Monica Ugaglia – «Incroci obbligati». Filosofia aristotelica, medicina rinascimentale, matematica, fisica, erudizione secentesca e tradizione letteraria.

Monica Ugaglia

Incroci obbligati

«Dice Aristotele nel sesto capitolo del Secondo della Fisica l’invano esser quando una certa azione, pur intrapresa in vista eli un certo preciso scopo, non pervenga però a tale debita conclusione, o compimento. Supponiamo che uno passeggi onde di poi meglio cacare; supponiamo altresì che ciò non venga ad essere; allora eliciamo ch’egli ha passeggiato invano, e che la passeggiata è stata vana. Ora, non essendo la nostra buona filosofia se non un’immensissima chiosa al detto Aristotele, un’operosa esegesi completiva, una perpetua postilla perfezionatrice, appare quanto meno curioso che non uno dei pur lodevolissimi scoliasti, glossografi, impiastratori di margini, disaccentatori di lemmi, apponitori di punti e giuntatori di virgole, non uno degl’innumerabili esprimitori d’inespressi, dicitori di non detti e compitori d’incompiuti abbia sentito il bisogno di dichiarare, con pur minima clausola, l’aristotelica esposizione dell’invano. Vuoi per la chiarezza dell’esempio – exemplum perspicuum, dice Tommaso – vuoi per pudicizia delle cose di sotto, in luogo d’illustrare l’esponitore glissa, non sviscera ma espertamente aggira, temporeggia, indietreggia, esita ed evita: l’imbarazzo è reciproco, lo stallo condiviso. Ed è in fin dei conti lo stesso Aristotele ad istigarlo a ciò: lapaxis, dice, il passeggiare è a scopo di lapaxis, ed è come se dicesse: vedi, al commentatore, vedi che quasi ti avevo messo nella merda, quasi, e poi invece t’offro, inatteso, l’agio di sortirtene, netto, nettissimo, tu e la tua penna pudibonda di sagrestano, qual certo sarai, solo che tu sappia impiegarla ammodo; a modo di vergare, sulla tua carta di pecora, il ieroglifìco del medico, che tempo che il paziente lettore lo decifri, tu ti sei già fugato, in altro impiccio, in altra notevolissima nota. Ed esso, paziente, a seguirti…».

Monica Ugaglia, Incroci obbligati, Castelvecchi, 2016, p.35.

 

Risvolto di copertina
Otto testi narrativi, di lunghezza, struttura e argomento variabili, accomunati da una particolare attenzione alla lingua e insieme da una costante vena ironica. Filosofia aristotelica, medicina rinascimentale, matematica, fisica, erudizione secentesca e tradizione letteraria si fondono in una miscela espressiva di programmatica discontinuità nel panorama letterario contemporaneo. Alcuni testi sono in forma di saggio (Kaloskagathos, Gaibbi Foco, Il nulla è lungo), altri di dialogo (Divagazione, Basso Ostinato), altri ancora di narrazione (Basso Continuo, Forse per giuoco, Orizzontale), ma tutti costantemente a rischio di dissolversi nell’artificio letterario, quando non di precipitare nell’ossessione linguistica.

MONICA UGAGLIA
Ha conseguito il dottorato in Fisica matematica alla SISSA di Trieste. Le sue ultime ricerche riguardano la Filosofia della fisica antica, con particolare riferimento ad Aristotele, e la Storia della fisica moderna da una prospettiva epistemologica. Attualmente ha un contratto di ricerca con la Scuola Normale Superiore di Pisa sulla ripresa di temi aristotelici in Leibniz.


Fisica - Libro III

Aristotele

Fisica – Libro III

a cura di: Monica Ugaglia

Edizione: Carocci, 2012

Collana: Classici (16)

ISBN: 9788843062508

In breve
«Movimento è l’atto di ciò che è in potenza, in quanto tale». «Illimitato è ciò di cui, per chi prenda secondo il “quanto”, continua ad esserci qualcosa da prendere oltre». Al lettore – sia egli un filosofo, un fisico o un matematico – che intenda avventurarsi nella non facile impresa di penetrare il senso di simili definizioni è dedicata questa edizione del libro III della Physica, la quale affronta, accanto alle questioni testuali e filosofiche, anche gli aspetti più tecnici della trattazione aristotelica.

Monica Ugaglia
Modelli idrostatici del moto da Aristotele a Galileo

Lateran University Press

 Modelli idrostatici

Carlo Rovelli, Monica Ugaglia, Diana Quarantotto – ‘La Fisica e Aristotele’

 



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Luigina Mortari – L’utopia che orienta il presente discorso è l’«utopia ragionevole» di una società che coltiva il massimo di sensatezza relazionale possibile.

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Fra i sentimenti che qualificano l’amicizia non meno importante della fiducia e della tenerezza è la generosità, intesa come la disponibilità a mettere a disposizione ciò che è proprio, sia in termini materiali sia di competenze, per aiutare l’altro. Come afferma Socrate: «I beni degli amici sono un loro comune possesso, si dice, così che tra voi non vi è disparità alcuna» (Platone, Liside, 207c). Il vero amico è capace sia della cura riparativa, che interviene per aiutare l’altro a superare momenti di difficoltà fisica o spirituale, sia di promozione dell’essere dell’altro: in entrambi i casi è decisiva la generosità, che fa dell’amico colui che mette le sue risorse a disposizione dell’altro affinché questi possa agire per il bene (Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 1155 a 13-14).
Avendo configurato l’amicizia in questi termini, non si può non essere d’accordo con Aristotele quando afferma che l’amicizia è «assolutamente necessaria alla vita. Infatti, senza amici nessuno sceglierebbe di vivere anche se possedesse tutti gli altri beni» (ivi, VIII, 1155 a 4-6). Quest’affermazione fa eco a quanto dichiara Socrate: «[…] fin da bambino, c’è qualche cosa che io desidero possedere, come altri aspira al possesso di altre cose. […] Uno, infatti, vorrebbe avere dei cavalli, un altro dei cani, uno dell’oro, l’altro onori; io, mentre resto indifferente davanti a questi beni, ardo invece dal desiderio di avere degli amici» (Platone, Liside, 211d-e).
[…] Anche se è indubitabile che l’amicizia costituisca una relazione rara, comunque rappresenta un archetipo della relazione di cura […], quella amicale non rimane chiusa nel privato; essa presenta, infatti, una forte valenza politica, perché se venisse a mancare «dal mondo il legame basato sulla benevolenza nessuna casa e nessuna città potrà rimanere salda» (Cicerone, Lelio, VII, 23). Aristotele afferma che è «l’amicizia a tenere insieme le città» (Etica Nicomachea, VIII, 1155 a 22-23) e ritiene che il suo valore politico sia tale da superare o almeno eguagliare quello della giustizia, perché «quando si è amici non c’è alcun bisogno di giustizia, mentre quando si è giusti c’è ancora bisogno di amicizia ed il più alto livello della giustizia si ritiene che consista in un atteggiamento di amicizia» (ivi, VIIl, 1155 a 26-27). Il vivere con altri, in modo che ciascuno possa trovare occasioni esperienziali per fiorire in tutto il suo essere, ha bisogno infatti non solo di giustizia ma anche di concordia, un sentimento che prende forma dalla presenza di relazioni amicali. Si può pertanto ipotizzare che più diffuse saranno le reti amicali più si rafforzerà il tessuto solidale del vivere insieme.
L’utopia che orienta il presente discorso è quella di una società che non si limita a perseguire una sorta di minimalismo etico e di minima garanzia di vita democratica; è l’«utopia ragionevole» di una società che coltiva il massimo di sensatezza relazionale possibile. Affinché una comunità possa fiorire, essa ha bisogno di cittadini disposti a collaborare, nel rispetto e nella valorizzazione delle reciproche differenze, per raggiungere il bene comune; questa disposizione è appunto l’«amicizia politica» (Enrico Berti, Politica e amicizia, in E. Berti e S. Veca, La politica e l’amicizia, Edizioni lavoro, Roma, 1998, p. 32). Una società in cui ciascuno possa sperimentare contesti di vita in cui sia possibile realizzare pienamente il proprio poter essere secondo la propria differenza ha dunque necessità che l’educazione assuma fra le sue priorità quella di sviluppare la disposizione all’amicizia.

