«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«L’esperienza precede ogni metodo. Si potrebbe dire che l’esperienza è a priori ed il metodo è a posteriori. Ma ciò vale soltanto come indicazione, giacché la vera esperienza non può darsi senza l’intervento di una sorta di metodo. Il metodo si dà fin dal principio in una determinata esperienza, che proprio in virtù di ciò arriva ad acquistare corpo e forma, figura».
María Zambrano, Note di un metodo, trad. it. di S. Tarantino, Napoli, Filema, 2003, p. 35.
Descrizione del libro
“Note di un metodo” appartiene agli scritti dell’ultimo periodo della vita della pensatrice spagnola che ruotano intorno al problema della ragione poetica. Sono “note” proprio perché si allude al carattere frammentario, musicale del pensiero piuttosto che a quello logico-razionale. Un metodo da intendersi come ciò che apre il cammino all’esperienza umana e non semplicemente come ciò che struttura un ordine, una “forma mentis”. Una conoscenza che per Maria Zambrano deve avere le sue radici nella viva esperienza ma allo stesso tempo deve sapersi innalzare a quelle sfere in cui i desideri e i sogni fanno da materia alla nostra vita.
La ricerca di Luca Grecchi non solo rende palese l’assenza della metafisica nella filosofia di oggi, ma tenta di rielaborarne i fondamenti, non rinunciando alla progettualità onto-assiologica e alla verità e tracciando la via per una metafisica umanistica
Necessità della metafisica La necessità della rifondazione della metafisica è un’urgenza non procrastinabile. Il tramonto dell’Occidente coincide con la fine della metafisica. Ma la metafisica è progettualità onto-assiologica. Una civiltà senza metafisica rinuncia ad ogni progettualità e rinuncia specialmente alla verità. Si configura una civiltà strutturalmente violenta: l’essere umano è solo nuda vita disponibile per il mercato, il quale ha come obiettivo il solo guadagno. L’economicismo diviene l’architrave della violenza che capillarmente si infiltra e si espande con l’effetto di produrre la barbarie tecno-crematistica. Nessuno spazio è lasciato alla libertà processuale umana, nessuna riflessione sui fondamenti ontologici ed etici. L’abbandono della metafisica implica l’incapacità nel giudicare l’assetto sociale attuale. L’ostilità è specialmente di tipo ideologico, poiché l’essere umano – spogliato della sua capacità significante e metafisica – non è che vita offerta al mercato. Si è, in tal modo, servitori fedeli delle catene che obbligano ad una vita che nega il suo fondamento metafisico. La caverna oscura – con la sua buia ignoranza – è la normalità dell’Occidente senza metafisica. L’infelicità ed il vuoto assiologico divengono acceleratori del consumo che spingono i popoli verso le passioni tristi. La “solitudine del cittadino globale” dinanzi al mercato è solitudine metafisica:
«Il mercato infatti, da solo, non è per sua natura in grado di mettere in contatto il bisogno insoddisfatto di beni/servizi di milioni di poveri, ed il bisogno insoddisfatto di lavoro, ossia di partecipazione sociale, di milioni di disoccupati. I primi, senza denaro, non possono produrre una domanda di mercato; i secondi, senza quella domanda, non possono produrre una offerta sul mercato del lavoro. Il mercato ragiona solo sul denaro e sul profitto, non sui bisogni e sulla felicità delle persone, che non riesce strutturalmente, ossia per essenza (è il fine che determina l’essenza: ed il suo fine è altro), a realizzare. Per evitare quindi che bisogni sociali importanti (cibo, medicine, ecc.) rimangano insoddisfatti, mentre – con forte stridore – milioni di persone rimangono disoccupate (o impegnate in attività futili, quando non dannose), occorre necessariamente affidarsi a modalità sociali pubbliche e comunitarie, statuali o meglio ancora sovrastatuali, che coordinino quanto è necessario produrre e come produrlo».[1]
La metafisica come ricerca Luca Grecchi nel suo lavoro-ricerca di tipo filosofico ha non solo reso palese l’assenza della metafisica nella filosofia di oggi, ma specialmente ne sta rielaborando i fondamenti. La metafisica umanistica di Grecchi riconosce l’anima-razionalità umana quale fondamento onto-assiologico della natura umana. Il riconoscimento della razionalità, quale fondamento metafisico, non implica l’esclusione dall’orizzonte metafisico della trascendenza divina, ma constata che “attualmente” non abbiamo elementi che possano suffragare il fondamento divino, e che all’interno della storia metafisica tale principio primo è rimasto indimostrato.
