Tito Perlini (1933-2013) – Il pensiero di Marcuse ha una lucidità impareggiabile nel denunciare gli aspetti letali della totalità integrata e nel prospettare la vitale necessità di spezzarne il cerchio fatato, ma arranca quando cerca di indicare in positivo le modalità da adottare per conferire al movimento teso verso la liberazione la forza capace di incidere efficacemente sulla realtà al fine di una trasformazione di fondo.

Tito Perlini 02

Marcuse ribadisce, in questo testo, alcuni punti caratteristici del suo pensiero che egli tiene ben fermi. Essi sono:

1) Nel capitalismo persiste la tendenza al crollo anche se essa è impedita ad attuarsi dalla contro-tendenza che spinge il capitalismo stesso a configurarsi come totalità integrata ed integrante.

2) Qualsiasi attesa del crollo basata sull’idea della sua inevitabilità è da scartare per il fatto che la teoria, facendola propria, degenera in falsa coscienza rinunciando a porsi, insieme alla pratica, come elemento della trasformazione senza la quale il crollo stesso è impensabile come premessa al socialismo, potendo rivelarsi, se non scongiurato, come qualcosa di catastrofico, tale da provocare una ricaduta nella barbarie.

3) La battaglia decisiva per il rovesciamento del modo di produzione capitalistico deve aver luogo al livello più alto e dimostrare di saper spezzare l’« anello più forte della catena» poiché senza l’intensificarsi di tendenze di segno anti-capitalistico, rivolte ad una rottura di tipo rivoluzionario, nei paesi «avanzati» dell’occidente, il «socialismo realizzato» (per la complementarietà stessa dei due blocchi facenti capo a USA e URSS che, pur restando in contrasto, sono soggetti ad un’unica logica e si integrano e sorreggono a vicenda all’interno di una situazione che favorisce il capitalismo) resterà invischiato nelle sue deformazioni e le tendenze centrifughe producentisi nell’ambito del cosiddetto Terzo Mondo continueranno a venir riportate, con la violenza o mediante forme di subordinazione o integrazione economica, entro l’alveo degli interessi capitalistici capaci di strutturarsi su scala mondiale.

4) È presente nella pratica radicale, che, sola, oggi può nella metropoli del capitale porre le premesse per la rivoluzione, un aspetto libertario e anti-autoritario, che è l’espressione spontanea, soggettiva della rivolta stessa, la quale critica, giudicandole inadeguate all’ampiezza della trasformazione, le forme tradizionali della pratica che si qualificava come rivoluzionaria (il che implica il rifiuto di ogni forma di marxismo reificato e la rinuncia ad ogni tentazione centralistico-burocratica).

Quest’ultimo punto, riaffermato con decisione, lascia comunque drammaticamente aperto il problema del rapporto tra spontaneità ed organizzazione. Marcuse si rende conto che l’appassionata affermazione dei diritti che spettano alla prima non annulla il nodo intricatissimo di problemi posti dal prospettarsi della seconda alla stregua di una necessità ineludibile. Circa una possibile soluzione di questo che è da sempre il punctum dolens del marxismo Marcuse non riesce che a fornire indicazioni vaghe. La parte «positiva» del suo discorso, che insiste sulla necessità per la nuova sinistra di forme di organizzazione decentrate e del ricorso ad un’autogestione cui vengono dedicati solo fugaci accenni, appare francamente come la più debole. Marcuse, del resto, ne è conscio. Di una lucidità impareggiabile nel denunciare gli aspetti letali della totalità integrata e nel prospettare la vitale necessità di spezzarne il cerchio fatato, il pensiero di Marcuse arranca quando cerca di indicare in positivo le modalità da adottare per conferire al movimento teso verso la liberazione la forza capace di incidere efficacemente sulla realtà al fine di una trasformazione di fondo. Una siffatta insufficienza, del resto, non è senza rapporto con la condizione oggettiva entro la quale la teoria critica si dibatte. Il problema dell’organizzazione è il più delicato anche perché, una volta rifiutati sia l’esaltazione tecnocratica dell’organizzazione elevata come tale a valore sia il mito di una spontaneità rivoluzionaria allo stato puro, resta l’obbligo di fare i conti con quella razionalità puramente formale e strumentale con cui il sistema di dominio fa tutt’uno, la quale, anche se negata alle radici, continua pur sempre a riprodursi all’interno di qualsiasi forma organizzativa per «alternativa» questa possa valersi e per vigile possa essere l’impegno di coloro che vi aderiscono a mantenersi immuni dagli effetti esercitati dalla ratio del dominio. E questa una contraddizione che resta irrisolta. Qui il discorso di Marcuse appalesa limiti ben precisi, che non sono certamente solo suoi. Ciò che continua, però, a suscitare simpatia e ammirazione è l’energia davvero indomabile con cui questo grande vecchio, ultimo esponente ormai di una schiera di intellettuali formatisi nel clima saturo di attese messianiche del periodo seguente alla prima guerra mondiale fedeli al retaggio della filosofia classica tedesca e decisi a far propria la causa degli oppressi, a porsi dalla parte di coloro cui viene negata la speranza, continua a ribadire con tenacia, ad onta di ogni smentita apparentemente definitiva da parte dell’accadere storico, la sua non fideistica fiducia, sorretta dal lucido pessimismo della ragione critica, nella capacità degli uomini di giungere a far proprie le possibilità concrete atte a permettere la trasformazione del mondo.

