Ferruccio Rossi-Landi (1921-1985) – Quando i beni circolano sotto forma di merci essi “sono” messaggi; quando gli enunciati circolano sotto forma di messaggi verbali essi “sono” merci.

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«È rivoluzionaria l’azione che tende a ricongiungere coscienza e praxis;
è conservatrice l’azione che in un modo qualsiasi ostacola tale ricongiungimento».

F. Rossi-Landi, Il linguaggio come lavoro e come mercato, 1968.

 

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Risvolto di copertina

È questa l’edizione italiana, a cura di Cristina Zorzella Cappi (Università di Padova), di Linguistics and Economics di Ferruccio Rossi-Landi nella versione da lui stesso realizzata e fin ora rimasta inedita. «Il nostro interesse principale riguarda gli oggetti dei quali le due discipline, la linguistica e l’economia, si occupano: vale a dire, il linguaggio umano quale oggetto principale della scienza linguistica e lo scambio economico quale oggetto principale della scienza dell’economia. Tali “oggetti” vengono assunti nell’indagine nella misura in cui si prestano ad essere considerati in maniera unitaria. È mia intenzione iniziare un’elaborazione semiotica dei due processi sociali che si possono provvisoriamente identificare come “produzione e circolazione dei beni (sotto forma di merci)” e come “produzione e circolazione di enunciati (sotto forma di messaggi verbali)”. Questi sono due modi fondamentali dello sviluppo sociale umano. Sebbene appaiano di solito in campi separati, formuliamo qui l’ipotesi che essi siano “la stessa cosa” almeno nel senso in cui i due rami principali di un albero possono essere considerati “la stessa cosa”. Il saggio è dedicato ad alcuni aspetti di questa relativa “stessità”. Sosterrò che quando i beni circolano sotto forma di merci essi “sono” messaggi; e che quando gli enunciati circolano sotto forma di messaggi verbali essi “sono” merci» (“Introduzione” dell’Autore all’edizione italiana). Il collegamento tra economia e linguistica rende quest’opera estremamente attuale, soprattutto in vista di un ripensamento delle odierne strutture economiche, e ne fa un “classico” della filosofia e della semiotica contemporanee.

Ferruccio Rossi-Landi (Milano, 10 marzo 1921 – Trieste, 5 maggio 1985) è tra i maggiori rappresentanti della semiotica e della filosofia del linguaggio del Novecento. Insegnò fra il 1964 e il 1975 in varie università europee e americane e, come professore ordinario, Filosofia della storia nell’Università di Lecce dal 1975 e Filosofia teoretica nell’Università di Trieste dal 1977. Tra le sue opere: la trilogia (Bompiani): Il linguaggio come lavoro e come mercato (1968, 1983, n. ed. a c. di A. Ponzio 2003), Semiotica e ideologia (1972, 1979, n. ed. a c. di A. Ponzio, 2011), Metodica filosofica e scienza dei segni (1985, n. ed. a c. di A. Ponzio 2006); Charles Morris e la semiotica novecentesca, 1975; Between signs and non-signs, a c. di S. Petrilli, John Benjamins, 1992; The Corrispondence Morris – Rossi-Landi, a c. di S. Petrilli, Semiotica, Special Issue, 88, 1-2, 1992; Scritti su Gilbert Ryle e la filosofia analitica, 2003; Ideologia (1978, 1982, n. ed. a c. di A. Ponzio, 2005); Rossi-Landi – Bergmann, Analisi del linguaggio e ideal language in filosofia (Corrispondenza 1950-1956), a c. di C. Zorzella e M. Cappi, ZeL, 2011. Da Mimesis è anche edita la monografia di A. Ponzio sull’autore, Linguaggio, lavoro e mercato globale (2008).


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Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) – Se vi sembra inconcepibile che si possa mostrare la forza del pensiero in un’altra parte del corpo, che non sia la testa, imparate qui come la mano d’un artista creatore abbia il potere di spiritualizzare la materia.