Luigina Mortari,
La pratica dell’aver cura, Bruno Mondadori, 2006, pp. 78-80

 

 

 



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Franco Farinelli – Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo

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Geografia

«La geografia è la descrizione della Terra. Così da secoli si ripete. Ma non è cosi, perché nel frattempo ci si è dimenticati della cosa piu importante: che proprio attraverso questa descrizione il mondo viene ridotto alla Terra, la Terra alla sua superficie e quest’ultima a una tavola. Tale definizione implica dunque una triplice trasformazione, che se all’inizio passa inavvertita diventa incontrollabile.
Il mondo è il complesso delle relazioni (sociali, economiche, politiche, culturali) al cui interno si svolge la vita umana. Esso resta quello che già era per gli antichi greci […]. Più discutibile è stabilire che cosa sia la Terra, perché ogni definizione sottintende un personale punto di vista. All’inizio dell’era volgare Strabone rimproverò a Eratostene (che tre secoli avanti era stato il primo a intitolare Geografia un’ opera) di aver concepito la Terra non come un geografo ma come un astronomo, preoccupato anzitutto di prenderne le misure come fosse un qualsiasi corpo celeste. […]
Per Carl Ritter, all’inizio dell’Ottocento, la Terra era invece “la casa dell’educazione dell’umanità”. Nella sua visione, cioè, le forme della superficie terrestre (le acque, i monti, i deserti) rappresentano un vero e proprio progetto […]. Egli chiama la geografia Erdkunde, termine che si può tradurre come “conoscenza storico-critica della Terra”[…]. Nel libro che qui comincia si intende per Terra la base materiale, e perciò visibile, del mondo».

Franco Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, 2003, pp. 6-7.

Intervista a Franco Farinelli: l’invenzione della terra.

L’Autore

Franco Farinelli. Professore ordinario. Dipartimento di Filosofia e Comunicazione. Settore scientifico. Direttore Dipartimento di Filosofia e Comunicazione

***

Quarta di copertina

Kant diventa filosofo quando si accorge che non si tratta di fare la geografia di quel che vediamo, bensí dello spazio buio della nostra mente: ma sempre geografo resta. D'altronde Strabone, all'inizio dell'era volgare, era stato chiaro: la prima forma del pensiero occidentale si chiamava geografia, la stessa che a scuola abbiamo appreso come filosofia presocratica e si è soliti definire «sapienza greca». Quel che da Anassimandro a Kant a Pierce a Wittgenstein si trasmette è la natura cartografica dei sensi del mondo, la riduzione della conoscenza alla descrizione della rappresentazione geografica, della carta. Al punto che ancora si crede che la mappa sia la copia della Terra senza accorgersi che è vero il contrario: è la Terra che fin dall'inizio ha assunto, per la nostra cultura, la forma di una mappa, e perciò spazio e tempo hanno guidato il nostro rapporto con essa. Oggi tuttavia tali coordinate, che per tutta la modernità hanno costruito il mondo, si rivelano incapaci di spiegarne il funzionamento. La globalizzazione, qualsiasi cosa con tale processo si intenda, implica comunque una comprensione letterale del termine, e significa, prima d'altro che non è piú possibile contare, nel rapporto con la realtà, sulla potentissima mediazione cartografica che, riducendo a un piano la sfera terrestre, ha fin qui permesso di evitare di fare i conti con la Terra cosí come davvero essa è, con il globo. Perciò, secondo la lezione della grande geografia critica tedesca del secolo scorso, questo è un manuale di geografia privo di qualsiasi carta, perché indicare dove le cose sono significa già rispondere, in forma implicita e irriflessa, alla preliminare questione della loro natura. In esso non soltanto si dà conto dello stato presente della Terra, della geografia umana di oggi, ma si ridefinisce la natura dei principali modelli di descrizione del mondo in nostro possesso: la mappa anzitutto, e poi il paesaggio, il soggetto, il luogo, la città, lo spazio.

***

In questo studio dei modelli del mondo elaborati nel tempo, greci soprattutto, ma anche indù, romani, medievali, Farinelli, uno dei maggiori geografi italiani, offre una ricca e sistematica disamina di quella che è la tendenza all’organizzazione del territorio da sempre propria dell’essere umano. Se infatti è vero che la cartografia serve “a trasformare l’invisibile nel visibile, il software nell’hardware”, non fa meraviglia che essa abbia radici antiche. Ecco allora la figura di Ulisse, che percorre in lungo e in largo il libro come perfetto archetipo del viaggiatore, fondersi con la rilettura in chiave geografica di alcuni celebri miti della grecità, come quelli di Dioniso, Apollo e Teseo. Il respiro della trattazione è ampio, le sponde toccate variegatissime, le digressioni di estremo interesse. L’autore non esita a trascinare nel discorso le voci di Tasso, Heidegger, Kant o MacLuhan, all’insegna di un approccio, per molti versi, sostanzialmente filosofico e semiologico. Al centro si colloca in effetti la storia dell’organizzazione del territorio, per esempio con la messa in rilievo del passaggio dal decentrato modello urbano babilonese, o fenicio, a quello greco della città dotata di agorà, fino alla città “fordista”, “keynesiana”, e, infine, “globale”. È però sempre costante la riflessione sul rapporto fra rappresentazione e realtà. Da qui il coinvolgimento nell’analisi di quella che è la dimensione ontologica della materia. Troppo a lungo infatti, afferma l’autore, “si è creduto che la geografia fosse il sapere relativo a dove le cose fossero, senza accorgersi che in realtà, nell’indicare questo, la geografia decideva che cosa le cose erano”.

Daniele Rocca

 



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Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora

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Miklós Szentkuthy

 

Il lettore di provincia

Maura Del Serra

Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico
della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora

Se il compito di ogni scrittore degno di questo nome è quello, costante e inesauribile, di restituire la voce intima delle potenze della natura, dell’arte e del pensiero al mondo e al profano «tempo della privazione stigmatizzato da Hölderlin nel celebre interrogativo Warum Dichter im durftiges Zeit?», è certo che il grande scrittore ungherese Miklós Szentkuthy (1908-1988) ha assolto questa missione con un furor enciclopedico e con un estro metodico eccezionalmente «scientifici» e singolari nell’ambito del panorama letterario europeo del secolo scorso, tanto da indurre la critica più attenta alla sua voce, in patria e fuori (soprattutto in area francese, ma anche spagnola, portoghese, rumena e slovacca) a definirlo con topica approssimazione il Proust, il Joyce o il Musil ungherese: paragone trinitario che l’autore, pur prodigo nel riconoscere le sue multivarie fonti, ha sempre schivato con ironica deferenza. Questo principe neobarocco del Modernismo, che ha molto influenzato la generazione letteraria seguente – Krasnahorkai, Nádas, Esterhazy, il Nobel Kertész – è ancora pressoché sconosciuto ai lettori italiani per mancanza di attenzione ad una lingua e a una civiltà letteraria considerate minoritarie da parte di una Weltliteratur appiattita sul «regno della quantità», e per la conseguente assenza di traduzioni da parte dei nostri slavisti (con la logica eccezione della musica ungherese: Bartók, Kodály e Ligeti).
L’opera di Szentkuthy, parzialmente pubblicata dagli anni ’60 agli anni ’80 del Novecento, in traduzioni tedesche, serbo-croate, polacche e slovacche, e negli anni Novanta in versioni francesi è ora in corso di ampia e selettiva edizione (escluso l’oceanico diario intimo di 100.000/200.000 (?) pagine, ancora manoscritto) presso le edizioni superbamente raffinate della Contra Mundum Press (New York/Paris), fondate e dirette dal poliedrico, appassionato saggista e romanziere Rainer J. Hanshe: sono già apparsi, a cura dell’ottimo
traduttore Tim Wilkinson, i premiati Marginalia on Casanova (2011) e Towards the One and Only Metaphor (2013), oggetto semispecifico di questo scritto. [Leggi tutto il saggio aprendo il PDF qui sotto]

