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Penso che “The Masses” […] appartienga al regno dei miracoli e alla sfera dei prodigi. Questa visione, seppur esagerata, è giustificata dal fatto che “The Masses” è nata praticamente dal nulla e che per ben cinque anni è uscita regolarmente ogni mese, sempre più ricca e sempre più importante, senza mai chiedere il minimo contributo ai lettori (come, invece, prima o poi sono costrette a fare le riviste che si autofinanziano). Inoltre, “The Masses” ha dimostrato come la miglior rivista in America possa funzionare senza dover sottostare alle regole che il successo impone: denaro, appoggio politico, pubblicità e consenso allo statu quo (il termine latino per definire questo marcio sistema economico).
«II suo successo – che è stato strabiliante –, è dovuto principalmente alla politica editoriale che rifiuta drasticamente di seguire gli atteggiamenti alla moda: rifugge dalla politica “di successo”, dalle vicende “di successo”, dai trucchi del giornalismo “di successo”.
Ha cercato […] di dire la verità […]. Ha cercato di pubblicare della vera letteratura in un mondo bislacco, e di dar prova di buon senso in un momento di pazzia universale, mentre scioglieva, con il suo umorismo, la seria e fredda stupidità da lungo tempo accumulata, e con la freschezza della sua risata e del suo canto, i falsi intellettualismi standardizzati.
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Emblema di una realtà vera e perciò sconvolgente, entrava nelle sedi sindacali con il cappello di seta in testa mentre partecipava in tuta alle cene “radicali” allora in voga.
[…] Riteneva che il suo scopo fosse trasformare il mondo, e sapeva che tale trasformazione poteva essere prodotta soltanto da coloro che lo avevano costruito, o che, per lo meno, ne avevano permesso la costruzione. Cosicché “The Masses” era sempre presente, laddove la massa si riuniva a cantare, piangere, lottare, e sempre accorreva dove nuvole minacciose si addensavano e ovunque scoppiasse un tumulto, infuriasse una battaglia, si ridestasse un antico terrore, risorgesse una verità trasformata, sanguinasse un’arteria del mondo, scomparisse un palpito di vita. […]
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Compagno lettore, vogliamo che tu venga a lavorare con noi. Chiunque tu sia, qualunque sia il tuo campo d’azione, se stai dandoti da fare, se non sei morto né desideri morire, se hai un’anima da salvare e una canzone da cantare, se hai visto la bellezza e vuoi dividerla con altri occhi, se hai un sogno in cui poterti rifugiare nella tua ora di disperazione e una prigione da cui vuoi salvarti e, soprattutto, se vuoi che il tuo ideale di giustizia sociale e fratellanza umana sia onorato e venerato dal mondo, allora, amico mio, questa è la tua voce […]».
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Nenia Sannita, Canti contro la guerra
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Giovannitti Arturo, nel 1912.
Arturo Giovannitti, What I think of “Tbe Masses”, vol. VIII, D. 9, luglio 1916, Annachiara Danieli, L’opposizione culturale in America. L’età progressista e “The Masses” 1911/1917, Prefazione di Francesco Co, Feltrinelli, 1975, pp.176-179.
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