Lorenzo Tibaldo – Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

Sacco e Vanzetti 01

Io voglio

«[…] Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei ad un cane o ad un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un’altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di più per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora. Ho finito. Grazie» (discorso in tribunale di Bartolomeo Vanzetti, 19 asprile 1927)

«[…] possono bruciare i nostri corpi, non possono distruggere le nostre idee. Esse rimangono per i giovani del futuro, per i giovani come te. Ricorda, figlio mio, la felicità dei giochi … non tenerla tutta per te… Cerca di comprendere con umiltà il prossimo, aiuta il debole, aiuta quelli che piangono, aiuta il perseguitato, l’oppresso: loro sono i tuoi migliori amici» (dall’ultima lettera di Nicola Sacco al figlio Dante, 1927).


Sotto un cielo stellato

Lorenzo Tibaldo

Sotto un cielo stellato

Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti

 

Claudiana, pp. 274, 2008.

logo Claudiana

«La vecchia locomotiva 870 CN, che traina i suoi vagoni omnibus, con uno sbuffo di fumo nero, si accosta alla stazione, proveniente dalla tratta Airasca-Cuneo. Le ruote, durante la frenata, mandano intorno uno sbuffo di scintille in una mattinata che fatica a nascere. Sono le 8.15 di un tetro venerdì; è il 14 ottobre 1927: il grigio cielo autunnale, una cappa plumbea e uggiosa, sembra fare da corona alla mesta cerimonia che fra poco si terrà nella stazione di Villafalletto, piccolo paese rurale della provincia di Cuneo.
Dal carro merci, staccato dal resto del convoglio, scendono il commissario Brunetti, un tenente della milizia e quattro militi in borghese. Ad attenderli c’è il questore di Cuneo, Giustiniani. Il carro è aperto: non scende un pericoloso criminale, scortato con solerzia, ma vi campeggia un piccolo involucro, “una cassetta umilissima, di quelle che servono per imballaggio delle merci e sulle pareti della quale, infatti, si leggeva il nome di una grande fabbrica francese di cioccolato”.
Un manovale fa saltare la ceralacca che ferma il nodo della cordicella che la avvolge, con sopra il timbro della città francese di Cherbourg. Sollevato il coperchio, appare, fra i trucioli, avvolta in carta celeste, un’urna metallica simile al bossolo di un proiettile di artiglieria.
L’urna contiene le ceneri di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, i due anarchici italiani giustiziati in agosto a Boston. Le ceneri sono state mischiate in America, per unire anche dopo la morte i due amici, e portate a Villafalletto da Luigina Vanzetti, la sorella maggiore di Bartolomeo, che è stata vicina al fratello fino al momento della sua morte» (p. 11) [si può continuare a leggere l’incipit (pp. 11-27) nel PDF allegato].

Lorenzo Tibaldo, Sotto un cielo stellato.

 

Incipit
di
Sotto un cielo stellato.pdf

 

Risvolto di copertina
La drammatica vicenda di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti – i due anarchici italiani assassinati sulla sedia elettrica nell'agosto 1927 – è qui ricostruita con l'ausilio di fonti inedite che contribuiscono a delineare compiutamente il quadro storico dell'America di quegli anni, il processo-farsa e il significato che la tragedia dei due amici assunse nella memoria collettiva. Accanto ai temi dell'emigrazione, del razzismo, dell'intolleranza politica e della pena di morte, senza dimenticare la posizione di Mussolini e del fascismo, Tibaldo fa emergere, con un'attenta analisi delle lettere, le personalità dei due anarchici: i loro affetti, le speranze, i timori e la determinazione a difendere fino in fondo la propria innocenza e le proprie idee.
Indice

Introduzione di Giuliano Montaldo / Ringraziamenti / Nota per il lettore  / Premessa / I. Un plumbeo mattino d’autunno / II. Il paese di bengodi / III. Il lessico della libertà / V. America violenta / VI. Il pericolo rosso / VII. Una serata di maggio / VIII. Carissimo padre / IX. Il processo di Dedham / X. Il mio Natale / XI. Quei famosi proiettili / XII. Sono un ribelle / XIII. La confessione di Madeiros / XIV. Sotto un cielo stellato / XV. Viva l’anarchia!
XVI. La storia e la memoria / Bibliografia Indice dei nomi / Indice dei luoghi

 

 

SaccoVanzetti

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Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti

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Antri libri di Lorenzo Tibaldo

 

 

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il viandante-della-libertò. Jacopo Lombardini

 

 

La rosa bianca

La rosa bianca. Giovani contro Hitler

 

Lettereb e scritti dal carcere

Sacco e Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere

 



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Ricardo Piglia (1941-2017) – Ernesto Che Guevara è colui che persevera nella decifrazione dei segni, è la pura espressione della costruzione del senso, sostenitore della pedagogia sempre, fino all’ultimo respiro: “Yo sé leer”, “Io so leggere”.