 

Maura Del Serra,

Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico
della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora

 

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I libri di Maura Del Serra

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Poesia

 

Scala dei giuramenti

Scala dei giuramenti

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Tentativi di certezza

Tentativi di certezza

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Voce di voci

Voce di voci

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Canti e pietre

Canti e pietre

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Scintille

Scintille

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Infinito presente

Infinito presente

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Infinite Present

Infinite Present

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L'opera del vento

L’opera del vento

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Adagio con fuoco

Adagio con fuoco

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Congiunzioni

Congiunzioni

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L'età che non dà ombra

L’età che non dà ombra

***

Za solecem i nociju vosled

Za solecem i nociju vosled

***

Aforismi

Aforismi

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Elementi

Elementi

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Dietro il sole e la notte

Dietro il sole e la notte

***

Corale

Corale

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Sostanze

Sostanze

***

senza niente

senza niente

***

Concordanze

Concordanze

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Meridiana

Meridiana

***

La gloria oscura

La gloria oscura

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L'arco

L’arco


Teatro

 

Teatro

Teatro

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La vita accanto

La vita accanto

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Guerra di sogni

Guerra di sogni

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La fonte ardente

La fonte ardente

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Andrej Rubliòv

Andrej Rubliòv

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Eraclito. Due risvegli

Eraclito. Due risvegli

***

Isole. Poema scenico

Isole. Poema scenico

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Scintilla d'Africa

Scintilla d’Africa

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Agnodice

Agnodice

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Dialogo Natura e Anima

Dialogo Natura e Anima

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Rosens ande

Rosens ande

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Lo spettro della rosa

Lo spettro della rosa

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La fenice

La fenice

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La Minima

La Minima

***

L'albero delle parole

L’albero delle parole


Critica

 

Una rara pietà

Una rara pietà

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Simone Weil. 'intelligenza della santità

Simone Weil: l’intelligenza della santità

***

Di poesia e d'altro, III

Di poesia e d’altro, III

***

Di poesia e d'altro, II

Di poesia e d’altro, II

***

Di poesia e d'altro, I

Di poesia e d’altro, I

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Crescita e costruzione. Immagini del giardino

Crescita e costruzione. Immagini del giardino

***

Le foglie della sibilla

Le foglie della sibilla. Scritti su Margherita Guidacci

***

L'uomo comune. Claudellismo e passione ascetica in Jahier

L’uomo comune. Claudellismo e passione ascetica in Jahier

***

Clemente Rebora. Lo specchio e il fuoco

Clemente Rebora. Lo specchio e il fuoco

***

Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli

***

Ungaretti

Ungaretti

***

Dino Campana

Campana

***

L'immagine aperta

L’immagine aperta

***

Mostra bio.bibliografica su Dino Campana

Mostra bio-bibliografica su Dino Campana


Traduzioni

 

R. Tagore-V. Ocampo, Non posso tradurre il mio cuore

R. Tagore –  V. Ocampo, Non posso tradurre il mio cuore

***

Tagore, Ricordi di vita

Tagore, Ricordi di vita

***

Cicerone, Manualetto elettorale

Cicerone, Manualetto elettorale

***

K. Mansfield, Poesie e prose liriche

K. Mansfield, Poesie e prose liriche

***

D. Barnes, Disincanto

D. Barnes, Disincanto

***

Victor Segalen, Odi

Victor Segalen, Odi

***

Le poesie di Simone Weil

Le poesie di Simone Weil

***

F. Thompson, Il Segugio del Cielo

F. Thompson, Il Segugio del Cielo

***

Orlando n

V. Woolf, Orlando

***

V. Woolf, Orlando

V. Woolf, Orlando

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V. Woolf, Orlando

V. Woolf, Orlando

***

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K. Mansfield, Tutti i racconti

***

K. Mansfield, Tutti i racconti

K. Mansfield, Tutti i racconti

***

K. Mansfield. Tutti i racconti

K. Mansfield. Tutti i racconti

***

Una stanza

V. Woolf, Una stanza tutta per sé

***

V. Woolf, Una stanza tutta per sé

V. Woolf, Una stanza tutta per sé

***

V. Woolf, Una stanza tutta per sé

V. Woolf, Una stanza tutta per sé

***

Shakespeare molto-rumore-per-nulla_1479_

W. Shakespeare, Molto rumore per nulla

***

W. Shakespeare, Molto rumore per nulla

W. Shakespeare, Molto rumore per nulla

***

M. Hamburger, Taccuino di un vagabondo europeo

M. Hamburger, Taccuino di un vagabondo europeo

***

E. LASKER-SCHÜLER, Caro cavaliere azzurro

E. LASKER-SCHÜLER, Caro cavaliere azzurro

***

Vi. Woolf, Le onde

Vi. Woolf, Le onde

***

M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto

M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto

***

G. Herbert, Corona di lode

G. Herbert, Corona di lode

***

E. Lasker-Sculer, Ballate ebraiche e altre poesie

E. Lasker-Schuler, Ballate ebraiche e altre poesie

 

 

Curatele

 

 

Kore. Iniziazioni femminili

Kore. Iniziazioni femminili

***

M. Guidacci, Le poesie

M. Guidacci, Le poesie

***

Poesia e lavoro

Poesia e lavoro

***

Egle Marini, La parola scolpita

E. Marini, La parola scolpita

***

G. Boine, La città

G. Boine, La città

***

Gianna Manzini, Bestiario

Gianna Manzini, Bestiario

***

P. Parigi, Noi lenti e le stelle

P. Parigi, Noi lenti e le stelle

***

Filastrocche della nonna

Filastrocche della nonna


Leggi anche:

 

Pagine di Maura Del Serra – Indice – Nuovo Rinascimento

Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano

Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.

Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»

Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole

Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”

Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864

Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana

 


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Dietrich von Hildebrand (1889-1977) – L’amore include sempre una consapevolezza della preziosità della persona amata. Non possiamo render conto filosoficamente dell’essenza dell’uomo finché non comprendiamo la vera essenza dell’amore.

Dietrich von Hildebrand

«[…] Non possiamo render conto filosoficamente dell’essenza dell’uomo
finché non comprendiamo la vera essenza dell’amore.
Poiché solo nell’amore l’uomo di desta
alla sua piena esistenza personale,
solo nell’amore egli attualizza
la totale pienezza della sua essenza».

«[…] Nell’amore apriamo le braccia della nbostra anima
per abbracciare l’anima dell’amato».

Dietrich von Hildebrand

 

Essenzadellamore

 

