quale premessa per disegnare e progettare una nuova realtà politica conforme alla natura sociale e comunitaria dell’essere umano. Il dominio avanza, ma il suo potere non è mai totale, poiché vi sono uomini e donne che resistono e pensano il presente storico. Concettualizzare il tempo storico è gesto linguistico con cui si denuncia l’innaturalità del capitalismo e si tenta di aprire brecce verso il futuro. Luca Grecchi è filosofo del nostro tempo, felicemente inadeguato al conformismo del politicamente corretto. Leggere le sue opere significa sospendere le grammatiche conservatrici del capitalismo per riorientarsi verso la verità. La filosofia da salotto può anche formalmente esaltare il filosofare, ma nella sostanza nega alla verità il suo cammino veritativo, proprio benedicendo il politeismo delle opinioni senza fondamento comune. Senza verità nessuna progettualità è possibile. Riportare la filosofia al suo senso profondo non può che condurre ad affermare che la filosofia non è un inutile girovagare di parole: essa si pone di fronte ai problemi per poter cercare le risposte. Se il capitalismo – oltre che le domande – cerca di neutralizzare le risposte che tentano di immaginare modalità di vita diverse da quelle attuali, Luca Grecchi invece pone di nuovo al centro del filosofare le risposte veritative che ne possono scaturire come momento dialettico senza il quale il problematizzare domandante si dissolve nel pulviscolo desertificante del niente:

 

«Col passare degli anni il desiderio di un sapere vero e buono continua in effetti, nel philosophos, a rimanere il fine della propria esistenza, la quale consiste sempre in una ricerca fatta per trovare, ossia per raggiungere un risultato utile per sé e per gli altri».[1]

 

Filosofia e verità

La filosofia non è una eterna ideale aspirazione alla verità, essa è un ricercare per trovare. Nessun filosofo, certo, possiede completamente la verità assoluta, ma proprio il suo lungo e paziente ricercare è approdo alla verità. Egli partecipa in modo comunitario alla definizione della verità. La filosofia che pone problemi ma non dà risposte è coccolata, in quanto è rassicurante. Luca Grecchi ha deviato da tale infruttuoso percorso. Rappresentare la filosofia come una eterna ricerca senza risultato è un abile modo per disinnescarne il potenziale rivoluzionario e gestaltico:

 

«Nella sua opera, Platone afferma più volte che gli anthropoi non possono divenire compiutamente sophoi, in quanto, pur desiderando assimilarsi al divino, per i loro limiti naturali non possono riuscirvi. Malgrado questo, l’anthropine sophia, per quanto non totale, comprende contenuti importanti di verità. […] La sophia ricercata dalla philosophia, infatti, è per Platone questione di gradi, sicchè può, in parte piccola o grande, essere posseduta da tutti, nonché continuamente incrementata».[2]

 

La verità non può che comportare la definizione di “bene”. La filosofia da festival non osa pronunciare ad alta voce la parola “bene”, e men che meno l’espressione “bene comune”, la quale è il più delle volte consegnata alla cultura della cancellazione. Il capitalismo ha convertito il contenuto umanistico di “bene” in calcolo degli interessi privati, e oscurando il “bene” si oscura la “verità”: così più facilmente costoro possono sottrarsi ed eludere il compito e l’impegno derivanti dalla valutazione etica. Con tale procedura ideologica il “bene” è parola misconosciuta dai padroni del discorso. Solo riportando il “bene” al centro del filosofare la filosofia potrà scorrere nell’alveo fecondo del suo corso:

 

«Quando l’episteme caratterizza la philosophia, essa viene a costituire un sapere che comprende, oltre a contenuti ontologici essenziali per la conoscenza del vero, anche contenuti assiologici essenziali per la realizzazione del bene».[3]

 