Piglia Ricardo_Che Guevara

che-guevara-leyendo

Una straordinaria immagine di Guevara in Bolivia:
si è arrampicato su un albero e legge.

***

«Le mie fondamentali debolezze: il tabacco e la lettura».

E. Che Guevara

«Guevara non propone niente che non faccia lui stesso […] non comanda agli altri di fare ciò che egli sostiene. Questa è una differenza essenziale, la differenza che lo ha fatto diventare quello che è. Un  uomo che paga con la vita la fedeltà a quello che pensa. […] E quello che propone come esempio, quello che trasmette come esperienza, è la propria vita.
Parallelamente, persiste in Guevara ciò che ho chiamato la figura del lettore. Colui che rimane isolato […], contrapposto al politico. Il lettore come colui che persevera, pacifico, nella decifrazione dei segni. Colui che costruisce il senso nell’isolamento e nella solitudine. Fuori da ogni contesto, in mezzo a ogni situazione, risoluto nella sua determinazione. Intransigente, pedagogo di se stesso e di tutti, non perde mai la convinzione assoluta della verità che ha decifrato. Una figura estrema dell’intellettuale come rappresentante puro della costruzione del senso (o, comunque sia, di un certo modo di costruire il senso).
E nell’ epilogo di Guevara le due figure tornano a unirsi, perché sono indissolubili sin dal principio. C’è una scena che costituisce quasi un’allegoria: l’ultima notte prima di essere assassinato, Guevara la trascorre nella scuoletta di La Higuera. L’unica persona ad avere un atteggiamento compassionevole nei suoi confronti è la maestra del posto, Julia Cortés, che gli porta un piatto di stufato preparato da sua madre. Quando entra, il Che è sdraiato, ferito, sul pavimento dell’aula. In quel momento – e queste sono le sue ultime parole – Guevara indica alla maestra una frase scritta alla lavagna, e le dice che è mal scritta, che c’è un errore […]: “Manca l’accento”. Fa questa piccola osservazione alla maestra. La pedagogia sempre, fino all’ultimo.
La frase (scritta sulla lavagna della scuoletta di La Higuera) è “Yo sé leer”, lo so leggere. Che sia questa la frase, che nell’epilogo della sua vita l’ultima cosa che Guevara nota sia una frase legata alla lettura, è come un oracolo […]» (pp. 122-123)

Ricardo Piglia, L’ultimo lettore, Feltrinelli, 2007.


Guevara legge

Guevara legge


Guevara legge e fuma

Guevara legge e fuma


Autoritratto di Guevara in Thailandia, 1964

Autoritratto di Guevara in Thailandia, 1964


Guevara-legge Goethe

Guevara legge Goethe


La scuola di La Higuera, dove Guevara fu assassinato il 9 ottobre 1967

La scuola di La Higuera, dove Guevara fu assassinato il 9 ottobre 1967


 

 

Ultima pagina del Diario di Guevara in Bolivia

Ultima pagina del Diario di Guevara in Bolivia del 7-10-1967

 


Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Ha più valore, un milione di volte, la vita di un solo essere umano che tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra.
Ernesto Che Guevara (1928-1967) – 1951 … adesso sapevo che io starò con il popolo. E preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove vibrazioni e nuove speranze il grido del proletariato.
Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. L’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo.

 



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Simone Weil (1909-1943) – L’amicizia non ammette di essere disgiunta dalla realtà, non più che il bello. È puro quel che è sottratto alla forza.

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«L’amicizia è il miracolo grazie al quale
un essere umano accetta di guardare
a distasnza e senza avvicinarsi
quello stesso essere che gli è necessario
come nutrimento».

Simone Weil, 1942

«L’amicizia è per me un bene incomparabile,
senza misura, una sorgente divita,
non in senso metaforico ma letterale».

Simone Weil, 1947

 

 

Quaderni, vol. I

Quaderni, vol. I

«L’amicizia non ammette di essere disgiunta dalla realtà, non più che il bello. Essa costituisce un miracolo, come il bello. E il miracolo cosiste semplicemente nel fatto che essa esiste».

