Werner Jaeger (1888-1961) – L’importanza storica dei Greci quali educatori deriva dalla nuova e consapevole concezione della posizione dell’individuo nella comunità. La loro scoperta dell’uomo non è la scoperta dell’Io soggettivo, ma l’acquistar coscienza delle leggi universali della natura umana.

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L’importanza storica dei Greci quali educatori
deriva dalla nuova e consapevole concezione
della posizione dell’individuo nella comunità.
L'educazione divenne per loro giustificazione suprema
dell’esistenza della comunità e dell’individualità umana.
La loro scoperta dell’uomo non è la scoperta dell’Io soggettivo,
ma l’acquistar coscienza delle leggi universali della natura umana.


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Tutti i popoli che attingono un certo grado di sviluppo hanno naturalmente l’impulso a educare. […] La natura dell’uomo quale essere corporeo e spirituale dà luogo a speciali condizioni per la conservazione e la trasmissione del tipo umano e promuove speciali istituti materiali e morali, la cui essenza noi designamo con la parola: educazione. Nell’educazione, quale è praticata dall’uomo, opera quella medesima volontà di vita, plastica e generatrice, della natura, la quale spontaneamente tende a propagare e conservare ogni specie vivente nella sua forma; ma in questo gradino è portata alla massima intensità mediante il finalismo della conoscenza e della volontà umana consapevoli.

Ne derivano tal uni corollari generali. L’educazione, in primo luogo, non è faccenda individuale, ma, per sua natura, è cosa della comunità. Il carattere di questa si imprime nei singoli suoi membri, e nell’uomo, zóon politikón, è sorgente d’ogni azione e comportamento in una misura che non ha riscontro nell’animale. Non v’è altro caso, in cui l’influenza determinante della comunità sui suoi membri si faccia valere maggiormente, che nel suo sforzo di plasmare consapevolmente secondo la propria idea, mediante l’educazione, i nuovi individui continuamente sorgenti dal suo seno. L’edificio d’ogni comunità riposa sulle leggi e norme, scritte o non scritte, in essa vigenti, le quali vincolano essa medesima e i suoi membri. Ogni educazione è perciò emanazione diretta della viva coscienza normativa d’una comunità umana, sia quella della famiglia, sia della professione o del ceto, sia delle associazioni più vaste, come la tribù e lo Stato.

L’educazione partecipa al processo di crescita e di vita della comunità con le mutazioni di questa, e così alle sue vicende esteriori come al suo sviluppo interno e alla sua evoluzione spirituale. A questa è soggetta anche la coscienza generale dei valori che interessano la vita umana; la storia dell’educazione è quindi essenzialmente determinata dalle trasformazioni della concezione dei valori in una comunità. La stabilità delle norme vigenti significa anche saldezza dei principii educativi d’un popolo; l’abbattimento e la dissoluzione delle norme genera incertezza e oscillazioni nell’educazione, sino a renderla impossibile affatto. Questa situazione si ha non appena la tradizione sia abbattuta violentemente o si corrompa internamente. D’altra parte la stabilità non è per se stessa sintomo sicuro di salute; essa domina anche in uno stato di irrigidimento senile, nel periodo tardivo delle civiltà […]

Un posto speciale spetta alla grecità.[continua a leggere]

 

Werner Jaeger, Introduzione a «Paideia» (estratti)

 

Werner Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, Vol. I, La Nuova Italia, 1977, pp. 1-22.

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Werner Jaeger (1888-1961) – L’arte ha in sé una illimitata capacità di comunicazione spirituale, perché possiede ad un tempo quella universalità e quell’evidenza vitale immediata che sono le due condizioni più importanti dell’efficacia educativa. La poesia si trova così sempre in vantaggio, rispetto ad ogni ammaestramento meramente razionale e a tutte le verità di ragione universali. La poesia è più filosofica della vita reale, ma è anche più piena di vita che la conoscenza filosofica, mercé la sua concentrata realtà spirituale.