Non si tratta né di ateismo, né di agnosticismo, ma di una postura aperta al possibile e sempre disponibile a riformulare e ridefinire il fondamento metafisico. Dove vige il dialogo filosofico i problemi non sono mai risolti in modo imperituro, ma sempre possono essere riconfigurati. L’assoluto, pertanto – nella condizione attuale –, non può che essere il logos, il quale non solo mette ordine al caos delle pulsioni, ma definisce i bisogni autentici della natura umana. Quest’ultima per natura è razionale, ovvero ha le potenzialità per calcolare le necessità autentiche dai bisogni indotti, per cui il fondamento giudica i valori, e li definisce; in tal mondo la metafisica si ricongiunge all’asse assiologico:
«Faccio qui riferimento in parte a quanto detto in precedenza circa la distinzione fra Principio e fondamento. Il Principio è quell’insieme di cause materiali, formali, finali ed efficienti, che hanno reso possibile l’essere ed il divenire del tutto. L’Uomo è il fondamento della comprensione di questo essere e divenire, l’unico ente dotato di capacità trascendentale, e pertanto il solo ente in grado di attribuire senso e valore alla realtà: in questo senso, sul piano onto-assiologico, può considerarsi l’Assoluto. Occorre però comprendere bene il significato della proposizione “L’Uomo è, sul piano onto-assiologico, l’Assoluto”, che è la prima proposizione inerente il Fondamento che mi propongo di analizzare».[2]
La realtà storica in cui si esplica la natura, si può modificare, ma non si può annichilire. La natura umana non è infinitamente modificabile, come vorrebbero gli assertori del totalitarismo del capitale. Non a caso il malessere generalizzato indotto dall’attuale sistema, induce verso desideri illimitati e dunque irrazionali non rispondenti alla natura umana:
«La realtà naturale, infatti, si può comprendere e – almeno entro certi limiti – modificare, ma non giudicare; la realtà sociale, invece, si può comprendere, modificare – sempre entro certi limiti, e prendendo come riferimento la natura umana –, ma soprattutto si può (e, direi, si deve) valutare. In questo senso più specifico l’Uomo è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere: nel senso che costituisce il solo riferimento valutativo del senso e del valore della realtà, del vero e del falso, del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto».[3]
Tra ciclopi e lotofagi[4] Il fondamento metafisico necessita del passaggio dalla potenza all’atto, pertanto tale passaggio dev’essere favorito dall’educazione, in primis, e dalla comunità. In tal modo la metafisica di Aristotele vive in feconda tensione con Platone: l’atto e la potenza è il binomio dinamico che pone le condizioni, affinché il soggetto possa giungere al bene, e dunque alla consapevolezza della natura veritativa. Non a caso Platone pone il bene all’apice della gerarchia delle idee: il bene è razionalità, calcolo e misura. Senza fondamento metafisico, non vi è “bene” né individuale né collettivo; al suo posto si afferma la società dei ciclopi e dei lotofagi, già descritta da Omero, creature che regrediscono a pura ferinità, dominate da appetiti senza misura e senza etica. I ciclopi ci ammoniscono sui pericoli di una civiltà senza metafisica e senza bene. Regnano, senza metafisica e senza bene, il caos e la violenza generalizzata. L’anomia, l’assenza di leggi etiche condivise, comporta il pericolo per tutti, e la condanna a vivere senza identità e senza coscienza di sé, per cui ciascuno è nessuno, ed il niente minaccia la vita di ognuno:
«Il primo incontro “violento” del viaggio di Odisseo, dopo aver lasciato il territorio dei Lotofagi (solo apparentemente però innocui, come mostreremo poco oltre), fu quello coi Ciclopi; si tratta, come noto, di figure mitiche di giganti con un solo occhio, residenti sulle pendici dell’Etna, i quali, “prepotenti e senza leggi, fidando negli dèi immortali, non piantano alberi con le loro mani, né arano la terra” (Odissea, IV, vv. 105-108). La prima caratteristica dei Ciclopi è dunque quella di non essere una comunità, né economica, né sociale, né politica; essi non praticano l’agricoltura, come invece fanno i popoli civili, ma, soprattutto, “non hanno assemblee per deliberare, né leggi, ma abitano la sommità di alti monti, in profonde spelonche; ciascuno comanda ai figli ed alla moglie, e non si curano gli uni degli altri” (Odissea, IX, vv. 112-115). La a-nomia, ossia la assenza di leggi dei Ciclopi, li rese nel tempo simpatici ai Cinici (soprattutto ad Antistene), ma non ad Odisseo che, recatosi nella loro isola in cerca di cibo, scoprì che essi erano “prepotenti e selvaggi, senza giustizia” (Odissea, IX, 174-176), antropofagi e miranti esclusivamente al loro materiale benessere».[5]
Lotofagi e ciclopi sono metafore della negazione della natura umana, la quale è razionalità etica che – per essere tale – necessita di memoria della propria storia personale e collettiva, perché la memoria e l’esperienza permettono di perfezionare la natura umana, la cui realizzazione è sempre in itinere. I lotofagi descritti anch’essi da Omero sono il simbolo della miseria dell’abbondanza: la soddisfazione degli appetiti senza misura ha l’effetto di causare la dimenticanza di sé e dei propri doveri morali.
«Le metafore qui utilizzate – ovvero quella più “contemporanea” della droga, o quella più “omerica” della morte – sono solo due possibili interpretazioni simboliche di questo mito; ve ne possono però essere diverse altre, poiché molti sono i modi con cui ci si può allontanare “volontariamente” (a causa, in realtà, della seduzione e della propria fragilità) dalla propria umanità, specie in un mondo come l’attuale che produce appunto, al contempo, seduzioni e fragilità. Pensiamo a come spesso i consumi mercificati siano simili alle droghe; pensiamo alla dipendenza dal gioco d’azzardo, o anche dai viaggi-vacanze, solo all’interno dei quali molte persone hanno l’impressione di “essere felici”: si tratta, in realtà, di forme compensative di un disagio interiore, che contribuiscono però ad acuire questo disagio e non a risolverlo, in quanto la sola soluzione di questo disagio si trova in un giusto e sensato rapporto con se stessi e con la comunità sociale. L’uomo è infatti un ente sociale che ricerca un senso per la propria vita, dato che è consapevole della propria morte; la vita apparentemente tranquilla metaforizzata dai Lotofagi può accontentare degli animali, ma non certo degli uomini. Per gli uomini, omerici e non, queste forme seduttive costituiscono soltanto delle modalità, in apparenza non violente, con cui però ci si allontana dalla propria vera umanità».[6]
ISBN 978-88-7588-116-0, 2013, pp. 48. In copertina: Pieter Bruegel il Vecchio, La parabola dei ciechi, tempera su tela, 1568. Museo di Capodimonte, Napoli.
