Salvatore Bravo – L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo.

Salvatore Bravo, L'animalizzazione dell'essere umano nel capiralismo
Salvatore Bravo
L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo

ISBN 978-88-7588-274-7, 2020, pp. 192, Euro 20

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«Ora, una volta liberato dalle sue catene, il gigante infuria, abbattendo tutto ciò che si oppone alla sua corsa. Cosa ci riserverà il futuro? Chi ritiene che il gigante chiamato “capitalismo” distrugga la natura e gli uomini, spera di poter un giorno incatenarlo e ricondurlo nuovamente là da dove esso è fuggito. Ma la sua furia durerà in eterno? Non si esaurirà nella sua corsa? Io credo di sì. Ritengo infatti che, nella stessa natura dello spirito capitalistico, risieda una tendenza che lo corrode dall’interno e lo ucciderà. […] Una volta divenuto cieco, forse il gigante sarà condannato a tirare il carro della civiltà democratica. Forse assisteremo al crepuscolo degli dei. E l’oro sarà restituito al Reno. Chi può saperlo?».

Werner Sombart, 1913

 

 

Disumanizzare è il nuovo imperativo categorico che imperversa nell’Occidente globale. I processi di disumanizzazione si concretizzano con la stabilizzazione del nichilismo economicistico. Il regno dell’ultimo uomo descritto da Nietzsche è ora la realtà vivente dell’Occidente. La disumanizzazione procede e si struttura secondo modalità assolutamente inedite nella storia dell’umanità: biopotere e tecnocrazia sono i mezzi con cui l’economicismo pone in atto la sua rivoluzione antropologica. La sovrastruttura culturale cela la verità del sistema: deve agire per disorientare, per rappresentare il nuovo regno edenico dell’abbondanza come l’unico possibile ed il più inclusivo. L’ideologia imperante dell’inclusione è lo spot orwelliano del neoliberismo. Essa catalizza il consenso, in quanto “sembra dire” che il sistema “non abbandona persona o gruppo alcuno”. L’inclusione è il mezzo con cui la necessità sostituisce i bisogni. La necessità è esterna e meccanica, e pone le condizioni per la dipendenza del soggetto e delle comunità. Il bisogno è sorgente e vita interiore, è il vivente nella pienezza della relazione duale. Il bisogno è autonomia, non crea dipendenze, ma libertà senza solitudine, perché i bisogni interiori sono luci che appaiono nella relazione e si trasformano in una inesauribile prassi. La differenza tra bisogno e necessità è stata già descritta da Aristotele.1 Una civiltà dimentica di tale differenza è preda del caos: organizza scientemente la disintegrazione umana. La necessità implica la dipendenza dall’esterno, il bisogno è spazio vitale interiore, che rompe le barriere della necessità per affermare l’autonomia del soggetto.
Umanizzare significa sostenere la crescita del bisogno primario dell’essere umano: pensare. Senza il logos si è consegnati alla necessità, al caos dell’efficienza che calcola senza porre domande. La religione dell’antico Egitto rappresentava il caos con Apopi,2 il serpente che tutto includeva nel caos. Non possiamo limitarci come gli Egizi a pregare per la sconfitta di Apopi, dobbiamo coniugare teoria e prassi. L’inclusione è la caverna ideologica del neoliberismo. Nel campo pedagogico-educativo, come nel campo del diritto si procede all’inclusione, per cui ogni frizione ed opposizione dialettica è “condannata” alla marginalità. L’inclusione ha l’ambizione di possedere il tempo, di distribuirlo negli spazi, di controllarne e curvarne le parole.
La chiacchiera (Gerede) mediatica ha il fine di tacitare, di silenziare il concetto: essa prolifera non solo in funzione mercantile, ma deve disumanizzare riducendo il tempo della coscienza a presenza confermativa. È l’ininterrotto “Yawl”3 che circola, assimila, omogeneizza nel regno animale dello Spirito (Gesellschaft). L’inclusione, dunque, è una forma di organizzazione assoluta, è la verità evi­dente ed edulcorata del capitalismo donante: includere perché viva il mercato, per animalizzare e derealizzare (Massimo Bontempelli) per lasciare spazio alla sola certezza sensibile (G.W.F. Hegel).
La nuova fase imperiale del capitalismo passa per la porta dei diritti individuali: ogni differenza a cui è concessa la visibilità e la garanzia dell’inclusione è espressione dell’avanzata dell’impero del capitale. Ad esse non si chiede di “render conto” mediante il concetto di se stesse; non si domanda l’emancipazione (autonomia di giudizio e scelta), ma semplicemente si prestabilisce che debbono essere accolte, purché consumino e divengano veicolo di affermazione e diffusione del capitale.

Ogni resistenza dev’essere abbattuta in nome dell’inclusione senza emancipazione. Il capitalismo donante e flessibile si autocelebra come liberatore dai vincoli etici per condurre gradualmente “i liberati” nella gabbia della certezza sensibile. Perché il plusvalore possa essere accolto religiosamente, quale dogma anonimo ed indiscutibile, è necessario derealizzare, per cui si deve rieducare il pensiero all’esodo dalla cultura classica, dalla concretezza filosofica verso la sudditanza al dato immediato.
Il capitale – araldo della liberazione – concede i diritti individuali, purché sottragga il pensiero (Denken), purché il Geist (lo Spirito del mondo-storia) si congeli nella derealizzazione massificante. La disumanizzazione ambisce a necrotizzare la prassi storica per sostituirla con la flessibilità e la dinamicità spaziale. La disumanizzazione si materializza nel nichilismo passivo, il quale è costituito da due movimenti: la superficie è increspata continuamente dal movimento, sotto la superficie non vi è profondità, ma solo irrigidimento anti creativo. Il nuovo nichilismo passivo disumanizza, poiché attrae, come il paese dei balocchi, incanta con i suoi miti, con le sue aspettative, ma non mantiene le promesse.
L’umanità esige profondità, pone gerarchie onto-assiologiche per significare il mondo (Welt), altrimenti l’essere umano diviene parte dell’ambiente (Umwelt). La disumanizzazione ha lo scopo di rendere l’essere umano interno all’ambiente-economia di cui è organico partecipante.
Il presente lavoro ha l’intento di operare un cambio di prospettive, in modo che si possa scorgere e pensare dietro la cortina dell’inclusione la disumanizzazione dei processi in corso. A tal fine bisogna trascendere il linguaggio orwelliano per seguirlo nelle sue tracce – nessun delitto è perfetto –, per far emergere la derealizzazione a cui è associata la disumanizzazione. Si proclama l’inclusione scolastica, ma in realtà si omologano intelligenza ed indole degli alunni; si afferma la liberazione della donna, ma si persegue la riduzione delle donne ad una tragica copia del maschio liberista; si inneggia alle identità per tradurle in prodotti per il libero mercato.
Rispetto all’ultimo uomo descritto da Nietzsche siamo in un orizzonte che il filosofo non aveva immaginato. L’ultimo uomo nietzscheano digrigna i denti, perché non vuole creare, ma solo conservare; l’ultimo uomo del neo-liberismo, non conserva, non ha memoria, è il ricettacolo di appetiti senza memoria. La liberazione dell’ultimo uomo liberista è nella pratica della dimenticanza di sé, della comunità, del mondo.
Alain Badiou ha definito la disumanizzazione «materialismo democratico»; ovvero, le differenze sono tollerate fin quando accettano l’uguaglianza giuridica: nessuna gerarchizzazione etica e nessuna nostalgia per l’universale. Se le differenze appaiono nel gioco dell’irrilevanza sono esaltate, quale successo della democrazia sui totalitarismi, ma se osano porre la ricerca della profondità e dell’eterno sono espulse dal gioco democratico:

«Esso è, inoltre, essenzialmente un materialismo democratico, dal momento che il consenso contemporaneo, riconoscendo la pluralità dei linguaggi, ne presuppone l’uguaglianza giuridica. Ragion per cui, alla riduzione dell’umanità all’animalità si aggiunge l’identificazione dell’animale umano con la diversità delle sue sottospecie e con i diritti democratici inerenti a questa diversità. Il suo rovescio progressista questa volta prende in prestito il suo nome da Deleuze: “minoritarismo”. Comunità e culture, colori e pigmenti, religioni e sacerdozi, usi e costumi, sessualità disparate, intimità pubbliche e pubblicità dell’intimo. Tutto, tutte, tutti meritano di essere riconosciuti protetti dalla legge. Tuttavia, il materialismo democratico ammette un punto di arresto globale alla sua multiforme tolleran­za. Un linguaggio che non riconosca l’universale uguaglianza giuridica e normativa dei linguaggi non merita di beneficiare di tale uguaglianza. Un linguaggio che pretenda di normare tutti gli altri e di governare tutti i corpi, lo si dirà dittatoriale e totalitario. Ciò che si riscontra non è, allora, la tolleranza, ma un “dovere d’ingerenza”, sul piano legale, internazionale, finanche militare, qualora si renda necessario: si faranno pagare ai corpi i loro eccessi di linguaggio».4

Il materialismo democratico è la pratica della disumanizzazione, la sua trasformazione in dispositivo permanente. La conservazione, con “annesso ritiro dell’essere umano” dalla storia, ha il volto del relativismo e della società liquida. La tolleranza è ammessa fin quando la religione dell’economia nella forma della glebalizzazione planetaria non è mediata da processi di emancipazione. L’effetto sdoppiamento, la deviazione dalla condizione attuale, dev’essere rimossa dall’immaginario teoretico del singolo e collettivo.

Il divertissement relativistico diviene la struttura e la verità della Weltanscauung capitale. Il materialismo democratico tollera le differenze solo se sono gra­dualità della res extensa: ogni differenza è eguagliata alle altre nella riduzione a pura estensione consumante. Le differenze devono essere solo di ordine quatitativo:

«Quantità, dice Hegel, significa qualità tolta, ovvero indica l’essere reso indifferente alle sue determinazioni. Grandezza significa quantità limitata dal limite qualitativamente indifferente, ripetizione identica di una medesima identità astratta. La matematica è la conoscenza delle relazioni necessarie della grandezza, secondo una necessità puramente tautologica nei suoi gradi più elementari, e secondo la necessità della mediazione sintetica costruita tra diversi elementi di un oggetto quantitativo nei suoi gradi superiori. Essa ha dunque una base obiettiva universale nella logica della quantità, mediante la quale elabora le sue costruzioni. Le scoperte matematiche sono indipendenti dalle contingenze storiche semplicemente perché l’oggetto del lavoro matematico è dato da entità astratte da ogni qualità contingente. La matematica è dunque una scienza. Ma la quantità, nella cui logica essa ha la sua base ontologica, è soltanto una delle sfere logico-ontologiche che il pensiero possiede nella sua interna strutturazione. Essa non può quindi avere in se stessa la misura della propria verità, perché la verità della quantità si compie soltanto nella sua connessione dialettica con tutte le altre sfere della realtà. L’isolamento della sfera logico ontologica della quantità è la ragione per cui la matematica non può fondare se stessa. Negli spazi vuoti delle pure grandezze quantitative tace, scrive Hegel, ogni esigenza che possa ricollegarsi all’individualità vivente: qui sta la mancanza di verità della matematica».5

Il desiderio di segnare una traccia nella storia e nella memoria, al punto da mettere in pericolo la propria vita, è sostituito con l’immediatezza delle pul sioni libere di godere in modo polimorfo. L’animalizzazione è la trasformazione delle differenze a semplice pulsione senza progettualità ed autocoscienza. L’eliminazione dell’autocoscienza, della relazione comunitaria è l’ideale nichilistico del capitalismo assoluto.

Ogni comunità dev’essere sostituita dall’individualismo, dal calcolo soggettivo finalizzato al godimento immediato. Le differenze sono così normalizzate, disciplinate sotto il regno del capitale. Mancando l’autocoscienza e la trascendenza l’essere umano è privato del suo carattere dialettico senza il quale non resta che la sostanza-estensione consumante.

Il capitalismo assoluto ha svelato la verità che la ragione liberale portava in grembo, siamo al punto apicale del nichilismo, e non giunge a noi improvviso, perché è nel fondamento della ragione liberale. Bernard de Mandeville descrive la verità della ragione liberale, essa non ha etica e limite, vive e si espande sull’emulazione dei consumi, non conosce altra legge che il consumo:

«A questa emulazione e a questo continuo sforzo di superarsi a vicenda si deve se dopo tanti cambiamenti di moda, che ne hanno fatte affermare di nuove e riproposte di vecchie, vi è sempre un plus ultra per i più ingegnosi. È questo, o almeno la conseguenza di questo, a dare lavoro ai poveri, a spronare l’industria e a incoraggiare il bravo artigiano a cercare nuovi progressi».6

 

In Mandeville l’eccesso dei consumi aumenta il benessere generale. Il lusso come motore di benessere, oggi, non ha ragion d’essere. Le tecnologie producono e divorano lavoro, il consumo crolla su se stesso, è introvabile una giustificazione razionale del consumo illimitato come fonte di benessere generalizzato. Non si vuol prendere atto che la ragione liberale, per sopravvivere, ora, non può che essere difesa dai gendarmi mediatici e dal totalitarismo del consumo al punto da minacciare la vita nella sua totalità, pur di far sopravvivere il neo-liberismo.
La ragione liberale, con l’economia finanziaria, ha consumato le sue possibilità di espansione. Per sopravvivere deve trasformare la libertà in sregolatezza, deve annientare ogni vincolo etico. È l’anno zero della civiltà. Dopo ogni diluvio si deve rifondare la civiltà ed i suoi fondamenti ontologici senza i quali si vive come fiere nella giungla del mercato globale:

«Ma delle Nazioni di tutto il restante Mondo altrimente dovette andar la bisogna; perocché le razze di Cam, e Giafet dovettero disperdersi per la gran Selva di questa Terra con un’error ferino di dugento anni, e così raminghi e soli dovettero produrre i figliuoli con una ferina educazione nudi d’ogni umano costume, e privi d’ogni umana favella, e sì in uno stato di bruti animali: e tanto tempo appunto vi bisognò correre, che la Terra disseccata dall’umidore dell’Universale diluvio potesse mandar in aria delle esalazioni secche a potervisi ingenerare de’ fulmini, da’ quali gli Uomini storditi, e spaventati si abbandonassero alle false religioni di tanti Giovi, che Varrone giunse a noverarne quaranta, e gli Egizj dicevano il loro Giove Ammone essere lo più antico di tutti; e si diedero ad una spezie di Divinazione d’indovinar l’avvenire da’ tuoni, e da’ fulmini, e da’ voli dell’ aquile, che credevano essere uccelli di Giove».7

 

1 Aristotele, Protreptico. Esortazione alla filosofia, Utet, Torino 2008, p. 27.

2 Incarnazione della tenebra, del male e del Caos (Isfet, Asfet nella lingua egizia) e antitesi della dea Maat, che rappresentava l’ordine e la verità.