«L’amore nel senso più proprio e immediato […] è quello verso un’altra persona […]. Ogni “dipendere” […] non può essere indicato come “amare”. […] Ciò che costituisce la proprietà dell’amore, ciò che è la sua specifica essenza, include proprio la differenza da tutte le altre forme di “dipendere da qualcosa”. […] Lo specifico dell’amore è infatti il suo carattere di dono […].
In ogni amore è essenziale che l’amato ci stia di fronte come prezioso, bello, amabile. Finché qualcuno è per me solo utile, finché posso solo averne bisogno, manca la base dell’amore. La dedizione che è essenziale per ogni amore […] presuppone necessariamenter che la persona amata ci stia di fronte come dotata di valore, come bella, preziosa, come oggettivamente amabile. L’amore è una risposta al valore.
Già Aristotele ha visto che la vera amicizia è possibile solo nel bene, perché solo allora il nostro interesse si riferisce all’altra persona come tale, e anche questo fa emergere chiaramente il carattere di risposta al valore dell’amore. L’interesse insito nell’amore si dirige essenzialmente all’altra persona come tale, la sua esistenza e tutto il suo essere sono pienamente a tema. Finché l’altra persona mi è solo utile o mi offre una fonte di intrattenimento o di divertimento, non è pienamente a tema come tale, io non la amo.
Finché per me qualcuno è solo utile, non necessariamente mi affascina. Mi può addirittura disgustare, ma resto legato a lui, perché ne ho bisogno per determinati fini. La semplice utilità non è mai un fondamento di diletto. Inoltre l’altra persona in questo caso non è in alcun modo a tema come tale. Anzi, mi interessa solo come mezzo per qualcos’ altro.
Questo tipo di interesse è lontanissimo dall’amore. […]
L’amore in tutte le sue forme include sempre una consapevolezza della preziosità della persona amata e un dato valoriale che è tanto connesso con la persona, che la persona mi sta di fronte come in sé dotata di valore, bella, e tutta la sua forza di attrazione e capacità di dilettare scaturiscono da queste sue preziosità e bellezza.
Non è sufficiente porre l’accento sul fatto che l’amore è una risposta al valore e che si differenzia perciò essenzialmente da tutte le risposte a ciò che è solo importante per me. Si deve anche mettere in rilievo che in esso si tratta di un dato valoriale come fondamento, che è tanto connesso alla persona, che la persona come tale, ossia questa persona individuale, unica, mi sta di fronte come soggetto ed è pienamente a tema come dotata di valore, preziosa, amabile. Il dato valoriale è nell’amore di tipo tale da elevare e nobilitare la persona come tale e da escludere del tutto ogni possibilità di vedere l’amato come mezzo per la mia gioia e la mia estasi.
Certo, […] per colui che ama non solo la persona amata è portatrice di valori, non solo un caso felice della realizzazione di valori autentici, ma l’essere umano è pienamente a tema: la sua bellezza, la sua preziosità – egli incarna questi valori in un modo specifico.
Dobbiamo cosÌ dire che ogni amore è una risposta al valore; ma per suscitare l’amore – a differenza dell’entusiasmo, dell’ammirazione o della gioia – in primo luogo, ci devono essere valori di un certo tipo e cioè tali da conferire all’uomo uno splendore come totalità, e, in secondo luogo, il modo in cui i valori giungono a questa persona deve essere di tipo speciale» (pp. 85-97)

«Una percezione di valori è condizione del darsi dell’amore. Ma l’amore ci rende capaci di una nuova e più profonda percezione dei valori. Quest’ultima fonda a sua volta un amore nuovo e più profondo e questo, di nuovo, una nuova e più profonda percezione di valori» (p. 109).

«La differenza decisiva tra un appetito e una risposta al valore consiste in primo luogo nel fatto che nella risposta al valore l’importanza dell’oggetto non sta nel soddisfare soggettivamente o oggettivamente un bisogno della persona, ma l’oggetto è importante in sé. Nella risposta al valore è a tema il valore del bene, invece nell’appetito è la soddisfazione del bisogno […]» (pp. 121-123).

«La felicità dell’amore non ha affatto il carattere del mero appagamento del desiderio, ma è la gioia per il fatto che esiste uno come l’amato e felicità immanente all’amare» (p. 133).

«Il tipo del dongiovanni non coglie la bellezza della grazia, il fascino femminile, come valori. Egli li vede solo come qualcosa di attraente, che gli piace, come una cosa che lo soddisfa soggettivamente. La sua risposta è perciò un voler-possedere, un voler godere, senza alcuna donazione da parte sua. Nessuno sguardo all’altro come a qualcosa in sé prezioso, nessun comprendere che la bellezza, la grazia e il fascino femminile sono valori.
Inoltre, questo tipo isola queste qualità. Esse non sono per lui espressione della personalità complessiva; egli vede la donna non come preziosa, buona, ma solo come affascinante per la sua bellezza fisica e la sua grazia, la persona nel suo complesso non svolge alcun ruolo per lui.
La sua risposta ha perciò il carattere di un semplice desiderio, egli vuole godere di queste proprietà attraenti, vuole appropriarsi di qualcosa.
Da colui che ama, invece, queste qualità sono colte come valori. Elevano l’altra persona, la rendono preziosa in se stessa; la donna gli sta di fronte come degna di amore, egli guarda a questa preziosità. Ma queste qualità non restano mai isolate, esse sono per lui […] l’espressione di una preziosità generale, una nobiltà di tutto l’individuo. Egli vedrà in questa bellezza, in questa grazia, nel fascino femminile un’irradiazione della sua intima nobiltà, di una Noblesse sublime. La sua risposta è quella dell’autentica donazione, dell’impegnarsi per l’amato, di una profonda solidarietà con lui e del desiderio di un’unione duratura, cioè di un’unione dello sguardo reciproco dell’amore.
[…] È qualcosa di analogo alla differenza tra l’esteta, che gode di certe opere d’arte come di un buon vino, e il “godere” che risponde al valore, rispettoso, dell’uomo sensibile all’arte. L’esteta coglie in verità la bellezza, ma senza comprenderla come valore, ne gode come qualcosa di solo soggettivamente soddisfacente. Egli non sente nessun rispetto, egli stesso resta il centro – il suo godimento è la cosa più importante, l’opera d’arte è solo un mezzo per questo godimento.
L’uomo veramente sensibile all’arte, invece, coglie pienamente il carattere valoriale della bellezza artistica, la sua intrinseca dignità, la chiamata ad avvicinarsi ad essa pieni di rispetto e ad accogliere grati la gioia che sgorga sovrabbondante da questo valore» (pp. 171-173).

«L’amante desidera un’unità spirituale con l’amato. Egli non solo desidera la sua presenza, non solo di sapere della sua vita, delle sue gioie e dei suoi dolori, ma soprattutto un’unità di cuori, che solo l’amore reciproco può procurare» (p. 175).

 

Dietrich von Hildebrand, Essenza dell’amore, Mompiani, 2003.

 

Risvolto di copertina
Appare qui, per la prima volta in traduzione, il capolavoro del filosofo tedesco Dietrich von Hildebrand (Firenze 1889 - New York 1977) sull’essenza dell’amore. Il tema è trattato a partire dall’esperienza, nell’intento di gettare luce sui caratteri dell’amore come dono di sé, come massima fonte di felicità, come atteggiamento spontaneo e nello stesso tempo libero, come atto affettivo, ma spirituale, come vertice della moralità. L’autore è considerato uno dei padri della fenomenologia realista, corrente della filosofia contemporanea che si riconosce nelle prime opere di Husserl, e alla quale possono essere ricondotti autori come Max Scheler, Edith Stein, Adolf Reinach, Alexander Pfänder. Il testo tedesco a fronte riproduce l’edizione Das Wesen der Liebe, in Gesammelte Werke, vol. III, Habbel Verlag, Regensburg,1971.


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Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.

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L’umanesimo nella cultura medioevale (IV-XIII sec.)

Collana: DM Università
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Pagine: 220
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Distribuzione: PDE

In questa opera ò’autore studia analiticamente quelle forme della cultura medievale che possono essere chiamate “umanistiche”.
Lo stile chiaro e la ricchezza di informazioni, sempre presentate nella loro completezza, fa sì che il lettore possa seguire con chiarezza lo svolgersi dell’indagine proposta.
Sorrette da un apparato filologico rigoroso, le tesi esposte nel volume sono profondamente innovative per l’immagine che propongono della cultura medioevale.

 

INDICE

Introduzione

La crematistica nel Medioevo

L’anticrematistica nel Medioevo

La violenza nel Medioevo

Il concetto di Medioevo

I principali “luoghi comuni” sul Medioevo

Filosofia e sistematicità nel Medioevo

La Scolastica medievale

La condanna di Aristotele da parte della chiesa

Bonaventura da Bagnoregio

Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia

L’umanesimo della cultura medievale

L’attualità del Medioevo.

Appendice. Il pensiero filosofico-politico di Dante Alighieri

Bibliografia

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Umanesimo Cultura RinascimentaleClicca qui sotto per aprire la scheda completa.

Luca Grecchi,
L’umanesimo nella cultura rinascimentale (XIII-XV sec.)