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Torso arcaico di Apollo

Non conoscemmo il suo capo inaudito,
e le iridi che vi maturavano. Ma il torso
tuttavia arde come un candelabro
dove il suo sguardo, solo indietro volto,

resta e splende. Altrimenti non potrebbe abbagliarti
la curva del suo petto e lungo il volgere
lieve dei lombi scorrere un sorriso
fino a quel centro dove l’uomo genera.

E questa pietra sfigurata e tozza
vedresti sotto il diafano architrave delle spalle,
e non scintillerebbe come pelle di belva,

e non eromperebbe da ogni orlo come un astro:
perché là non c’è punto che non veda
te, la tua vita. Tu devi mutarla.

Rainer Maria Rilke

 

 

Il bello nell'arte

Il bello nell’arte

 

 

Torso di Mileto

«Ti conduco davanti al tanto celebre e mai abbastanza lodato Torso d’Ercole, davanti a un’opera che, nel suo genere, tocca il culmine delle perfezione e deve annoverarsi tra le maggiori creazioni artistiche giunte fino ai tempi nostri. Ma come potrò descriverlo, se gli mancano le parti più belle e più importanti che la natura ha date all’uomo! Come d’una meravigliosa quercia abbattuta e spogliata dei rami e delle fronde non rimane che il nudo tronco, così, deturpata e mutilata si vede l’immagine dell’eroe: gli mancano la testa, le braccia, le gambe e la parte superiore del petto. Al primo sguardo forse non scorgerai altro che un sasso informe: ma se hai la forza di penetrare nei segreti dell’arte, osservando quest’opera con occhio tranquillo, vi scorgerai un prodigio: Ercole ti apparirà allora come circondato da tutte le sue imprese, ed in quella pietra vedrai insieme l’eroe e il dio […]. Se vi sembra inconcepibile che si possa mostrare la forza del pensiero in un’altra parte del corpo, che non sia la testa, imparate qui come la mano d’un artista creatore abbia il potere di spiritualizzare la materia. Mi pare di veder sorgere dal dorso, curvo in profonda riflessione, una testa che con letizia ricorda le sue prodigiose gesta. E mentre una simile testa, piena di maestà e di sapienza, appare al mio sguardo, anche le altre membra mancanti incominciano a formarsi nel mio pensiero».

Johann Joachim Winckelmann, Il bello nell’arte, Torino, Einaudi 1973, pp. 75-78).

Quarta di copertina
Pochi studiosi hanno inciso sul pensiero e sulla cultura artistica del proprio tempo come Johann Joachim Winckelmann; ma il suo lascito va ben oltre il Settecento, se è vero che da allora e anche oggi lo si riconosce come fondatore dell'archeologia classica e della storia dell'arte. Proprio l'unanimità di questo riconoscimento ha portato spesso a guardare alla sua opera come a una sorta di monumento, ingessandone il contenuto in rigide formule, oppure identificandola completamente con l'esperienza neoclassica. In realtà i Pensieri del 1755 e i brevi scritti degli anni successivi, come poi le opere della maturità - la Storia dell'arte nell'antichità e i Monumenti antichi inediti - mostrano continuamente la ricchezza e la vivacità del suo pensiero, l'acutezza delle osservazioni sull'arte degli antichi e su quella dei moderni, la capacità di proporre ampie visioni storiche, ma anche di decifrare il minimo dettaglio. Nel frattempo la modernità viene come posta di fronte al mondo classico e costretta a confrontarsi con quello, da una parte sul piano dell'arte, dall'altra secondo la prospettiva della vita culturale, dei comportamenti, delle strutture politiche. L'antologia di scritti, apparsa da Einaudi già nel 1943, viene ora riproposta con testi recuperati nella loro integrità, una nuova scelta di passi, una bibliografia aggiornata e un apparato di note di commento.

 

 

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Museo del Louvre


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Stephan Enter – La vita è un fiammifero che viene sfregato ma la cui fiamma va usata al più presto per accendere qualcos’altro, perché se aspetti si spegne ed è troppo tardi.