Tito Perlini, Introduzione a Herbert Marcuse, Teoria e pratica, Shakespeare and Company di Guseppe Recchia, Brescia 1979, pp. 35-37.


Tito Perlini (1931-2013) – «ATTRAVERSO IL NICHILISMO Saggi di teoria critica, estetica e critica letteraria», Aragno editore, 2015
Tito Perlini (1933-2013) – La rivoluzione non è Negazione del passato, ma ciò cui essa s’oppone: Il capitalismo, che è antitetico allo sviluppo della civiltà e che mira solo a conservare sé stesso. Vero conservatore non è chi difende un cattivo presente, ma chi insorge contro tale falsa conservazione.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Romano Guardini (1885-1968) – L’uomo malinconico è più profondamente in rapporto con la pienezza dell’esistenza. È nostalgia di evadere dalla dissipazione, divertere dal superficiale, ricoverarsi nel mistero delle cose ultime, è ricerca della semplicità ricca di contenuto. Malinconia è desiderio d’amore, desiderio di unità vivente.

Romano Guardini 02

[…] La spinta verso il nascondimento e verso il silenzio non significa già timore di scontrarsi con la realtà che facilmente ferisce, quanto significa, in ultima analisi, l’interiore gravitare dell’anima verso il grande centro; significa spinta violenta verso l’interiorità e l’approfondimento, verso quella regione, dove la uscita che sia dal caos di ciò che è pura casualità, entra in sicuro porto; dove la vita, sganciata dalla molteplicità delle singole manifestazioni, dimora nella semplicità del fondo delle cose: semplicità ricca di contenuto. È la nostalgia di evadere dalla dissipazione, per ricuperarsi nel raccoglimento del tutto; di sfuggire all’abbandono di chi si sente in preda all’esistenza esteriore, e vuol stare invece nel riserbo e nella protezione del santuario; di divertire da ciò che è superficiale, e ricoverarsi nel mistero delle cause ultime: la nostalgia dei grandi malinconici verso la notte e le Madri.

Albrecht Dürer – Melencolia I, La Malinconìa, 1514.

