María Zambrano (1904-1991) – Sogno e destino della pittura. Dal sogno la pittura ha la sua nascita. Perché essa è nata nelle caverne. I sogni hanno bisogno di salvarsi. E un sogno salvato è un sogno visibile.

María Zambrano sogno e pittura 01

[…] Continua a fare una strana impressione – soprattutto a partire da determinate fratture storiche – il fatto che la pittura, che è la più sensuale delle arti, sia anche la più metafisica. Per il colore, naturalmente, ma non solo per esso, in quanto una scultura colorata, ad esempio, non fa che guadagnare, anziché in sensualità, in distanza. Nella scultura, il colore è ornamento liturgico che la trasforma o la rende simile a un’icona, a volte persino a una stella, a qualcosa del firmamento terrestre […]. Perché i corpi della scultura stanno sempre lontano, e il colore non fa che allontanarli di più, qualificando la loro lontananza, determinando lo spazio dal quale ci si rendono visibili. […]
La strana impressione prodotta all’arte della pittura si fa più profonda quando si scopre che ciò che viene dipinto e la pittura non sono propriamente oggetto adeguato della visione. […] Che il segreto, l’intimo motivo del dipingere, non è mai stato il solo desiderio di vedere. C’è, nella pittura, nel quadro, per ultimato, realizzato, che esso sia, uno star sempre facendosi. Come se l’opera della pittura fosse, rispetto alla scultura, meno separata dall’azione che l’ha prodotta. Come se ciò che viene dipinto fosse meno indipendente, meno oggettivo, in minor grado o in grado diverso «oggetto ideale». […]
La pittura è evento, un intimo evento che si manifesta, chiaro, in forme e figure, quali che siano, rappresentative o no, «figurative» o no. […] La pittura non pone, come la scultura, il problema della partecipazione, perché si dà immediatamente, come ciò che avviene, e solo dopo può e deve accadere che da tale evento si tragga o si esprima un tanto di contemplazione, segno della maturità e del compimento dell’evento dipinto e della pittura stessa.
Un evento nell’intimità, un mistero. Un sogno; un sogno che abbraccerebbe la pittura tutta.
La pittura nasce, com’è noto, nelle caverne per afferrare magicamente qualcosa che fugge e prende il largo, le anime dei viventi oggetto di desiderio. Fosse per la caccia o per qualche altra forma di appropriazione la smania che assillava quei «pittori» – quella società, meglio –, si trattava di strappare l’anima a quegli esseri e di tenerla lì, né viva né morta: viva, ma separata e catturata.
L’anima, che è l’«essere» per chi non ha ancora fatto filosofia, e per chi sogna. Stare davanti alle pitture delle caverne è sognare, stare sognando, lo stesso che davanti alle Meninas di Veláquez.
Un sogno, la pittura; un sogno semplicemente, no. Un sogno realizzato, ossia un sogno che è entrato nella realtà, forse per la sua verità, perché non tutti i sogni possono, nemmeno attraverso la pittura, entrare a formar parte della realtà, di quella strana realtà che è l’arte.
Dal sogno la pittura ha la sua nascita. Perché essa è nata nelle caverne, nella notte perenne illuminata dal bagliore disuguale del fuoco, materia leggera come quella dei sogni, aderente alla nuda roccia – resistenza a sua volta della materia originaria del pianeta, suo primo e perenne fondale. Per ospitare la sua nascita, fu necessario che si aprisse il vuoto, il viscere oscuro della terra, o che un alto muro si alzasse: una parete liscia, il fondo. Senza di esso, non ci sarà pittura; per ridotta che sia la sua superficie, per affidata alla superficie che essa sia, la pittura sarà sempre percepita come aderente a un muro, a un fondo, se non rinchiusa in una caverna. Custodita in essa, come un segreto colto di sorpresa o come un mistero che si lascia vedere.
Non contraddicono l’intima legge della pittura le pitture sigillate, difese, scoperte nelle tombe dell’antico Egitto. Esse, al contrario, ci fanno sentire che sono l’intimo nucleo, il cuore, della pittura. E che l’aspetto secondario è dipingere qualcosa perché sia visto, perché qualsiasi occhio lo veda. Cosa, questa, che si deve a quel processo di laicizzazione del sacro che necessariamente è venuto portando tutti i segreti, tutto il segreto, sotto gli occhi di tutti gli uomini, almeno in potenza.