3 Acronimo di Yet Another Workflow Language: è un linguaggio per il workflow management.

4 A. Badiou, Logiche dei mondi. Vol. II, L’essere e l’evento, Mimesis, Milano 2019, p. 56.

5 M. Bontempelli, Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea, Petite Plaisance, Pistoia 2006, pp. 5-6.

6 B. de Mandeville, La favola delle api, Laterza, Bari 1987, p. 84.

7 G. Vico, La scienza Nova, Edizione Centro di Umanistica Digitale dell’ISPF-CNR, progetto ISPF “Biblioteca vichiana”, 2007, p. 44.

 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Louis Desclèves – Il libro di Arianna Fermani «Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato». La speranza “antica”, tra páthos e areté.

Arianna Fermani, speranza
Arianna Fermani
«Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato»

La speranza “antica”, tra páthos e areté

ISBN 978-88-7588-258-7, 2020

indicepresentazioneautoresintesi


En unas escasas pero agradables 20 páginas, Arianna Fermani publica su conferencia dada en Como (Italia) en noviembre 2019. El tema de la esperanza, como hace ver la misma profesora, es poco tratado. Distingue entre la esperanza como virtud y aquella que es más bien deseo o pasión. Recuerda los aspectos fundamentales de tal doctrina especialmente en Aristóteles y Platón relacionándolos también con el pensamiento medieval (santo Tomás de Aquino) o moderno (Leopardi).

Quizás lo más valioso consista en su capacidad de vincular la esperanza con todos los grandes aspectos de la vida. Por ella, aspiramos a lo mejor superando las carencias actuales, abriendo la imaginación, venciendo los miedos. Nos atrevemos a correr un riesgo por algo posible que nos gozamos aun sin poseerlo. Aprendemos a reconocer qué es lo que nos supera evitando falsas ilusiones.

La esperanza se presenta así como una de las grandes virtudes de la educación abriendo la persona a la confianza en sus formadores. Con esta lectura, nace el deseo confiado que A. Fermani pueda pronto convertir este esperanzador folleto en un libro formador de esperanza.

Louis Desclèves, L.C.

Ecclesia, XXXV, n. 1, 2021 – pp. 119-128


Questo contributo intende riflettere sulla – antica e, insieme, attualissima – nozione di speranza a partire da una breve indagine etimologico-semantica (a cui si torna, chiudendo il cerchio, al termine del saggio), nella convinzione che la riflessione sulle parole e sulle loro origini possa donare alcune feconde piste al pensiero.

Il breve saggio si snoda lungo due linee direttrici fondamentali: la speranza come páthos, ovvero come passione, sentimento o desiderio, e la speranza come areté, ovvero come “virtù”, nozione che, nel senso greco e, più nello specifico, aristotelico del termine, implica la capacità di amministrare correttamente la passione. In questo secondo caso, inoltre, si assiste alla messa in campo di un “versante attivo della speranza”, che chiama in causa il soggetto agente e volente, che ha il compito di dare forma al suo desiderio. Qui il “sogno ad occhi aperti” diventa prassi, si fa progetto.

L’itinerario si interseca in molti modi ad altre fondamentali nozioni, tra cui, solo per indicarne alcune, quella di paura (che si configura come una passione che dirige il soggetto nella direzione opposta rispetto alla speranza), quella di rischio (a cui la originaria vocazione all’“apertura” prodotta dalla speranza è intimamente connesso e che richiede, a sua volta, un’opera di “saggia amministrazione”) e quella di fiducia (a cui la speranza è costitutivamente intrecciata e che chiama in causa un altro profilo della riflessione, affrontato al termine del saggio, quale quello educativo).


Arianna Fermani – L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristotele
Arianna Fermani – La nostra vita prende forma mediante il processo educativo, con una paideia profondamente attenta alla formazione armonica dell’intera personalità umana per renderla libera e felice.
Arianna Fermani – L’armonia è il punto in cui si incontra e si realizza la meraviglia. Da sempre armonia e bellezza vanno insieme.
Arianna Fermani – VITA FELICE UMANA. In dialogo con Platone e Aristotele. il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permette di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana
Arianna Fermani – Divorati dal pentimento. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele
Arianna Fermani – Mino Ianne, Quando il vino e l’olio erano doni degli dèi. La filosofia della natura nel mondo antico
Arianna Fermani – Nel coraggio, nella capacità di vincere o di contenere il proprio dolore, l’uomo riacquisisce tutta la propria potenza, la propria forza, la propria dignità di uomo. Senza coraggio l’uomo non può salvarsi, non può garantirsi un’autentica salus.
Arianna Fermani – Fare di se stessi la propria opera significa realizzarsi, dar forma a ciò che si è solo in potenza. attraverso l’energeia, e nell’energeia, l’essere umano si realizza come ergon, si fa opera. Chi ama, nutrendosi di quell’energeia incessante che è l’amore, scrive la sua storia d’amore, realizza il suo ergon, la sua opera. È solo amando che un amore può essere realizzato, esattamente come è solo vivendo bene che la vita buona prende forma
Arianna Fermani – Recensione al volume di Enrico Berti, «Nuovi studi aristotelici. III – Filosofia pratica».
Arianna Fermani – «Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele». Si è felici perché la vita ha acquisito un orientamento, si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice sussistenza. Una vita dotata di senso. Felicità come pienezza, come attingimento pieno del ‘telos’ lungo tutto il tragitto della vita.

«La felicità è la vita stessa quando viene vissuta al meglio: si è felici perché si vive bene, perché la vita ha acquisito un peso, una direzione, un orientamento, perché la vita si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice e anonima sussistenza, trasformandosi in una vita dotata di senso, in una individuale e particolarissima consistenza. […] felicità intesa come pienezza, come attingimento pieno del telos. Se il telos è interno all’energeia che lo produce, se il fine è contenuto nell’azione ed è indistinguibile da essa, allora è impossibile pensare ad una felicità che risieda escludivamente nel bersagio e non anche lungo i passi che conducono al suo raggiungimento […] lungo tutto il tragitto della vita».
                                                         Arianna Fermani, Vita felice umana, 2006.

«[…] il problema della vita nel suo complesso a qualcuno di noi può sembrare meno impellente di quanto non sembrasse a Socrate. Epure la sua domanda ci incalza ancora oggi e reclama l’impegno a riflettere sulla nostra vita nel suo complesso, e cioè nella totalità dei suoi aspetti e in tutta la sua profondità».
                                                                                                    Bernard Williams, L’etica e i limiti della filosofia, 1985.

Nel concetto della filosofia come domanda totale, problematicità pura, e perciò metafisica, risiede la classicità del pensiero antico. […] Se la filosofia rinuncia al suo carattere di domanda totale rinuncia al […] senso antico della filosofia, intesa come acquisizione perenne dello spirito, come vero κτῆμα εἰς ε [possesso pe sempre]».
                                                          Enrico Berti, Quale senso ha oggi studiare la filosofia antica, 1965.

 

«ὡς ἡδὺ καὶ μακάριον τὸ κτῆμα» [quanto soave e felice è il possesso della filosofia].
                                                                                                    Platone, Repubblica, 496 c.

«[…] il movimento nel quale è contenuto anche il fine è anche azione. […] Uno che vive bene, ad esempio, ad un tempo ha anche ben vissuto, ed uno che è felice, ad un tempo è stato anche felice».
                                                         Aristotele, Metafisica, IX, 6, 1048 b.

«κτῆμά τε ἐς αἰεὶ μᾶλλον ἢ ἀγώνισμα ἐς τὸ παραχρῆμα ἀκούειν ξύγκειται».
Tucidide, Storie, I, 22.

