Stefania Squadroni – Pedagogia: la bella addormentata sul banco. Recensione al libro: «Spazio delle mie brame. Riflessioni sul potere, lo spazio e l’educazione diffusa», di Giuseppe Dambrosio (Mimesis, 2023).



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Enrico Crivellato, Medico e docente di Anatomia Umana e di Storia della Medicina presso l’Università degli Studi di Udine, commenta il libro di Florian Steger, «Introduzione alla storia della medicina antica. Dal Vicino Oriente antico a Bisanzio», Edizione italiana a cura di Vincenzo Damiani, “petite plaisance”, 2024.





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Salvatore Bravo – Afghanistan della disinformazione. La guerra per l’oppio.

Salvatore Bravo

 

Afghanistan della disinformazione

 

 

L’infosfera dell’Occidente turbo-capitalista è finalizzata alla disinformazione manipolata. Il suddito-consumatore aggiogato al mainstream ha la percezione di essere informatissimo, in realtà il sistema mediatico ripete in modo ossessivo informazioni filtrate a priori. La decadenza della democrazia è nell’impossibilità di ricostruire eventi e circostanze in modo reale e razionale. Si vive, di conseguenza, in una realtà semi-onirica, in cui le parole e le immagini, in un numero volutamente ingestibile, sembrano farci vivere in una democrazia trasparente e realizzata. Siamo nella gabbia d’acciaio della disinformazione e non ne abbiamo, in genere, la consapevolezza. L’Italia nel 2024 risulta essere al 46 posto per la libertà d’informazione. Si finanziano le guerre per i diritti umani, ma in patria vi è un deficit notevole di diritti, di informazione e di cultura politica.

In questi decenni a liberismo integrale, in cui i diritti sociali sono stati tagliati e la formazione dei cittadini europei è drammaticamente curvata ai voleri della classe al potere, la vera protagonista è stata la guerra. Il neocolonialismo si è mascherato con la propaganda dei diritti umani, e in nome della democrazia e dei diritti umani propagandati dai trombettieri delle oligarchie si è proceduto a devastare intere aree geografiche e a massacrare i popoli indisponibili ad entrare nell’Eden occidentale. La religione unica del mercato e del denaro non tollera le differenze, esse sono vissute come una minaccia alla verità dell’economicismo. La superiore civiltà dell’Occidente ha divorato un numero non indifferente di popoli: Serbia, Libia, Iraq, Siria, Afghanistan ecc. La democrazia è arrivata a suon di bombe e ha lasciato paesi devastati e popoli nel dolore. In questo clima vi sono testi che possono esserci d’ausilio per comprendere la pericolosa direzione verso cui l’Occidente si sta posizionando. Il saggio di Filippo Rossi è una fonte di informazioni, spesso diretta, sul conflitto in Afghanistan. Ci svela la verità sull’operato NATO abilmente occultato dai mainstream, i quali si soffermano esclusivamente sulla condizione femminile, la quale è diventata lo strumento mediatico per strappare un facile e irriflesso consenso e per celare la realtà tragica di questi anni terribili di guerra. L’autore specifica nel testo che cosa intenda per Occidente. Non sono i popoli occidentali ad essere responsabili, ma le oligarchie anglofone, le quali occultano la verità in Occidente, rendendo i cittadini sudditi. Le plutocrazie sono le responsabili di una serie di guerre che non hanno eguali per la conduzione spregiudicata e per le tecnologie messe in campo:

 

«Bisogna, invece, intendere l’Occidente come sistema di governo, di controllo finanziario, come politica neocolonialista e imperialista che domina, invade e opprime chiunque non la pensi come desiderato dal potere, e cerca di imporre con mezzi subdoli e con tecniche avanzate la propria visione del mondo per cercare di modificarlo a piacimento e renderlo sempre più omologato, abbattendo frontiere culturali, barriere e usi sociali per arrivare a creare un essere umano ibrido (ciò che, nella sua accezione fenomenologica, può essere considerato transumanesimo). E l’opera è già in stato avanzato, anche se barcollante. Questo avviene senza tenere minimamente conto di ciò che la popolazione occidentale pensa di queste azioni e di questa espansione».[1]

 

Compelle intrare

Le guerre di rapina sono venate da un razzismo occultato dalla fumisteria dell’uguaglianza. La civiltà occidentale è la migliore possibile, pertanto bisogna radere al suolo le altrui civiltà per portare l’irenica pace dell’Occidente. L’Occidente è divenuto con la sua religione-missione della civilizzazione, ad ogni costo, la laica e pericolosa religione del nostro tempo. Si tratta di ideologia, in quanto la retorica della religione dei diritti cela l’occupazione e il saccheggio quali fini reali delle missioni di pace. Il capitalismo è il “bene assoluto” per cui va imposto ai popoli retrogradi che bisogna costringere ad entrare nel mondo della superiore civiltà del dollaro nella quale l’uguaglianza è divenuta eguagliamento:

 

«In Occidente si parte dal presupposto che almeno in Europa e negli Stati Uniti la struttura della propria società sia la migliore al mondo. Da qui il bisogno di doverla proporre con le “buone o le cattive” agli altri. La cosa più sconcertante è che spesso sono gli ambienti della cosiddetta “sinistra” a difendere questi diritti inalienabili imponendola a tutti senza accorgersene».[2]

 

“Compelle intrare” è il motto che distingue la democrazia occidentale, coloro che resistono devono essere indotti a suon di bombe ad entrare nel mercato e a “condividere le loro risorse con i liberatori”. Caduta l’unione Sovietica, la NATO ha cominciato ad estendersi sempre più ad Est. Il crollo delle torri gemelle ha decretato la contrazione della democrazia in Occidente in nome della sicurezza. Si esporta la democrazia dei diritti, mentre in Occidente la stessa si contrae:

 

«Oltre alla guerra, il progetto di creare più ostacoli ed erodere le libertà dei cittadini funzionò alla perfezione con l’introduzione del Patriot Act, firmato e introdotto i 26 ottobre del 2001. Si fece credere al cittadino comune che meno libertà garantiva più sicurezza. La dittatura nascosta raggiungeva un alto livello in tutto il mondo, essendo tutti gli Stati in un qualche modo soggiogati dallo strapotere della finanza USA».[3]