Malinconia vuol dire connessione con l’oscuro fondo dell’essere – e «oscuro», in questa accezione, non comporta senso peggiorativo. Non significa contrasto con la luce, la quale è bella ed è buona. Non significa «tenebra», significa il vivo controvalore della luce. […]
Proprio l’uomo malinconico è più profondamente in rapporto con la pienezza dell’esistenza. Splendono chiari, a lui, i colori del mondo; a lui risuona con dolcezza più intima, la musica interiore. […] Dall’essere del malinconico sbocca e trabocca a fiotti la vita; a lui come a nessuno, dato di esperimentare la sfrenatezza dell’intera esistenza. Sempre, credo io, connessa con la bontà. Connessa col desiderio che la vita si svolga secondo la bontà e la gentilezza, e sia benefica per gli altri. […]
Qui proprio siamo al cuore della malinconia, la quale, in ultima analisi, non è altro se non desiderio d’amore. Amore, in tutte le sue forme, in tutti i suoi gradi; dalla sensibilità più elementare, sino al più alto amore dello spirito. Lo slancio vitale, il cuore della malinconia è l’Eros: desiderio d’amore e di bellezza. […] Poiché una natura amante sta aperta. È disposta a passare dall’altra parte, è disposta ad accogliere, a dare e a ricevere. È fiduciosa. Non sta in guardia. Prova dolore della transitorietà delle cose, soffre perché le viene tolto ciò che ama. La bellezza vivente è sempre passeggera. E al fianco della bellezza sta la morte. Nondimeno, quasi a difesa estrema contro tutto ciò, ecco la nostalgia di ciò che è eterno e infinito, di ciò che è assoluto; nostalgia di ciò che semplicemente è perfetto; di ciò che è inaccessibile e riposto, profondo al massimo, e interiore; di ciò che è intangibile e aristocratico, nobile e prezioso.
È desiderio di ciò che Platone affermò essere il vero fine dell’Eros: del bene supremo, il quale a un tempo è la vera e propria realtà, ed è la bellezza in sé e per sé, imperitura, sconfinata; è desiderio d’impadronirsi di tale realtà, che sola può compierci, di assumerla e assorbirla, di riunirci a lei. Cosa davvero singolare, e che può essere seguita e constatata attraverso tutta la storia della umana ricerca e dell’umano pensare: noi sentiamo una insoddisfazione particolarmente violenta per ciò che è finito; una volontà di distinguerci, in maniera particolare e con particolare intensità, nell’atto stesso di impadronirci di tale assoluto. Non basta a noi di riconoscerlo, e assumerlo nelle nostre azioni con una volontà eticamente cosciente; c’è in noi un desiderio di unione, di contatto da essere a essere; un desiderio di immergerci, bere ed essere dissetati. Un desiderio di unità vivente.
[…] L’anima disposta da natura alla malinconia è sensibile ai valori, li desidera. Desidera ciò che è prezioso al massimo grado, desidera il sommo bene. Con tutto ciò, par quasi che proprio questo desiderio dei supremi valori le si rivolti contro, poiché vi si accompagna, di regola, come un senso dell’impossibilità di ottenerli. Senso, che può associarsi a determinate esperienze: qui, di aver fallito in tali e tali cose; lì, di aver mancato al dovere; altrove, ancora, di aver perduto tempo, d’essersi giocato non so che d’irrecuperabile … Non sono se non appigli a qualcosa di più profondo: al senso dell’impossibilità, che in certo qual modo accompagna e quasi previene quella nostalgia. […]

Romano Guardini, Ritratto della malinconia, Morcelliana, Brescia 2006, pp. 57-67.


Romano Guardini (1885-1968) – Chi non ama la vita non ha pazienza con essa: la pazienza è l’uomo in divenire che comprende giustamente se stesso, è una forza tranquilla e profonda
Romano Guardini (1885-1968) – Non basta fare il bene, ma occorre anche farlo nel modo giusto. Si deve scegliere e si può ottenere qualcosa di più alto solo se si rinuncia a ciò che è più basso. L’esistenza dell’uomo che vive in modo degno implica questa trasposizione ad un piano più alto.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – “Novel food”: la nuova frontiera del mutamento antropologico

Novel food

Salvatore Bravo

“Novel food”: la nuova frontiera del mutamento antropologico

 