Stephan Enter

 

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S. Enter, La presa

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«La vita è un fiammifero che viene sfregato ma la cui fiamma va usata al più presto per accendere qualcos’altro, perché se aspetti si spegne ed è troppo tardi».

S. Enter

“Felici così non lo saremo mai più” è la frase che da vent’anni risuona nell’orecchio di Paul. All’università formava con Vincent, Martin e Lotte un inseparabile quartetto di amici e appassionati alpinisti, ma dopo una scalata sulle isole Lofoten le loro strade si sono improvvisamente divise. Solo oggi, in un’assolata mattina d’estate, alla stazione di Bruxelles, ha inizio il viaggio che li porterà a rivedersi. Ma più l’incontro si avvicina, più la tensione sale, e la memoria torna su quelle vette sospese tra il mare e il cielo, quando il mondo era ancora fatto di sogni e possibilità senza fine, quando Vincent era troppo preso dalle sue sfide per dare ascolto al cuore, Martin non aveva altri desideri che il riscatto sociale, e Lotte era un presuntuoso maschiaccio, ma così affascinante, così inafferrabile. Fino a quell’irrecuperabile attimo in cui il caso o l’urgenza della vita li ha chiamati a una scelta che ha segnato il loro destino. E solo ora, mentre il puzzle di quei giorni si ricompone, rivelando a ognuno le proprie colpe, debolezze, illusioni verso l’amicizia, l’amore, la felicità, si fa strada la domanda: Ma è davvero questa la vita che volevo vivere? Con un raffinato romanzo psicologico che segue il ritmo del pensiero in un crescendo d’intensità, sullo sfondo di una natura estatica che sembra prendersi gioco di ogni ambizione umana, Enter racconta il rischio di vivere, la vertigine della libertà di scelta, quella presa che continua a sfuggire nella scalata del destino, e il potere unico del ricordo di rendere eterno un attimo, di fermare l’inesorabile clessidra del tempo.

 


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Giancarlo Paciello – Uno scheletro nell’armadio dello Stato: la morte di Pinelli.

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Nel maggio del 2004, come spiego nell’articolo che trovate qui di seguito, ebbi modo di ricostruire la terribile vicenda (La bomba alla Banca dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, che fece 19 morti e 88 feriti), e che portò all’assassinio di Pinelli nella questura di Milano. Pochi giorni fa, (La Repubblica, 28 novembre 2009), ho letto un’intervista alla vedova Licia, ora ottantunenne, a cura di Piero Colaprico, dal titolo: I 40 anni di dolore della vedova Pinelli “Non smetterò mai di cercare la verità”.

Il giornalista fa diverse domande e, a un certo punto, non può trattenersi:

Perdoni l’insistenza, ma esistono però alcuni elementi che anche quarant’anni dopo fanno impressione. Uno è che Pinelli muore e il questore di Milano, Marcello Guida, che era stato comandante del carcere fascista di Ventotene, sostiene che suo marito si è buttato dalla finestra gridando “E’ la fine dell’anarchia”. Una menzogna davvero inspiegabile, oppure?

… Querelai Guida. Gli stava sporcando il nome, per gente come noi è inconcepibile. Poi querelai i poliziotti e il carabiniere che stavano nella stanza dell’interrogatorio. Cercavo la verità attraverso loro, perché hanno mentito. E perché mentire e contraddirsi se non per nascondere qualcuno o qualche colpa più grave?

Colaprico continua:

Lei – secondo dettaglio strano per chiunque conosca una questura – viene a sapere della tragedia un’ora e mezza dopo, dai giornalisti e non dalla polizia: davvero è andata così?