 

 

La realtà-verità della guerra

Le ragioni della guerra in Afghanistan e della sua democratica occupazione non sono da individuare nell’attacco alle Torre gemelle, ma nella sua posizione e nelle ingenti risorse minerarie. La democrazia è esportata solo dove vi sono risorse minerarie a cui le oligarchie occidentali sono particolarmente sensibili. Il capitalismo occidentale può sopravvivere solo mediante la predazione delle risorse minerarie che non possiede:

 

«L’Afghanistan non solo si trova in una posizione strategica molto importante per l’attraversamento di risorse come il gas e petrolio dalle vaste e ricche pianure centrasiatiche verso l’Oceano Indiano, ma possiede lui stesso ingenti risorse naturali sul suo territorio. Non solo petrolio e gas ma anche uranio e litio, per citarne alcune. Possiede però qualcosa di speciale e più allettante ancora: l’oppio, l’eroina, l’efedrina. Il narcotraffico, un mercato miliardario per chi lo controlla. Più di quanto sia stato rilevato».[4]

 

Il sangue dell’Occidente è il denaro. Il capitalismo si connota per il suo sviluppo ipertrofico, e a tal scopo necessita di denaro. Si forma un ciclo vertiginoso in cui si investe denaro per ottenerne altro ed espandersi senza limiti e confini. Il “deserto della crematistica” avanza ad un ritmo ingestibile, e specialmente, è occultato alla vista cognitiva e politica degli ordinari cittadini occidentali. L’Afghanistan è il più grande produttore d’oppio, pertanto l’Occidente ha gestito la produzione per ricavarne denaro da investire nelle guerre di “liberazione” prima dai sovietici e poi da Talebani:

 

«L’Afghanistan e il Pakistan però, sono passati da centri di piccola produzione locale a veri e propri centri di grande produzione, con l’inizio dell’invasione sovietica in Afghanistan alla fine degli anni Settanta. La CIA cominciò a sostenere la resistenza dei mujahidin, i quali necessitavano di supporto logistico e bellico fornito attraverso i canali pakistani e sauditi. L’oppio divenne perciò indispensabile per riciclare il denaro e fornire ancora più supporto alla continuazione della lotta fornendo armi senza essere tracciabili».[5]

 

L’oppio ha una doppia valenza produce denaro e distrugge i popoli che ne fanno largo uso. Le due Guerre dell’oppio dell’Inghilterra per conquistare la Cine nell’Ottocento (dal 1839 al 1842 e dal 1856 al 1860), sono un fulgido e tragico esempio. La storia si ripete in modo simile nei nostri anni. L’oppio è uno strumento per dominare i popoli e indebolirli politicamente e nel medesimo tempo si ottengono guadagni da investire nella politica di potenza e di dominio:

 

«La grande potenza distruttrice dell’oppio risiede nella dipendenza che ne consegue dopo il consumo (sia oppio che eroina raffinata ecc.). Difatti, secondo molti analisti, ancora oggi l’oppio commerciato dall’Afghanistan ed esportato con l’aiuto dell’occupazione NATO, è usato come arma appositamente per distruggere le popolazioni iraniche, russe e cinesi non solo con la dipendenza ma anche con l’aumento del crimine e delle malattie veneree come l’AIDS».[6]

 

La guerra alle piantagioni dell’oppio è stata propaganda, in quanto come si rileva nel saggio, la distruzione dei campi di oppio e dei laboratori ha avuto lo scopo di far lievitare il prezzo dell’oppio[7]. Il mercato ha le sue leggi.

 

 

Effetti collaterali

Il disprezzo degli occupanti ha portato a una serie incalcolabile di bombardamenti ed eventi luttuosi durante l’occupazione NATO. Gli afgani portano ancora oggi nella carne e nella psiche le tracce delle violenze dei “liberatori”. Per gli innocenti che hanno subito violenze inenarrabili, mentre la NATO era a caccia di Talebani, la guerra non è finita. I casi di innocenti ammazzati durante i bombardamenti sono innumerevoli. Ogni giorno essi rivivono in una nazione ridotta in macerie la guerra e questo impedisce loro di immaginare il futuro. Molti afgani sono prigionieri del tempo della guerra:

 

«Said Abdullah non riuscì più ad andare a scuola per i problemi di concentrazione e i forti mal di testa. Rimase analfabeta, ancora oggi, anche se lui vorrebbe uscirne e diventare dottore. Tuttavia, il suo futuro, per ora, è coltivare campi e il grano per sopravvivere. E tutti si sono dimenticati di lui, dei fatti di Granai e dei danni indelebili che le forze internazionali hanno fatto».[8]

 

La frettolosa ritirata dall’Afghanistan nel 2021 dopo vent’anni di guerra è sospetta. Si può ipotizzare che la ritirata sia stata concordata, ovvero che i Talebani al potere in qualche modo siano legati all’Occidente. Nulla è come appare, il semplicismo manicheo non è la categoria da utilizzare per comprendere eventi che ad uno sguardo cognitivo più attento appaiono stranamente sorprendenti. Tutti i popoli desiderano la pace e il rispetto della loro identità, solo su queste fondamenta si può elaborare una nuova fratellanza nel segno del concreto rispetto delle differenze. Siamo lontani dalla pace e dalla fratellanza che può esserci solo se impariamo a riconoscere l’altro e a non depredarlo. Nulla è impossibile, malgrado il periodo storico, la prassi della speranza è ciò che ci umanizza, pertanto informarsi per capire è passo fondamentale verso una prospettiva storica semplicemente umana. I versi di Alda Merini ci guidino verso la speranza, nessuno si salva da solo; la pace non si costruisce con le armi come ci raccontano i cinici cantori della guerra. Ognuno di noi può diventare una scialuppa di salvataggio verso l’esodo. Non bisogna rinunciare ad immaginare un mondo diverso che inizi nel presente:

 

 

Una volta sognai

 

Una volta sognai

di essere una tartaruga gigante

con scheletro d’avorio

che trascinava bimbi e piccini e alghe

e rifiuti e fiori

e tutti si aggrappavano a me,

sulla mia scorza dura.