Note sul testo
Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

Note sull’autore
Arianna Fermani insegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: L’etica di Aristotele. Il mondo della vita umana, Brescia, Morcelliana, 2012; By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach, a cura di E. Cattanei, A. Fermani, M. Migliori, Sankt Augustin, Academia Verlag, 2016; Aristotele e l’infinità del male. Patimenti, vizi e debolezze degli esseri umani, Brescia, Morcelliana, 2019. Ha tradotto integralmente le Etiche di Aristotele (Aristotele, Le tre Etiche, Milano, Bompiani, 2008; Giunti, 2018) e ha collaborato all’edizione dell’Organon (a cura di M. Migliori, Milano, Bompiani, 2016).
 
Indice
Prefazione di Salvatore Natoli
 
Introduzione
 
Parte prima. Semantica della felicità
 
Capitolo primo. La felicità come domanda originaria
1.1. Domanda “di” felicità
1.2. Domande “sulla” felicità
1.2.1. Felicità: una questione terminologica
1.2.2. Felicità e forme di vita
 
Capitolo secondo. Felicità e dolore
2.1. L’esperienza del dolore
2.1.1. Il dolore come accadimento
2.1.2. Le forme del dolore
2.2. Cicatrizzazione del dolore e cura di sé
2.2.1. Approcci al dolore
2.2.2. Cura del dolore e cura di sé
2.2.3. L’assunzione del dolore
2.3. Concludendo
 
Capitolo terzo. Felicità e piacere
3.1. L’esperienza del piacere
3.2. Fenomenologia del piacere
3.2.1. Il piacere nell’orizzonte della corporeità
3.2.2. Dinamiche piacevoli e dolorose
3.2.3. Il corpo e i desideri: la veemenza di un fiume in piena
3.2.4. Anima e corpo di fronte al piacere
3.2.5. Piaceri e criteri di scelta
3.3. Il ruolo del piacere nella vita felice
 
Capitolo quarto. Felicità e realizzazione di sé
4.1. Profili della virtù: tentativi di un recupero
4.1.1. Virtù come eccellenza
4.1.2. Virtù come forza
4.1.3. Virtù come disposizione
4.1.4. Virtù come giusto mezzo
4.2. La virtù come architettonica della felicità
4.2.1. Vita felice e accordata: la virtù come musica
4.2.2. Vita felice e ordinata: la virtù come misura
4.2.3. La virtù come arte del vivere bene
 
Capitolo quinto. Felicità e beni esteriori
5.1. Primi approcci al problema
5.2. Felicità e fortuna
5.2.1. Lampi di felicità, colpi di fortuna
5.2.2. Fortuna e virtù
5.2.3. Felicità e fortuna: osservazioni conclusive
5.3. Felicità e amministrazione dei beni
5.3.1. Il possesso e l’utilizzo di due beni supremi: la sophia e la phronesis
 
Parte seconda. Prassi di felicità
 
Capitolo primo. Felicità e valorizzazione delle proprie risorse
1.1. Vita felice e buon utilizzo dei propri talenti
1.1.1. Per una eudaimonia nell’orizzonte della physis
1.1.2. Felicità al singolare, felicità al plurale
1.2. Eudaimonia come ritrovamento e buona allocazione del proprio daimon
1.2.1. Felicità come consapevolezza
1.2.2. Percorsi esistenziali e traiettorie di felicità
1.3. Saggezza e sapienza di fronte alla felicità
 
Capitolo secondo. Felicità come conquista di pienezza
2.1. Felicità tra esperienze di pienezza e pienezza di vita
2.1.1. Tentativi di articolazione della nozione di pienezza
2.2. Per una pienezza nell’orizzonte dell’energeia
2.3. La difficoltà di far spuntare le ali: la felicità come conquista
2.3.1. Felicità pienamente consapevole e pienamente umana
2.4. Riflessioni conclusive
 
Conclusioni
1. Per concludere
2. Vita felice umana: appunti di viaggio
 
Bibliografia
1. Dizionari e lessici
2. Testi antichi
3. Testi moderni e contemporanei
4. Letteratura critica e studi generali
 
Indice degli autori antichi e moderni
 
Note
In copertina: immagine di Alessandra Mallamo ©2019
Eudaimonia

«Le ferite non scompaiono mai del tutto, soprattutto se profonde […] tuttavia, anche se non scompaiono, possono cicatrizzare. In questa cicatrice, che è, contemporaneamente, segno del patimento e sintomo di guarigione, si gioca la possibilità, per l’uomo che ha incontrato la morte e il dolore e che di fronte ad essi ha sofferto, di “ricominciare” a vivere», A. Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele.

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Tra le molte pubblicazioni di Arianna Fermani


Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristote

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Sem título-1

 «Non è una differenza da poco il fatto che subito fin dalla nascita veniamo abituati in un modo piuttosto che in un altro ma, al contrario, è importantissimo o, meglio, è tutto» (Etica Nicomachea, II, 1, 1103 b 23-25).

Questo contributo mira a mettere a fuoco il tema dell’educazione di Aristotele, mostrando come tale riflessione risulti essere originale ed attuale. L’indagine prende avvio dall’esame delle occorrenze di alcuni lemmi all’interno del corpus del filosofo particolarmente significativi rispetto al tema della educazione, come ad esempio

paideia

Si intende mostrare come la riflessione aristotelica sulla paideia, oltre ad un utilizzare una specifica metodologia di indagine, si muova all’interno di due fondamentali scenari educativi: nel primo (che a sua volta si articola in una serie di sotto-questioni, come ad esempio il tema dell’insegnabilità della virtù o quello dell’emotional training e dell’educazione delle passioni) l’educazione precede l’etica, mentre nel secondo l’educazione consiste nell’etica, secondo il fondamentale modello teorico dell’energeia.


Arianna Fermani è Professoressa Associata in Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Le sue ricerche vertono principalmente sull’etica antica e, più in particolare, aristotelica, e su alcuni snodi del pensiero politico e antropologico di Platone e di Aristotele. È Membro dell’Associazione Internazionale “Collegium Politicum” e dell’ “International Plato Society”. È membro del Consiglio Direttivo Nazionale della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia Antica), e Direttrice della Scuola Invernale di Filosofia Roccella Scholé: Scuola di Alta Formazione in Filosofia “Mario Alcaro”. È Presidente della Sezione di Macerata della Società Filosofica Italiana. Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.


Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele

Arianna Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele, Editore: eum, 2006 [prima edizione]

Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

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L'etica di Aristotele
 

Arianna Fermani, L’etica di Aristotele: il mondo della vita umana, Editore: Morcelliana, 2012

Utilizzando tutte e tre le Etiche aristoteliche, Arianna Fermani, con questo volume, offre un’ulteriore prova dell’attualità e utilità dell’etica dello Stagirita e di un pensiero che, esplicitamente e costitutivamente, mostra che ogni realtà “si dice in molti modi”. Gli schemi che l’intelligenza umana elabora devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”. Questo determina la presenza di “figure” concettuali estremamente mobili e intrinsecamente polimorfe, figure che il Filosofo attraversa lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta, persino nella loro incompatibilità, convivano.
La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di alcune nozioni-chiave, dando vita ad un percorso che, con proposte innovative e valorizzazioni di elementi finora sottovalutati dagli studiosi, si snoda lungo tre linee direttrici fondamentali: quelle di vizio e virtù, quella di passione e, infine, quella di vita buona.