Collana: DM Università
Formato: 17 x 24
Pagine: 140
Prezzo: 18,00
ISBN: 978-88-99126-73-5
Promozione: Bibliomanie
Distribuzione: PDE

Questo libro prosegue l’indagine dell’altro volume mantenendo i medesimi caratteri di rigore e di chiarezza. Oggetto dell’indagine sono gli aspetti umanistici della cultura rinascimentale, indagati dalla prospettiva della loro continuità con gli analoghi aspetti della cultura medievale. I due libri sono dunque strettamente legati da un unico filo conduttore.

INDICE

Introduzione

La crematistica rinascimentale

La filocrematistica

Elitarismo ed individualismo

Il “neoellenismo” della cultura rinascimentale

L’elogio della vita attiva

La concezione “polimorfa” dell’uomo

La ripresa formale della cultura classica

Continuità e discontinuità fra cultura medievale e rinascimentale

Il Rinascimento verso la modernità

La filosofia nel Rinascimento

Il concetto di Rinascimento

Bibliografia

 

 

Luca Grecchi_foto01

Luca Grecchi (1972), direttore della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia, insegna Storia della Filosofia presso la Università degli Studi di Milano Bicocca. Da alcuni anni sta strutturando un sistema onto-assiologico definito “metafisica umanistica”, che vorrebbe costituire una sintesi della struttura sistematica della verità dell’essere. Esso rappresenta, nella sua opera, la base teoretica di riferimento sia per la fondazione di una progettualità sociale anticrematistica, sia per la interpretazione dei principali pensieri filosofici. Grecchi è soprattutto autore di una ampia interpretazione umanistica dell’antico pensiero greco, nonché di alcuni studi monografici su filosofi moderni e contemporanei, e di libri tematici su importanti argomenti (la metafisica, la felicità, il bene, la morte, l’Occidente). Collabora con la rivista on line Diogene Magazine e con il quotidiano on line Sicilia Journal. Ha pubblicato libri-dialogo con alcuni fra i maggiori filosofi italiani, quali Enrico Berti, Umberto Galimberti, Costanzo Preve, Carmelo Vigna.

Libri di Luca Grecchi

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L’anima umana come fondamento della verità (2002) è il primo libro di Grecchi, che pone, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati i suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema metafisico costituisce la base per una analisi critica della attuale totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze della natura umana. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dell’autore compiuti negli anni novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale.

Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx costituisce in un certo senso una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi originale, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, Grecchi propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico. Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007.

La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004) con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura poetica ed umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana.

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005) con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano.

Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura umana. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista.

Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore.

Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimento imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro «una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo» in esame.

Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla società attuale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa è la felicità. Scrive Vegetti, nel testo, che Grecchi è «pensatore a suo modo classico», per il suo «andar diritto verso il cuore dei problemi». Il libro è assunto come riferimento bibliografico, per il tema in oggetto, dalla Enciclopedia filosofica Bompiani. .

Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale «risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa».  

Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, in maniera insieme divulgativa ed originale, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo.

La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “togliere” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.

Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico.

Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. Il testo rispecchia la tendenza dell’autore a prendere sempre seriamente in carico le altrui posizioni; secondo Grecchi, infatti, di fronte a critiche intelligenti, sono solo due gli atteggiamenti filosofici possibili: o fornire argomentate risposte, o prendere atto della correttezza delle critiche e rivedere le proprie posizioni. Il tema caratterizzante il testo è dunque la “lotta amichevole” per la emersione della verità.

L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è un libro in cui Grecchi effettua, in sintesi, la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi principali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione politico-sociale. L’uomo infatti assume centralità, in vario modo, in tutti i vari filoni culturali della Grecità, dal pensiero omerico a quello presocratico, dal teatro fino all’ellenismo.

L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone, da Grecchi in quegli anni ritenuto come il più rappresentativo della Grecità. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale e della totalità sociale.

L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele, che sarà poi da Grecchi ripreso negli anni successivi come struttura teoretica di riferimento. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale della totalità sociale.

Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) la centralità dell’uomo; b) la ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta essere Socrate.

Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso che avrebbe potuto essere tenuto da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.

Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.

Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2009), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in cui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore.

L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese.

L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano.

L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico.

A partire dai filosofi antichi (2010), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto – anche se soprattutto – dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che «questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana».

L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore colma una distanza temporale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico della Roma imperiale. Il testo si divide in due parti. Nella prima, in ossequio alla tesi per cui ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso spesso “deduce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello romano, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino.

Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata.

La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita dei tronchi di pressoché tutte le discipline filosofiche e scientifiche tuttora studiate nella modernità (con varie ramificazioni). Tradizionalmente, tuttavia, la filosofia della storia è ritenuta essere disciplina moderna, senza precedenti antichi. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa.

Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di «una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa».

Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano gli antichi Greci come vicini alla xenofobia, mostra che, sin dall’epoca omerica, essi furono invece aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”, il quale possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”.

Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare.

L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza questo autore. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si distingue per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità.

L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori come “naturalisti”, e che li separano sia dalla poesia e dal teatro precedenti, sia dalla filosofia e dalla scienza successive. L’autore, facendo riferimento agli studi di Mondolfo, Capizzi, Bontempelli e soprattutto Preve, mostra il nesso di continuità del pensiero presocratico con l’intero pensiero greco classico. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora.

Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica ed, al contempo, di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, presente oramai solo in un numero limitato di studiosi.

Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi non si limita a descrivere il pensiero dell’autore considerato ma, come è nel suo approccio, valuta; in maniera solitamente concorde, eppure talvolta anche critica, in particolare nella opposizione fra metafisica classica e metafisica umanistica.

Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti sterile ed inefficace. Assumendo come base principalmente il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori appunto definiscono – ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”.

Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero, che Grecchi assume invece ancora come centrale. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico.

La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. In esso Grecchi anticipa alcuni temi portanti del suo testo che sarà intitolato Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere, cui sta lavorando dal 2003.

Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. Quest’ultimo è un tema poco indagato in quanto mancano, alla mentalità filologica – poco teoretica – tipica del mondo accademico di oggi, i necessari riferimenti testuali (i Greci non avevano nemmeno la parola “alienazione”); questo saggio tuttavia può aprire un filone di ricerca su una tematica tuttora inesplorata.

Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”.

Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul Bene tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il Bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del Bene.

Discorsi sulla morte (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo.

L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (solitamente poco considerati), nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’aristotelismo che ebbero il loro punto culminante nel 1277.

L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che critica la tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque, a suo avviso, la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.

In preparazione:

Umanesimo ed antiumanesimo nella filosofia moderna (e contemporanea);

L’umanesimo greco-classico di Spinoza;

Il sistema filosofico di Aristotele;

Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere.

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Pavel Florenskij (1882-1937) – «La prospettiva rovesciata». Ci sono solo due tipi di rapporto con la vita: quello interiore e quello esteriore, come ci sono due tipi di cultura: contemplativo-creativa e rapace-meccanica.

Pavel Florenskij

«[…] la mia unica speranza è che tutto ciò che si fa rimane».

Pavel Aleksandrovič Florenskij, Non dimenticatemi, 1935

 

 

È davvero la «prospettiva» una immagine naturale della essenza del mondo?