Ero una tartaruga che barcollava

sotto il peso dell’amore

molto lenta a capire

e svelta a benedire.

Così, figli miei,

una volta vi hanno buttato nell’acqua

e voi vi siete aggrappati al mio guscio

e io vi ho portati in salvo

perché questa testuggine marina

è la terra che vi salva

dalla morte dell’acqua.

 

[1] Filippo Rossi, NATO per uccidere, Arianna editrice, Bologna 2024, pp. 56-57.

[2] Ibidem, pag. 40.

[3] Ibidem, pag. 68.

[4] Ibidem, pag. 71.

[5] Ibidem, pag. 92.

[6] Ibidem, pag. 99.

[7] Ibidem, pp. 117-120.

[8] Ibidem, pag. 179.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Björn Larsson – «Essere o non essere umani». Libertà significa immaginare. La libertà intesa come possibilità reale dipende dall’immaginazione. Senza immaginazione non ci sarebbe neppure libertà. Senza immaginazione non saremmo in grado di progettarci/ proiettarci nel futuro, prerequisito di base della convinzione di poter cambiare la realtà. Senza immaginazione non potremmo concepire modi alternativi di vivere e organizzare le nostre esistenze.

Björn Larsson, Essere o non essere umani. Ripensare l’uomo
tra scienza e altri saperi
, Raffaello Cortina Editore,
2024

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Eric Donald Hirsch, Jr. – «Le scuole di cui abbiamo bisogno e perché non le abbiamo» [The Schools We Need, And Why We Dont’t Have Them, Doubleday, 1996]. Traduzione e cura di Paolo Di Remigio e Fausto Di Biase.

Vi è conflitto tra pedagogia e didattica perché nascono da diversa origine,
così come due circonferenze che si intersecano non hanno lo stesso centro:
Ἐὰν δύο κύκλοι τέμνωσιν ἀλλήλους, οὐκ ἔσται αὐτῶν τὸ αὐτὸ κέντρον.
Euclide, Elementi, III libro, V teorema.



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Siamo capaci di costruire “comunità di senso” ? L’umanità è vicinanza solidale e condivisione, e necessita di “comunità di senso” per vivere la profondità del suo essere-esserci. La “comunità di senso” si caratterizza per l’universale concreto. Il concetto trae la sua energia creativa dal dono. La società della “seduzione” recide i legami; predilige e organizza la solitudine. Solo tematizzando categorie che la quotidiana ipostatizzazione naturalizza rendendole invisibili agli occhi della mente si può progettare un futuro diverso. Altrimenti il pensiero diventa “intrasformabile”. Questa “intrasformabilità” del pensiero sterilizza l’immaginazione concettuale. La testimonianza viva di una compiuta rigenerazione concettuale non deve restare chiusa nel forziere della mente, ma trasmutarsi in azione che invita a pensare e a rendere ciò che sembrava impossibile “reale e razionale”, a vivere il “naturale senso di comunità”, con amicizia libera da finalità crematistiche.

Stone arch with red stone at top in the morning on a beach
«E quando ti chiederanno che cosa facciamo, tu gli risponderai : “Noi ricordiamo”», Fahrenheit 451, di François Truffaut.

Siamo capaci di costruire “comunità di senso” ? L’umanità è vicinanza solidale e condivisione, e necessita di “comunità di senso” per vivere la profondità del suo essere-esserci. La “comunità di senso” si caratterizza per l’universale concreto. Il concetto trae la sua energia creativa dal dono. La società della “seduzione” recide i legami; predilige e organizza la solitudine. Solo tematizzando categorie che la quotidiana ipostatizzazione naturalizza rendendole invisibili agli occhi della mente si può progettare un futuro diverso. Altrimenti il pensiero diventa “intrasformabile”. Questa “intrasformabilità” del pensiero sterilizza l’immaginazione concettuale. La testimonianza viva di una compiuta rigenerazione concettuale non deve restare chiusa nel forziere della mente, ma trasmutarsi in azione che invita a pensare e a rendere ciò che sembrava impossibile “reale e razionale”, a vivere il “naturale senso di comunità”, con amicizia libera da finalità crematistiche.

 

 

 

L’inimicizia come dispositivo anticomunitario

Il nostro è il tempo dell’inimicizia competitiva. Il capitalismo assoluto colonizza e neutralizza l’immaginazione critica con l’inimicizia programmata e pianificata. Nel sistema mercato che ha cannibalizzato la comunità e la prassi della speranza, l’inimicizia è il mezzo più efficiente per tale risultato. I luoghi della comunità sono spazi ancora visibili, ma in essi è stata trasmessa l’inimicizia. In ogni spazio pubblico regna la divisione crematistica. Il linguaggio non è ponte tra le persone e non è l’esplicarsi del percorso per pensare la totalità in cui si è gettati per uscirne rigenerati. Il linguaggio-logos è stato abilmente neutralizzato nella sua forma veritativa. È divenuto solo calcolo che persegue interessi personali o di gruppo. Ma specialmente è divenuto “seduzione”. Per vendere e vendersi il sistema addestra ad usare artifici linguistici che possano obnubilare il cliente-consumatore e, in tal maniera, egli è vinto e irretito nella rete del “non senso”. La seduzione è il mezzo con cui l’ipertrofia consumistica oscura l’altro, per cui la parola diventa “sofistica” del PIL. L’inimicizia è l’asse portante del capitalismo: non a caso sin dall’infanzia si insegna la competizione divisiva. Si insegna che lo spazio-tempo è un’immensa vetrina, per cui i ruoli sono due: si compra o si vende. La guerra di tutti contro tutti è la normalità dello Stato-mercato. Ogni giorno sono innumerevoli le vittime della quotidiana battaglia per le merci, ma in quanto vittime cadono nella dimenticanza, in quanto è solo la merce che deve apparire e governare il mondo. La derealizzazione ha il volto patinato della società dello spettacolo.