Filosofia e metafisica La filosofia nell’attuale contesto sociale non è solo di ausilio, ma imprescindibile per rispondere alla tragedia etica in atto. L’educazione filosofica coniugata con la storia risponde ai bisogni umani. Il ridimensionamento della filosofia classica, la quale ha per oggetto la verità, è la spia evidente della penetrazione del nichilismo mercantile nelle aule universitarie e scolastiche asservite ai bisogni del solo mercato:
«Nell’attuale disastro della società e della scuola, solo la filosofia intesa in senso classico può fornire ai giovani quella necessaria educazione importante per essere insieme, a pieno titolo, uomini e cittadini, non semplici produttori o consumatori. Solo una educazione filosofica in senso classico, che deve essere al contempo storica – come dimostrano le opere di Platone, Aristotele, Hegel e Marx, e come dimostra per converso la pressoché totale decontestualizzazione storico-sociale della filosofia accademica contemporanea, specie anglosassone –, può infatti educare alla cura delle potenzialità onto-assiologiche presenti nella natura umana».[7]
La parcellizzazione dei saperi risponde ai bisogni specialistici del mercato e non dell’essere umano. La specializzazione dei saperi è utile ai bisogni immediati, ma non consente di fondare la progettualità comunitaria a misura di natura umana:
«Le facoltà di filosofia oggi, per come sono strutturate, impediscono la comprensione e la valutazione dell’intero. Di metafisica, ossia del sapere rivolto all’intero, si parla certamente ancora, ed anzi esso è un sapere addirittura “di moda”, dato che se ne occupano la filosofia analitica, la logica formale, la teologia, ecc. Tuttavia, tale metafisica di cui oggi l’università si occupa, concerne appunto temi “analitici”, o “formali”, o “trascendenti”, non certo contenuti onto-assiologici, ossia di senso e di valore, come invece era nella metafisica di Platone e di Aristotele».[8]
La prova più concreta della necessità della metafisica, è il silenzio che è calato su di essa negli ultimi decenni. Tale silenzio dimostra la pervasività del sistema capitale, il quale pur di inibire ogni discorso razionale sulla totalità ha asservito il mondo accademico divenuto complice della conservazione in atto:
«Le facoltà di filosofia, oggi, impediscono nella sostanza la critica ed il dialogo costruttivo, su cui si è invece forgiata la filosofia. Non, certo, che non siano ammesse pacate ed argomentate obiezioni a risultati parziali o generali di studi specialistici. Esse sono sempre benvenute, in quanto la ricerca accademica, non producendo quasi più elaborazioni onto-assiologiche dell’intero, si giustifica principalmente su questo tipo di progressi. Tuttavia, salvo eccezioni, i docenti si rivolgono agli studenti scoraggiandoli dall’affrontare il discorso filosofico nel modo in cui facevano i classici, ossia prendendo di petto il tema della totalità ed affrontandolo in maniera autonoma».[9]
La resistenza propositiva al sistema, in tale condizione storica, non può che avvenire fuori dalle aule universitarie. La filosofia in ogni epoca ha bisogno di eroi, questa è un’epoca in cui la difesa dell’umanità non può che concretizzarsi in atti e comportamenti donativi. La Filosofia è – per sua fondazione – trasgressiva e critica rispetto ai poteri costituiti. Deve pertanto tornare ad essere tale, altrimenti, rischia di perdersi nel nichilismo dei mercanti:
«Nella sua disinteressata ricerca della Verità e del Bene, la filosofia non deve essere al servizio di niente e di nessuno. Questa disinteressata ricerca, tuttavia, è per sua essenza finalizzata alla costituzione della migliore totalità sociale, ossia delle più umane modalità di vita. Questa la sua utilità pubblica, da molti oggi – politici, scienziati, intellettuali – non riconosciuta. È questo anche il problema del “senso”, così mediaticamente irriso da una generazione accademica cinica ed indifferente in larga parte dei suoi membri più influenti. Il “senso della vita”, che i giovani studiosi di filosofia solitamente ricercano, non è la mera consolazione esistenziale che la filosofia sicuramente offre, come già molti secoli fa colse Severino Boezio».[10]