Sommario

Ringraziamenti
Premessa
I “Pensiero occidentale” vs “pensiero orientale”: alcune precisazioni
II “Essere” e “dirsi in molti modi”
Introduzione
I. Per un “approccio unitario” ad Aristotele
II. Autenticità delle tre Etiche
III. Obiettivi e struttura del lavoro

PRIMA PARTE Percorsi di attraversamento delle figure di vizio e virtù
Capitolo primo: Giustizia e giustizie
Capitolo secondo: La fierezza
Capitolo terzo: Sui molti modi di dire “amicizia
Capitolo quarto: Lungo i sentieri della continenza e dell’incontinenza
Capitolo quinto: La philautia: tra “egoismo” e “amor proprio”
Capitolo sesto: Modulazioni della nozione di vizio

SECONDA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di passione
Capitolo primo: La passione come nozione “in molti modi polivoca”
Capitolo secondo: Le metamorfosi del piacere
Capitolo terzo: Articolazioni della nozione di pudore

TERZA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di vita buona
Capitolo primo: Dio, il divino e l’essere umano: sui molti modi di essere virtuosi e felici
Capitolo secondo: La questione dell’autosufficienza
Capitolo terzo: Natura/nature, virtù, felicità
Capitolo quarto: Verso la felicitàlungo le molteplici rotte della phronesis
Capitolo quinto: La felicità si dice in molti modi
Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi

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Le tre etiche

Aristotele, Le tre etiche. Testo greco a fronte, Editore: Bompiani, 2008.

In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

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Platone e Aristotele

Platone e Aristotele. Dialettica e logica

Curatori: M. Migliori, A. Fermani

Editore:Morcelliana, 2008

Il confronto tra Platone ed Aristotele è stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del sapere, dall’altro la logica, intesa come l’insieme delle tecniche per ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa contrapposizione? Un interrogativo che – nei saggi qui raccolti di alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico – mette capo a una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità: emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici greche delle nostra immagine di ragione.

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Interiorità e animae
 

Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani, Interiorità e anima: la psychè in Platone

Vita e Pensiero, 2007

Il concetto di anima, una delle più grandi “invenzioni” del mondo greco, figura teorica che ha attraversato e segnato la storia dell’intero Occidente, trova in Platone il primo fondamentale inquadramento filosofico. Non si tratta solo di una tematica dal significato metafisico e religioso: nell’approfondire i molteplici temi che questo concetto attiva emergono naturalmente, già nel filosofo ateniese, tutte le questioni connesse alla spiritualità e allo psichismo umano, con le loro conseguenze etiche. In questo senso l’”anima” apre la strada a un infinito processo di approfondimento e di scoperta dell’interiorità del soggetto. Non a caso questo tema compare in molti testi platonici, in particolare nei dialoghi. Da questa prima elaborazione scaturirono luci e ombre, soluzioni di antichi problemi e nuove domande, di non meno difficile soluzione, anzi tanto complesse da essere ancora oggi messe a tema. Sui molteplici aspetti di queste tematiche filosofiche alcuni tra i maggiori studiosi di Platone si confrontano nel presente volume, avanzando proposte spesso assolutamente innovative, anche per quanto riguarda l’utilizzo di testi sottovalutati, o addirittura quasi ignorati dagli studi precedenti, con una dialettica che dà modo al lettore sia di verificare la capacità ermeneutica delle diverse impostazioni, sia di riscoprire la ricchezza del contributo platonico rispetto a problemi con cui lo stesso pensiero contemporaneo torna positivamente a misurarsi.

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Humanitas

Humanitas (2016). Vol. 1: L’inquietante verità nel pensiero antico.

Curatore: A. Fermani, M. Migliori

Editore: Morcelliana, 2016

Editoriale: I. BertolettI, “Humanitas” 1946-2016. Identità e trasformazioni di un’idea l’inquietante verità. La riflessione anticaa cura di Arianna Fermani e Maurizio Migliori M. Migliori, Presentazione F. Eustacchi, Vero-falso in Protagora e Gorgia. Una posizione aporetica ma non relativista M. Migliori, Platone e la dimensione umana del verol. Palpacelli, Vero e falso si apprendono insieme. Il vero e il falso filosofo nell’Eutidemo di Platonea. Fermani, Aristotele e le verità dell’etica G.A. Lucchetta, Dire il falso per conoscere il vero. Aristotele, Fisica ii 1, 193a7) F. Mié, Truth, Facts, and Demonstration in Aristotle. Revisiting Dialectical Art and Methoda. longo, I paradossi nell’Ippia minore di Platone. La critica di Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Asclepioe. Spinelli, Sesto Empirico contro alcuni strumenti dogmatici del vero. Note e rassegne F. De Giorgi, Il dialogo nel pontificato di Paolo VI G. Cittadini, Filippo Neri. Una spiritualità per il nostro tempo.

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Il Simposio di Platone

J. Rowe, Arianna Fermani, Il ‘simposio’ di Platon

Academia Verlag, 1998

Cinque lezioni sul dialogo con un ulteriore contributo sul ‘Fedone’ e una breve discussione con Maurizio Migliori e Arianna Fermani; 27-29 marzo 1996, Università di Macerata, Dipartimento di filosofia e scienze umane, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli studi filosofici.

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Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

“Brividi di bellezza” e desiderio di verità in Bellezza e Verità;
Brescia, Morcelliana, 2017; pp. 195 – 203

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rivista di

ARISTOTELE E I PROFILI DEL PUDORE

Arianna Fermani

Vita e Pensiero, Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Vol. 100, No. 2/3 (Aprile-Settembre 2008), pp. 183-202

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Studi su ellenismo e filosofia romana

Studi su ellenismo e filosofia romana

Curatori: F. Alesse, A. Fermani, S. Maso

Editore: Storia e Letteratura, 2017

In questo volume vengono raccolti cinque saggi sul pensiero filosofico greco nell’età romana. Le linee di ricerca qui proposte toccano nello specifico questioni attinenti alla filosofia stoica, a quella epicurea, a quella cinico-sofistica e all’aristotelismo di epoca imperiale.

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Thaumazein cop

Arianna Fermani,
Essere “divorati dal pentimento”.
Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele

in THAUMÀZEIN; n. 2 (2014); Verona, pp. 225-246


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Eugenio Montale (1896–1981) – Antico è ciò che si nasconde tra le parole imprevedibili, mai palesate, mai scritte, mai dette per intero, che non hanno né un prima né un dopo perché sono l’essenza della memoria.

Eugenio Montale, L'essenza della memoria

«Antico, sono ubriacato dalla voce
ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.

[…]

la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d’ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso».[1]

Antico è ciò che, come le “ombre”, si nasconde

«tra le parole imprevedibili,
mai palesate, mai scritte,
mai dette per intero,

[…]

non hanno né un prima né un dopo
perché sono l’essenza della memoria.
Hanno una forma di sopravvivenza
che non interessa la storia».[2]

***

[1] Eugenio Montale, Ossi di seppia, Mediterraneo, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1984, p. 58.

[2] Eugenio Montale, Satura II, Botta e risposta III, in Tutte le poesie, op. cit., p. 370.


Eugenio Montale (1896 – 1981) – La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta, la sua direzione non è nell’orario. La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Sante Notarnicola (1938-2021) – … ci ho messo 50 anni a diventare comunista … La libertà ha bisogno di attenzioni, di cure continue e soprattutto ha bisogno di memoria.

Sante Notarnicola 021

A Sante,
alla sua capacità di esser stato,
e di essere ancora,
per sempre,
ad un tempo,
fragile e misteriosa
cristalide,
come gioventù
ricca di speranze,
di possibili metamorfosi,
matrice di trasformazioni
– condizione della realizzazione –
e farfalla
che col suo diafano
e lieve battito d’ali
punteggia
la trama
di Iride.


Carmine Fiorillo

La farfalla
Tentai di gettare l’anima al di là del muro … cercando di seguire la farfalla.

Chiara è una bimba felice.
Nata attrezzata
per i giochi infiniti.

Chiara lo sa, con lei
giocheremo tutta la vita.

Sante Notarnicola


Non c’è vita
che almeno per u n attimo
non sia stata immortale.
 
La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.
 
Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.

Wislawa Szymborska

Sante Notarnicola

[…] ci ho messo 50 anni a diventare comunista. E 20 anni 8 mesi e 1 giorno di prigione. E 11 anni di carcere di massima sicurezza. E 5 anni di celle punitive. E la posta censurata. E i vetri divisori ai colloqui […] E le cariche dei carabinieri nei corridoi delle prigioni. E il sangue nelle celle. E il sangue dal naso. E il sangue dalla bocca. E i denti rotti. E la fame all’Asinara. E il silenzio obbligatorio al bunker della Centrale, a cala d’Oliva. E i racconti dei torturati. E i colpi contro la porta per non farti dormire. E i colloqui respinti senza un motivo. E la posta sottratta. E il linciaggio del vicino di cella. E il vivere col cuore in gola. E la pressione che sale. E il cuore che senti ingrossare. E il compagno che se ne va con la testa. E le divisioni a 5 nei cortili. E le rotture politiche. E le divisioni che teoricamente dovevano rafforzarci. E il dilagare del soggettivismo. E i vetri infranti ai colloqui. E le rivendicazioni coi pugni chiusi. E la ritirata strategica. E gli scioperi della fame condannati. E i sorrisi spariti. E i soggettivisti sconfitti. E gli odi tra compagni. E le demolizioni personali. E la disgregazione umana. E le perquisizioni anali. E le sei diotrie perse. E l’assalto coi cani nelle celle. E i compagni colpiti da schizofrenia. E i primi tradimenti. E la massa di dissociati. E l’isolamento politico. E la piorrea che avanza. E gli anni che passano e i giorni che conti. E i silenzi, i silenzi, i silenzi.[1]

Poesia per comunicare in condizioni difficili. Poesia per rompere l’isolamento a cui vorrebbero costringere corpo e cervello. Poesia come difesa dall’abbrutimento della prigione. Poesia per amare ancora, per vivere ugualmente una vita complessiva.[2]

 

«Caro Sante,
Le tue poesie (alcune, come sai, le conoscevo già) sono belle, quasi tutte; alcune bellissime, altre strazianti. Mi sembra che, nel loro insieme, costituiscano una specie di teorema, e ne siano anzi la dimostrazione: cioè, che è poeta solo chi ha sofferto o soffre, e che perciò la poesia costa cara. L’altra, quella non sofferta, di cui ho piene le tasche, è gratis.

Primo Levi».[3]

***

[1] S. Notarnicola, Materiale interessante. Liberi dal silenzio, Edizioni della Battaglia, Palermo,1997, p. 10.

[2] Ibidem, p. 35.

[3] Lettera di Primo Levi a Sante Notarnicola, in S. Notarnicola, L’anima e il muro, a cura di D. Orlandi, disegni di Marco Perroni, Odradek, Roma 2013, pp. 19-20.






Sante Notarnicola – Tentai di gettare l’anima al di là del muro … cercando di seguire la farfalla.

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Maksim Gor’kij (1868-1936) – «Fàscino». Il velo di fango che gli aveva avvolto lo spirito si dissipava lentamente. Poi il fàscino di una visione. Ma, purtroppo, quaggiù come il buono dura poco, il bello è raro …

Maksim Gor'kij 01

Il velo di fango che gli aveva avvolto lo spirito e l’anima quella notte si dissipava lentamente, cedendo al soffio del giorno appena spuntato, pieno di profumi dolci e rianimanti.
La riva era indorata dai primi raggi del sole, e l’acqua, un po’ torbida per effetto della pioggia, rifletteva malamente il verde degli alberi.
[…] Ippolito camminava lungo la riva capricciosa, che formava piccoli seni verdeggianti, e scopriva ad ogni passo nuove meraviglie di bellezza. Camminava leggero, sfiorando l’acqua, sicuro di  scorgere sempre qualcosa di nuovo.
Esaminava attentamente tutto quanto vedeva, si fermava ad ogni piccolo seno formato dalla riva per avere il colpo d’occhio degli alberi che lo circondavano, come se cercasse la ragione della diversità tra il dettaglio dell’assieme degli alberi e quello del piccolo seno.
Ad un tratto si fermò, abbagliato. Il fàscino di una visione.
… la fanciulla era immersa  nell’acqua sino a mezzo busto, era davanti a lui, la testa reclinata in avanti, intenta ad intrecciare i capelli che si erano sciolti.
Sulle carni rosee brillavano al sole gocce di acqua come scheggie di diamanti che carezzavano le spalle, il petto e, prima di scendere nel fiume, tremolavano al sole lungamente, come se non volessero lasciare il corpo che le aveva accolte.
Osservava quell’immagine come qualcosa di sacro, tanto era pura e armoniosa la bellezza di quella fanciulla nel fiore della gioventù. Si sentiva lieto e non provava altro desiderio che quello di contemplarla.
[…]
Ma, purtroppo, quaggiù come il buono dura poco, il bello è raro … e Ippolito fu lieto solo per pochi istanti.
La fanciulla alzò la testa e, mandando un grido di collera, si immerse nell’acqua fino al collo.
Quel grido echeggiò nel cuore di Polkanov, che si sentì tuffato come in un mare di ghiaccio.

Maksim Gor’kij, Fàscino, Casa Editrice F. Bideri, Napoli 1915, pp. 101 ss.

H. Matisse, Nudo blu.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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François Jullien – L’intimità è la condivisione sotterranea che non ha più bisogno di mostrarsi e di dare prova di sé. È uno ‘stadio’ che si raggiunge non uno ‘stato’.

François. Jullien 01

Nell’intimità, non mi premunisco né sono sospettoso. È come dire che siamo intimi tra di noi per il fatto che abbiamo lasciato perdere calcoli e ragioni; che è sospeso il rovello dell’interesse. [… ] L’intimità è la condivisione sotterranea che non ha più bisogno di mostrarsi e di dare prova di sé. […] Perché l’intimità è uno stadio che si raggiunge non uno stato.

François. Jullien, Sull’intimità. Lontano dal frastuono dell’Amore, Raffello Cortina, Milano 2014, pp. 25-26.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Luca Grecchi – Intervista sulla «Ricchezza».

Luca Grecchi Intervista

https://www.letture.org/ricchezza-luca-grecchi

“Ricchezza” di Luca Grecchi


Le prime cinque domande del Dott. Fabrizio Caruso:

***

Lei è autore del libro Ricchezza edito da Unicopli e dedicato al tema della ricchezza nella filosofia antica: qual era la concezione della ricchezza nel pensiero greco antico?

  • Mi preme innanzitutto dire che il libro si colloca in una collana, denominata Questioni di filosofia antica, diretta dal Prof. Marcello Zanatta, in cui ho già realizzato i volumi Natura (2018) e Uomo (2019). La collana è a mio avviso intelligente in quanto analizza, sul piano insieme teorico e storico, i concetti fondamentali della filosofia antica per come variamente trattati dai diversi pensatori, da Omero fino alle soglie del Medioevo. Per questo è difficile rispondere sinteticamente alla sua domanda circa quale sia la concezione della ricchezza nel pensiero antico: questo pensiero è molto articolato, come lei stesso ha colto nelle varie domande che seguono. In una battuta, posso dire solo che la ricchezza era concepita, al contempo, come qualcosa di necessario alla vita e di pericoloso, soprattutto se posta come fine, sia sul piano individuale che sociale.

Cosa rappresentava, in ambito ellenico, il possesso della terra?