Il filosofare autentico non è un astratto vagheggiare (non pochi presentano così la filosofia), ma è ricerca inesausta della verità da parte dell’uomo nella sua storia di essere umano che si umanizza. L’arma della calunnia fu usata contro Socrate: oggi è utilizzata contro la struttura veritativa della filosofia. Il sistema le permette di sopravvivere ma solo come esoscheletro spettrale di se stessa, mutila della sua essenza umana e della sua reale finalità. A tal scopo i filosofi sono presentati con l’espressione – usata come denigrante –  di “metafisici”, cioè alla ricerca di impossibili verità astratte che non conducono a nulla. La verità non sarebbe da ricercare, perché non c’è. Si usa la stessa filosofia per dimostrare che l’oggetto della sua ricerca (la verità) è solo una chimera del passato. Luca Grecchi, invece, dimostra e smaschera la falsità di tale postura ideologica.

Sì, la filosofia ricerca la verità, ma ha ben presente che l’essere umano deve soddisfare in primis i bisogni primari, i quali però non gli sono sufficienti per essere “umano”; ecco dunque che deve ricercare la verità della totalità in cui è implicato per potersi umanizzare. La verità, poi, non è un possesso, ma una prassi che rende l’esistenza individuale e comunitaria qualitativamente migliore. Quantità e qualità sono, di conseguenza, in felice connubio:

 

«Dopo aver soddisfatto le necessità materiali della vita, il bisogno di philosophia, per un ente razionale-morale come l’anthropos, che necessita di attribuire un senso ed un valore alla realtà, costituisce appunto l’attività primaria, ossia la più utile. Essa soltanto consente, infatti, di condurre nella maniera migliore la vita, realizzando la sua essenza nel modo più eccellente verso il fine naturale della verità. Per questo la sophia, per Aristotele, deve non solo essere posseduta, ma compiutamente utilizzata. È il fine del raggiungimento in atto della sophia, del resto, a muovere la potenza insita nel philosophein».[4]

 

Filosofia dell’educazione

Il “bene” è pratica, per cui la filosofia è pratica paideutica. Essa insegna il difficile cammino dell’umanizzazione. Il “bene” è prassi sociale ponendo in essere l’eccellenza dell’essere umano: l’indole comunitaria e sociale. Ma senza una adeguata paideutica delle emozioni e dei bisogni la finalità universale è profondamente imperfetta. La filosofia, sin dalle origini, insegna a contenere le spinte irrazionali e crematistiche mediante la chiarezza della verità e del bene, che devono essere testimoniati e vissuti, affinchè portino all’armonia interiore e sociale. Da ciò deduciamo la motivazione dell’avversione del capitalismo alla filosofia. Il capitalismo, per sopravvivere, esige il disordine delle emozioni e l’oblio del logos, quale razionalità etica capace di disciplinare le emozioni e di favorire le buone relazioni comunitarie nel segno del discernimento tra “essenziale ed inessenziale”:

 

«La philosophia, disciplinando le emozioni, risulta utile per orientarsi fra i problemi più rilevanti conducendo verso le soluzioni migliori, svolgendo in tal modo un compito fondamentale per l’essere umano».[5]

 

La filosofia delle Accademie universitarie insegue e si adatta al mondo, frammentandosi così in formalistiche iperspecializzazioni incapaci di cogliere l’approccio olistico che la connota. La filosofia è sapere teoretico concreto. Educa a ricomporre le parcellizzazioni che hanno smarrito il profondo sguardo con cui “mirare” la realtà. Teoria e prassi sono un corpo unico e vivente in perenne osmosi:

 

«La mera conoscenza pratica infatti, per lo Stagirita, non può sostituire la philosophia, che in tutte le sue parti si presenta come una episteme, ossia anche come un sapere teoretico. Per deliberare bene sul piano politico è in effetti necessario un orientemento filosofico, che nemmeno phronimos può trascurare completamente».[6]

 