L’umanesimo di Grecchi non si intreccia soltantoo con la metafisica, ma anche con la storia letta attraverso il paradigma veritativo. È un’operazione finalizzata a mostrare il carattere carsico della metafisica, la quale scorre attraverso civiltà e periodi storici differenti. In tal modo si dimostra la sua universalità declinata nella polisemia espressiva della storia. Si tratta di ricongiungere i sentieri interrotti che la furia della specializzazione ha rescisso:
«Per sottolineare, ancora, la continuità dell’etica greca, occorre rimarcare che anche chi sostiene che l’etica omerica fu sostanzialmente di tipo “eroico” può verificare che questo ideale, pur diversamente declinato nei secoli, fu presente quanto meno anche in tutta l’epoca classica; fecero eccezione infatti, nell’opera letteraria greca, solo affermazioni come quella di Archiloco (fr. 6 DK), il quale si vantò di aver gettato via lo scudo in guerra – azione considerata assai poco dignitosa – per fare salva la vita. L’ideale dell’eroismo si trasformò presto nell’ideale dell’aristocrazia dell’anima, rivolto alla difesa della comunità sociale. Questo il trait d’union di Omero con Platone e l’epoca classica, ottenuto coniugando l’eroismo in chiave umanistica. Per concludere, occorre rimarcare come l’etica omerica si incentri, come già rilevato in precedenza parlando dell’umanesimo omerico, sui concetti di “limite” e di “misura” (in rapporto alla potenziale sfrenatezza degli istinti e delle passioni)».[11]
Resistere significa, dunque, interrogare la storia ed i classici per tracciare nuovi percorsi che si ricongiungono con le verità che si sono rivelate nella storia. La resistenza civile ed intellettuale deve radicarsi nella tradizione senza rifiuto del nuovo per poter riportare l’umanità dove imperano la seduzione delle merci e gli automatismi senza concetto.
Salvatore Bravo
***
[1] Luca Grecchi, Compendio di metafisica umanistica, Petite Plaisance, Pistoia 2017, pag. 35. [2]Ibidem, pag. 26. [3]Ibidem, pag. 12. [4] Lotofagi, dal greco lōtophágos, comp. Di lōtós, ‘loto’, e della radice di phageîn ‘mangiare’. [5] Luca Grecchi, L’umanesimo di Omero, Petite Plaisance, Pistoia 2012, pag. 151. [6]Ibidem, pag. 163. [7] Luca Grecchi, Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia, Petite Plaisance, Pistoia 2013, pag. 21. [8]Ibidem, pag. 26. [9]Ibidem, pag. 26. [10]Ibidem, pag. 35. [11] Luca Grecchi, L’umanesimo di Omero, op. cit., pag. 95.
«Ciascuno di noi è impegnato a sorvegliare e custodire il giusto ordinamento del paesaggio terrestre, ciascuno con il suo spirito e le sue mani, nella porzione che gli spetta, per evitare di tramandare ai nostri figli un tesoro minore di quello lasciatoci dai nostri padri. Non c’è neppure tempo da perdere, lasciando questo problema irrisolto, fino ai nostri ultimi giorni, affinché siano i nostri figli a risolverlo; perché l’umanità è inquieta e avida, e il desiderio di oggi ci fa scordare i proponimenti di ieri; ogni volta che nel perseguire una meta smettiamo di aspirare alla perfezione, ecco che la corruzione, sicura e rapida, uccide ogni speranza e tutto soccombe e cade nell’oblio; abbiamo tempo abbastanza per qualsiasi cosa: per popolare i deserti; per abbattere le frontiere tra nazione e nazione; per scoprire i più reconditi segreti dell’essenza delle nostre anime e dei nostri corpi, dell’aria che respiriamo e della terra che ci sostiene [ … ]: ma se vogliamo rivolgere la nostra attenzione e il nostro curioso desiderio alla bellezza della terra, non c’è un minuto da perdere, nel timore che il continuo flusso delle necessità umane si abbatta su di essa e la renda, non un deserto di speranze (quale essa era una volta), ma una prigione disperata; nel timore, infine, di scoprire che l’uomo ha penato, ha lottato, ha vinto e piegato tutte le cose terrene sotto i suoi piedi, solo per rendere la propria esistenza più infelice».