Quella notte vennero due, credo del Corriere, “Sa, pare una disgrazia”. Chiamai subito il commissario Calabresi, sapendo che era lui ad averlo interrogato. Sono Licia Pinelli, dov’è mio marito? Mi rispose Calabresi: “Al Fatebenefratelli”. Non ci potevo credere. Perché non mi ha avvisato? “Ma sa, signora, abbiamo molto da fare”. Da fare? Non riesco ancora oggi a pensare con neutralità a questa risposta. Ora però…

L’intervista continua e fornisce ulteriori elementi di riflessione. Ognuno può andarsela a leggere su Internet nel sito del giornale dal quale è tratta. Oggi ho sentito che forse i parenti delle vittime riusciranno a riaprire il processo. Quarant’anni all’ombra di servizi segreti nostrani e stranieri. Non credo che si verrà a capo di nulla. Ed ora buona lettura, con la speranza che vi indignate almeno quanto me!

 

Giancalo Paciello,


Uno scheletro nll’armadio dello Stato: la morte di Pinelli

 

 

 

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Petite Plaisance – Il nostro invito augurale. A COSA SIAMO CHIAMATI ?

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 Il nostro invito augurale
L’unico modello in rapporto al quale è umanamente sensato capire cosa vada accettato, e cosa respinto, di un sistema economico, è la libera comunità.
Il sistema economico contemporaneo è la negazione speculare della libera comunità, in quanto produce una collettività disgregata, despiritualizzata, coattivamente e ossessivamente comandata dalla ricerca del profitto e dalle procedure della tecnica. Esso prefigura perciò la morte dell’umanità dell’uomo, proprio in quanto è al di fuori di ogni giustizia e di ogni amore.
Un sistema economico, come quello oggi vigente su scala planetaria, che ha come suo elemento motore e come suo fine intrinseco il profitto monetario privato, e che si sviluppa senza più alcun condizionamento di princípi non economici, è la materializzazione stessa dell’ingiustizia.
Chi vive tranquillo sotto un simile sistema, non trovando nulla di riprovevole nell’attività delle banche, delle società finanziarie e delle imprese volte al profitto, dando il proprio voto ai politici che legittimano questo stato di cose, evitando di condannare pubblicamente i detentori del potere, accettando entusiasticamente tutte le innovazioni tecniche, è perciò un operatore di ingiustizia.
Le esperienze di resistenza a questo sistema sociale (esperienze di agire comunitario non mercantile, esperienze di rifiuto dei comportamenti tecnicizzati, esperienze di autentica comunicazione culturale al di fuori dei ruoli imposti dai poteri dominanti, esperienze di contrasto dei poteri economici e politici, ecc.), se sono vissute in maniera spiritualmente sana come esperienze d’amore per l’umanità dell’uomo e di libera comunità, non possono non essere avvertite come gratificanti e realizzanti di  per se stesse nel loro presente, indipendentemente dall’esito storico dei loro risultati nel loro presente e futuro temporale. Se si ha capacità di amare, e di progettare un mondo diverso, si resiste alla logica di questo sistema sociale semplicemente perché si vuol vivere bene e nella verità.

A COSA SIAMO CHIAMATI ?
La nostra umanità esige, per non morire, una resistenza, in primo luogo culturale, alla attuale logica sistemica.
Ciascuno di noi è chiamato, come uomo morale, a questa resistenza:
– è chiamato a considerare gli oligarchi dell’economia sempre avidi di sfruttare il lavoro, il territorio, i mercati, e i tecnoscienziati intenti a manipolare le specie viventi, per quello che in realtà sono: gli artefici consapevoli della distruzione dell’umanità dell’uomo;
– è chiamato a sottrarsi, nei limiti del possibile, alle logiche disumanizzanti;
– è chiamato a sperimentare le forme oggi possibili di agire comunitario;
– è chiamato a dare l’esempio di una vita non motivata dalla ricerca del denaro e dei consumi e non guidata dalla tecnica;
– è chiamato a pensare concettualmente e criticamente anche riguardo al funzionamento della propria personalità.