La filosofia non è, dunque, un vuoto chiacchiericcio: essa ha un carattere epistemico ben saldo e chiaro. La filosofia è ricerca veritativa dell’intero, valutazione assiologica e metodo dialettico. Filosofare è ragionare per martellare la qualità veritativa delle “proposizioni”. La dialettica non è un mero parlare, è la struttura metodologica con la quale si approda alla verità e alla valutazione etica dell’intero:

 

«In base, infatti, a quanto finora argomentato, essendo la philosophia una ricerca dialettica della verità dell’intero avente come fine la buona vita degli esseri umani, tali elementi strutturalmente intrecciati, dunque separabili solo per esigenze didattiche – risultano essere: a) l’orizzonte veritativo dell’intero; b) la finalizzazione della buona vita; c) il metodo dialettico».[7]

 

Filosofia, scienza e religione

La filosofia si differenzia dalla religione, in quanto è sapere veritativo fondato a livello dialettico e argomentativo, ma anche dalla scienza, poiché quest’ultima si astiene dalla valutazione etica, si limita a descrivere i fenomeni e a matematizzarli. L’economicismo scientista è il vero nemico della filosofia. Lo scientismo asservito all’economia e agli affari è una forma di riduzionismo gnoseologico che struttura trasversalmente l’Occidente. Esso è ateo, in quanto rimuove volutamente la verità, in modo da proliferare e depredare l’umanità e l’ambiente:

 

«Come insegnano sia Platone che Aristotele, la prima operazione da compiere, per la definizione di philosophia, è, esattamente come per gli altri enti, la differenziazione della medesima dalle altre “specie” del “genere” comune, ossia del sapere. Erano in effetti presenti già in epoca presocratica molteplici forme di sapere simili alla filosofia, quali in primo luogo, come detto, le religioni e le scienze definite da alcune differenze specifiche. Le religioni, infatti, a differenza della philosophia, non sono caratterizzate né da un approccio veritativo, né da un metodo dialettico […], così come le scienze non sono caratterizzate né da un approccio interale, né da una finalizzazione valoriale […]».[8]

 

La filosofia è “sapere di non sapere”. Il capitalismo estrapola con il consenso del mondo accademico talune frasi e le trasforma in Totem con cui manipola il fine della filosofia. Nella logica “stile baci perugina” Socrate è un eterno ricercatore di verità, è condannato ad un’esistenza accostabile al mito di Sisifo: un lavoro continuo ma senza soddisfazione alcuna. La filosofia, come detto, è invece pacata e razionale soddisfazione del bisogno di verità in una cornice amicale nella quale chi è sconfitto ha fatto un passo in avanti verso la verità:

 

«Il clima dialogico-amicale, unito alle note affermazioni del Socrate storico di “sapere di non sapere” – o meglio, di sapere di non sapere tutta la verità in maniera assoluta, rimanendo dunque sempre aperto alla possibilità della confutazione –, ha dato tuttavia luogo ad alcuni equivoci ermeneutici sul suo pensiero. Frequenti sono tuttora, infatti, gli studiosi che interpretano Socrate come un mero fautore del dialogo, come se fosse impossibile, alla philosophia, trovare il sapere (la sophia), ma fosse possibile solo cercarlo, per amore del medesimo (la philia, appunto)».[9]

 

L’essere umano è comunitario e veritativo per sua natura, ricerca il senso della sua esistenza nella totalità della comunità. Universale e particolare sono inscindibili:

 

«L’essere umano è in effetti, per il prevalente pensiero greco, un ente che si realizza in maniera compiuta cercando di conoscere con verità e di agire bene. Per questo necessita della philosophia per la realizzazione della propria umanità. Nessun altro sapere, infatti, oltre la philosophia, si occupa della verità e del bene».[10]

 

La prassi del bene-verità

Per uscire dal politicamente corretto dobbiamo riconquistare il sapere filosofico e sulle orme dei filosofi dobbiamo reimparare a valutare la totalità sociale nella quale possiamo fiorire o sfiorire. La valutazione è responsabilità politica, in quanto invoca la partecipazione a migliorare qualitativamente la totalità. La filosofia, dunque, è impegno nella comunità e deserta i salotti:

 

«Per lo Stagirita, infatti, per quanto concerne la realtà umana, non basta descrivere le cose per come effettualmente si sono svolte, al fine appunto di conformarsi alla physis dell’essere umano. Si tratta peraltro di un compito in certo senso naturale, dato che per natura quelle modalità, se non impedite tendono a realizzarsi in quanto “le cose vere e giuste sono più forti delle loro contrarie”. Nella considerazione dello Stagirita, infatti non vi è mai opposizione, bensì complementarietà fra fatti e valori, così come fra teoria e prassi, le quali vengono quasi sempre analizzate in connessione. Aristotele parla per questo anche di una “verità pratica”, che si dà quando un ragionamento vero ispira, appunto, una scelta buona».[11]

 

Dobbiamo ricercare i motivi per ricominciare a leggere filosofi ed autori che hanno trasgredito il linguaggio dell’impero e che non usano tale prospettiva come uno strumento di affermazione personale, ma per sollevare domande vissute che “osano dare risposte”. Nel nostro tempo tutto è possibile, tranne essere autenticamente umani con i limiti e le contraddizioni che queste comportano, per cui riprendiamoci la nostra umanità-verità che il sistema ci nega con la sua hybris nichilistica.

La risposta al dramma etico in cui ci troviamo ad essere, Luca Grecchi l’ha elaborata con la Metafisica umanistica. L’essere umano è l’assoluto che pone la storia, ma quest’ultima ritrova il suo senso nella prassi finalizzata al bene e alla verità. Dobbiamo riprenderci la storia che il capitale vuole curvare ai suoi interessi mediante una progressiva opera di cancellazione di essa:

 

«Il fatto che l’Uomo costituisca un Assoluto solo secundum quid, non un Assoluto simpliciter, non deve far dubitare del suo ruolo di Fondamento. L’Uomo non è l’Assoluto simpliciter, dunque non è il Principio, semplicemente in quanto la sua esistenza è sottoposta sul piano fisico ad alcune condizioni, che sono appunto quelle del Principio. Ciò nonostante, l’Uomo è il suo Fondamento sul piano metafisico, poiché è, come ormai più volte ricordato, il solo ente in grado di conferire significato trascendentale alla Realtà».[12]

 

L’Umanesimo filosofico riconduce la storia al suo fondamento, l’essere umano, il capitalismo, invece, pone al centro la merce e il dispositivo tecnocratico. La storia è il luogo e lo spazio dell’impossibile, ma affinchè l’impossibile possa realizzarsi l’essere umano deve riprendersi la storia con la prassi del pensiero.

Salvatore Bravo

 

[1] Luca Grecchi, Il concetto di philosophia dalle origini ad Aristotele, Scholé, Morcelliana, Brescia 2023, p. 30.

[2] Ibidem, p. 89.

[3] Ibidem, p. 106.

[4] Ibidem, p. 184.

[5] Ibidem, p. 191.

[6] Ibidem, p. 223.

[7] Ibidem, p. 35.

[8] Ibidem, p. 82.

[9] Luca Grecchi, Verità, Unicopoli, Milano 2023, p. 103.

[10] Ibidem, p. 23.

[11] Ibidem, pp. 212-213.

[12] Luca Grecchi, Metafisica umanistica, petite plaisance, Pistoia 2023, p. 89.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Il 23 Novembre del 2013 veniva a mancare Costanzo Preve. Ci lascia una importante eredità morale e filosofica: cercare verità, complessità, libertà dalle conventicole. La filosofia non ha il compito di rassicurare, ma di porre domande, rinunciando alle facili risposte.