[…]

Un sogno, un certo tipo di sogno, un proposito; un sogno messaggero, o un sogno in cui si compie o si cerca di far compiere un destino. Orazione, voto, pegno, promessa, impegno. La materia fluida della speranza e dell’amore, a volte anche del semplice desiderio, ricevuta nella ferma, resistente materia della volontà che resiste al tempo, del volere che oltrepassa il tempo e sogna, a sua volta, di annullarlo.
La pittura, pertanto, sarà come un istante vivo, vivente, di tempo tra due sogni: quello dal quale nasce e l’altro, quello della tenace volontà di raffigurare, di raffigurarsi, in tutti i tempi, passando attraverso di essi.
Questo, è vero, lo si potrebbe dire in sostanza di tutte la arti: che tutte, compresa quella della parola, si danno tra questi due sogni e li realizzano col poco tempo che portano con sé – li realizzano relativamente.
Nell’arte della pittura, però, questa condizione si mostra con maggiore proprietà, perché il suo contenuto sono fantasmi, fantasmi come quelli dei sogni. Appare, cioè, che essa è il sogno stesso che alla fine si è aperto l’alveo più adeguato al proprio fluire. Che ha trovato il corpo, appena meno impalpabile del proprio corpo fantasmatico, che gli consente di entrare a far parte del reale.
I sogni, infatti, una certa specie, hanno bisogno di salvarsi. E un sogno salvato è un sogno visibile, sì, tanto più se ciò è conseguenza del suo essere entrato nel mondo della realtà, che è quello del tempo; del suo essere stato salvato a opera del tempo. Perché il tempo è salvatore.

Roma, 1960

María Zambrano, Sogno e destino della pittura, in María Zambrano, Dire luce. Scritti sulla pittura, a cura di C.armen Del Valle, Rizzoli, Milano 2013, pp. 103-109.

Maria Zambrano – La virtù della delicatezza
Maria Zambrano (1904-1991) – Il silenzio che accoglie la parola assoluta del pensiero umano diventa il dialogo silenzioso dell’anima con se stessa.
Maria Zambrano (1904-1991) – Saper guardare un’icona significa liberarne l’essenza, portarla alla nostra vita
María Zambrano (1904-1991 – Il punto dolente della cultura moderna è la sua mancanza di trasformazione della conoscenza pura in conoscenza attiva, che possa alimentare la vita dell’uomo di ciò che necessita.
María Zambrano (1904-1991) – L’amore è l’elemento della trascendenza umana. Originariamente fecondo, quindi, se persiste, creatore di luce, di vita, di coscienza. È l’amore a illuminare la nascita della coscienza.
María Zambrano (1904-1991) – La vita ha bisogno di rivelarsi, di esprimersi: se la ragione si allontana troppo, la lascia sola, se assume i suoi caratteri, la soffoca.
María Zambrano (1904-1991) – Vivere come figli è qualcosa di specificatamente umano; solo l’uomo si sente vivere a partire dalle sue origini e a queste si rivolge con rispetto. Se è così, non dovremmo temere che, smettendo di essere figli, smetteremo anche di essere uomini?
María Zambrano (1904-1991) – La cosa più umiliante per un essere umano è sentirsi portato, trascinato, senza possibilità di scelta, senza poter prendere alcuna decisione.
María Zambrano (1904-1991) – La violenza vuole, mentre la meraviglia non vuole nulla, le è estraneo e perfino nemico tutto quanto non persegue il suo inestinguibile stupore estatico.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Costanza Fiorillo – Reality and Hope, realtà e speranza.

Costanza Fiorillo, Realtà e speranza- Giorno della memoria 2020

Oggi, 12 gennaio 2020, Costanza Fiorillo (che frequenta la III F della Scuola Media “Cino da Pistoia”, Pistoia), ha ripreso i versi (Memory’s Fligt) che la sorella Chiara Fiorillo (la quale frequentava allora la III F della Scuola Media “Cino da Pistoia”), compose Il 12 gennaio 2017 per il “Giorno della Memoria”. Costanza li ha trascritti nel suo personale messaggio pittorico, in questa intensa immagine rammemorante che ha intitolato Reality and Hope: il pensiero è rivolto al “Giorno della Memoria”.