S. Weil, Quaderni, I, Adelphi, 1982, p. 157.

 

 

Quaderni vol. III

Quaderni, vol. III

«Occitania, Grecia, civiltà senza adorazione della forza. Perché per esse la temporalità è un ponte. E inoltre non cercano l’intensità negli stati d’animo, ma amano la purezza dei sentimenti. È puro quel che è sottratto alla forza. L’amore era per loro puro desiderio».

S. Weil, Quaderni, III, Adelphi, 1988, p. 142.


Simone Weil (1909-1943) – Silenzi che educano l’intelligenza
Simone Weil, «Oppressione e libertà», Orthotes Editrice, 2015
Simone Weill (1909-1943) – Trovare uomini che amino la verità
Simone Weil (1909-1943) – Il desiderio di luce produce luce: un tesoro che nulla al mondo ci può sottrarre.
Simone Weil (1909-1943) – Un regime inumano, lungi dal forgiare esseri capaci di edificare una società umana, modella a sua immagine tutti coloro che gli sono sottomessi.
Simone Weil (1909-1943) – Dove il pensiero non ha posto, non ne hanno né la giustizia né la prudenza. Le nostre idee di limite, di misura, di equilibrio, che dovrebbero determinare la condotta di vita, ormai hanno solo un impiego servile nella tecnica. Noi siamo geometri soltanto davanti alla materia. I Greci furono geometri innanzitutto nell’apprendimento della virtù.

 

 



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Giulio Angioni (1939-2017) – Quando non si saprà … tu forse lo saprai che qui e ora sei.

Angioni Giulio
Quando non si saprà
di te che sarai stato,
dell’albero che un giorno avrai piantato
in terra smemorata
e la parola d’aria respirata
sarà altra cosa in chissà quale stato
tu forse lo saprai
che qui e ora sei.
Giulio Angioni, 2017

 


Layout 1

Doppio cielo

 

Cop Angioni

Fare, dire, sentire

Il dito alzato

Il dito alzato

Le fiamme di Toledo

Le fiamme di Toledo

 

 

Pratiche e saperi

Pratiche e saperi

 

Sulla faccia della terra

Sulla faccia della terra

 

L'oro di Fraus

L’oro di Fraus


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Chiara Fiorillo – Memory’s fligt. Il volo della memoria

Chiara Fiorillo

Memory’s fligt

Il volo della memoria

*

They were men before;

 they were something before.

Then they became nothing,

so with no fearless, they were waiting for death.

To live there you have to believe your future,

because where there’s hope, there’s life.

They were sorrounded by barbed wire,

so they couldn’t fly away.

I wonder why it happened,

but inside me the answer is silence.

We’re all equal,

we’re all different,

but there isn’t a perfect race!

“Losing the past means losing the future”,

so you must remember what happened.

*

Chiara Fiorillo, III F, Scuola Media “Cino da Pistoia”, Pistoia.

 


 

Klee spirito di una lettera_c

Immagine in evidenza: Paul Klee, Geist eines Briefes [Spirito di una lettera],1937.


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Franco Toscani – Il filosofo e le Muse. La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”-

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http://blog.petiteplaisance.it/wp-content/uploads/2017/01/Muzy2.jpg

MusesThorvaldsenANGBerlin-672x359-2Franco Toscani

Il filosofo e le Muse

La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”

 

È noto che l’Accademia platonica, come θίασος (associazione cultuale al servizio delle Muse), fu consacrata al culto di Apollo e delle Muse e che al suo interno si trovava un altare dedicato alle Muse. Nonostante le sue perplessità e ben note posizioni sulla poesia e sull’arte, Platone istituisce un fecondo rapporto tra il filosofo e le Muse. Nel Cratilo (406 a 3-5) leggiamo che il nome stesso alle Mοῦσαι (Muse) e alla μουσική (musica) sembra derivare dal μῶσθαι (aspirare, cercare) proprio della ricerca e della filosofia. Nella Repubblica (VIII, 548 b8-c1) la “vera Musa”, quella da non trascurare, sempre “si accompagna ai discorsi e alla filosofia”. [… Leggi tutto nel PDF allegato qui sotto]


Fedro

Il filosofo è devoto alle Muse,
amante della bellezza, dedito all’amore, al pensiero e al sapere.


De Lampade

«in Musarum curia alumnus» (“un allievo alle cure delle Muse”),
G. Bruno, De lampade combinatoria lulliana (1587).