William Morris
La terra cava (The Hollow Land, 1856)
La difesa di Ginevra ed altre opere (The Defence of Guinevere and other Poems, 1858);
La vita e la morte di Giasone (The Life and Death of Jason, 1867);
Il paradiso terrestre (The Earthly Paradise, 1868–1870);
L’amore è abbastanza (Love is Enough, or The Freeing of Pharamond, 1872);
La caduta dei nibelunghi (The Story of Sigurd the Volsung and the Fall of the Nibelungs, 1876);
Speranze e timori per l’arte (Hopes and Fears For Art, 1882);
Un sogno di John Ball (A Dream of John Ball, 1886);
The House of the Wolfings (1888);
Lavoro utile, fatica inutile. Bisogni e piaceri della vita, oltre il capitalismo (1888-1894)
Le radici delle montagne (The Roots of the Mountains, 1889);
Notizie da nessun luogo (News from Nowhere, 1890);
The Story of the Glittering Plain (1890);
La fonte ai confini del mondo (The Well at the World’s End, 1892);
Il bosco oltre il mondo (The Wood Beyond the World, 1895);
Le acque delle meravigliose isole (The Water of the Wondrous Isles, 1896);
The Sundering Flood (1898).
Guido Bulla, William Morris fra arte e rivoluzione, Cassino, Garigliano, 1980.
(EN) Robert L. M. Coupe, Illustrated Editions of the Works of William Morris in English: A Descriptive Bibliography (PDF), 1ª ed., New Castle, Oak Knoll Press, 2002.
Amanda Hodgson, The Romances of William Morris, Cambridge, Cambridge University Press, 1987.
Francesco La Regina, William Morris e l’Anti-Restoration Movement, in “Restauro”, nn. 13-14, maggio-agosto 1974.
David Latham (a cura di), Writing on the Image: Reading William Morris, Toronto, Toronto University Press, 2006.
Mario Manieri Elia (a cura di), William Morris: opere, Bari-Roma, Laterza Editore, 1985.
Bianca Gioia Marino,William Morris. La tutela dei monumenti come problema sociale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993.
Nikolaus Pevsner, Pioneers of Modern Design: From William Morris to Walter Gropius, Londra, Penguin Books, 1991.
Tony Pinkney, William Morris in Oxford. The Campaigning Years, 1879-1895, Grosmont, Illuminati, 2007.
Eleonora Sasso, William Morris tra utopia e medievalismo, Roma, Aracne Editrice, 2007
E. P. Thompson, William Morris. Romantic to Revolutionary, Londra, PM Press, 2011 [1996].
Lavoro utile, fatica inutile. Bisogni e piaceri della vita, oltre il capitalismo, con una biografia scritta da E. P. Thompson; tradotto da David Scaffei, Roma, Donzelli Editore, 2009.
Men’s curiosity searches past and future And clings to that dimension. But to apprehend The point of intersection of the timeless With time, is an occupation for the saint – No occupation either, but something given And taken, in a lifetime’s death in love, Ardour and selflessness and self-surrender.
La curiosità dell’uomo scruta il passato e il futuro, Si aggrappa a quella dimensione. Ma comprendere Il punto in cui l’eterno s’interseca col tempo È occupazione da santi, anzi nemmeno occupazione, Ma qualcosa che viene dato e preso In una morte d’amore che è di tutta la vita, Ardore ed altruismo e abnegazione.