Quando la resistenza degli esseri umani guidati dalla loro capacità di amare, dal loro spirito di giustizia, e dalla loro comprensione intelligente di se stessi e della società, avrà spezzato in qualche punto della presente vita coattivamente “associata” l’attuale logica sistemica, e quando le carenze e le disfunzioni derivanti da tali rotture saranno affrontate con una logica nuova, in vista di soluzioni ispirate al vincolo solidale  e comunitario che deve legare tutti gli esseri umani, allora saremo usciti dal sentiero della notte.

Associazione culturale Petite Plaisance

Immagine in evidenza: Paul Klee, Ad Parnassum, 1932.

 

 

Coperta Quale progettualità?


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Oliver Sacks (1933-2015) – Sono riuscito a considerare la mia vita come da una grande altezza quasi fosse una sorta di paesaggio, e con una percezione sempre più profonda della connessione fra tutte le sue parti.

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La storia individuale del malato
 e l'intera vita del malato
 non devono mai passare in secondo ordine.

Salute, malattie e reazioni non possono essere capite in vitro, da sole;
 possono essere capite solo se riferite a noi,
 quali espressioni della nostra natura,
 del nostro vivere, del nostro esser-ci (Da-sein).

L'anima è armonica.

O. Sacks

 

Gratitudine

 

«Negli ultimi giorni sono riuscito a considerare la mia vita come da una grande altezza quasi fosse una sorta di paesaggio, e con una percezione sempre più profonda della connessione fra tutte le sue parti […]. Non posso fingere di non aver paura. A dominare, però, è un sentimento di gratitudine. Ho amato e sono stato amato; ho ricevuto molto, e ho dato qualcosa in cambio; ho letto e viaggiato e pensato e scritto. Più di tutto sono stato un essere senziente, un animale pensante, su questo pianeta bellissimo, il che ha rappresentato di per sé un immenso privilegio e una grandissima avventura».

Oliver Sacks, Gratitudine (2015), tr. it. Adelphi, Milano, 2016, pp. 27-29.

 

Risvolto di copertina
I quattro scritti qui raccolti sono la lettera di congedo che Oliver Sacks ha voluto indirizzare ai suoi lettori, dapprima rendendoli partecipi delle proprie sensazioni di fronte alla soglia degli ottant'anni, e più tardi informandoli, con perfetta sobrietà, di essere affetto da un male incurabile. Ma non ci si inganni: sono pagine vibranti di contagiosa vitalità quelle che Sacks ci regala, dove più che mai si respirano freschezza, passione, urgenza espressiva. Come quando, riflettendo sulla vecchiaia, rivela di percepire «non una riduzione ma un ampliamento della vita mentale e della prospettiva»; o quando si ripromette, nel breve tempo che gli resta, di «vivere nel modo più ricco, più intenso e più produttivo possibile»; o quando racconta di aver visitato, fra una terapia e l'altra, il centro di ricerca sui lemuri della Duke University: «... mi piace pensare che, cinquanta milioni di anni fa, uno dei miei antenati fosse una piccola creatura arboricola non troppo dissimile dai lemuri odierni»; o quando, pochi giorni prima della morte, contemplando la sua vita dall'alto «quasi che fosse una sorta di paesaggio», ne rievoca i momenti essenziali: del tutto simile, in questo, a un filosofo da lui molto amato, David Hume, il quale, appreso di avere una malattia mortale, scriveva nella sua breve autobiografia: «È difficile essere più distaccati dalla vita di quanto lo sia io adesso».

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Anna Maria Ortese (1914-1998) – Una delle azioni peggiori è il corrompere, il far morire la fiducia e la speranza.

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Domanda
Quale è per lei la cosa peggiore?

A. M. Ortese
Certamente sono tante: l’inganno, pe resempio, il mentire, il tradire. Ma una delle peggiori è il corrompere, il far morire la fiducia e la speranza. Questo oggi si fa con i giovanissimi, con i bambini stessi; [poi adulto] nessuno ricorda se stesso, da bambini, o da ragazzo e cosa si aspettava, a buon diritto dalla vita.