 Memory’s fligt
Il volo della memoria

They were men before;
they were something before.
Then they became nothing,
so with no fearless, they were waiting for death.
To live there you have to believe your future,
because where there’s hope, there’s life.
They were sorrounded by barbed wire,
so they couldn’t fly away.
I wonder why it happened,
but inside me the answer is silence.
We’re all equal,
we’re all different,
but there isn’t a perfect race!
“Losing the past means losing the future”,
so you must remember what happened.
Chiara Fiorillo, 2017


Costanza Fiorillo – La vera uguaglianza è la libertà di essere diversi. Il contrario di differente non è uguale, ma indifferente. Questo bisogna ricordare nel «Giorno della memoria».

Paul Klee, Geist eines Briefes [Spirito di una lettera],1937.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Georg W. Bertram – L’arte è prima di tutto un’esperienza che si realizza concretamente nella prassi umana. È una forma specifica di prassi riflessiva, è una prassi di libertà. È politica e si occupa dell’uomo. Anzi ne è responsabile e in quanto tale ha capacità trasformative.

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Georg W. Bertram, L’ arte come prassi umana. Un’estetica, Cortina, Milano, 2017.

Nella teoria e nella filosofia dell’arte si tende a sottolineare la differenza fra l’arte e le altre pratiche umane. In questo modo, si può perdere il senso profondo della pluralità delle arti e sottovalutare la portata dell’arte nell’ambito della forma di vita umana. Nella prospettiva teorica elaborata da Bertram, al contrario, l’arte si colloca in continuità con le altre pratiche umane, perché solo in riferimento a esse può acquisire la propria specifica potenzialità. Seguendo Bertram, saremo in grado di riconoscere in queste pagine una nuova impostazione nella definizione dell’arte: si tratta di comprendere la particolarità dell’arte nel contesto della prassi umana, ovvero di cogliere la natura essenziale del contributo che essa reca a questa prassi. L’arte, argomenta Bertram, non è semplicemente una pratica specifica, ma una forma specifica di prassi riflessiva, in quanto tale assai produttiva nell’ambito del rapporto dell’essere umano con il mondo. In ultima analisi, l’arte è una prassi di libertà.

Quarta di copertina
È dai tempi delle parole di Platone sul ruolo dei poeti che l’arte è al centro dell’attenzione dei filosofi. Questa sistematica introduzione alla filosofia dell’arte considera le riflessioni che da Platone, Kant, Hegel, giungono fino ad Adorno, Heidegger, Gadamer e Goodman e s’interroga su quale valore e funzione abbia l’esperienza artistica per l’uomo. Il volume illustra i principali temi e concetti che hanno contribuito a definire nella storia l’espressione artistica e in particolare i confini di quel peculiare processo di comunicazione che ha luogo solo grazie all’arte. Georg Bertram risponde a quesiti centrali: che cos’è l’arte? quando vi è arte? qual è il valore dell’arte per l’uomo? E invita il lettore a partecipare con lui nella riflessione.


 

«L’arte ha per noi il valore di una forma specifica di conoscenza, che può essere contraddistinta dal fatto che nel dialogo con le opere d’arte prendiamo coscienza del mondo e di noi stessi. Non vengono però in tal modo accomunati, in maniera infondata, due possibili orientamenti della presa di coscienza estetica? Se nell’arte ne va del mondo o ci occupiamo invece di noi stessi fa certo una bella differenza. È necessario precisare in che senso dev’essere intesa la presa di coscienza estetica: se essa abbia a che fare primariamente con il mondo o con il sé. Le opere d’arte rispondono anzitutto al modo in cui è strutturato il mondo intorno a noi? oppure ci interpellano in primo luogo circa le specifiche cognizioni che abbiamo di noi stessi? Potrebbe darsi naturalmente amcora una terza possibilità: che nell’arte il mondo e il sé siano interdipendenti.
Nel dibattito concernente la questione se l’arte sia rappresentazione o espressione, uno dei dibattiti paradigmatici intorno all’arte, vengono a confronto le due diverse direzioni che possono essere prese dal realizzarsi della presa di coscienza estetica. La diatriba sulla spiegazione dell’arte come rappresentazione o espressione verte sul modo in cui l’arte funziona come processo di presa di coscienza, e cioè se essa sia anzitutto orientata alla nostra realtà esteriore o alla nostra realtà interiore. Chi concepisce l’arte come rappresentazione ne associa le prestazioni cognitive al mondo esterno. Se invece l’arte è concepita come espressione, la presa di coscienza estetica è connessa con il mondo cognitivo interiore di coloro che fanno esperienze estetiche.
Sulla base del dibattito sull’arte come rappresentazione o espressione […], alla fine dei conti è più opportuno tirare in ballo un’altra distinzione, quella tra segno ed esperienza, che rende meglio comprensibile in che misura l’arte possa riferirsi al mondo o al sé. Quindi le opere d’arte devono essere comprese come segni – come segni che dànno da comprendere determinati contenuti -, oppure ci rappresentano in un modo particolare le forme della nostra esperienza. […] Il mio scopo è mostrare in generale che l’alternativa tra segno ed esperienza, in ultima istanza, non presenta affatto un’alternativa e che perciò nella presa dio coscienza estetica mondo e sé sono inseparabilmente connessi».
GEORG W. BERTRAMArte. Un’introduzione filosofica (Kunst. Eine philosophische Einführung, Philipp Reclam, Stuttgart 2005), trad. It. di A. Bertinetto, Einaudi, Torino 2008, cap. IV ‘Segno o esperienza ‘, pp. 127 – 128.