  • La terra per gli antichi costituiva una parte importante della loro identità. Esistono miti che riportano che gli Ateniesi – ma non solo – si ritenevano autoctoni, ossia “nati dalla propria terra”, non provenienti da altre parti del mondo. La terra era dunque per loro come una madre, che li aveva fatti nascere, li ospitava e li nutriva. Inoltre, era il luogo in cui erano sepolti gli antenati, su cui sorgevano i templi degli dèi, in cui erano conservati i ricordi, e così via. Per questo della terra, come dei genitori, occorreva, per gli antichi, avere rispetto e cura.l tema della terra risulta come detto strettamente connesso ai temi della natura, del divino e dell’umano, ossia ai contenuti che costituiscono l’intero della realtà per il mondo antico. Questi temi risultano spesso fra loro intrecciati nel primo pensiero greco, come ho scritto anche in un libro recente (Leggere i Presocratici, Morcelliana, 2020). Per ragioni di spazio accenno qui solo a un contenuto, scegliendo quello della natura: si ricorda quando qualche anno fa Papa Francesco disse in una intervista: “Se qualcuno offende la mia mamma, gli do un pugno”? Ecco: dato che la terra era, dagli antichi, paragonata ad una madre, la provocazione vale anche per loro; chi, per brama di ricchezza, non la rispetta, merita, per i Greci e i Latini, di essere adeguatamente sanzionato, non di farla franca come spesso accade oggi. Gli antichi erano lontani dalle nostre dinamiche inquinanti, ma sapevano che della terra occorre avere rispetto e cura, se si desidera che essa ci ricambi in eguale maniera.

Quale concezione aveva del lavoro il mondo greco?

  • La domanda è molto interessante, e mi offre l’occasione per fornire un chiarimento. L’opinione comune ritiene che gli antichi greci odiassero il lavoro tout court. In realtà, avversavano semplicemente il lavoro eterodiretto, ossia quello per cui, a causa di una condizione di bisogno, si è costretti a porsi al servizio di altri, impiegando il limitato tempo della propria vita senza poterne realizzare al meglio le potenzialità. Gli antichi non avversavano, invece, il lavoro autodiretto, ossia quello scelto da ciascuno in quanto conforme alla propria natura, dunque ai fini della propria vita. I Greci e i Latini non consideravano male nemmeno il lavoro manuale. A partire dai poemi omerici, troviamo infatti dèi fabbri (Efesto), principesse al telaio (Penelope), re che arano la terra (Laerte), principi che intagliano il proprio talamo nuziale (Odisseo), e così via. I Greci, dunque, non odiavano il lavoro in sé, ma solo quello che non consentiva loro di realizzare compiutamente la propria esistenza. Non mi sembra una idea così strana: chi è felice di svolgere, solo per bisogno, un lavoro alienante, come è costretta a fare oggi larga parte della popolazione mondiale? Mi sembra un messaggio che soprattutto i giovani, che si trovano nella condizione di poter scegliere – naturalmente entro certi limiti – l’attività della propria vita, dovrebbero meditare bene. Ciò che si fa ogni giorno determina in larga parte, a lungo andare, ciò che si diventa, per cui davvero consiglierei di meditare sul fatto che può valere la pena rinunciare a qualcosa sul piano materiale, se si desidera realizzare nella vita un progetto buono a noi connaturato.

Quale ruolo svolge, nel mondo ellenico, il tema della proprietà?

  • Il tema della proprietà, per come siamo abituati noi moderni a pensarlo, ossia in termini giuridici, non viene specificamente indagato nei testi greci che ci sono rimasti; in epoca romana invece, come noto, inizia ad esserlo maggiormente. Ciò nonostante, nella forma del “possesso”, soprattutto della terra, esso risulta un tema centrale. Poter possedere, utilizzare, godere della terra e dei suoi frutti faceva la differenza, nel mondo antico, fra vivere bene, vivere male o addirittura non poter sopravvivere. Le fondazioni di nuove poleis nel Mar Nero, in Magna Grecia e in Sicilia, che presero corpo soprattutto nell’VIII secolo a.C., furono realizzate principalmente da persone che si trovavano nella impossibilità di poter sussistere, in quanto non proprietarie di terra, oltre che desiderose di realizzare un modo migliore di vita. Il fatto che la proprietà dei “mezzi della produzione sociale” – mi passi questa espressione moderna – dei beni necessari alla vita fosse pubblica, dunque di tutti, o privata, quindi solo di alcuni, faceva una enorme differenza: vi è in merito tutta una tradizione, che parte quanto meno da Solone per giungere fino alla Repubblica di Platone ed oltre, che lo testimonia. L’opposizione centrale, nel pensiero economico greco, è quella fra pubblico e privato: il pubblico era lo spazio dell’interesse generale, il privato lo spazio dell’interesse particolare; il primo, in quei tempi, era sentito come preminente, mentre oggi è sentito preminente il secondo. Con le conseguenze che abbiamo davanti agli occhi.

Come si accompagna a quello della ricchezza il tema del suo limite?

  • Il tema del limite è centrale per comprendere il tema della ricchezza materiale. Se la ricchezza costituisce il fine della vita, individuale e sociale, la sua produzione può solo essere massimizzata, esattamente come accade oggi nel modo di produzione capitalistico. Se la ricchezza, intesa come produzione dei beni e servizi essenziali, è considerata invece solo come un mezzo per condurre una buona vita, ovvero per realizzare in maniera compiuta la propria umanità, essa deve essere limitata, soprattutto all’interno di un mondo limitato. E’ questa la differenza, nel pensiero greco, fra ciò che, con espressione aristotelica, può definirsi “chrematistike” (i chremata erano i beni materiali, e per estensione la merce, il denaro) e la vera e propria “oikonomia”, ovvero la gestione normata dell’oikos, della casa comune, pensata idealmente come una famiglia. Tutto il pensiero greco, dalle prime espressioni sapienziali, si incentra sul tema del limite, della giusta misura: nel possesso, nei rapporti fra le persone, nel consumo dei beni, e così via. La misura giusta di ricchezza, per i Greci, è quella che consente di realizzare nella maniera migliore la propria umanità: quella, insomma, che permette di dedicare la vita al sapere ed alla politica, a sé stessi ed agli altri, senza dover perdere tempo, ed abbrutirsi, nella ricerca di denaro.
 
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Sommario del volume “Ricchezza”


Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.
Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele
Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità
Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno
Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.
Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?
Luca Grecchi – Sulla progettualità
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
 
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.
Luca Grecchi – Scuola “elementare”? Dalla filosofia antica ai giorni nostri
Luca Grecchi – La metafisica umanistica è soprattutto importante nella nostra epoca, la più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita.
Luca Grecchi – Logos, pathos, ethos. La “Retorica” di Aristotele e la retorica… di oggi. È credibile solo quel filosofo che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere.
Luca Grecchi – Educazione classica: educazione conservatrice? Il fine della formazione classica è dare ai giovani la “forma” della compiuta umanità, ossia aiutarli a realizzare, a porre in atto, le proprie migliori potenzialità, la loro natura di uomini
Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico
Luca Grecchi – «Natura». Ogni mancanza di conoscenza, di rispetto e di cura verso la natura si traduce in una mancanza di rispetto e di cura verso la vita tutta. L’attuale modo di produzione sociale, avente come fine unico il profitto, tratta ogni ente naturale – compreso l’uomo – come mezzo, e dunque in maniera innaturale.
Luca Grecchi – Scritti brevi su politica, scuola e società
Luca Grecchi – i suoi libri (2002-2019)
Luca Grecchi – L’UMANESIMO GRECO CLASSICO DI SPINOZA. Lo scopo della filosofia non è altro che la verità.
Luca Grecchi – «Uomo» – L’uomo è il solo ente immanente in grado di attribuire senso e valore alla realtà e di porsi in rapporto ad essa con rispetto e cura.
Luca Grecchi – Insegnare Aristotele nell’Università
Luca Grecchi – L’etica di Aristotele e l’etica di Democrito: un confronto
Maurizio Migliori, Luca Grecchi – Tra teoria e prassi. Riflessioni su una corsa ad ostacoli
Luca Grecchi – Multifocal approach. Una contestualizzazione storico-sociale. Occorre porsi con critica consapevolezza progettuale all’interno della totalità sociale.
Luca Grecchi – «Leggere i Presocratici». La cultura presocratica rappresenta tuttora una miniera in buona parte inesplorata.
Luca Grecchi – Questo volume cerca di colmare un vuoto, almeno nella letteratura specialistica in lingua italiana. Mancava infatti, ad oggi, un volume complessivo sul tema della ricchezza nella filosofia antica.
Luca Grecchi – La dolcezza rappresenta una disposizione del carattere volta a configurare in maniera eccellente la propria umanità, nei rapporti con gli altri uomini e con la natura, per favorire la realizzazione di una vita felice.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Franco Arminio – Abbiamo bisogno di gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.