Novel food
L’uomo è ciò che mangia scrive Feuerbach in Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia, “Der Mensch ist was er isst” deriva dall’assonanza tra “ist” (terza persona singolare del verbo “sein”, “essere”) e “isst” (terza persona singolare del verbo “essen”, “mangiare”), con tale gioco di parole il filosofo comunica la relazione tra alimentazione e spirito. Il cibo condiziona lo spirito, perché il corpo e il sangue non sono semplici meccanismi, ma l’alimentazione configura l’attività del corpo vissuto che diviene spirito in una relazione circolare. Ogni gesto e comportamento vive nel corpo vissuto determinandone la sostanza. Lo spirito si magnifica nella vita, ascende o discende dalle sue possibilità di sviluppo in relazione all’aria che respira, all’ambiente in cui si muove, al cibo di cui si nutre, alle relazione che sostiene con ogni componente che lo tiene in vita. Il cibo non è solo energia, per un essere umano è veicolo di storia e comunità. La rivoluzione antropologica in atto ha lo scopo di “diminuire” e “diluire” l’umanità per renderla oggetto di dominio. La disumanizzazione contamina ogni spazio ed attività vitale per determinare una metamorfosi irreversibile. “Novel food” è la nuova frontiera che concorrerà al cambiamento antropologico che si aggiunge all’atomismo sociale, all’idolatria dell’economia e della scienza asservita alla stessa fino alla mutazione della lingua e dei linguaggi secondo le indicazioni dei signori della globalizzazione. Nessuna identità deve sopravvivere al rullo compressore della globalizzazione. Lo sradicamento dev’essere totale per condurre i popoli all’ateismo: la verità e l’universale devono essere rimossi dal linguaggio comune, devono scomparire dall’orizzonte dei significati per essere sostituiti dalle identità liquide e dallo scetticismo depressivo. L’attacco alle culture dell’alimentazione non è neutro, ma essenziale nello logica del nichilismo. L’unità europea ha decretato la possibilità e legittimità di cibarsi di insetti in nome della transizione verde con il regolamento 2015/2283 del 25 novembre 2015 entrato in vigore il primo gennaio 2018. Nessuna discussione sulle possibili alternative, nessun contradittorio, come ormai accade da decenni. Gli ordini giungono senza volto e senza dialettica: si prescrive il cambiamento nella quiescenza generale. L’alimentazione tramite gli insetti ha l’effetto di sradicare la cultura della terra, della trasformazione dei prodotti agricoli a cui è associata la cultura umanistica e della convivialità. Non è secondario in tale prospettiva inaugurare un nuovo mercato intonso, il capitalismo assoluto in affanno è alla perenne ricerca di nuove possibilità di espansione e ciò non può che avvenire nell’ottica di una falsa rivoluzione: in Francia, Belgio ed Olanda il mercato degli “insettivori” è fiorente e in ascesa, pertanto ci dobbiamo omogeneizzare alla nouvelle cuisine come se non avessimo storia e cultura alimentare. L’essere umano del futuro nella sua furia green dovrà nutrirsi di insetti proteici a basso costo. Si può immaginare, in primis, che il cibo tradizionale non scomparirà, ma sarà per pochi privilegiati, mentre le masse plebeizzate dovranno nutrirsi di insetti: la colpa demografica dev’essere pagata con il cambio di abitudini, con la dimenticanza della cultura alimentare di appartenenza. Il nuovo essere umano plebeizzato nel cibo e nello spirito guarderà agli insetti come ad un valore da acquisire per la sua alimentazione. Lo sguardo rapace si allargherà fino ad osservare gli insetti come fonte di energia, anche gli esseri più minuscoli saranno percepiti nell’ottica della trasformazione acquisitiva ed alimentare, nulla deve sfuggire allo sfruttamento e al plusvalore. La vita minuscola o grande che sia sarà categorizzata all’interno della sola logica acquisitiva e del mercato. L’unione europea solletica le nuove generazioni a non avere pregiudizi, ma ad adattarsi al nuovo corso alimentare. Cambieranno le estetiche e le percezioni sensoriali, il nuovo regime alimentare comporterà una serie di effetti volutamente rimossi. Come guarderemo e vivremo gli antichi ed i nostri genitori? Naturalmente come estranei e stranieri appartenenti ad una superata era umana. L’alimentazione non è solo cibo, ma spirito che ci unisce agli avi da cui abbiamo ereditato tecniche agricole e valori a cui sono associate culture comunitarie. La trasmissione di una tradizione non è cadaverica, ma plastica, si pensa e si crea all’interno di un legame che umanizza. La rivoluzione alimentare spezzerà ogni linea di contiguità e continuità nel tempo. L’identità liquida fino ad evaporare non si costruisce solo con l’annichilimento delle identità linguistiche, culturali e di genere, ma anche e specialmente mediante il cibo quest’ultimo è un gesto che si ripete più volte al giorno, per cui attraverso la nuova alimentazione deve passare il messaggio che il passato è un “Medioevo” da sotterrare con le nuove abitudini decise dalle oligarchie imperanti. La possibilità di sostituire la carne con i legumi è esclusa a priori, vi è un disegno di ridefinizione dell’essere umano da parte di un nuovo e tragico illuminismo che ha sostituito la razionalità critica con il dogmatismo economicistico e crematistico.