Logo Adobe AcrobatFranco Toscani, Il filosofo e le Muse


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Lachete

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fedone

 

 


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Mirella Bentivoglio – Il cuore della consumatrice ubbidiente

Mirella Bentivoglio

 

Bentivoglio

M. Bentivoglio, Il cuore della consumatrice ubbidiente, 1975.

 

 

 

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Dalla parola al simbolo

Dalla parola al simbolo


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Luciano Fabro (1936-2007) – Lo sguardo intelligente, acuto, misura ogni punto con rispettosa cura, […] perché sa che, nel processo del suo lavoro, tutto ciò che gli sfugge renderà fragile il suo modo di procedere. Dunque chi pensa al come fare, prima deve guardare, e deve imparare a guardare.

Luciano Fabro
Arte tporna arte

Arte torna arte

«Il primo momento di azione è lo sguardo.[…] Lo sguardo del come fare è uno sguardo preciso: su qualsiasi cosa si posi, è come  se quella cosa fosse definitiva, quindi la penetra; non è uno sguardo eccitato, ma quasi solido: dovunque si punti, sia esso un oggetto banale o prezioso, questo sguardo lo tratta con la medesima cura, […] sta già compiendo un’operazione attiva sulle cose […] sta attento a non farsi sfuggire nulla. Naturalmente ci sono pause nel come fare: i momenti di riflessione, i momenti di attesa e di pazienza, però lo sguardo è sempre attento […]. È quello che noi consideriamo lo sguardo intelligente, acuto, perché misura ogni punto con rispettosa cura, […] perché sa che, nel processo del suo lavoro, tutto ciò che gli  sfugge renderà fragile il suo modo di procedere. Dunque chi pensa al come fare, prima deve guardare, e deve imparare a guardare».

Luciano Fabro, Arte torna arte. Lezioni e conferenze 1981-1997, Einaudi, 1999, p. 4.

 

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Luciano Fabro 1983 – Accademia di Brera


Luciano Fabro – Alfabeta2


GALLERIA DELL’ACCADEMIA – INCONTRO CON LUCIANO FABRO


Luciano Fabro – Araba Fenice


Luciano Fabro. Palacio de Velazquez. Museo Nacional Reina Sofía (2014-2015)


Luciano Fabro: L’arte nasce dal reale


Luciano Fabro: L’arte fuori dal tempio


Luciano Fabro: Gli spazi ‘semplificati’ dell’arte


Luciano Fabro: Forme per il David


Luciano Fabro. Disegno In-Opera


Luciano Fabro. Entrevista con João Fernandes


Luciano Fabro – Italia all’asta


Luciano Fabro: 100 Disegni (26. Januar – 14. April 2013)


 


Silvia Fabro, Direttrice Archivio Luciano e Carla Fabro, Milano



 

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Luciano Fabro (1936-2007) est l’un des protagonistes majeurs de l’Arte povera, qui regroupe, à la fin des années 1960, un cercle de créateurs italiens parmi les plus novateurs de l’époque. Si l’artiste participe à l’ensemble des manifestations du groupe, il n’en mène pas moins une démarche personnelle, singulière, souvent déroutante. Il a ainsi incarné l’autonomie à sa manière tout au long de son parcours d’artiste et d’enseignant. Il a su maintenir une approche critique et une attitude analytique l’amenant à questionner l’autonomie de l’artiste, de l’oeuvre et de leur rapport à la cité. Par une importante production de textes théoriques, il a défendu l’idée que le domaine spécifique de l’art est ce lieu où la liberté est un dilettantisme engagé et l’œuvre le résultat d’une position d’auteur. A la lumière précise de son oeuvre et de son travail théorique, critiques, historiens de l’art, artistes et commissaires sont réunis ici pour réfléchir ensemble à la question de l’autonomie et à la portée de l’oeuvre de Luciano Fabro aujourd’hui. Existe-t-il une histoire, ou encore une forme de l’autonomie ? Edité par l’Ecole nationale des beaux-arts de Lyon.