Franco Arminio 02

Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. […] Il mondo ha bisogno di essere amato e accudito, prima di essere pianificato o portato chissà dove. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.

Franco Arminio, Per tornare assieme nella casa del mondo. Manifesto per il nuovo anno, Anima mundi edizioni, Otranto 2018, pp. 10-12.


Franco Arminio – Un uomo che arriva in ospedale è un mondo. Curare un uomo significa prendersi cura del tutto che è in tutti. Un ospedale è un osservatorio astronomico.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Daniele Serafini – Vengono da vecchi album questi fremiti di vita virati seppia, volti fieri di donne senza ansia di esistere, tornano a salutarci queste donne antiche con la fragranza di un fiore che non si rassegna al tempo né al nostro troppo facile oblio.

Daniele Serafini 01

Ho inseguito la verità dellintelletto
nella curva veloce degli anni
e ancora non so
quale sia la lingua del cuore
ancora mi
è ignota
a patria vera degli esuli
.

Daniele Serafini, Heimat.


Vengono da vecchi album
questi fremiti di vita
virati seppia
volti fieri di donne
senza ansia di esistere –
eleganti e silenziose
ferme nella loro forza
queste donne antiche
dagli sguardi severi
[. ..]
tornano a salutarci
queste donne antiche
con la fragranza di un fiore
che non si rassegna al tempo
né al nostro
troppo facile oblio.

Daniele Serafini, Antiche donne, in Tra le radici e l’altrove. Poesie 1986-2016, L’arcolaio, Forlinpopoli (FC) 2016, p. 184.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Eugenio Montale (1896 – 1981) – La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta, la sua direzione non è nell’orario. La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli.

Eugenio Montale, La storia

La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l’ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell’orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C’è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.

 

Eugenio Montale, [1]

 

Il presente non è tutto
Nei tempi bui in cui tutto sembra procedere nel rumore cadenzato e stridulo dei cingolati del , la poesia appare come libertà, breccia nella plumbea cappa dei nostri giorni senza speranza e senza prospettiva. Montale nella poesia La Storia ci induce a riflettere sull’andamento della storia per poter riprendere il cammino che pare già segnato, ma in realtà è un campo di possibilità che si snoda davanti a noi. Il capitalismo ha in odio la storia, poiché essa testimonia che ogni potere è nel tempo, vorrebbe dissolverla in modo che si pensasse che il presente ha in sé la pienezza senza trascendenza, che oltre il tempo presente con la sua visione unidirezionale non vi è nulla. Il capitale nella sua fase apicale ha divorato anche il nulla, non ammette antitesi di nessun genere, si presenta come l’essere univoco parmenideo, deve eliminare ogni orizzonte temporale per erigere prigioni globali. Montale ci rammenta che la storia non è prevedibile, è attività creatrice, ha improvvise deviazioni, nessuno la possiede, ma appartiene a tutti, e dunque con l’aiuto delle circostanze l’impossibile può diventare reale. La storia ideale costruisce eroi ed ipostasi quali artefici della storia, ma la verità è che la storia è il frutto di una pluralità di soggetti che muoiono anonimi, eppure partecipano vivamente al suo procedere, sono il sale della vita che crea nuove possibilità. La loro gioia è nella partecipazione silenziosa che non verrà segnalata da nessuno storico. Ciò malgrado, dietro i rumori dei grandi vi è la storia dei piccoli, dei resistenti, che con la loro piccola vita possono deviare il corso fatale della stessa. Coloro che vogliono ridurre la storia ad un teorema con definizioni e corollari predeterminati hanno già perso, perché si pongono fuori del cammino della storia vivente:

 

La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l’ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell’orario.

 

Piani di passaggio
La storia ci sembra, ora, in questi decenni omogenea: un piano liscio su cui scorrono merci e chiacchiere. L’impero del valore di scambio sembra non lasciare scampo, assimila ogni differenza, espelle dal suo grembo maligno ogni alterità. L’omogeneità si ripiega su se stessa, non lascia varchi, brecce da cui ri-dialetizzare il presente. Montale ci invoca a guardare fortemente la storia e a cogliere sul piano liscio improvvise “buche” che consentono il passaggio verso nuovi mondi. Il piano grigio e compatto della globalizzazione, apparentemente invincibile, è puntellato di resistenti che non si lasciano divorare dalla chiacchera, ma conservano la loro umanità, la loro razionalità critica che trasforma il presente in attività divergente. La storia non è conclusa, il potere vive l’illusione del controllo totale, si bea della sua tracotanza, ma la vita con le sue buche gli sfugge. Le buche possono trasformarsi in voragini tali da deviare il corso degli eventi, da mutare la geografia dei significati che il potere vorrebbe eternizzare:

 

La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli.

 

 

Fuori dalle reti
Per poter comprendere la storia, se mai questo sia possibile, dobbiamo guardare fuori la rete che ci rassicura, distribuisce i ruoli, tira una linea tra vincitori e vinti. La storia vera e viva è fuori della rete. Solo chi è fuori della rete può comprendere la verità della storia. Chi è tagliato fuori dalla storia, svela le illusioni di coloro che sono nella rete, chi sfugge alla rete per volontà o per un caso trova un varco, è l’attore di un nuovo inizio. Gli infelici che sono “fuori” non sono da compiangere, perché in loro riposa la possibilità di un nuovo percorso, perché dal loro “fuori” vedono la verità della rete con i suoi disincanti. Il loro sguardo penetra nella notte oscura per incontrare l’inizio di un nuovo giorno, la tragedia si sposa con la speranza:

 

C’è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.

 

Non dobbiamo temere di essere degli invisibili, dei pesci piccoli che nuotano alla periferia della rete, coloro che non sono nella rete non appaiono, ma sono la sostanza del mondo, e la storia vive delle loro inconfessabili libertà. La teoria del caos (James Yorks) ci insegna che un battito d’ali può causare effetti che non possiamo prevedere. Dobbiamo continuare a battere le nostre ali. I nostri pensieri, il nostro impegno sono le ali della storia. La storia viva è indecifrabile, insondabile e non si ripete mai in modo eguale, pertanto anche nella disperazione può fiorire la speranza, perché la storia è molto più di ciò che appare, leggiamo e viviamo. La storia incombe, se ci arrestiamo davanti alla sua grandezza, ma se entriamo in essa e ci doniamo senza la presunzione del risultato tutto può ancora essere ed esserci. Non dobbiamo allevare barbari dal calcolo facile e dal cuore lento, ma guerrieri gentili dalle cui parole può rifiorire un mondo.

Salvatore Bravo

 

[1] Eugenio Montale, La Storia, in Satura, Mondadori, Milano 1971).

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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