Paideia

«Ma ciò che resta, è dono dei poeti».
Friedrich Hölderlin
 

 

«Educativa in senso proprio non può essere se non una poesia le cui radici si addentrino negli strati profondi dell’essere umano, nella quale viva un ethos, uno slancio superiore dell’animo, un’immagine dell’umano che accomuni e vincoli gli uomini.
Ma appunto della poesia elevata dei Greci va detto che essa non ci dà soltanto un qualsiasi
frammento della realtà, bensì sceglie e contempla quella porzione dell’esistenza, ch’essa presenta, in relazione a un determinato ideale.
D’altra parte anche i valori supremi non divengono per gli uomini, per lo più, impressioni di valore permanente e d’efficacia suggestiva se non in quanto eternati dall’arte. L’arte ha in sé una illimitata capacità di comunicazione spirituale, di psicagogìa, come dicevano i Greci.
L’arte sola possiede ad un tempo quella universalità e quell’evidenza vitale immediata che sono le due condizioni più importanti dell’efficacia educativa. Mercé l’accoppiamento di queste due sorta d’efficacia spirituale essa supera tanto la vita reale quanto la rflessione filosofica.
La vita possiede l’evidenza sensibile, ma le sue esperienze mancano d’universalità, sono troppo commiste d’accidentale perché la vivacità delle impressioni ricevute possa sempre conseguire il grado estremo di profondità.
La filosofia e la riflessione, d’altra parte, si elevano bensì all’universalità e penetrano sino all’essenza delle cose, ma hanno efficacia soltanto su chi, mercé l’esperienza propria, può dare alle loro idee l’intensità interiore della vita vissuta.
La poesia si trova così sempre in vantaggio, rispetto ad ogni ammaestramento meramente razionale e a tutte le verità di ragione universali, ma anche rispetto alla mera esperienza accidentale del singolo.
La poesia è più filosofica della vita reale (se è lecito parafrasare un noto detto d’Aristotele), ma è anche più piena di vita che la conoscenza filosofica, mercé la sua concentrata realtà spirituale».

Werner Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, Vol. I, La Nuova Italia, 1977, pp. 88-89.


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Thomas Moore (1779-1852) – L’educazione è un “e-ducere”, un tirare fuori la nostra natura, la manifestazione della nostra essenza, il dispiegarsi delle nostre capacità, il rivelarsi delle nostre possibilità. L’educazione dell’anima porta all’incanto del mondo e all’accordo del sé. A volte sostare per il melisma dà all’anima la sua ragion d’essere

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P. Klee, Palloncino rosso

P. Klee, Palloncino rosso.

«Talvolta, durante i loro canti, i monaci approdano a una nota e la cantano in modo “fiorito”; una sillaba del testo tenuta per cinquanta note. Si chiama “melisma”.
Vivere una vita melismatica, a imitazione del canto “fermo”, vuol dire, per esempio, fermarsi su un’esperienza, un luogo, una persona, un ricordo, e lasciarsi andare con l’immaginazione all’entusiasmo che questi suscitano in noi. Alcuni amano meditare o contemplare in modo melismatico, mentre altri preferiscono disegnare, oppure costruire, dipingere o danzare qualunque cosa su cui caschi il loro occhio.
Vivere un punto dopo l’altro è una forma di esperienza, e può essere anche molto produttiva. Ma sostare per il melisma dà all’anima la sua ragion d’essere».

«Studiamo per ottenere diplomi, lauree e attestati, ma non immaginiamo altro scopo per una vita dedicata allo studio che quello di essere educati. Essere educati non è la stessa cosa di essere informati o essere addestrati. L’educazione è un “e-ducere”, un tirare fuori il nostro genio, la nostra natura, il nostro cuore. La manifestazione della nostra essenza, il dispiegarsi delle nostre capacità, il rivelarsi delle nostre possibilità fino ad ora nascoste – questi sono gli scopi dello studio dal punto di vista della persona. Da un altro lato, poi, lo studio amplifica la voce e il canto del mondo, rendendo la sua presenza più palpabile. L’educazione dell’anima porta all’incanto del mondo e all’accordo del sé».

«Il silenzio non è assenza di suono. Sarebbe un immaginarlo in modo negativo. li silenzio è un’attenuazione della statica interna ed esterna, del rumore che occupa non solo gli orecchi ma anche l’attenzione. Il silenzio consente di giungere alla consapevolezza a molti suoni, che altrimenti andrebbero perduti – i suoni degli uccelli, dell’acqua, del vento, degli alberi, delle rane, degli insetti – ma anche alla coscienza, ai sogni ad occhi aperti, alle intuizioni, alle inibizioni e ai desideri.
Si coltiva il silenzio non costringendo gli orecchi a non udire, ma alzando il volume della musica del mondo e dell’anima».