Nella corsa all’accaparramento bisogna imparare a sbaragliare il nemico. L’inimicizia alligna in tale deformazione emotiva contrassegnata da una razionalità irrazionale, e penetra nelle profondità della psiche fino a riorientarla verso la logica dell’inimicizia. La disarmonia interiore è la condizione perché il “mercato” trionfi e la “comunità” sia sacrificata sull’altare del profitto. Il sistema capitale, con i suoi dispositivi di controllo, sollecita alla lotta crematistica ed esalta l’uomo imprenditore. Si tace sul dolore che ogni carriera e ogni “successo” lascia dietro di sé. Non vi è alcuna crematistica “buona”, l’ossessione proprietaria non può che condurre alla disintegrazione di ogni forma di solidarietà in cui si esplichi la natura umana razionale, etica e solidale. L’inimicizia è il dispositivo che deve circolare, deve produrre l’urto competitivo perenne finalizzato ad impedire la comunicazione veritativa. La solitudine è garanzia per il capitalismo; personalità tagliate nella solitudine subìta disimparano la speranza e non osano pensare un altro mondo possibile.

 

Società della paura

Il capitalismo non è semplice nichilismo, esso conosce la natura umana, in quanto è fenomeno storico posto dall’umanità. Le oligarchie, per eternizzare il sistema, devono pianificare la negazione della consapevolezza collettiva della natura umana. Stimolare gli appetiti più irrazionali e descrivere l’alterità come competitore che in ogni gesto e parola vuole solo saccheggiare e defraudare induce alla società della paura. Dove vi è inimicizia vi è paura. L’altro è colui che ordisce l’inganno, è il potenziale nemico, anche quando non vi sono le condizioni per la lotta. La paranoia dilaga e pone il pensiero nella mordacchia del timore che può trasformarsi in terrore. La distanza emotiva non solo è fonte dell’atomistica delle solitudini, ma rende il pensiero debole e fragile. Il concetto emerge dal confronto, è l’effetto dell’incontro-scontro con parole vere. Ma affinché ciò possa essere è necessaria la fiducia con la quale si tende all’ascolto e ad accogliere le parole per “tenerle preziose nei propri pensieri”. Sono germogli di verità dai quali fioriscono la verità e la prassi. La società della seduzione e della paura recide i legami come scinde le parole; essa predilige, vuole e organizza la solitudine. Non a caso le cronache ci restituiscono in modo pruriginoso interminabili discussioni mediatiche sui crimini sanguinosi che spingono a chiudersi nel proprio bozzolo privato. Ogni vita è così racchiusa nel proprio inferno privato, ci si consuma nel terrore panico della comunità desiderata e agognata. Ciò che dovrebbe essere fonte di vita, la comunità, diviene il tormento di ogni giorno.

Il capitalismo, per dominare, ha il suo cattivo alfabeto dei sentimenti. Il dispositivo di controllo, che circola oppressivo e silenzioso, insegna sin dalla più tenera età a guardare e vivere l’alterità come il nemico. Utilizzando tale strategia il capitalismo mostra con l’operazione di “rastrellamento della natura umana” di conoscere “la natura dell’essere umano”. Per renderlo singolarità seduttiva deve pianificare l’oblio della natura etica e razionale fin dalla più tenera età: gli spazi di condivisione dei giochi sono privatizzati e le stesse attività ludiche non più spontanee occasioni di incontri creativi sono parte degli automatismi crematistici. Il totalitarismo liberista, come ogni totalitarismo, deve controllare la formazione sempre più precocemente, perché l’innaturalità del sistema dev’essere schermata con il velo di Maya dell’attivismo deformante. Le patologie sempre più precoci e il tragico che ormai campeggia negli episodi di cronaca sono i segnali da decriptare.

 

Trascendere il capitalismo

Il capitalismo è innaturale, non risponde ai reali bisogni dell’essere umano. Trasforma gli esseri umani in “galli da combattimento”, ma la solitudine e il vuoto metafisico non sono cancellabili, continuano a sussistere e si manifestano in un dolore sordo e cieco che assume forme nuove e metamorfiche, apparentemente irrazionali. Se il dolore è riportato nella materialità della storia, esso non può che parlarci dell’intero. In ogni dolore psicologico e in ogni vita incompiuta si svela la verità del capitalismo. L’essere umano reificato e reso muto nella sua verità etica e razionale è la denuncia più vera del capitalismo crematistico.

L’umanità è vicinanza solidale e condivisione, necessita di “comunità di senso” per vivere la profondità del suo essere-esserci. La comunità di senso si caratterizza per l’universale concreto.

L’essere umano per poter rendere “reale e razionale” la sua natura necessita di essere riconosciuto nella sua umanità nello sguardo dell’altro che lo accarezza sulla soglia della parola.

L’universale concreto è il logos, è conoscenza che dispiega concettualmente la natura umana per porla nella prassi. Il capitalismo non è progettualità ma dispotismo economico, mentre la natura umana ricerca e progetta la comunità in cui la conoscenza di sè è processo comunitario.

Il concetto trae la sua energia creativa dal dono. La quantità e la qualità sono così in felice connubio mediante il concetto.

Il pensiero riflettente orienta la comunità verso la realizzazione della natura umana. La qualità rende la quantità razionale e funzionale ai reali bisogni dei singoli.

La progettualità verso la comunità di senso certamente si esplica in un lungo percorso nel quale conflitti e spinte regressive sono e saranno presenti. Il fulcro del processo è nella chiarezza del concetto e dei fini fondati a livello metafisico che possono consentire il superamento di tensioni e umane incomprensioni. Il compito che si prospetta per ognuno – anche nella comprensibile incertezza, nella latente indecisione, nella difficile accettazione dell’unità inscindibile di teoria e prassi –, è quello di partecipare con decisione alla progettualità (teorica e pratica) delle comunità di senso che si ritengano presenti tra di noi per contribuire a dare loro un futuro, generando anche nuove oasi di resistenza. Rompere l’assedio è possibile. Il capitalismo con i suoi mezzi e con le sue strategie è il prodotto di una classe sociale che ha divinizzato la “merce”, il plusvalore, il profitto. Ma, nonostante la potenza dei mezzi di cui dispone non è “assoluto”, benché si presenti come tale. La resistenza messa in atto anche se da piccole comunità di senso dà prova, proprio nel “piccolo”, che il capitalismo non è tutto, che non è forza invincibile, e che dunque anche in questo tempo d’assedio è possibile divergere e mostrare che il capitalismo può rivelarsi solo come tragica manifestazione storica che potrà essere trascesa dall’universalizzarsi delle umane comunità di senso.