Disunitevi in nome del capitale. Il neoliberismo ha la propria visione antropologica: i suoi fondamenti sono basati nell’empirismo di Hume, per il quale l’essere umano è abitudine
«Proletari di tutto il mondo unitevi». Il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels si concludeva con l’appello all’unità, alla contraddizione dialettica per superare le ingiustizie e le sperequazioni sociali. L’unità e la consapevolezza di classe scorrono carsiche in tutte le opere di Marx: i dati economici, la critica economica, la scoperta del plusvalore e del valore di scambio sono la denuncia di Marx al “sistema capitale”. La prassi esige la denuncia teorica. Questo binomio consente la prassi, ma solo se fondata sulla fiducia, solo se l’altro con cui si condivide destino sociale e consapevolezza non è percepito come una minaccia, ma come compagno di lotta con cui condividere il sudore della passione politica. Il sudore è qui utilizzato nella sua accezione biologica e simbolica. La lotta è vicinanza, è carnalità in relazione, è la singolarità che vive in tensione con il gruppo, essa è contatto visivo, tattile e olfattivo Le idee emergono dal vissuto, dalla condivisione della carne negli spazi vissuti. Senza tale realtà e verità fenomenologica non vi è che il nulla. La dialettica è il fondamento dell’unità e della consapevolezza. L’io deve incontrarsi con il tu, senza tale relazione le idee non emergono, vi è solo timore e tremore, vi è solo la creatura isolata e depotenziata. L’esperienza Covid-19 consente un giusto e razionale sospetto, ovvero che si voglia rendere non eterni i provvedimenti di distanziamento sociale, ma si voglia abituare al distanziamento sociale. Si progetta di inoculare, in modo costante, il sospetto verso l’altro. Si sta strutturando in modo definitivo l’atomismo sociale mediante l’abitudine all’isolamento.
L’abitudine all’isolamento Educato l’essere umano al distanziamento, a percepire l’altro come un pericolo potenziale, il dopo Covid-19 renderà la divisione e l’isolamento un automatismo. Alla competizione agonica del liberismo si sarà aggiunto un altro livello di isolamento più profondo: l’altro è potenzialmente mortale, è portatore non di idee o di amicizia, ma di virus aggressivi da cui è necessario difendersi ponendolo a distanza. Il neoliberismo ha la propria visione antropologica che basa i suoi fondamenti nell’empirismo di Hume, per il quale l’essere umano è abitudine, pertanto la ripetizione del gesto, in questo caso del distanziamento sociale, produce comportamenti automatici duraturi:
Qualcuno forse mi domanderà se sono veramente convinto di ciò che mi affatico tanto a dimostrare, se sono realmente uno di quegli scettici che sostengono che tutto è incerto e che il nostro giudizio non ha alcuna misura del vero e del falso in nessuna cosa. Rispondo che la domanda è del tutto superflua, e che nessuno, né io né altri, è stato mai sinceramente e costantemente di quest’opinione. Per un’assoluta e irresistibile necessità, la natura ci porta a giudicare come a respirare e a sentire; né possiamo trattenerci dal considerare certi oggetti sotto una luce più forte e piena a causa della loro abituale connessione con un’impressione presente, di quel che possiamo impedirci di pensare finché siamo svegli o di vedere i corpi circostanti quando volgiamo gli occhi attorno in pieno mezzogiorno. Chiunque si è preso la pena di confutare i cavilli di questo scetticismo totale, ha in realtà discusso senza avversari e ha cercato di sostenere con argomentazioni una facoltà che la natura ha precedentemente ben radicata nello spirito e resa inevitabile. La mia intenzione nell’esporre con tanta cura gli argomenti di tale setta fantastica, è soltanto di convincere il lettore della verità della mia dottrina: che, cioè, tutti i nostri ragionamenti intorno alle cause e agli effetti derivano dall’abitudine, e che la credenza è più propriamente un atto sensitivo che un atto cogitativo della nostra natura. Io ho provato che gli stessi princípi che ci portano a giudicare di un oggetto e a correggere poi questo nostro giudizio con la considerazione delle nostre inclinazioni e capacità, dello stato della mente quando consideriamo quel soggetto: questi stessi princípi, dico, quando sono estesi e applicati ad ogni nuovo giudizio riflesso, con la continuata diminuzione dell’evidenza primitiva, devono da ultimo ridurre questa a niente e sovvertire completamente tutte le nostre credenze e opinioni. Se la credenza [belief] fosse dunque un semplice atto del pensiero, e non un modo speciale di concepire con un aumento di forza e di vivacità, essa dovrebbe infallibilmente distruggere se stessa e riuscire in ogni caso a una totale sospensione del giudizio. Ma l’esperienza convincerà facilmente chiunque volesse farne la prova, che, per quanto possa non trovare nessun errore nei precedenti argomenti, tuttavia egli continua a credere, a pensare e ragionare come al solito; se ne può cosí tranquillamente concludere che il suo ragionamento e la sua credenza sono una certa sensazione, ossia una maniera speciale di concepire, che le semplici idee e riflessioni non possono distruggere[1].