 

Thomas Moore, Nel chiostro del mondo. Pensieri per la vita quotidiana, Moretti & Vitali editori, 1996, pp. 62, 77, 86.

 


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Giancarlo Paciello – Ministoria della Rivoluzione cubana

rivoluzione cubana

 

 

 

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  1. Lotta politica democratica / 2. Verso la lotta armata / 3. L’assalto al Moncada / 4. La storia mi assolverà / 5. A volte, per fortuna, ritornano / 6. I barbudos in azione / 7. L’epopea castrista

 

 

 

 

Das Archivbild vom 21. August 1960 zeigt Kubas MinisterprŠsidenten Fidel Castro und Ernesto "Che" Guevara, damals PrŠsident der kubanischen Nationalbank, bei einer MilitŠrparade. Nach Ches Tod am 9. Oktober 1967 sind verschiedene Biographien Ÿber den lateinamerikanischen RevolutionŠr erschienen. dpa nur s/w (zu dpa-Korr: "Che Guevara ist auch 30 Jahre nach seinem Tod noch aktuell" vom 03.11.1997)

  1. Lotta politica democratica

 

Fidel Castro, entra all’università nel 1945 e si butta con impeto nelle lotte studentesche. Periodo di apprendistato, per il duro compito della lotta politica. E si dà subito da fare! In lotta con l’impresa privata dei trasporti urbani, Fidel diciottenne organizzò la requisizione degli autobus all’interno del recinto universitario, e vinse. Fidel faceva parte del gruppo dei manicatos, studenti che lottavano per la giustizia, denunciando i mali della vita pubblica. Questi, una volta erano andati a visitare il “penitenziario modello” dell’Isla de Pinos, e le guardie avevano tentato di impedire che gli studenti parlassero coi detenuti: Fidel aveva dato il via allo scontro – quasi una rissa – con le guardie e poi aveva denunciato l’incidente sul giornaletto dei manicatos. In seguito le autorità di polizia tentarono di coinvolgere Castro in provocazioni e processi. Una volta, nel corso di una manifestazione, un agente cadde ferito: accusarono Fidel. Ma lo studente che aveva deposto contro di lui, ritirò l’accusa e Fidel ne uscì ancora una volta indenne. Batista lo accusava di avere ucciso tre agenti di polizia, ma le più insospettabili fonti nordamericane – da Jules Dubois, uomo del Dipartimento di Stato, a Herbert Matthews, il direttore del New York Times che intervistò per primo Fidel sulla Sierra – scriveranno sempre parlando di una falsa accusa. Nel 1948 Castro fu mandato a Bogotà a rappresentare la FEU – la Federazione studenti universitari di Cuba – a un congresso del movimento studentesco latino-americano. In contemporanea al congresso studentesco, nella capitale della Colombia, si teneva una riunione dei ministri degli esteri dell’Organizzazione degli stati americani. Appena celebrata l’inaugurazione ufficiale di questa conferenza, il presidente liberale della Colombia, José E. Gaitan, fu assassinato. E Fidel si trovò all’interno di una insurrezione popolare. Studenti e operai, disorganizzati, tentarono di dare una guida allo spontaneo moto popolare. Apparvero bandiere rosse con falce e martello e vi furono parecchi morti.
Di lì a pochi giorni – osserva il Dubois – dovevano svolgersi in Italia le elezioni politiche più importanti del dopoguerra. Erano i primi di aprile del 1948. Una vittoriosa insurrezione comunista, sia pure nella lontana Colombia, avrebbe potuto influire sul risultato delle elezioni italiane. Ma i combattenti di quelle giornate popolari si ritirarono sui monti che circondano la capitale colombiana. Ridisceso a Bogotà, Fidel si presentò all’ambasciata cubana e riuscì a rientrare subito a Cuba, su un aereo che aveva portato tori di razza in Colombia. Con lui viaggiava un altro studente cubano che si era stupidamente vantato di avere ammazzato un prete, durante la rivolta. Poi si seppe che nessun prete era stato ucciso a Bogotà. A Fidel Castro si attribuì subito l’uccisione di ben tre preti. Fidel trasse dai fatti di Bogotà una lezione essenziale sulla debolezza dei moti spontanei popolari, anche quando questi giungono alla soglia della presa del potere. A Bogotà il movimento mancava di qualsiasi coordinazione. [Leggi tutto]