Fabroniopera. Luciano Fabro. Catalogo della mostra (Pistoia, Palazzo Fabroni arti visive contemporanee, 17 dicembre 1994-11 febbraio 1995)

Fabroniopera. Luciano Fabro. Catalogo della mostra (Pistoia, Palazzo Fabroni arti visive contemporanee, 17 dicembre 1994-11 febbraio 1995)


Luciano Fabro by Frances Morris

Luciano Fabro by Frances Morris


Luciano Fabro, A fogli intercambiabili9, 1965

Luciano Fabro, A fogli intercambiabili9, 1965


 

Luciano Fabro, Lavori, 1963-1986

Luciano Fabro, Lavori, 1963-1986


Luciano Fabro. Disegno in-opera

Luciano Fabro. Disegno in-opera


Luciano Fabro. Fernando Melani. Scultura a due voci

Luciano Fabro. Fernando Melani. Scultura a due voci


Luciano Fabro. Maestro torna Maestro. Atti delle giornate di studio (Milano, 3-4 febbraio 2010)

Luciano Fabro. Maestro torna Maestro. Atti delle giornate di studio (Milano, 3-4 febbraio 2010)


Viaggi nella parola. Intervista a Luciano Fabro

Viaggi nella parola. Intervista a Luciano Fabro


Lucianoi Fabro, Attaccapanni

Lucianoi Fabro, Attaccapanni

 



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Bernhard Waldenfels – Il problema dell’estraneo comincia con la sua nominazione. L’alterità dell’altro si annuncia nella forma di un pathos, l’altro è qualcuno che è mio simile.

Bernhard Waldenfels

Fenomenologia dell'estraneo

«Noi incontriamo l’altro in quanto tale non come qualcosa che io, tramite l’empatia e la deduzione analogica, tramuto in qualcuno, né come qualcuno di cui comprendo, interpreto o condivido le intenzioni. Piuttosto l’alterità o estraneità dell’altro si annuncia nella forma di un pathos, di una specifica affezione estranea. Noi ci sentiamo toccati dagli altri prima di giungere a chiedere chi siano e cosa significhino le loro esternazioni. L’estraneità dell’ altro ci sopraffà e ci sorprende, disturba le nostre intenzioni prima che noi le comprendiamo in questo o quell’altro modo. Il secondo aspetto da sottolineare è che io non sono affetto solo da un altro io o da un altro soggetto, dunque da qualcuno diverso da me, bensì da qualcuno che è mio simile, mon semblable, eppure incomparabile, hors de série» (pp. 98-99).

«Il problema dell’estraneo comincia con la sua nominazione. Non c’è niente di più consueto della parola fremd, estraneo, e delle sue variazioni e derivazioni quali Fremdling, forestiero, Fremde, estero, Fremdsprache, lingua straniera, Fremdeln, lo stranirsi del bambino davanti agli estranei, Entfremdung, alienazione, oppure Verfremdung, estraniazione. Eppure, non appena proviamo a rendere la parola fremd in altre lingue, ci imbattiamo in una molteplicità, che lascia riconoscere tre diverse tonalità di significato e corrispettivi contrasti di significato. Fremd, estraneo, è in primo luogo ciò che si presenta al di fuori dell’ambito proprio, come qualcosa di esterno che si oppone a qualcosa di interno (xenon, externum, extraneum, étranger, stranger, foreigner). Fremd, estraneo, è in secondo luogo ciò che appartiene agli altri (allotrion, alienum, alien, ajeno) in contrapposizione a ciò che è proprio. A questo contesto appartiene anche la parola alienatio, la quale viene resa con “alienazione” nell’ambito giuridico, clinico e della patologia sociale. Fremd, estraneo, è in terzo luogo ciò che è di modalità altra, ciò che è strano, spaesante, inconsueto (xenon, insolitum, étrange, strange), in contrapposizione al familiare. L’opposizione esterno/interno rimanda a un luogo dell’estraneo; l’opposizione estraneo/proprio a un possesso; l’opposizione strano/familiare a un modo della comprensione. Che qui si tratti di significati diversi è mostrato dal fatto che l’uno e medesimo contenuto può essere estraneo in un senso e non in un altro, come nel caso della casa del vicino che non mi appartiene eppure mi è completamente familiare, oppure del collega straniero col quale intrattengo tuttavia una stretta collaborazione.
Ma come si relazionano tra di loro queste varianti di significato? Certo non si tratta di una mera omonimia. Il “proprio” è ovviamente più prossimo all”‘intemo” e al “familiare” di quanto lo sia all”‘estemo” e al “non familiare”; e qui i fili si intrecciano fra loro in modi diversi. Bisogna pensare invece a una polisemia, così come Aristotele già la attribuisce all’essere e al bene. A tal punto, si pone però la questione ulteriore se le diverse tonalità di significato debbano essere posizionate sullo stesso piano o se una di esse goda di un certo privilegio. Ebbene, tutte le nostre riflessioni parlano a favore dell’assunzione del luogo quale aspetto determinante di quella forma radicale d’estraneità caratteristica della nostra esperienza dell’estraneo. E questo si mostra subito nella modalità particolare costituita dal tracciamento dei confini, da cui si origina l’estraneo e non semplicemente il diverso» (pp. 132-133).