Risvolto di copertina
Più volte nei suoi interventi pubblici Anna Maria Ortese ha denunciato i delitti dell'uomo «contro la Terra», la sua «cultura d'arroganza», la sua attitudine di padrone e torturatore «di ogni anima della Vita». E lo ha fatto pur nella consapevolezza che il suo grido d'allarme sarebbe stato accolto con impaziente condiscendenza da chi sembra ignorare che ciò che rende l'uomo degno di sopravvivere è la sua «struttura morale: intendendo per morale ogni invisibile suo rapporto, ma buon rapporto, con la vita universale». Quel che ignoravamo è che tali interventi, che additavano nello sfruttamento e nel massacro degli animali, nella natura offesa e distrutta il nostro più grande peccato, non erano isolate e volenterose prese di posizione, bensì la punta emergente di un iceberg. Un iceberg rappresentato da decine e decine di scritti inediti, nei quali la Ortese è andata con toccante tenacia depositando quel che le dettava la sua «coscienza profonda», vale a dire la memoria, riservata a pochi e supremamente impopolare, «delle “prime cose” preesistenti l'universo» – in altre parole, la visione che la abitava. Scritti di cui qui si offre una calibrata selezione e che nel loro insieme si configurano come un vero e proprio trattato sull'unica religione cui la Ortese sia stata caparbiamente fedele: la religione della fraternità con la natura.

 


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Marco Aurelio (121-180) – È necessario che l’uomo conosca ciò che compie, perché è dell’uomo civile il capire che egli opera per il bene comune. Il vitigno che ha prodotto un grappolo non domanda altro dopo aver dato finalmente il suo frutto.

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L'essere ingrati è cosa da evitarsi di per sé,
perché niente come questo vizio
divide e distrugge la concordia tra gli uomml.
LUCIO ANNEO SENECA
Nessuno è sazio d'essere beneficato;
inoltre, il beneficare è azione secondo natura.
Non essere dunque mai sazio di beneficare.
MARCO AURELIO

 

 

«V’è gente che se rende qualche favore a qualcuno, s’affretta a segnalarglieio in conto; altra, che non lo richiede veramente, ma, nell’intimo del proprio cuore, considera il beneficato come un debitore, convinta di quanto ha fatto; infine ve n’ha di quella che ignora d’aver reso un beneficio, come il vitigno che ha prodotto un grappolo e non domanda altro, dopo aver dato finalmente il suo frutto [ . .. ] quest’uomo, che ha fatto del bene, non mena vanto del proprio operato, bensì continua a dispensare altri benefici. […] Dobbiamo, quindi, essere di quelli che, per così dire, fan del bene senza saperIo? Sì, senza dubbio. Ma è necessario che l’uomo conosca ciò che compie, perché è dell’uomo civile il capire che egli opera per il bene comune».

Marco Aurelio, l ricordi,
cura e traduzione di F. Cazzamini Mussi, Einaudi, Torino 1943, Libro VI, p. 61.

 

«Tutte le volte che tu fai del bene a qualcuno e costui ne ha avuto benefizio, perché mai, al pari degli stolti, cerchi una terza cosa, cioè che lo si venga a sapere o d’essere contraccambiato?».

Ibidem, Libro VII, p. 107

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Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – In una società dove esiste, sotto qualunque forma, lo sfruttamento o la violenza, il denaro non può assolutamente rappresentare il lavoro. La semplicità è la principale condizione della bellezza morale.

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Lev Tolstoj, Denaro falso.
Introduzione di Dario Pontuale, Saggio di Leone Ginzburg,
Ianieri Edizioni, 2016.

***

«La semplicità è la principale condizione
della bellezza morale».
In una società dove esiste, sotto qualunque forma,
lo sfruttamento o la violenza,
il denaro non può assolutamente rappresentare il lavoro.