 

 

 

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Giancarlo Paciello,
Ministoria della Rivoluzione cubana

 

 


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Andrzej Kobyliński – La presenza della riflessione filosofica nella società italiana di oggi

Andrzej Kobyliński

 

Nella patria di Dante la problematica filosofica è indubbiamente più presente, nella cultura e nella vita sociale, che nelle altre società europee. Questo fenomeno si inserisce nella lunga e ricca tradizione umanistica del Paese, che risale ad autori come Giambattista Vico, Francesco De Sanctis, Antonio Gramsci, Luigi Sturzo, Giovanni Gentile e Benedetto Croce. Una delle conseguenze di questa eredità culturale ed intellettuale così ricca consiste nella presenza della riflessione filosofica nelle università, nelle scuole, sulla stampa, nella cultura di massa e nella vita pubblica. [Leggi tutto]

 

Andrzej Kobyliński,
La presenza della riflessione filosofica nella società italiana di oggi

 


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Politéia – B. Spinoza ad Arezzo: dialogo con A. Pallassini – Il fine della politica e la libertà umana: «Nulla di più utile all’uomo che l’uomo stesso. Gli uomini che sono guidati dalla ragione non appetiscono nulla per sé che non desiderino per gli altri uomini, e perciò sono giusti, fedeli e onesti».

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Politéia

Educazione filosofica e formazione politicaPalestra delle idee e del pensiero

B. Spinoza ad Arezzo

Dialogo con A. Pallassini

Frammento papiraceo della Repubblica

Frammento papiraceo de La Repubblica


«Aveva per la ricerca della verità
 una passione così forte da rinunciare,
 in una certa misura,al mondo,
 per meglio attendere ad essa».


Pierre Bayle,
 Dizionario storico e critico: Spinoza,
 Boringhieri, Torino 1958, p. 13.

«Vi è in lui una profonda coerenza
 tra l’uomo reale e quel modello umano che, con grande equilibrio,
 egli ha tracciato nell’Etica come regola o precetto
 di una vita che obbedisce alla ragione.
 […] Se Spinoza invita a non desiderare smodatamente
 il danaro e le cariche, il lusso e gli onori,
 questi precetti etici egli li mette in pratica
 e non si limita a enunciarli in astratto.
 Se raccomanda la mitezza, la cordialità,
 una gioia tranquilla e serena nei rapporti con se stesso e con gli altri,
 in questo modo si comporta lui stesso».
R. Cantoni, Introduzione a B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico,
 ed. a cura di R. Cantoni e F. Fergnani, Utet, Torino, 2013.

 

22 Marzo 2016, ore 17,30

nei locali di

La Feltrinelli Point

Via G. Garibaldi, 107 Arezzo

 

DIALOGO SU SPINOZA CON Alessandro Pallassini

Il fine della politica
e la libertà umana

     Presenta: Fabio Mori

Alessandro Pallassini, laureato a Siena con Alessandro Mazzone e André Tosel con una tesi sulla fondazione della libertà politica nella metafisica di Spinoza. I suoi interessi spinoziani vertono principalmente sul concetto di Fluctuatio Animi (Oscillazione dello Spirito Umano) come dispositivo che media la costituzione\dissoluzione del Corpus collectivum hominum et rerum (corpo collettivo sociale degli esseri umani e della natura). È docente di filosofia e storia nei licei. È stato Dottorando presso il Dipartimento di Scienze della formazione – Università di Firenze. Ha compiuto i suoi studi alla London School of English di Londra e all'Université de Paris VII “JUSSIEU”. Studi con André Tosel all'Université de Paris I “LA SORBONNE”. Pubblicazioni: Finitezza e Sostanza. Sulla fondazione della libertà politica nell'ontologia di Spinoza, Petite Plaisance, 2016).

 


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L'indice di un'edizione storica dell'Etica, che mostra la divisione dell'opera in cinque parti: Dio, la mente, gli affetti, la schiavitù dell'uomo rispetto alle passioni e la sua libertà dovuta all'intelletto.