 

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Alicia Alonso (1921-2019) – È stato facile decidere di dedicarsi al balletto classico, perché la vita altro non è che un continuo movimento che assomiglia alla danza.

Alicia Alonzo 01
«È stato facile decidere di dedicarsi al balletto classico,
perché la vita altro non è
che un continuo movimento che assomiglia alla danza».

Alicia Alonso, Diálogos con la danza, Letras Cubanas, Cuba 2010, p. 27.

Alicia Alonso in Giselle (vaimusic.com) – YouTube

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Giuseppe Ungaretti (1888-1970) – Nel dipinto di Jan Vermeer, «Merlettaia», lo sguardo che si concentra esprime l’idea dell’infinità, d’una familiarità con il silenzio.

Giuseppe Ungaretti_Jan Vermeer
G. Ungaretti e P. Bianconi
L’opera completa di Vermeer
Rizzoli, Milano1966.

«La Merlettaia è china sul suo lavoro. È sguardo che si concentra, è assenza da tutto il rimanente che non sia quel lavoro, quel moto di dita che i fili annodano in trame leggiadre? Dita e sguardo non cesseranno mai di muoversi, di quel loro moto che si muove fermo per sempre. L’idea dell’infinità, d’una familiarità con il silenzio, solita, indissolubile e infrangibile; l’idea d’un’esistenza immutabilmente, felicemente quotidiana, semplicemente semplice; l’idea d’una solitudine tutta sola, e tutto il resto muto; questa è l’idea»

Bibliografia

  • Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese
    A. K. Wheelock (a cura di), W. Liedtke (a cura di), S. Bandera (a cura di)
    246 pagine, 2012
  • Max Kozloff
    La luce di Vermeer
    Roma, Contrasto DUE, 2011.
  • Bert W. Meijer
    Vermeer. La ragazza alla spinetta e i pittori di Delft
    Giunti GAAM, 2007
  • Anthony Bailey
    Il maestro di Delft: storia di Johannes Vermeer, genio della pittura
    Milano, Rizzoli, 2003.
  • Norbert Schneider
    Vermeer: 1632–1675: i sentimenti dissimulati
    Koln, Taschen, 2001.
  • Lorenzo Renzi
    Proust e Vermeer. Apologia dell’imprecisione
    Bologna, Il Mulino, 1999
  • John Michael Montias
    Vermeer: l’artista, la famiglia, la città
    Torino: Einaudi, 1997.
  • Gilles Aillaud, John-Michael Montias and Albert Blankert
    Vermeer
    Milano, Arnaldo Mondadori Editore, 1986
  • Giuseppe Ungaretti e Piero Bianconi
    L’opera completa di Vermeer
    Milano, Rizzoli, 1966.

Consulta la pagina dedicata al dipinto di Jan Vermeer, La Merlettaia, sul sito del Musée du Louvre di Parigi.


Giuseppe Ungaretti (1888-1970) – Sdegno e coraggio di vivere sono stati la traccia della mia vita. Volontà di vivere nonostante tutto, stringendo i pugni, nonostante il tempo, nonostante la morte. Vi arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde.


Hans Jean Arp (1887-1966) – L’uomo ha voltato le spalle al silenzio. Inventa nuove macchine e marchingegni che accrescono il rumore e distraggono l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione.