Si associa l’altro ad una malattia con il risultato che la passione triste diventa il sentimento che veicola il trionfo della finanza ed il tramonto dell’occidente. L’occidente non potrà creare più nulla, ma solo produrre plusvalore e beni per il mercato. La regressione umana viene istituita per DPCM.
Imparare il distanziamento L’abitudine all’isolamento palesa la verità del sistema capitale, il quale è profondamento antipolitico. La politica è il luogo della comunità in cammino, è la polis alla ricerca di configurazioni comuni. Con la fine della politica muore l’Occidente fondato sull’esperienza della città e del dialogo. Nel Fedro (227a-228e) Socrate afferma che non vuole andare in campagna, ma restare in città, perché solo in città si può imparare a diventare esseri umani con l’arte del logos e della maieutica. Con il distanziamento divenuto struttura emotiva non abbiamo nulla da imparare dagli altri, perché l’altro è veicolo di malattia, di morte, per cui i contatti vengono limitati. Non vi è settore della vita sociale che non sia coinvolta nel distanziamento, ovunque si deve imparare l’abitudine alla distanza.
– In strada il distanziamento avviene con l’uso di mascherine e distanza spaziale. – In casa l’igiene fino all’ossessione rende la casa molto simile ad un sanatorio che accoglie potenziali malati. – In chiesa si arriva al ridicolo, non solo i fedeli sono posizionati a debita distanza, all’ingresso ci si disinfetta, al momento di distribuire l’ostia il prete si igienizza le mani, indossa i guanti e la mascherina e passa tra i banche a distribuire l’ostia in mano ai fedeli. Il corpo di Cristo simbolo e sostanza (per i credenti) di unità, è negato nella sua verità. – Lo smart working isola i lavoratori e specialmente il lavoratore paga i costi della gestione del mezzo di lavoro e dell’ambiente in cui avviene l’uso dal proprio reddito. I contatti con i colleghi sono sostituiti dalla digitalizzazione che verte solo su pratiche lavorative.
– A scuola si ipotizza l’isolamento mediante plexiglass: a scuola si impara la condivisione come in famiglia, per cui l’attacco è palese.
– Si progetta anche la didattica ibrida, come nuova frontiera innovativa della scuola, la DaD diviene organica alla scuola.
– Nei luoghi di lavoro non ci si tocca, non ci si saluta che con un’ incomprensibile emissione di suono a causa della mascherina.
Tacere e non ascoltare La mascherina isola, rende la voce e le comunicazioni incomprensibili, per cui si impara a tacere e a non ascoltare, in alternativa si usano le tecnologie dalle quali si astraggono informazioni per la sorveglianza globale che opera attraverso il controllo concreto dei singoli. L’isolamento vocale, la disabitudine ad esprimersi è, forse, l’elemento più inquietante, che in pochi hanno rilevato. La mascherina è diventata da ausilio sanitario una nuova museruola sociale per colpire il logos e ridurre l’essere umano a pura funzione biologica. Il dopo Covid-19 dovrà affrontare tali problematiche nel silenzio di partiti e sindacati, mentre in televisione scorrono immagini che educano all’isolamento sociale esaltandone gli effetti benefici. Nessun piano di recupero della socialità è previsto, e ciò dovrebbe indurci collettivamente a riflettere sull’uso strumentale del Covid-19. Un ultimo dubbio, mentre si esalta l’economia green ed i suoi effetti, nessuno ci spiega come verranno smaltite mascherine e plastica annessa. Le industrie della plastica fanno affari e lavorano per un mondo fatto solo di plastica.
Salvatore Bravo
[1]David Hume, Trattato sulla natura umana, Libro primo, Parte quarta, Sez. prima (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 888-889).
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