«Nulla, dunque, di più utile all’uomo che l’uomo stesso: nulla, dico, di più eccellente per conservare il proprio essere gli uomini possono desiderare se non che tutti si accordino in tutto in modo che le menti e i corpi di tutti formino quasi una sola mente ed un solo corpo, e tutti si sforzino insieme, per quanto possono, di conservare il proprio essere, e tutti cerchino insieme per sé l’utile comune di tutti; donde segue che gli uomini che sono guidati dalla ragione, cioè gli uomini che cercano il proprio utile sotto la guida della ragione non appetiscono nulla per sé che non desiderino per gli altri uomini, e perciò sono giusti, fedeli e onesti».

Baruch Spinoza, Etica dimostrata con metodo geometrico (o Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico; nell'originale latino: Ethica more geometrico demonstrata o Ethica ordine geometrico demonstrata; nota anche semplicemente come Etica o Ethica), pubblicata postuma nel 1677, lo stesso anno della morte dell'autore.

 

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Daniele Orlandi – Nostalgie semiserie di un medievista senza Eco

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All’uscita di una straniante lezione di filologia bizantina, una ragazza a me cara mi chiese di colpo che ne pensassi di lui. Senza attendere risposta aggiunse che quel libro – piuttosto complesso, bisognava pur ammetterlo – lo aveva divorato in tre giorni, e una sera si era persino imposta di non andare a ballare proprio per scoprire finalmente l’assassino di tutti quei monaci.

Dodici anni dopo, nell’apprendere la notizia della scomparsa mi piazzo davanti allo scaffale dove abitano i suoi libri in ordine di editazione, e penso: nel nostro tempo si diventa noti per qualcosa di noi in cui altri possano identificarsi ma non ha più nessuna importanza il conoscere, conta solo riconoscere. Delle molteplici cose immaginate, sognate, programmate, sofferte, solo una – quella realizzata, e non sempre la migliore – sarà per molti l’irrinunciabile riferimento da accostare al nostro nome. Non è colpa di nessuno, anzi, è statistica, se è vero quel che c’insegnavano all’università, vale a dire che la “moda” è quel valore non estremo di una distribuzione a cui corrisponde la massima frequenza. E di mode noi viviamo, più che di apici, di medie e di inferenze, più che di approfondimenti. Perché era chiaro che lei stesse parlando di quel libro. Quelle pagine coltissime che avevano spinto – roba da non credere, anche per lei stessa! – una ex ragazzina tutto pepe a rimanere in casa per vedere come andava a finire. Non ho mai più risposto a quella domanda né forse avrei potuto, consapevole che per il grosso della mia generazione Umberto Eco “è” quel romanzo che nato come L’abbazia del delitto, un giallo di ambientazione fascista, divenne poi Il nome della rosa sul set di un Medioevo al tramonto. Il capolavoro o il mattone, tertium non datur. Uno dei libri più venduti del Novecento, che apparso nell’Ottanta, tra la vertenza Fiat e le Brigate Rosse, tra Ustica e il riflusso berlusconiancraxiano, in Italia chiudeva definitivamente il secolo breve. E lo faceva con un killeraggio di preti.

Disiecta Membra 03[Continua a leggere]

 

Daniele Orlandi,
Nostalgie semiserie di un medievista senza Eco

 


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Camilo Torres Restrepo (1929-1966) – L’umanesimo integrale di un rivoluzionario colombiano, sociologo, cristiano, sacerdote. – A 50 anni dalla sua uccisione ad opera dei miliziani governativi colombiani.

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Se la beneficenza, l’elemosina, le poche scuole gratuite, i pochi piani edilizi,
ciò che viene chiamato “la carità”,
non riesce a sfamare la stragrande maggioranza degli affamati,
né a vestire la maggioranza degli ignudi,
né ad insegnare alla maggioranza di coloro che non sanno,
bisogna cercare mezzi efficaci per dare tale benessere alle maggioranze.
Camilo Torres 

 