Jean Arp 001

René Char, Lettera amorosa, Illustrazioni di Georges Braque e di Jean Arp, Archinto, 2008.


L’arte è un frutto che cresce nell’uomo, come un frutto su una pianta, o un bambino nel ventre di sua madre.

Jean Arp

Presto il silenzio diventerà una leggenda. L’uomo ha voltato le spalle al silenzio. Giorno dopo giorno inventa nuove macchine e marchingegni che accrescono il rumore e distraggono l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione. Suonare il clacson, urlare, strillare, rimbombare, frantumare, fischiettare, rettificare e trillare rafforza il nostro ego.

Jean Arp


Jean Arp with Navel Monocle, 1926. Arp Stiftung, Berlino.

Jean Arp, Déméter.

Triade dei Misteri Eleusini, Persefone, Trittolemo e Demetra. Bassorilievo marmoreo (440-430 a.C.), trovato a Eleusi (oggi situato ad Atene, presso il Museo Archeologico Nazionale).

Luc Tuymans -Siamo bombardati da informazioni e immagini, ma la pittura è prima di tutto un fatto fisico, ci permette di tornare indietro, di concederci una pausa e attivare la sfocatura del distacco e della riflessione. Se la pittura è solo uno “show”, allora la pittura è morta, ma credo che questo valga per tutte le forme d’arte.

Luc Tuymans 01
Luc Tuymans, Apple.

«C’è sempre un conflitto tra astrazione e figurazione: è necessario che il nostro sguardo coltivi l’idea dei sottintesi, che vada oltre la trivialità di ciò che vediamo. Nell’epoca dei social network e di Netflix, siamo bombardati da informazioni e immagini, ma la pittura è prima di tutto un fatto fisico, ci permette di tornare indietro, di concederci una pausa e attivare la sfocatura del distacco e della riflessione».

« La pittura è una forma d’arte persistente, che ha a che fare con la maniera in cui una persona contempla un’immagine, attraverso il tempo, con il tempo e oltre il tempo. Molti artisti hanno cominciato con la pittura perché è la prima immagine concettuale. In questo senso, è e resterà un aspetto fortemente radicato nella civiltà e nella cultura. Se la pittura è solo uno “show”, frutto di più elementi su una tela, allora la pittura è morta, ma credo che questo valga per tutte le forme d’arte»

Luc Tuymans, Lumumba/em, 2000.



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Henri Matisse (1869-1954) – L’espressione essenziale di un’opera dipende quasi interamente dalla proiezione del sentimento dell’artista. Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità.

Per me è chiaro come il giorno che bisogna sentire quel che si disegna
[ … ]. Mediante l’esercizio continuo la mano deve imparare
a obbedire a quel sentimento.
Van Gogh, Lettere a Theo.

 

 

Scritti e pensieri sull'arte, Einaudi 1979

Scritti e pensieri sull’arte, Einaudi 1979

L’espressione essenziale di un’opera dipende
quasi interamente
dalla proiezione del sentimento dell’artista.

 

Henri Matisse, Scritti e pensieri sull’arte, Einaudi, 1979.


«Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità, questa generosità assoluta e questo profondo spogliamento che implica la genesi di ogni opera d’arte. Ma l’amore non è forse all’origine di tutta la creazione?».

Henri Matisse, Occorre guardare tutta la vita con gli occhi di un bambino, in Tracce, febbraio 2011


 

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L’arte comincia quando l’uomo, nell’intento di trasmettere ad altri una sensazione da lui provata, la risuscita in sé e la esprime con certi segni esteriori.

Lev N. Tolsloj, Che cos’è [‘arte? [1897). ed. il. a cura di Filippo Frassati, Feltrinelli, Milano 1978, p. 60.


 

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Vincent Van Gogh (1853-1890) – Se un’opera d’arte non comunica con individuale originalità i sentimenti dell’artista, se li esprime in modo incomprensibile, oppure se non nasce da un’esigenza interiore dell’autore, non è un’opera d’arte.

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Lettere a Theo [1872-1890]

Lettere a Theo [1872-1890]

 

«Se un’opera d’arte non comunica con individuale originalità
i sentimenti dell’artista,
se li esprime in modo incomprensibile,
oppure se non nasce da un’esigenza interiore dell’autore,
non è un’operad’arte».