 

Senza alternative, solo obbedienza
Lo sfruttamento e l’inquinamento possono essere ampiamente limitati con un’agricoltura della decrescita, in cui l’agri-sfruttatore sia sostituito dal contadino che applica tecniche agricole tradizionali ed innovative a basso impatto ambientale. Non secondario è educare ad un diverso rapporto con il cibo e con le merci in genere, non sprecare, ma consumare in modo consapevole è una possibilità esclusa a priori, in quanto bisogna allevare in serie generazioni di sfruttatori e consumatori senza alternativa. Il problema autentico che non si vuole risolvere è il produttivismo e l’ingiusta distribuzione delle risorse. Per non riformare il sistema si è disposti a spingere i popoli e i meno abbienti a nutrirsi di insetti prodotti e venduti da coloro che continueranno a nutrirsi di cibo tradizionale. Il cibo per censo è la nuova frontiera dell’ordoliberismo europeo. La cementificazione avanza, il deserto da metafora filosofica diviene verità quotidiana, e dinanzi ad un disastro che potrebbe essere irreversibile la soluzione è “cibo per tutti a base di insetti”. Il paradigma del capitale deve restare invariato, ed affinché ciò sia ed avvenga ogni cambiamento è sostenuto e giustificato senza la mediazione della ragione dialettica. Il fine ultimo dietro la cortina fumosa delle parole è plebeizzare le masse, purché il mercato viva, addomesticarle alla passività, indurle in nome del progresso a rinunciare alla propria storia, globalizzarsi nel cibo come in ogni abitudine e scelta. Tale obiettivo ha lo scopo di debilitare le identità, senza di esse l’umanità non è che materiale terroso tra le mani del Prometeo furioso delle nuove oligarchie. Nel silenzio siderale del “nuovo che avanza” ogni parola veicolo di pensiero, ogni gesto consapevole di resistenza è prassi preziosa di difesa dell’umano contro l’ateismo programmato del sistema. I consumatori non sono ancora del tutto sudditi, ma cittadini che con le loro scelte determinano il futuro, ancora una volta “il nuovo avanza” non in modo neutro, sono i popoli a determinare con la loro obbedienza ed indifferenza la rivoluzione in atto, pertanto come ci ha insegnato Vico la storia è posta dall’umanità, pertanto sarà la scelta dei popoli l’ultima parola sulle trasformazioni in atto. La vera rivoluzione è nel comprendere, in primis, che se ognuno agisce per togliere la propria minuscola castagna dal fuoco l’incendio divamperà e travolgerà carnefici e vittime legati dal vincolo sottile di un’ambigua complicità. L’agricoltore in questa fase può essere protagonista della storia, se torna ad avere il controllo sulla produzione e a disinvestire sullo sfruttamento della terra. L’agricoltura vive in modo più immediato e diretto lo sfruttamento delle multinazionale e la desertificazione umana e morfologica: il cemento avanza dalle città in decrescita demografica verso le campagne annichilendole e sfruttandole. Ogni gesto personale è determinante per una svolta etica e politica, perché è molto di più di un gesto, esso si integra con la prassi critica di molti e diventa testimonianza da cui può sorgere un nuovo inizio, è solo potenzialità, ma la storia si gioca sulla fiducia nell’impossibile.

Salvatore Bravo

 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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