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Sono un rivoluzionario, come colombiano,
come sociologo, come cristiano e come sacerdote.
Come colombiano, perché non posso estraniarmi dalle lotte del mio popolo.
Come sociologo, perché grazie alla mia conoscenza scientifica della realtà,
sono giunto alla convinzione che le soluzioni tecniche ed efficaci
non sono raggiungibili senza una rivoluzione.
Come cristiano, perché l’essenza del cristianesimo è l’amore per il prossimo
e solo attraverso una rivoluzione si può ottenere il bene della maggioranza.
Come sacerdote, perché dedicarsi al prossimo, come la rivoluzione esige,
è un requisito dell’amore fraterno indispensabile per celebrare l’eucaristia.
Camilo Torres

 

 

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Se Gesù fosse vivo, sarebbe nella guerriglia. 
Camilo Torres

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Gesù di Nazareth raccomandava di non fare come i membri del Sinedrio: Mt 23, 3-4; Mc 12, 37-39; Lc 20, 45-46; Mt 23, 13-28; Lc 11, 39. 42. 44. 48. 52. Tra chi ha inteso le sue parole in modo autentico, qualcuno direbbe e dice “radicale”, ricordiamo un altro “sovvertitore dell’ordine costituito”, Camilo Torres (1929-1966), sacerdote e rivoluzionario colombiano, precursore della Teologia della Liberazione, co-fondatore della prima Facoltà di Sociologia dell’America Latina, che partecipò alla lotta di liberazione del suo popolo, e venne ucciso dai miliziani governativi il 15 febbraio 1966 (poco più di un anno dopo, il 9 ottobre 1967, sarà assassinato in Bolivia E. Che Guevara). Sono trascorsi 50 anni dalla sua morte, e per chi scrive – che allora ne aveva 19 – la sua figura rimane fortemente radicata nel cuore proprio in ragione del suo umanesimo integrale.
È significativo che nella prefazione italiana all’antologia dei suoi scritti, nel marzo 1968, G. M. Albani, allora dirigente delle Acli, ricavava dalla sua morte una lezione che avrebbe dovuto portare ad un «[…] impegno che deve giungere ad estirpare radicalmente nel nostro paese, in progressione solidale con tutti i popoli del mondo, quel nefasto sistema economico e sociale fondato sulla prepotenza del denaro, che alimenta anche tutte le fanatiche intolleranze religiose, ideologiche e razziali» (G. M. Albani, in C. Torres, Liberazione o morte, antologia degli scritti, Milano, Feltrinelli, Milano, 1968, pag. 9).

Carmine Fiorillo

Liberazione o morte

Liberazione o morte, Antologias,

 

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Marco Penzo – Una particolare idea di “comunismo” nel simposio

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Il simposio di Platone in un dipinto di Anselm Feuerbach

Il simposio di Platone in un dipinto di Anselm Feuerbach.

Nel mondo antico, in dettaglio in quello greco, il simposio fu una pratica che non solo forgiava il buon cittadino, ma esaltava anche la comunità di pari. Il simposio era la pratica che presentava il modello di cittadino, quindi uomo della comunità.
C’era una sorta di comunismo in tale pratica che però prevedeva determinate regole, ma soprattutto delle aggregazioni di ceti “aristocratici” nel senso letterale del termine, ma ancor prima che tali essi erano “amici”.
Murray spiega molto bene questa valenza sociale dell’amicizia, in particolare rifacendosi ad Aristotele, che indica l’amicizia come associazione, così come la πόλις. L’intellettuale, figura fondamentale a mio avviso anche e soprattutto nel simposio, «deve organizzarsi in libere comunità rette esclusivamente dall’amicizia filosofica»: in questo senso si può parlare di “comunismo tra pari” nel simposio, libera associazione tra uguali e soprattutto amici. [Leggi tutto]

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Marco Penzo, Una particolare idea di “comunismo” nel simposio

 

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Berta Caceres – Aveva detto: «Finire in carcere è il meno che ti possa capitare. Recentemente ci hanno sabotato l’auto su cui viaggiavamo, hanno minacciato la mia famiglia. In Honduras non esiste stato di diritto, ogni giorno è una scommessa». Il 2 marzo è stata assassinata.

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Berta Caceres
è stata assassinata
mercoledì 2 marzo in Honduras, nella città di Esperanza, dipartimento di Intibucá,
dove viveva.

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Non dimentichiamola!

 

Le parole profetiche di Berta Caceres

Honduras. L’ultima intervista al manifesto: «La nostra vita è appesa a un filo»

 

 


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