Vincent van Gogh, Lettere a Theo [1872-1890], ed. it. a cura di Massimo Cescon, Guanda, Milano 2014, p. 178.

 

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Vincent Van Gogh (1853-1890) – Quando c’è convenzionalismo, c’è sempre la sfiducia e la sfiducia dà sempre luogo a ogni sorta di intrighi

Vincent Van Gogh (1853-1890) – Ho un grande fuoco nell’anima … qualcuno verrà a sedersi davanti a questo fuoco, e magari vi si fermerà

Vincent Van Gogh (1853-1890) – Preferisco la malinconia che aspira e che cerca

Vincent van Gogh (1853-1890) – La maggior parte della gente trova “troppo poca bellezza”. Continua sempre a camminare e ad amare la natura.

Vincent Van Gogh (1853-1890) – Le opinioni non possono rendere più vera la verità.


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Anselm Kiefer – Il libro mi accompagna dalla più tenera infanzia. Il libro è per me un rituale, struttura il tempo e fa appello ad altri poteri rispetto a quelli della cultura.

Kiefer Anselm 01

Kiefer-Pistoia

«Quando ho saputo che avevate l’intenzione di accordarmi l’immenso onore di ammettermi fra i ranghi di voi professori, mi sono messo a studiare la storia della vostra università.
La storia ha sempre fatto parte del mio lavoro artistico. Dietro sollecitazione di Roland Barthes, ho ad esempio letto Jules Michelet, che è diventato uno dei miei scrittori preferiti.

Il libro mi accompagna dalla più tenera infanzia. Ha un’importanza capitale, tanto nella mia vita quanto nella mia pratica artistica. Ritengo che rappresenti il 60% della mia opera. D’altra parte, tengo un diario nel quale annoto giorno per giorno bozze d’idee da sviluppare, schizzi, citazioni da poesie, epifanie del quotidiano… progetti, o ancora il piano delle camere d’hotel nei quali soggiorno…
Il libro è per me un rituale, struttura il tempo e fa appello ad altri poteri rispetto a quelli della cultura. Al mattino, prima di iniziare a lavorare, spesso percorro la mia biblioteca. È lunga sessanta metri, e ciò mi permette di camminare come al Vaticano. Spesso trovo il libro di cui ho bisogno, qualche che sia il soggetto. È molto curioso, come si trova ciò che vi si cerca. Sono convinto che abbiamo un accesso ai nostri libri che non passa per l’intelletto, che transita altrove rispetto al cervello.
Quando, lavorando a un quadro, mi capita di non sapere più a che punto sono, o, per dirla altrimenti, quando sono in panne, mi siedo alla macchina per scrivere e scrivo “qualcosa”.
Questo “qualcosa”, questa cosa tratta dell’essenza, della monade di Leibniz. Quando sono di fronte alla tela bianca, il che è al tempo stesso stimolante e costernante, allora un vecchio problema filosofico mi ossessiona: perché  c’è qualcosa e perché non il nulla?».

Anselm Kiefer

Il 26 novembre 2014 l’Università di Torino ha conferito a Anselm Kiefer la laurea honoris causa in Filosofia. Il testo integrale della sua lectio magistralis, da cui è tratto il brano riportato sopra, si può leggere su Artribune del 4 dicembre 2014, nella traduzione di traduzione di Marco Enrico Giacomelli.

 

L'arte sopravviverà alle sue rovine

L’ arte sopravvivrà alle sue rovine

Anselm Kiefer

Traduttore: D. Borca
Editore: Feltrinelli, 2018

 

 

 

Kiefer è uno dei più noti e controversi artisti contemporanei. Con queste pagine chiunque può immergersi nell’universo titanico, profondamente riflessivo, della sua arte.

“Soltanto nell’arte ho fede, e senza di essa sono perduto. Non riuscirei a vivere senza poesie e senza quadri, non solo perché non so fare nient’altro, perché non ho imparato nient’altro, ma per ragioni quasi ontologiche. Perché diffido della realtà, pur sapendo che, a modo loro, anche le opere d’arte sono un’illusione.”