Bernhard Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, Raffaello Cortina Editore, 2008.


 

P_Waldenfels

Estraneo, straniero, straordinario – Bernhard Waldenfels

Nei sensi dell’arte: Bernhard Waldenfels ‘lettore’ di Pier Paolo Pasolini

Bernhard Waldenfels, Soglie d’attenzione. Itinerari dei sensi

Intervista a Bernhard Waldenfels, a cura di Ezio Gamba

 



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Simone Weil (1909-1943) – Dove il pensiero non ha posto, non ne hanno né la giustizia né la prudenza. Le nostre idee di limite, di misura, di equilibrio, che dovrebbero determinare la condotta di vita, ormai hanno solo un impiego servile nella tecnica. Noi siamo geometri soltanto davanti alla materia. I Greci furono geometri innanzitutto nell’apprendimento della virtù.

Simone Weil 017
La rivelazione greca

La rivelazione greca

«Dove il pensiero non ha posto, non ne hanno né la giustizia né la prudenza. Per questo gli uomini armati agiscono duramente e follemente. […] Mentre usano il liro potere, non sospettano mai che le conseguenze dei loro atti li faranno piegare a loro volta. […] Essi non cosiderano la loro forza come una quantità limitata, né i loro rapporti con gli altri come un equilibrio tra forze ineguali. Dato che gli altri uomini non impongono ai loro movimenti quella battuta d’arresto che solo ci consente di avere riguardi per il nostro prossimo, ne concludono che il destino ha dato loro ogni licenza, e nessuna ai loro inferiori. Di conseguenza vanno al di là della forza di cui dispongono. Vanno inevitabilmente al di là, perché ignorano che è limitata. Sono allora abbandonati senza scampo al caso, e le cose nori gli obbediscono più. Talvolta il caso li serve, altre volte nuoce loro; ed eccoli esposti nudi alla sventura, senza l’armatura di potenza che proteggeva la loro anima, senza oramai più nulla che li separi dalle lacrime.
Questo castigo di un rigore geometrico, che punisce automaticamente l’abuso della forza, fu il primo oggetto della meditazione dei Greci. Esso costituisce l’anima dell’epopea; con il nome di Nemesi è il movente delle tragedie di Eschilo; i Pitagorici, Socrate, Platone ne fecero il punto di partenza per pensare l’uomo e l’universo. […] Questa nozione greca sussiste forse, sotto il nome di karma, nei paesi d’Oriente impregnati di buddhismo; ma l’Occidente l’ha perduta e non ha più, in nessuna delle sue lingue, una parola che la esprima; le idee di limite, di misura, di equilibrio, che dovrebbero determinare la condotta di vita, ormai hanno solo un impiego servile nella tecnica. Noi siamo geometri soltanto davanti alla materia; i Greci furono geometri innanzitutto nell’apprendimento della virtù».

«Tale è la natura della forza. Il potere che essa possiede di trasformare  gli uomini in cose è duplice, e si esercita da ambo le parti; essa pietrifica in modo diverso, ma in egual misura, le anime di coloro che la subiscono e di coloro che la maneggiano».

«Colui che ignora fino a che punto la volubile foruna e la necessità tengono ogni anima umana in loro potere, non può considerare come suoi simili né amare come se stesso quelli che il caso ha separato da lui con un abisso. La diversità delle costrizioni che pesano sugli uomini fa nascere l’illusione che ci siano specie distinte che non possono comunicare. È possibile amare ed essere giusti solo se si conosce l’imperio della forza e si è capaci di non rispettarlo».

Simone Weil, L’Iliade o il poema della forza [1943], in Id., La rivelazione greca, Adelphi, 2014, pp. 43-44, 54, 62.

 

 

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L’Iliade o il problema della forza


Simone Weil (1909-1943) – Silenzi che educano l’intelligenza
Simone Weil, «Oppressione e libertà», Orthotes Editrice, 2015
Simone Weill (1909-1943) – Trovare uomini che amino la verità
Simone Weil (1909-1943) – Il desiderio di luce produce luce: un tesoro che nulla al mondo ci può sottrarre.
Simone Weil (1909-1943) – Un regime inumano, lungi dal forgiare esseri capaci di edificare una società umana, modella a sua immagine tutti coloro che gli sono sottomessi.

 



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