[…] È proprio vero che la prospettiva, come sostengono i suoi fautori, esprime la natura delle cose e pertanto deve sempre e dovunque essere considerata come presupposto assoluto di veridicità artistica? O è piuttosto solo uno schema (e per di più uno dei possibili schemi di rappresentazione) che corrisponde non alla percezione del mondo nell’insieme, ma solo a una delle possibili interpretazioni del mondo, legata a un ben determinato modo di sentire e di comprendere la vita? O ancora: è forse la prospettiva, l’immagine prospettica del mondo, l’interpretazione prospettica del mondo, un’immagine naturale, della stessa essenza del mondo e da esso scaturita, autentica parola del mondo, o piuttosto è soltanto una particolare ortografia, una costruzione fra le tante, caratteristica di coloro che l’hanno creata, appartenente al secolo e alla concezione di vita di coloro che l’hanno inventata, e che esprime il loro stile, ma che non esclude affatto la possibilità di altre ortografie, di altri sistemi di trascrizione, che corrispondano alla concezione di vita e allo stile di altri secoli? E per di più, forse, sistemi di trascrizioni più legati alla sostanza più vera di questa, perché, in ogni caso, la trasgressione di quella trascrizione prospettica, alla fine turba così poco la verità artistica della rappresentazione, quanto gli errori di grammatica nella scrittura di un santo turbano la verità vitale dell’esperienza da lui riportata.[…] Gli appiattiti rilievi babilonesi ed egiziani non rivelano segni di prospettiva, come non rivelano del resto neppure ciò che propriamente conviene definire prospettiva rovesciata; la stessa policentricità delle raffigurazioni egiziane, come è noto, è estremamente ampia ed è canonica nell’arte egiziana; chiunque si ricorda che il volto e i piedi nei rilievi e nei murali egizi sono di profilo, mentre le spalle e il petto sono ruotati . Ma in essi non c’è comunque prospettiva diretta, mentre la stupenda veridicità delle sculture egizie di ritratti e di genere dimostra il grandissimo istinto di osservazione dei pittori egizi .
Se le regole della prospettiva veramente penetrano in modo così essenziale nella verità del mondo, come credono fermamente i loro fautori, allora non si potrebbe assolutamente capire come l’occhio raffinato del maestro egizio non si accorgesse della prospettiva e come avesse potuto non accorgersene. D’altra parte il noto storico-matematico Moritz Cantor rileva che gli egizi possedevano già le prime nozioni geometriche delle rappresentazioni prospettiche. In particolare, essi conoscevano il sistema di proporzioni geometriche ed inoltre da questo punto di vista si spinsero così lontano da poter applicare dove necessario una scala ingrandita o rimpicciolita. […]
La mancanza di una prospettiva lineare negli egiziani come, anche se in un altro senso, nei cinesi, è più una dimostrazione della fioritura, anzi della «sfioritura» senile della loro arte, che di inesperienza infantile; è la liberazione dalla prospettiva o il rifiuto a priori del suo potere […].

Vitruvio attribuisce ad Anassagora l’invenzione della prospettiva

È notevole che proprio ad Anassagora Vitruvio attribuisca l’invenzione della prospettiva e per di più nella skigraphia (così chiamata dagli antichi), cioè nella pittura delle scenografie teatrali. Secondo la notizia di Vitruvio, quando, più o meno attorno al 470 a.C., Eschilo rappresentò le sue tragedie in Atene, e il noto Agatarco gli allestì le scenografie e vi scrisse un trattato, il Commentarium, proprio per questo Anassagora e Democrito furono stimolati a scrivere scientificamente sullo stesso argomento: la pittura delle scenografie. […]
Quindi, la prospettiva non nasce all’interno dell’arte pura e non rappresenta affatto, come era il suo scopo iniziale, una viva percezione artistica della realtà; viene invece scoperta nel campo dell’arte applicata, o più esattamente nel campo della tecnica teatrale che assume al suo servizio la pittura e la sottomette ai suoi scopi. Corrispondono questi fini al fine dell’arte pura?
È questa una domanda che non ha bisogno di risposta.

La scenografia vuole sostituire la realtà con la sua apparenza

Il fatto è che la pittura ha il compito non di duplicare la realtà, ma di offrire la più profonda comprensione della sua «architettonica», del suo materiale, del suo significato; e la comprensione di questo significato, di questo materiale della realtà, della sua «architettonica», viene offerta all’occhio contemplativo del pittore nel «contatto vitale» con la realtà, nell’immedesimazione e nella empatia con la realtà. Fra l’altro la scenografia vuole, per quanto possibile, sostituire la realtà con la sua apparenza […].

La scenografia è «inganno», l’arte pura è  innanzi tutto, verità della vita

La scenografia è «inganno», anche se seducente; mentre l’arte pura è, o per lo meno vuole essere, innanzi tutto, verità della vita, che non sostituisce la vita, ma si limita ad indicarla simbolicamente nella sua più profonda realtà. La scenografia è uno schermo che coglie la mondanità dell’essere, mentre la pittura pura è una finestra spalancata sulla realtà. […] Fino a quel momento la scena greca era contrassegnata solo da «quadri e drappi»: poi cominciò a farsi sentire il bisogno di illusione. Ecco, supponiamo che lo spettatore, oppure lo scenografo-pittore, sia veramente incatenato, come il prigioniero della spelonca di Platone, alla poltrona teatrale, e non possa o comunque non debba avere un immediato rapporto vitale con la realtà, come se fosse separato dalla scena da una barriera di vetro ed esistesse un unico occhio immobile che guarda, senza penetrare nell’essenza stessa della vita […]: questi metodi di rappresentazione prospettica hanno realmente un loro significato, per un’illusione ottica così morbosa e priva, in gran parte, di umanità, nel senso più ampio.

Nel V secolo a.C. la «prospettiva» era nota

Perciò dobbiamo riconoscere come un fatto stabilito che, perlomeno, nella Grecia del V secolo a.C., la prospettiva era nota, e se in qualche caso, nonostante tutto, non veniva applicata, non si trattava evidentemente di una ignoranza dei suoi princìpi, ma di altre e più profonde motivazioni derivanti da «superiori esigenze artistiche» […]. Sarebbe molto difficile mettere in dubbio il fatto che, quando essi non applicavano le regole della prospettiva, era semplicemente perché non volevano applicarle, perché le ritenevano inutili e antiartistiche.
[…] È possibile immaginare che […] fossero sconosciuti i semplici metodi di prospettiva lineare? E, in effetti, dove abbiamo a che fare con le illusioni scenografiche, usate per estendere ingannevolmente lo spazio della scena teatrale […] ci imbattiamo necessariamente in un uso della prospettiva lineare corrispondente allo scopo stabilito. Lo si può osservare soprattutto nei casi in cui la vita, allontanandosi dalle sue sorgenti profonde, scorre attraverso le acque poco profonde del facile epicureismo, scorre nell’atmosfera del superficiale spirito borghese degli […] omuncoli che avevano perso la profondità del noumeno del genio greco […].

La radice della «prospettiva» è il teatro

La radice della prospettiva è il teatro, non solo per la ragione storico-tecnica, delle origini necessariamente teatrali della prospettiva, ma anche in virtù di un impulso più profondo: la teatralità della rappresentazione prospettica del mondo. In questo impulso coesiste anche una percezione inerte del mondo, priva della sensazione della realtà e del senso di responsabilità, cioè che, per essa, la vita è solo spettacolo […].
Tuttavia la questione è seria. Significa forse […] che le leggi della prospettiva realmente erano sconosciute agli antichi? […]
Non è questo il luogo per definire o semplicemente spiegare il legame tra le dolci radici del Rinascimento e gli amari frutti kantiani.
[…] tutti gli spauracchi che ci hanno divisi dal Medioevo sono stati inventati dagli storici stessi; abbiamo capito che nel Medioevo scorre copioso e pregnante il fiume della vera cultura, con la sua scienza, la sua arte, il suo apparato statale, in genere con tutto quello che appartiene alla cultura, ma appunto con ciò che è suo, non solo, ma prossimo allo spirito autentico dell’antichità.