 

Il lento incedere della trasformabilità del pensiero

e l’intrasformabilità dello stesso

La rivoluzione è prassi, è radicale in quanto tematizza categorie dell’economico che la quotidiana ipostatizzazione naturalizza al punto che esse possono rendersi invisibili agli occhi della mente. Il pensiero umano diventa allora intrasformabile, non urta contro il “non io” della categoria che fonda la sottomissione, il denaro, e non lo concettualizza nella sua storicità, ma lo sterilizza naturalizzandolo, lo “percepisce” come perenne e intrascendibile.

Questa intrasformabilità del pensiero sterilizza l’immaginazione concettuale: la categoria del denaro è resa non più visibile, come fosse connaturata all’uomo che agisce dunque al pari del «pesce che non vede l’acqua»; nello stesso modo il denaro è nelle relazioni, le configura, ma non è pensato. La prassi incontra il suo limite nel “non pensato/non desiderato” e quest’ultimo non si converte in azione.

Un modello altro di società dev’essere radicale, deve pensare l’ovvio dogmatizzato per scendere nell’abisso delle pratiche del dominio e pensare la radice prima del male: solo in tal modo il pensiero si trasforma in desiderio e in testimonianza di un altro modo di esserci che ha il suo inizio nel presente. La progettualità è orientata verso il futuro, ma si radica nel presente. La testimonianza viva di una compiuta rigenerazione concettuale non resta racchiusa nel forziere della mente, ma si trasmuta in azione che invita a pensare e a rendere ciò che sembrava impossibile “reale e razionale”, a vivere e a far vivere comunità di senso. La trasformabilità del pensiero diventa convertere, come il termine latino suggerisce è un volgere/cambiare che vive nella persona e nel corpo sociale in modo integrale. Siamo nella caverna del denaro, è la nostra oscurità, e come tale ci acceca al punto da normalizzare il “buio-violenza della quantità-crematistica”: condizione naturalizzata che irrigidisce le relazioni in rapporti inautentici. La trasformabilità del pensiero è relazione che rende effettiva la possibile trasformazione nel presente e diventa “il fuoco creativo” per nuove trasformazioni/conversioni.

Il pur lento incedere della trasformabilità del pensiero non può che essere in tensione e in lotta con l’intrasformabilità dello stesso, poiché conduce alla consapevolezza che in ogni essere umano vi sono categorie assimilate simili all’aria che respiriamo e dunque, vi sono automatismi del pensiero non concettualizzati. La nostra umanità si può anche smarrire e irrigidirsi in schematismi ipostatizzati rinunciando a priori alle potenzialità dell’immaginazione con cui esplorare possibilità di vita e di pensiero diverse da quelle immediatamente prescritte e/o vigenti. Tale passivizzante “intrasformabilità” congela il desiderio, diventa la corrente fredda che isterilisce l’immaginazione rivoluzionaria e tende a riprodurre i rapporti crematistici e di sussunzione formale e materiale anche nel progetto vivificante delle comunità di senso, il quale si genera già eroso da una profonda deficienza interna. Il denaro, come categoria sacrale indiscutibile, è lo strumento della riproduzione delle relazioni anti-comunitarie e, non altrimenti pensato e immaginato, continuerà ad operare.

L’amicizia disinteressata e libera da narcisismi e da finalità crematistiche è l’alfabeto emotivo e razionale con cui reimparare a vivere il “naturale senso della comunità”, rifondando la prassi e la speranza.

Salvatore Bravo

 

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Lilith Fiorillo – «Il colosso. Il mio amico Guido è come l’Albero di Farnia, maestoso simbolo di forza e di longevità nella natura.

Lilith e Lapo, il cavallo abbandonato di cui si ha avuto cura.
Per rappresentare il mio amico Guido, ho scelto un Albero di Farnia: simbolo di forza e longevità nella natura.
L’Albero di Farnia ha una ricca storia culturale. Nel corso dei secoli, è stato utilizzato per la costruzione di navi, mobili e edifici grazie al suo legno resistente e di alta qualità. In molte culture, la quercia è considerata un simbolo di forza, saggezza e longevità, attributi che si riflettono perfettamente nell’albero di farnia.
L’Albero di Farnia, con la sua maestosità e la sua importanza ecologica e culturale,
merita sicuramente di essere celebrato e protetto.
È un simbolo vivente della bellezza e della grandiosità della natura. Ogni sforzo dovrebbe essere fatto per preservare e valorizzare questo tesoro verde, affinché possa continuare a ispirare e a incantare le generazioni future.
Il tronco dell’Albero di Farnia è massiccio e robusto, caratterizzato da una corteccia grigio-brunastra e solcata. Man mano che l’albero invecchia, la corteccia diventa più ruvida e può presentare crepe e rigonfiamenti.
Questo conferisce un aspetto caratteristico all’albero e ne testimonia la sua longevità.
Le farnie sono alberi a crescita lenta, ma possono raggiungere altezze notevoli.
Alcuni esemplari hanno superato i 40 metri di altezza, rendendoli uno degli alberi più alti del continente europeo.
La chioma della farnia è ampia e densa, formata da rami robusti e tortuosi che si estendono in diverse direzioni.
Questa struttura ramificata conferisce all’albero un aspetto imponente e maestoso.