Anselm Kiefer ha fatto irruzione sulla scena artistica tedesca nel 1969 con una serie molto controversa di opere dedicate alla Seconda guerra mondiale, capaci di risvegliare dall’amnesia collettiva che regnava in Germania in quel periodo. Da quel momento, la produzione artistica di Kiefer ha espresso ogni volta il rifiuto per il limite, non solo nella sua monumentalità e nella potenza della sua materialità, ma anche nell’infinita ricchezza di risorse con le quali sonda le profondità della memoria e del passato. Tra dicembre 2010 e aprile 2011, Kiefer è stato il primo artista visuale a occupare la cattedra di Creazione artistica al Collège de France di Parigi, dove ha tenuto otto lezioni, seguite dai rispettivi seminari. Questo volume raccoglie le otto lezioni, insieme al discorso inaugurale con cui l’artista ha dato inizio al corso. In risposta all’invito del Collège de France, Kiefer attinge alla letteratura, alla poesia, alla filosofia e ai suoi ricordi personali, nel tentativo di districare e rivelare il processo di sedimentazione e rielaborazione dei temi che circolano, si incrociano e si aggregano per formare la costellazione della sua arte. Queste lezioni formidabili e preziose gettano luce sulla dimensione universale di un artista, la cui opera è attraversata dalla storia, dal mito – greco, assiro e germanico -, dalla religione, dal misticismo ebraico, dalle donne, dalla poesia. Una raccolta di scritti cruciali per la comprensione dell’arte di Anselm Kiefer.


Il grande carico

Il grande carico

Tela a tecnica mista, 4,60 x 6,90 m)

Uno degli aspetti che distinguono la riuscita di un’opera d’arte sta nella facoltà di quest’ultima di provocare e stimolare l’immaginazione di uno spettatore, e questo è ciò che caratterizza la grande tela realizzata da Anselm Kiefer, collocata sulla parete di fondo della sala di lettura dei Dipartimenti, e donata alla Biblioteca San Giorgio dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, a godimento degli spettatori e dei lettori.

Sala di lettura dei Dipartimenti, Biblioteca San Giorgio Pistoia

Sala di lettura dei Dipartimenti, Biblioteca San Giorgio Pistoia

Il lavoro di Kiefer, materico ed evocativo, prende il titolo da un verso della poetessa austriaca Ingeborg Bachmann in cui si parla di una nave pronta a partire con un grosso carico (Die grosse Fracht, appunto).

“Il grande carico dell’estate è a bordo,
nel porto è pronta la nave del sole,
quando dietro di te saetta e stride il gabbiano.
Il grande carico dell’estate è a bordo.
Nel porto è pronta la nave del sole,
e sulle labbra della polena
si fa largo un sorriso da lemuro.
Nel porto è pronta la nave del sole.
Quando dietro di te saetta e stride il gabbiano,
arriva da Ovest l’ordine di affondamento;
ma tu annegherai con gli occhi aperti,
quando dietro di te saetta e stride il gabbiano.”

In Kiefer il carico prende corpo sotto forma di libri, stabilendo così un legame ideale e indissolubile con il luogo in cui l’opera è collocata. Come abilmente descrive Bruno Corà : “Lo scafo di piombo, rigidamente vincolato sulla tela dipinta mediante sottili cavi, sostiene sul suo ponte cataste di libri muti, anch’essi di piombo. L’enigmatico e insolito convoglio sembra veleggiare su una distesa di terra e fango, sotto un cielo che non si distingue dalla terra, senza un orizzonte, in un magma in cui insieme alla ruggine e alle emulsioni miste all’acrilico, si sovrappongono colate di piombo fuso, i cui incerti contorni rivelano una gestualità repentina …una turbolenza di modi, i cui effetti nell’immagine suggeriscono la mescolanza diluviale di terre, acque e cieli, senza possibilità di riferimenti orientativi”.
Il grande carico suscita nello spettatore il ricordo di una “nave da guerra-giocattolo-modello” e il sentimento spiazzante del doverla “trarre in salvo”, senza tuttavia conoscerne il perché o il verso dove, ma comunque sospinto da una tensione emozionale difficile da dimenticare, persa dietro ai ricordi e agli interrogativi che il convoglio insolito ed enigmatico porta sulla scena. Sembra divenire l’emblema di un trasporto essenziale attraverso un paesaggio immaginario, inquietante e insidioso, in cui è necessario riaffermare il diritto di cercare una risposta, di capire, sperando in quell’improvvisa e meravigliosa intuizione che talvolta ci dà la lettura.


I sette palazzi celesti

I sette palazzi celesti

 


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