La «prospettiva» dell’uomo rinascimentale costruisce una realtà fantasmagorica

[…] Il pathos dell’uomo nuovo [rinascimentale] è di sfuggire ad ogni realtà, perché l’«io voglio» detti di nuovo legge attraverso la ricostruzione di una realtà fantasmagorica, anche se imprigionata in uno schema grafico. Invece, il pathos dell’uomo antico, come quello dell’uomo medioevale, è l’accettazione, il generoso riconoscimento, l’affermazione di ogni genere di realtà come un bene, perché l’essere è il bene e il bene è l’essere. Il pathos dell’uomo medioevale è l’affermazione della realtà in sé è fuori di sé, e perciò è l’obiettività. Al soggettivismo dell’uomo nuovo [rinascimentale] appartiene l’illusionismo: al contrario non c’è niente di tanto lontano dai pensieri e dalle intenzioni dell’uomo medioevale, le cui radici risalgono all’antichità, come la creazione di simulacri, e la vita tra i simulacri. Per quanto riguarda l’uomo nuovo, dalla bocca dei filosofi della Scuola di Marburgo prendiamo la sincera dichiarazione che la realtà esiste soltanto quando, e nella misura in cui, la scienza si degna di autorizzarne l’esistenza, dando questo permesso nella forma di uno schema fittizio […]. Il brevetto sulla realtà viene legittimato solo nella cancelleria di H. Cohen ed è nullo senza la sua firma e il suo timbro. Ciò che a Marburgo viene affermato apertamente costituisce l’essenza del pensiero rinascimentale […].
Ma è degno di attenzione e di un profondissimo riso interiore il fatto che l’uomo nuovo contrabbandi con insistenza come un ritorno alla realtà naturale e come una liberazione dalle pastoie impostegli da qualcuno, questo travisamento, questo deterioramento della naturale capacità umana di sentire e pensare, questa rieducazione nello spirito del nichilismo. Perciò, in effetti, quando si sforza di raschiare via dall’anima umana i caratteri della storia, strappa via l’anima stessa.

L’uomo antico e medioevale sa che per volere è necessario essere

L’uomo antico e medioevale, invece, sa innanzi tutto che per volere è necessario essere, essere una realtà e stare dentro la realtà a cui bisogna appoggiarsi: egli è profondamente realistico e sta ben saldo sulla terra, a completa differenza dell’uomo nuovo, che considera soltanto se stesso e i suoi desideri e quindi, inevitabilmente, i mezzi più diretti per realizzarli e soddisfarli. Di qui si capisce che le premesse di una concezione di vita realistica sono state e saranno sempre le seguenti: esistono delle realtà, cioè esistono dei centri dell’essere, dei grumi di essere, soggetti a leggi proprie, e perciò aventi ciascuno la propria forma; perciò nulla di ciò che esiste può essere considerato come materiale indifferente e passivo, utilizzabile per riempire un qualsiasi schema […]; infatti le forme devano essere comprese secondo la loro vita, devono essere rappresentate attraverso se stesse, conformemente a come sono concepite, e non negli scorci di una prospettiva predisposta in anticipo. […]

Ci sono due tipi di cultura: contemplativo-creativa e rapace-meccanica

La nostra tesi […] consiste in questo, che in quei periodi storici della creazione artistica in cui non si nota l’uso della prospettiva, gli artisti figurativi non è che ‘non sappiano’, ma non vogliono usarla, o più precisamente, vogliono servirsi di un altro principio di rappresentazione che non sia la prospettiva, e vogliono così perché il genio del tempo comprende e sente il mondo in un modo cui è immanente anche questo mezzo di rappresentazione. Invece, in altri periodi, si dimenticano il senso e il significato della raffigurazione non-prospettica, si perde decisamente l’intuizione di essa, perché la concezione di vita del tempo, diventata completamente diversa, porta a un quadro prospettico del mondo. E in un caso e nell’altro c’è una consequenzialità interiore, una propria logica rigorosa, in sostanza primaria, e, se questa logica tarda ad apparire in tutta la sua forza, questo avviene non per la sua complessità, ma per l’ambigua incertezza dello spirito del tempo tra le due autodefinizioni che si escludono a vicenda.
In definitiva, ci sono solo due esperienze del mondo: l’esperienza umana in senso lato e l’esperienza ‘scientifica’, cioè ‘kantiana’, come ci sono solo due tipi di rapporto con la vita: quello interiore e quello esteriore, come ci sono due tipi di cultura: contemplativo-creativa e rapace-meccanica.

 

Pavel Aleksandrovič Florenskij, La prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura di Nicoletta Misler, Edizione Casa del Libro Editrice, Roma, 1983; di nuovo pubblicato nel 2005 da Gangemi Editore.

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Carlo Rovelli – Sette brevi lezioni di fisica. Per natura amiamo e siamo onesti. E per natura vogliamo sapere di più. E continuiamo a imparare.

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«Da ragazzo, Albert Einstein ha trascorso un anno a bighellonare oziosamente. Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte, cosa che i genitori degli adolescenti purtroppo
dimen ticano spesso. Era a Pavia. Aveva raggiunto la famiglia dopo aver abbandonato gli studi in Germania, dove non sopportava il rigore del liceo. Era l’inizio del secolo e in Italia l’inizio della rivoluzione industriale. Il padre, ingegnere, installava le prime centrali elettriche in pianura padana. Albert leggeva Kant e seguiva a tempo perso lezioni all’Università di Pavia: per divertimento , senza essere iscritto né fare esami. È così che si diventa scienziati sul serio» (p. 13).

«Per natura amiamo e siamo onesti. E per natura vogliamo sapere di più. E continuiamo a
imparare. La nostra conoscenza del mondo continua a crescere. Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l’oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato» (p. 85).

Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, 2014.

Risvolto di copertina
«Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato». Tale è il presupposto di queste «brevi lezioni», che ci guidano, con ammirevole trasparenza, attraverso alcune tappe inevitabili della rivoluzione che ha scosso la fisica nel secolo XX e la scuote tuttora: a partire dalla teoria della relatività generale di Einstein e della meccanica quantistica fino alle questioni aperte sulla architettura del cosmo, sulle particelle elementari, sulla gravità quantistica, sulla natura del tempo e della mente.

Carlo ROVELLI

Carlo ROVELLI

Centre de Physique Theorique de Luminy
Case 907, Luminy, F-13288 Marseille, EU
Office Number: 423
e-mail:  rovelli@cpt.univ-mrs.fr

 

Lezioni English version Sept

 

English version: Seven Brief Lessons on Physics (Penguin)

French version: Sept brèves leçons de physique (Odile Jacobe)

Italian version: Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi)

 

 

Copertina

“La realtà non è come ci appare” (Cortina), in italiano.


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Arturo Donati – Gli spiriti delicati non possono che cercarsi. E quando il prodigio dell’incontro si avvera, il valore della pienezza della relazione accresce il significato della loro vita: recensione al libro “Specularmente”.

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Coperta 252

Margherita Guidacci Margherita Pieracci Harvell

Specularmente. Lettere, studi, recensioni.