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Un ponte sull’abisso ontologico – Dai postulati dell’ideologia dell’aziendalismo ancorché meritocratico, all’occultamento dell’economia umana concreta, eternizzando l’economia capitalistica pur declinata come “progressista”, ma che resta comunque un’economia asociale, emerge con chiarezza la nuda verità del cosiddetto progresso capitalistico che si realizza solo come regresso umano. Ecco allora l’urgenza di progettare un’economia concreta degli esseri umani che risponda ai suoi veri più profondi bisogni, secondo regole di solidarietà e di eguale rispetto di ogni individuo, al di fuori della molla puramente egoistica del profitto privato e/o aziendale. Il progresso economico ha un significato umano nella misura in cui lascia all’uomo più tempo e più energie per dedicarsi all’elaborazione simbolica della sua esistenza, all’arricchimento delle sue relazioni interpersonali, nell’interesse delle generazioni a venire e non solo a nostro vantaggio, ma anche per il bene altrui. Saremo capaci di costruire un ponte sull’abisso ontologico che divide l’essere dal dover essere, un ponte che ci porti a vivere amando il bene e il bello, promuovendone i contenuti in relazioni non competitive ma di dono, con coloro che incontriamo, generando ciò che davvero vale nell’attraversamento della quotidianità?

Gustav Klimt, Albero della vita (19051909).
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Il buon vivere racchiude in sé una prospettiva di armonia quale scopo primario della società. Una società in cui è la totalità armonica ad essere il fine dell’umanità. L’armonia sociale è il senso profondo di una Costituzione, dove vi è misura nell’uso delle risorse, e i diritti sociali come quelli individuali non sono mere espressioni linguistiche ma prassi culturale di ogni individuo e di un intero popolo.

Buen vivir

di Salvatore Bravo

Il buon vivere racchiude in sé una prospettiva di armonia quale scopo primario della società. Una società in cui è la totalità armonica ad essere il fine dell’umanità. L’armonia sociale è il senso profondo della nuova Costituzione, dove vi è misura nell’uso delle risorse, i diritti sociali e i diritti individuali non sono semplici espressioni linguistiche ma prassi culturale di un intero popolo

 

Il 20 ottobre 2008 è entrata in vigore in Ecuador la nuova Costituzione. L’Occidente è rinchiuso in un fortilizio bellicoso, il mondo intorno ad esso è già mutato, come testimonia la Costituzione dell’Ecuador, ma continua a vivere in una tragica illusione di onnipotenza.

L’Ecuador ha metabolizzato secoli di ingiustizie e ingerenze ed ha trovato la forza etica e politica di deviare dal percorso storico determinato dagli Stati Uniti che da sempre hanno considerato l’America del Sud come il ”cortile di casa”. Il paese andino è, ora, alla ricerca di un percorso politico e culturale autonomo. La Costituzione del 2008 è il punto di arrivo di un processo di presa di coscienza collettiva, e nel contempo inaugura un lungo cammino: è l’incipit per ritrovarsi dopo lo smarrimento coloniale. I tempi di materializzazione del progetto costituzionale non sono prevedibili, ma esso dona la speranza al popolo andino dopo la disperazione del colonialismo.

L’autonomia e la sovranità nazionale sono i fondamenti della nuova Costituzione, senza di esse non si possono difendere gli interessi, la lingua e la cultura del popolo di Ecuador dalle oligarchie transnazionali. Un popolo è tale se si riconosce non in astratto nel suo territorio, ma lo vive in una relazione olistica. L’Ecuador è il paese al mondo con il più alto numero di biodiversità per metro quadro. Non a caso la Costituzione dell’Ecuador difende la Pachamama, ovvero la madre terra, la quale non è materia da saccheggiare, ma è vita da conservare senza la quale l’Ecuador sarebbe solo un’espressione geografica. Giustizia sociale ed ambientale formano il connubio che porta al buon vivere comunitario (buen vivir in spagnolo, sumak kawsay in lingua indigena) con la realtà concreta costituita dalle persone e dall’ambiente. Nella lingua indigena del paese andino non vi sono parole che indicano lo sviluppo in senso proprietario e crematistico. Il buon vivere racchiude in sé una prospettiva di armonia quale scopo primario della società. Una società in cui è la totalità armonica ad essere il fine etico dell’umanità. L’armonia sociale è il senso profondo della nuova Costituzione, dove vi è misura nell’uso delle risorse, i diritti sociali e i diritti individuali non sono semplici espressioni linguistiche ma prassi culturale di un intero popolo che si ritrova nella sua storia dopo secoli di sfruttamento:

 

«Art. 1. – L’Ecuador è uno Stato Costituzionale di diritto e giustizia, sociale, democratico, sovrano, indipendente, unitario, interculturale, plurinazionale e laico. Si dà come forma organizzativa la Repubblica e si governa in modo decentralizzato. La sovranità ha le sue radici nel popolo, la cui volontà è il fondamento dell’autorità, e si esercita attraverso gli organi del potere pubblico e le forme di partecipazione diretta previste dalla Costituzione. Le risorse naturali non rinnovabili del territorio dello Stato appartengono al suo patrimonio inalienabile, irrinunciabile e inviolabile».

 

L’uguaglianza sociale per essere concreta deve riconoscere le differenze senza omologarle in categorie che nei fatti la negano. Le differenze sono riconosciute nella comune umanità all’interno della specificità di ogni persona. Non esiste la persona astratta, ma l’essere umano è concreto nella sua unicità armoniosa con se stesso, con la comunità e con l’ambiente:

 

«Art. 11. 2. – Tutte le persone sono uguali e godranno degli stessi diritti, doveri ed opportunità. Nessuno potrà essere discriminato per ragioni di etnia, luogo di nascita, età, sesso, identità di genere, identità culturale, stato civile, lingua, religione, ideologia, appartenenza politica, trascorsi legali, condizione socioeconomica, condizione migratoria, orientamento sessuale, stato di salute, sieropositività, invalidità, differenza fisica, né per nessun’altra distinzione di carattere individuale o collettivo, temporaneo o permanente, che abbia come obiettivo o come risultato la riduzione o l’annullamento del riconoscimento, del godimento o dell’esercizio dei diritti. La legge sanzionerà ogni forma di discriminazione».