Costanzo Preve_ sei anni dalla morte

Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia

ISBN 978-88-7588-108-5, 2013, pp. 544, 170×2140 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [50]

indicepresentazioneautoresintesi

Costanzo Preve

Il 23 Novembre del 2013 è venuto a mancare Costanzo Preve, non l’ho conosciuto personalmente, ma attraverso i suoi scritti ed i video in cui continuava a diffondere le proprie idee. Per me è stato un incontro importante. Le modalità con cui si può entrare in relazione con una persona sono plurime, i testi scritti ed i video sono il modo in cui è avvenuto quest’incontro. Costanzo Preve “mi ha parlato” in un momento storico dominato dalla chiacchiera e da un conformismo meno che mediocre; “mi ha comunicato” un messaggio. Ha ravvivato in me la passione per la verità e per la Filosofia. Non che non vi fosse, ma un pensatore che ha il coraggio della radicalità della filosofia, ha la forza morale ed intellettuale di far sentire a casa coloro che cercano la verità, o che si confrontano con essa. Normalmente la passione per la verità nella nostra epoca causa un senso profondo di estraneità, di distanza, per cui si ha la sensazione di essere sospinti in una indefinibile periferia a cui si giunge incalzati da una realtà sociale che sdembra abbia rinunciato ad ogni possibile ricerca della verità. È un’immensa palude in cui tutto si omologa, in cui diventa la verità l’irrilevanza, sostanza che tutto muove senza che nulla muti.
Costanzo Preve si è tratto fuori dalla palude dell’irrilevanza, ed ha vissuto nella sua carne dolente la coerenza della filosofia che propugnava con le parole, con le argomentazioni logiche, con la scelta di vivere e testimoniare la sua posizione filosofica distante dalle accademie, dai luoghi in cui il pensiero diventa arte del meretricio. “Lo scandalo Preve” è consistito nel riaffermare la centralità della verità senza la quale la filosofia è solo una disciplina che si confonde con una serie di discipline altre. La verità è stata la sua trasgressione all’ordine costituito, trasgressione non priva di speranza, perché – come amava ripetere – l’essere umano per natura non può che pensare la verità. Pertanto gli innumerevoli “filosofi” della morte della verità e dell’osanna al capitalismo non sono che l’effetto di una congiuntura epocale. Le mode passeranno, mentre la verità degli uomini e delle donne non potrà fermare il proprio cammino.
Costanzo Preve: una voce fuori dal coro. Ma il suo messaggio è giunto a me nella sua forza veritativa. Egli ha difeso strenuamente il valore e la dignità della filosofia dalla sua riduzione a presenza decorativa e decaffeinata nei salotti del capitale. La verità in primis, Costanzo Preve, lo ha ribadito nell’arco di tutta la sua vita:

«Per l’appunto. La verità filosofica nasce infatti da un terzo approccio, che non è né religioso né scientifico. L’aspetto della verità filosofica è quello dialogico. La verità nasce da un agone dialogico, da una “lotta amichevole” come quella che stiamo facendo noi due ora, per avvicinarsi il più possibile alla verità. Rimane però anche qui un problema: nella storia dell’uomo, l’agone dialogico è per definizione interminabile. Pertanto, chi ricerca la verità solo nell’agone dialogico, non troverà la verità se non nel dialogo. Il dialogo stesso, però, ha questo equivoco: da un lato è lo scopo della ricerca della verità, e dall’altro il mezzo con cui essa può essere raggiunta. Questa è, a mio parere, la contraddizione strutturale della filosofia, da cui essa non potrà uscire mai. Se il dialogo è lo scopo, la verità non è più lo scopo, ma semplicemente una forma di vita saggia, che sostituisce la violenza con la contrattazione. Se invece il dialogo è un mezzo per la realizzazione della verità, la verità stessa diventa scopo, ma allora è messa oltre il dialogo. Il dialogo filosofico ha questa caratteristica essenziale: che ad ogni proposizione può essere opposta un’altra pro-posizione. Personalmente, non credo in un dialogo filosofico risolutivo dei problemi. Mentre la scienza conosce quei metodi definitori chiamati protocolli, accertamenti, sperimentazioni e così via, e perciò permette alla comunità scientifica di chimici, fisici e biologi di giungere almeno a delle verità provvisorie condivise dalla comunità di appartenenza, la filosofia per sua natura non dispone di simili metodi».[1]