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Con intelligenza letteraria la curatrice Ilaria Rabatti ha assemblato ad arte degli scritti molto interessanti, componendoli in un gradevole volume in quattro parti, ricco di note la cui trama unitaria è possibile cogliere da parte del lettore più attento.
Appaiono lettere, studi e recensioni che favoriscono la conoscenza di due scrittrici amiche e confidenti che meritatamente occupano uno spazio rilevante nel panorama poetico e letterario: Margherita Guidacci e Margherita Pieracci Harwell. I testi consentono la focalizzazione di alcuni aspetti delle loro radici letterarie comuni e delle consonanze spirituali con altri autori di riconosciuta importanza. La prima sezione del libro si compone di undici lettere, edite per la prima volta, che Margherita Guidacci, poetessa fiorentina nata nel 1922, indirizza da Roma all’amica scrittrice e critico letterario Margherita Pieracci Harwell. Interessano il biennio 1987-89 durante il quale la destinataria era residente a Chicago ove insegnava.
Sono anche gli anni di intensa attività poetica e culturale che precedono la grave malattia che paralizzerà Margherita Guidacci, comunque lucida sino alla morte avvenuta nel 1992. Nelle lettere, con toni improntati al rispetto e al desiderio di confronto leale, emergono sia la temperie culturale di quegli anni che l’intenzione di fare della poesia e della letteratura una pratica non retorica ma fondante della vita accettata in toto, ove i piccoli eventi e le grandi amicizie si riconducono alla stessa matrice spirituale. Si evincono preoccupazioni editoriali, consigli di letture e brevi riferimenti ad autori da ricordare per favorire la conoscenza di aspetti significativi della circolazione del pensiero europeo. Si rivela anche la viva gratitudine della Guidacci al prestigioso magistero di Giuseppe De Robertis, con il quale si era laureata nel 1943 con una tesi su Giuseppe Ungaretti.
L’influsso formativo del De Robertis, insigne conoscitore dei classici, accomunava le due amiche, basti pensare agli studi su Leopardi condotti da Margherita Pieracci Harwell. Altrettanto le univa la stima profonda per il genio letterario di Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo (Bologna 1923, Roma 1977). Alla conoscenza dell’opera della Campo, Margherita Guidacci fu introdotta dalla stessa Pieracci Harwell, nota a tutti per essere stata proprio la cara Mita, cioè la confidente spirituale, destinataria delle copiose lettere di Cristina Campo che costituiscono uno degli epistolari di maggior spessore spirituale e letterario che la letteratura italiana contemporanea possa vantare.
Nella seconda sezione di “Specularmente” sono presenti due note recensioni di Margherita Guidacci. La prima è quella a “Il flauto e il tappeto”, apparsa nel 1972 in “La Nuova Antologia” n. 2054. Per quanto sintetica, tale recensione resta ancora oggi uno dei testi brevi più acuti dell’ormai ricca critica su Cristina Campo. In essa affronta, con elegante sintesi, una delle opere fondamentali dell’autrice bolognese cogliendo la cifra mistica che trama la suggestiva scrittura di Cristina Campo, protesa a fare della ricerca di stile un esercizio preparatorio alla lettura recondita della purezza dell’essere.
Segue la recensione al saggio di Margherita Pieracci Harwell “I due poli del mondo leopardiano”, pubblicata il 25 settembre 1987 su “L’Osservatore Romano”. Nel lavoro esaminato viene riconosciuto alla studiosa il merito di fornire apporti personali all’analisi del Poeta di Recanati, sulla base di un solidissimo approfondimento delle fonti, accompagnato dalla competenza di trattare temi filosofici notoriamente complessi in Leopardi. Nelle ultime sezioni del libro è Margherita Guidacci a essere la recensita… [Leggi tutto aprendo il file PDF allegato]

 

Arturo Donati, Recensione al libro “Specularmente”

 

 

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Vedi anche:

Margherita Guidacci, la vita e la poesia
Da Vitolini a Chicago, Margherita Pieracci Harwell ambasciatrice di italianità nrl mondo
Cristina Campo
Maura Del Serra – I LIBRI ed altro
Intervista a Giovanna Fozzer
Ilaria Rabatti – «Al fuoco della carità». Introduzione al libro di Margherita Guidacci, «Il fuoco e la rosa. I “Quattro Quartetti” di Eliot e Studi su Eliot»

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Elio Vittorini (1908-1966) – L’ambivalenza dell’animo favorisce, naturalmente, l’affermazione italiana del fascismo. È sempre tanto più facile lasciarsi prendere da una corrente che resistervi.

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Il garofano rosso

Il garofano rosso

Ha il fascino dei libri
della prima giovinezza,
quando il talento
è una specie di follia,
e vivere è come viaggiare
in incognito con se stessi …
Gianna Manzini

«Il principale valore documentario del libro è nel contributo che può dare a una storia dell’Italia sotto il fascismo e ad una caratterizzazi’bne dell’attrattiva che un movimento fascista in generale, attraverso malintesi spontanei o procurati, può esercitare sui giovani. In quest’ultimo senso il libro ha un valore documentario non solo per l’I talia.
Si parla dal ricordo d’infanzia che viene, nelle prime pagine, attribuito al ragazzo protagonista. “E. ricordo d’un desiderio, conosciuto nella primissima infanzia, di uccidere qualcuno. L’esistenza successiva del protagonista e l’educazione ricevuta non lo hanno eliminato, o lo hanno semplicemente represso. A sedici anni egli è ancora posseduto da una vaga impressione che, per affermare se stesso, “entrare nella vita degli adulti”, essere
riconosciuto uomo, occorra “forse” uccidere qualcuno o, comunque, versare sangue.
Tutti i ragazzi intorno a lui si comportano come se fossero, tutti, posseduti più o meno, e più o meno vagamente, dalla stessa impressione. C’è in loro, verso il mondo costituito) una diffidenza che li accomuna e un atteggiamento di rivolta non preciso ma costante per cui sono portati a credersi rivoluzionari e sono pronti a simpatizzare con qualunque movimento politico appaia loro rivoluzionario. Hanno sentito parlare di socialismo, hanno sentito parlare di comunismo, e vedono intanto il fascismo.
Sono i giorni del delitto Matteotti, e i tempi, in Sicila, del soldino. Il fascismo ha ucciso Matteotti: vale a dire ha ucciso, come ciascuno di essi ha l’impressione d’aver bisogno di fare, qualcuno. Agli occhi loro, che vedono gli altri partiti non uccidere, il fascismo è forza, e come forza è vita, e come vita è rivoluzionario. Ma hanno sentito parlare, ripeto, di socialismo, e di rivoluzioni comuniste per il socialismo. Ne sanno quanto basta per pensare che ogni mutamento rivoluzionario del mondo debba avvenire in senso socialista. Il mondo che loro vorrebbero è come s’immaginano che lo voglia il socialismo. Cosi le ragioni confessate per le quali aderiscono al fascismo e fanno chiasso dentro al fascismo derivano, nella maggioranza, dall’idea che il fascismo non possa non avere un contenuto socialista.
Ne nasce in loro, coi dubbi che pur conservano sulla possibilità di un tale contenuto nel fascismo, una condizione di ambivalenza. Essi sono disposti al socialismo e al fascismo nello stesso tempo. E l’ambivalenza del loro animo favorisce, naturalmente, l’affermazione italiana del fascismo. È sempre tanto più facile lasciarsi prendere da una corrente che resistervi.
Un ultimo avvertimento.
Lo stato d’animo giovanile rispetto al fascismo non è analizzato nel libro in modo da riflettere storicamente qual esso fu al sorgere della dittatura. Vi si combinano convinzioni che si erano formate, tra i giovani, più tardi, e illusioni molto comuni proprio negli anni in cui scrivevo il libro, il ’33 e il ’34. Anzi, i giudizi espliciti su fascismo e comunismo messi in bocca al ragazzo Tarquinio, l’amico più grande del ragazzo protagonista, sono tipici di quegli anni. Ricorrevano di continuo nella stampa dei G. U. F. e persino in qualche settimanale di Federazione. Doveva essere la posizione che prese la stampa ufficiale nei riguardi degli avvenimenti viennesi di febbraio ’34, a darci la prima smentita per noi efficace circa il nostro granchio».

Milano, dicembre 1947.

Elio Vittorini, Il garofano rosso, Mondadori, 1975, pp. 213-214.

Risvolto di copertina
Scritto negli anni trenta, ma pubblicato in volume solo nel dopoguerra a causa della censura fascista, questo romanzo di Elio Vittorini è un'opera corale: il conteso «garofano rosso», dono di una studentessa liceale a un compagno di scuola, interessa e coinvolge oltre all'autore-protagonista diversi gruppi di ragazzi furiosamente vitali. Erano gli anni 1920-24, i tempi del delitto Matteotti. In quel clima rovente, anche un garofano rosso all'occhiello, un ingenuo pegno d'amore, poteva apparire un simbolo sovversivo. I giovani erano posseduti allora da una diffidenza e da un bisogno di ribellione che li portava a simpatizzare con qualsiasi movimento rivoluzionario, con il presagio però che altre esigenze avrebbero finito per prevalere: come in politica, cosi nell'amicizia e anche in amore, la stessa incertezza dolorosa, la stessa rabbiosa necessità di «entrare nella vita degli adulti.

 

Immagine in evidenza:
Pablo Picasso, Natura morta con testa antica, part., 1925. Museo Nazionale di Arte Moderna, Parigi.

 

 


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