***

«– Si può impegnare l’orologio e si può fare anche dimeglio – disse Màchin strizzando un occhio.
– Come di meglio?
– È molto semplice.
Màchin prese la cedola.
– Si mette un uno davanti al 2,50 e diventa 12,50» (p. 51)-

Risvolto di copertina

Quale strumento di corruzione può essere il denaro?
Tolstoj nel racconto/pamphlet Denaro Falso, composto non prima del 1904 e pubblicato postumo nel 1911, segue il passaggio di mano in mano di una cedola falsificata e della scia corruttrice che lascia dietro di sé. Il “pagherò”, come un morbo, appesta e infetta coloro che incontra al suo passaggio, segnandone il disfacimento morale e fisico. Ma nella seconda parte del racconto trova posto anche il sogno utopico agognato dal genio letterario russo, il sogno di un mondo primitivo basato su baratto e scambio, un mondo che può rinunciare all’uso della moneta. Un sogno che ha animato il pensiero filosofico e la vita quotidiana dell’autore di Guerra e Pace.

 

Nell’immagine in evidenza: Il’ja Efimovič Repin, Ritratto di Lev Tolstoj, 1887.


Altre traduzioni in lingua italiana

  • «Denaro falso». In: Come perisce l’amore : racconti; prima versione integrale e fedele della duchessa di Andria, Torino: Slavia, 1931
  • «La cedola falsa». In: Romanzi brevi e racconti; a cura di Giuseppe Donnini, Roma: G. Casini, 1951
  • «Il cupone falso». In: Lev Tolstoj, Racconti; a cura di Agostino Villa, Vol. III, Torino : Einaudi, 1955
  • I cosacchi; La cedola falsa; Trad. di Agostino Villa, Milano: Club degli editori, 1974
  • «La cedola falsa»; traduzione di Margherita Crepax. In: Tutti i racconti, a cura di Igor Sibaldi.
  • Denaro falso: 1903-1905; traduzione della Duchessa d’Andria, Milano: Linea d’ombra, 1990.

La prima parte di Denaro falso è stata utilizzata da Robert Bresson per il suo ultimo film, L’Argent (1983). L’azione è stata trasposta dalla Russia zarista del XIX secolo alla Francia del XX secolo. Yvon Targe, il protagonista del film di Bresson, è stato creato dall’unione di Ivàn Mirònov e Stjepàn Pelaghèjuskin; a differenza che nel racconto di Tolstoj, nel film di Bresson non c’è redenzione.



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Politeia – Abbiamo difeso la Costituzione da chi l’ha asservita al proprio interesse facendola divenire motivo di divisione invece che di unità.

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«Chi vuol fare una ricerca conveniente sulla Costituzione migliore,
deve precisare dapprima quale è il modo di vita più desiderabile.
Se questo rimane sconosciuto,
di necessità rimane sconosciuta anche la Costituzione migliore».

Aristotele, Politica, VII, 1,1323 a, 1-4

 

******

«Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!
Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani,
voi dovete vedere giovani come voi,
caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati,
morti di fame nei campi di concentramento,
morti in Russia, morti in Africa,
morti per le strade di Milano,
per le strade di Firenze,
che hanno dato la vita
perché la libertà e la giustizia
potessero essere scritte su questa carta.

[...] La Costituzione non è una carta morta,
questo è un testamento».

Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955

 