La verità filosofica non è un ciclo concluso e consegnato alla storia, la verità ha la sua struttura imprescindibile nel dialogo. Pertanto è sempre oggetto di ridefinizioni, di spostamenti argomentativi. La verità è socraticamente disposta all’altro. Per la sua radicalità senza integralismo, analizza ogni passaggio, è processuale, disposta a cercarne le falle della sua costruzione: il risultato è sicuramente importante, ma fondamentale è il processo veritativo, ed ogni processo è necessariamente comunitario.

Verità e filosofia
La precondizione per svolgere l’attività filosofica è il credere argomentato nella verità. Costanzo Preve, in tal modo, effettua un chiaro taglio epistemologico tra le filosofie e le sue imitazioni. La pluralità delle filosofie non nega la verità, anzi ciascuna curva la verità secondo prospettive che si completano, si integrano, senza confondersi o cannibalizzarsi, perché la filosofia e la verità sono in uno stato di perenne tensione, di ricerca dell’alterità. La insegue al fine di autochiarirsi: la filosofia rinuncia al tribalismo dell’appartenenza per scegliere la dialettica della comprensione:

«E tuttavia, il primo problema della filosofia consiste nel chiarire che non c’è contraddizione fra la fisiologica pluralità delle scuole filosofiche e la sostanziale unicità della verità, per cui la pluralità non determina necessariamente relativismo.

Che cos’è allora la filosofia? Do senza arroganza alcuna la mia definizione. La filosofia è un’attività comunitaria, che si determina necessariamente in individualità nominative. Queste individualità nominative, tuttavia, anche se sembra che passino il tempo scambiandosi solo opinioni, in realtà si muovono su di un terreno che presuppone l’esistenza della verità, per cui la filosofia ha come oggetto la verità, non il semplice scambio delle opinioni, che è soltanto propedeutico per la comprensione della verità stessa. Chi ha espresso meglio questo concetto è stato nell’antichità Platone, e nella modernità Hegel».[2]

La contaminazione
Filosofare è dunque trascendere gli steccati ideologici. Il filosofo cerca il confronto, travalica i confini, per cui non teme di essere tacciato di incoerenza e di opportunismo, ma si assume il rischio dell’incomprensione in nome della verità. Costanzo Preve può confondere, in quanto invita ad un riorientamento gestaltico, ovvero a ripensare categorie e paradigmi in cui spesso ci si rifugia. L’alterità politica e filosofica non è un nemico da evitare. Anzi, se si ha la chiarezza di cercare la verità, se si ha il coraggio di assumere una posizione filosofica personale, la cui genealogia è nella parola che unisce senza facili sovrapposizioni identitarie, non si deve temere la “contaminazione” con la parte avversa, la quale può essere motivo per analizzare, per disegnare confini consapevoli e specialmente nuove mappe concettuali alle quali giungere mediante il faticoso attraversamento delle posizioni dell’altro. Perché ciò possa accadere si dev’essere disponibili a congedarsi da se stessi, a rinascere dolorosamente in nuovi concetti che non eliminano la nostra storia personale, ma la integrano, ed in altri casi la trascendono in nuovi orditi:

«Noi siamo sempre ipnotizzati, e quindi di fatto paralizzati, non tanto dall’incantesimo dell’appartenenza originaria (e quindi dal senso di colpa sprigionante dalla coscienza inquieta di averla abbandonata), quanto dall’attrazione gravitazionale verso il profilo ideale e culturale che ci ha originariamente costituiti. Come ha scritto genialmente Krahl a proposito di Adorno, è difficile congedarsi senza congedo. Ma solo chi è integralmente congedato dal proprio congedo potrà veramente tendete ad una nuova sintesi […]. Vorrei soffermarmi ancora sul mio caso, cosa legittima visto che in fondo la domanda l’hai rivolta a me. Io ritengo di aver attuato con un certo successo la problematizzazione aporetica dell’identità culturale di sinistra, di aver proposto un’interpretazione originale del pensiero di Marx sia sul suo versante filosofico che sul suo versante scientifico, di aver criticato con la necessaria spietatezza la tradizione marxista italiana sia nel suo aspetto storicistico che nel suo aspetto operaistico, di aver avviato un confronto fra la tradizione filosofica marxista e tradizioni ad essa in vario modo ostili, e di aver infine infranto il tabù dell’impurità e del pensiero magico animistico imperfettamente secolarizzato pubblicando e stampando per case editrici “intoccabili”». [3]

                                       

Il pensiero complesso
L’immaginario della contaminazione non solo favorisce le appartenenze ideologiche, ma specialmente esemplifica le posizioni concettuali. Poiché ci si rifugia tra eguali, è naturalmente facile l’impegno filosofico ed intellettuale di coloro che si circondano di eguali che puntualmente condividono la sua “opinione”. La paura della contaminazione va superata in nome della complessità, del pensiero che esige la presenza di posizioni plurime prima di concettualizzare l’argomentazione. La complessità è il segno distintivo della filosofia, essa necessariamente vuole che non si debba temere la dialettica, l’altro è nemico della filosofia se fa dell’ateismo nelle sue forme plurali l’unico facile obiettivo del suo filosofare:

«L’immaginario della contaminazione è di tipo religioso, e mi sembra che su questo non vi siano dubbi. In proposito, è quasi comico (anche se talvolta irritante) che i cosiddetti “laici” non sembrino sospettarlo, laddove si è qui di fronte ad uno dei casi più macroscopici di secolarizzazione imperfetta di una categoria religiosa precedente. Per quanto riguarda il caso Alain De Benoist, ritengo che questo immaginario della contaminazione debba essere ulteriormente “disaggregato” in due elementi, e cioè la contaminazione per un peccato originale irriscattabile, da un lato, e la contaminazione dovuta ad infiltrazione nello spazio storico della sinistra, considerata aprioristicamente luogo del bene, dall’altro».[4]

Filosofare non è paragonabile con l’abitudine alla chiacchiera colta. Filosofare significa utilizzare una chiara metodologia di ricerca. Nel caso di Costanzo Preve consiste in primis nel dialogo comunitario, sulla deduzione sociale delle categorie e sull’ontologia dell’essere sociale, modalità non contrattabili della metafisica previana:

«La pratica filosofica deve invece strutturarsi non sulla (impossibile) prevedibilità, oppure sulla (ancora più impossibile) scientificità, ma su tre solidi fondamenti: il carattere dialogico comunitario, la deduzione sociale delle categorie, e l’ontologia dell’essere sociale».[5]

Costanzo Preve ci ha consegnato e donato una importante eredità morale e filosofica: verità, complessità, libertà dalle conventicole che erigono muri di fango. La filosofia non ha il compito di rassicurare, anzi pone domande, ci invita a rinunciare alle facili risposte le quali sono il vero veicolo della violenza a cui la filosofia si oppone con la verità della parola.

 

[1] C. Preve – L. Grecchi, Marx e gli antichi greci, Petite Plaisance, Pistoia 2005, p. 28.

[2] C. Preve, Il significato di filosofia, Arianna editrice, 18/1/2013

[3] A. De Benoist – G. Giaccio, Dialoghi sul presente, controcorrente, Napoli 2005, pp. 75-76.

[4] C. Preve, Il paradosso De Benoist, Settimo Sigillo, Roma 2006, p. 20.

[5] C. Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia, Petite Plaisance, Pistoia 2013, p. 516.

Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
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Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
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