 

Acqua ed educazione

La qualità di vita etica e sociale di un popolo si deduce dal suo rapporti con i beni essenziali. L’acqua non è un bene da vendere sul mercato, da essa dipende la vita di tutti gli esseri viventi, pertanto la Costituzione del 2008 l’ha sottratta dagli appetiti delle plutocrazie. L’alimentazione non è business ma esperienza vitale di un popolo, anch’essa dev’essere difesa dall’omologazione delle multinazionali che vorrebbero trasformarla in un mercato ad uso e consumo dei potentati. Un popolo che non controlla la propria acqua e la propria alimentazione non è tale, ma è solo un gregge al comando dei cattivi pastori della colonizzazione. La Costituzione del 2008 difende la vita del popolo favorendo «la buona alimentazione e il controllo dell’acqua»:

 

«Art. 12. – Il diritto umano all’acqua è fondamentale e irrinunciabile. L’acqua costituisce un patrimonio nazionale strategico di uso pubblico, inalienabile, imprescrittibile, irrinunciabile ed essenziale per la vita.

Art. 13. – Le persone e le collettività hanno diritto all’accesso sicuro e permanente a alimenti sani, sufficienti e nutrienti; preferibilmente prodotti localmente e conformemente alle loro diverse identità e tradizioni culturali».

 

Nell’Occidente a trazione oligarchica ogni aspetto dell’esistenza è merce. L’integralismo fanatico e compulsivo del mercato ha trasformato le scuole in costole del mercato. Si proclama la difesa dei diritti individuali, ma nella prassi le persone sono offese nella loro dignità, in quanto come consumatori o come lavoratori sono al servizio del mercato, sono pietre di scarto da usare fino all’usura. L’alienazione è la patologica normalità dell’Occidente.

Nella Costituzione del 2008 l’educazione è difesa dagli interessi particolari. La libertà educativa ha quale fine lo sviluppo integrale della persona; la famiglia ha il compito di educare in libertà e responsabilità. Stato e famiglie collaborano per garantire nella pluralità delle scelte lo sviluppo della persona. Negli articoli della Costituzione si difende e si favorisce la difese delle lingue della nazione, in quanto esse conservano la cultura e la sovranità culturale del popolo:

 

«Art. 28. – L’educazione risponderà all’interesse pubblico e non servirà interessi privati o corporativi. Sarà garantito l’accesso universale, la permanenza, la mobilità e il ritorno senza discriminazione alcuna e l’obbligatorietà della scolarità elementare e superiore o di livello equivalente. È diritto di ogni persona e di ogni comunità l’interazione tra culture e la partecipazione in una società che apprende. Lo Stato promuoverà il dialogo interculturale nelle sue molteplici dimensioni. L’apprendimento si svilupperà in forma secolarizzata e non secolarizzata. L’istruzione pubblica sarà universale e laica ad ogni livello, e gratuita fino al terzo livello di istruzione superiore incluso.

Art. Art. 28. – Lo Stato garantirà la libertà di insegnamento, la libertà di docenza nell’istruzione superiore, e il diritto delle persone ad apprendere nella propria lingua e nel proprio ambito culturale. Le madri e i padri o i loro rappresentanti avranno la libertà di scegliere per le loro figlie e i loro figli un’educazione conforme ai propri principi, credenze e opinioni pedagogiche».

 

 Comunità e mobilità

 La mobilità migratoria è garantita. Lo Stato dell’Ecuador nel progetto costituzionale non recide le proprie responsabilità verso i cittadini che emigrano, ma conserva con essi un legame comunitario di assistenza e riconoscimento della comune cultura di provenienza. Chi è distante a livello spaziale continua ad essere parte della comunità:

 

«Mobilità umana, Art. 40. – È riconosciuto alle persone il diritto di migrare. Nessun essere umano sarà identificato né considerato come illegale per la sua condizione migratoria. Lo Stato, attraverso le entità preposte, svilupperà tra le altre le seguenti azioni per l’esercizio dei diritti delle persone di nazionalità ecuadoriana all’estero, quale che sia la loro condizione di migranti: 1.Offrirà assistenza a loro e alle loro famiglie, che risiedano all’estero o nel paese. 2. Offrirà assistenza, servizi di consulenza e tutela integrale perché possano esercitare liberamente i propri diritti. 3.Tutelerà i loro diritti qualora, per qualsivoglia ragione, siano private della propria libertà all’estero. 4. Promuoverà i loro legami con l’Ecuador, faciliterà la riunificazione familiare e stimolerà il ritorno volontario».

 

Vi è il diritto ad emigrare, se in patria non vi sono le condizioni per una vita dignitosa. Lo Stato non può restare indifferente dinanzi alla sofferenza di coloro che emigrano per una condizione disagiata, pertanto deve favorire lo sviluppo armonioso della comunità, in modo che coloro che lo desiderano possano tornare in patria e ricongiungersi alla propria comunità. L’emigrazione è il sintomo di un malessere, uno Stato giusto deve intervenire per limitare la mobilità migratoria economica.

 

 

Modello economico

Il modello economico ecuadoriano ha quale fine l’essere umano. Vi sono nella Costituzione specifiche sezioni dedicate a giovani e anziani, i quali devono essere assistiti e curati nei momenti di fragilità (Capitolo terzo. Prima e Seconda sezione). Nessun essere umano dev’essere lasciato solo, la cura e il bene sono il fine della comunità.

Si fonda una economia umanistica, in quanto il mercato deve essere per l’essere umano: per cui non deve cannibalizzarlo. Attività pubbliche e private in armonia con l’ambiente hanno lo stesso fine, ovvero il buon vivere. Nulla di più distante dall’integralismo acefalo dell’aziendalizzazione della vita dell’Occidente. L’Ecuador ha vissuto i guasti e le lunghe tragedie dell’economia di mercato, pertanto ha pensato e rielaborato i modelli economici del Novecento all’interno della cultura andina di origine:

 

«Art. 283. – Il sistema economico è sociale e solidale; riconosce l’essere umano come soggetto e fine; tende a una relazione dinamica ed equilibrata tra società, Stato e mercato, in armonia con la natura; e ha l’obiettivo di garantire la produzione e riproduzione delle condizioni materiali ed immateriali che consentano il buon vivere. Il sistema economico sarà costituito dalle forme di organizzazione economica pubblica, privata, mista, popolare e solidale, e le restanti stabilite dalla Costituzione. L’economia popolare e solidale sarà regolata in accordo con la legge e includerà i settori cooperativi, associativi e comunitari».