***

La Politeia, è una scuola politico-culturale, ed è impegnata nello studio e nella trasmissione della memoria del passato, intesa, storicamente, come strumento di analisi del presente e riflessione e progettazione di un mondo futuro libero e giusto: essa si è schierata sin dal’inizio della campagna referendaria a tutela della Costituzione, non contro o a favore di un determinato partito politico, non per spirito di mera conservazione nostalgica, ma perché ritenevamo che i “valori” e i “diritti” protetti dalla Costituzione fossero posti sotto attacco.
Alla luce dei risultati referendari e dei dati concernenti l’affluenza e necessario considerare i due lati della medaglia: da un lato i cittadini, per diverse ragioni, sono tornati in massa a popolare le urne, con un desiderio rinnovato e contagioso di esprimere la loro volontà; dall’altro si apre uno scenario più simile ad un campo di battaglia, ormai abbandonato a guerra terminata, con una divisione dilagante e dilaniante di ciascun corpo sociale, e ciò che stupisce di più è che non si tratta più soltanto della rappresentazione dei tradizionali contrasti tra i corpi intermedi e di classe contrapposti (Confindustria e sindacati dei lavoratori), ma la divisione invade gli stessi gruppi sociali : l’esempio lampante è dato dagli imprenditori che si sono schierati per il 52% verso il SI e per il 48% per il NO, e gli operai che hanno votato per il 36% SI e per il 64% NO.
Lo spettro che ha lasciato dietro di sé il periodo referendario è destinato a non dissolversi con il termine dello stesso, lasciando i corpi sociali di certo non incolumi e inalterati, ma continuerà a persistere dimostrandosi negli scontri quotidiani tra amici, conoscenti, nei bar, nei luoghi di lavoro.
La causa di tale fenomeno è dovuta allo snaturamento compiuto da parte della forza politica maggioritaria del significato e della funzione della Costituzione: l’appellativo che dimostra ciò, abusato da Renzi per definire la compagine del comitato del NO, è riassumibile nella definizione in termini di ‘’accozzaglia’’ rivolto a comuni cittadini, professori, politici, lavoratori e lavoratrici che, con idee e convinzioni anche nettamente opposte hanno difeso insieme la costituzione repubblicana e respinto la sua contro riforma.
La storia dimostra invece che la diversità dei punti di vista non è un elemento estraneo e negativo nella discussione sulla Costituzione anzi, la sua stessa origine è dovuta a un compromesso culturalmente alto, politicamente onesto e rispettoso dei diversi partiti, interessi e visioni del mondo e per questo arricchenti e rappresentative del pluralismo politico, sociale e culturale.
Il messaggio importante che dobbiamo trarre da tale Referendum è che le modifiche della Costituzione che possiamo accettare sono solo quelle migliorative e cioè quelle che preservano e garantiscono i “diritti” e le “libertà” già conquistate, permettendo solo un loro ampliamento, in virtù però di un vero, onesto e rispettoso confronto tra le forze politiche rappresentative e i corpi intermedi della società civile.

La Costituzione è di tutti e per tutti
e quindi non può rispondere ad interessi particolari.

L’idea che le persone hanno della politica non è più intesa come quell’attività volta per prendersi cura della cosa comune, per il bene della collettività ma, come quell’attività, indirizzata solo al perseguimento di interessi specifici e per questo lontani dal loro sentire.
Ci chiediamo allora: è possibile oggi essere realmente “politici”, ossia avere reale cura della Polis (Città), dell’Italia, degli uomini che la abitano? Noi pensiamo che questo sia possibile, perché solo in questo modo l’economia, la politica, la società, la cultura, la vita, potranno tornare ad essere comprese, e abitate nella loro giusta dimensione. In testa a noi giovani dunque, pende una responsabilità composita, quella di istruirci perché il mondo ha bisogno della nostra educazione, della nostra coscienza critica oggi per scelte che riguarderanno il domani, delle nostre capacità e del nostro entusiasmo che convogliate perpetrino con forza e dirompenza giuste cause, o oppongano resistenza a chi vuole rompere gli argini delle nostre garanzie. Ecco perche i giovani hanno votato in massa NO a questa riforma, arrivando addirittura al 61% di voti, a dispetto di quanto Renzi e chi per lui all’inizio affermasse che il comitato del NO era composto e sorretto solo da anziani, anacronistici e ormai “vecchi”. Per questo abbiamo difeso la Costituzione da chi l’ha asservita al proprio interesse facendola divenire motivo di divisione invece che di unità.

Politeia

Arezzo, dicembre 2016

 

Nell’immagine in evidenza: Frammento papiraceo de La Repubblica di Platone.


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