 

Identità e sovranità non significano nazionalismo, ma indipendenza e autonomia. Tale fine è realizzabile solo nel reciproco riconoscimento delle altrui sovranità nazionali. L’Ecuador inaugura l’internazionale della collaborazione e, dunque, della pace. Ogni forma di xenofobia è rigettata:

 

«Art. 416. – Le relazioni dell’Ecuador con la comunità internazionale risponderanno agli interessi del popolo ecuadoriano, al quale renderanno conto i loro responsabili ed esecutori, e di conseguenza lo Stato ecuadoriano: 1. Proclama l’indipendenza e l’uguaglianza giuridica degli Stati, la convivenza pacifica e l’autodeterminazione dei popoli, così come la cooperazione, l’integrazione e la solidarietà. 2. Sostiene la risoluzione pacifica delle controversie e dei conflitti internazionali, e rifiuta la minaccia e l’uso della forza per risolverli. 3. Condanna l’ingerenza degli Stati negli affari interni di altri Stati, e qualsiasi forma di intervento, sia incursione armata, aggressione, occupazione o embargo economico o militare. 4. Promuove la pace, il disarmo universale; condanna lo sviluppo e l’uso di armi di distruzione di massa e l’imposizione di basi o installazioni con finalità militari di alcuni Stati sul territorio di altri. 5. Riconosce i diritti dei distinti popoli che coesistono all’interno degli Stati, specialmente il diritto di promuovere meccanismi che esprimano, preservino e tutelino il diverso carattere delle loro società, e rifiuta il razzismo, la xenofobia e ogni forma di discriminazione. 6. Sostiene il principio di cittadinanza universale, la libera circolazione di tutti gli abitanti del pianeta e il progressivo abbandono della condizione di straniero come elemento di trasformazione delle relazioni diseguali tra i paesi, specialmente Nord-Sud. 7. Esige il rispetto dei diritti umani, in particolare dei diritti dei migranti, e favorisce il loro pieno esercizio mediante l’osservanza degli obblighi assunti con la ratifica delle convenzioni internazionali sui diritti umani. 8. Condanna ogni forma di imperialismo, colonialismo, neocolonialismo, e riconosce il diritto dei popoli alla resistenza e alla liberazione da ogni forma di oppressione. 9. Riconosce il diritto internazionale come codice di condotta, ed esige la democratizzazione degli organismi internazionali e l’equa partecipazione degli Stati all’interno degli stessi. 10. Promuove la creazione di un ordine globale multipolare con la partecipazione attiva dei blocchi economici e politici regionali, e il rafforzamento delle relazioni orizzontali per la costruzione di un mondo giusto, democratico, solidale, diverso e interculturale».

 

Intorno al piccolo Occidente il mondo è in trasformazione, si stanno effettuando progettualità alternative all’integralismo crematistico bellicoso e aggressivo della società della sola economia di mercato. L’esperienza dell’Ecuador non è unica, ma è una delle più apprezzabili e sconosciute. L’informazione attuale occidentale è simile ad un bunker, deve impedire alla popolazione la riflessione collettiva sulle potenziali alternative, le quali sono già in atto in un mondo nei fatti multipolare e a cui si reagisce con la logica del bunker e della guerra.

Il preambolo della Costituzione è un appello a tutti i popoli a trasformare il loro modo di vivere e a fare “tesoro” delle differenze e dell’esperienza storica:

 

«PREAMBOLO NOI TUTTE E NOI TUTTI, il popolo sovrano dell’Ecuador RICONOSCENDO le nostre radici millenarie, forgiate da donne e uomini appartenenti a popoli diversi, CELEBRANDO la natura, la Pacha Mama, della quale siamo parte e che è vitale per la nostra esistenza, INVOCANDO il nome di Dio e riconoscendo le nostre diverse forme di religiosità e spiritualità, APPELLANOCI alla saggezza di tutte le culture che ci arricchiscono come società, COME EREDI delle lotte sociali di liberazione da ogni forma di dominazione e colonialismo, e con un impegno profondo verso il presente ed il futuro, Decidiamo di costruire Una forma nuova di convivenza civile, nella diversità e in armonia con la natura, per raggiungere il buon vivere, il “sumak kawsay”; Una società che rispetta, in ogni dimensione, la dignità delle persone e delle collettività; Un paese democratico, impegnato nell’integrazione latinoamericana – sogno di Bolívar e Alfaro –, la pace e la solidarietà con tutti i popoli della terra; e Nell’esercizio della nostra sovranità, a Ciudad Alfaro, Montecristi, nella Provincia di Manabí, approviamo quanto segue».

 

Anche noi “occidentali” dovremmo elaborare nuovi preamboli per uscire dalla trappola bellicosa in cui siamo caduti. Siamo ad un bivio: si può intraprendere la via della conservazione, e quindi, trasformare il nostro futuro in uno stato di guerra per difendere un modello sociale ed economico antiumanistico o si può tentare di percorrere la via più difficile, elaborando una nuova progettualità umanistica del vivere da tradurre in prassi. Per calcare la via dell’esodo da un sistema tossico per l’essere umano e inquinante per l’ambiente, l’Occidente deve fondare una nuova metafisica umanistica. Il futuro è potenzialità da pensare nel presente. La guerra e la mercificazione della vita sono i segni degli sforzi dei potentati per mantenere la loro supremazia. A questa loro lunga agonia occore dare una risposta. L’Ecuador ha redatto la sua risposta per non precipitare nell’abisso del consumo totale. Il confronto con i processi di emancipazione in atto negli “Stati altri” non può che favorire la speranza e la prassi nell’Occidente a cui la mercificazione oscena di ogni vita ed esperienza ha tolto la dimensione della speranza.

 

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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