Salvatore Bravo – L’umanesimo metafisico dello psicologo Lev S. Vygotskij, che pone al centro la comunità e l’interazione tra il soggetto e la comunità: pertanto lo sviluppo cognitivo linguistico necessita della buona comunità, senza la quale il soggetto è limitato e offeso nella sua evoluzione.

Salvatore Bravo

L’umanesimo metafisico dello psicologo russo Lev Semënovič Vygotskij.

L’essere umano non è riducibile a sola biologia o a strutture di ordine economico; le implica, ma ad esse dona senso e significato con il linguaggio. Vygotskij pone al centro la comunità e l’interazione tra il soggetto e la comunità, pertanto lo sviluppo cognitivo linguistico necessita della buona comunità, della koinè, senza la quale il soggetto è limitato e offeso nella sua evoluzione. Comunità e individuo non sono separabili. L’essere umano per sua natura è comunitario. Lo psicologo russo dimostra che senza la cura della buona comunità il soggetto non sviluppa al massimo le sue potenzialità razionali. La comunità dev’essere luogo di accoglienza e cura delle nuove generazioni.

La scienza non è neutra, i suoi dati e le sue dinamiche sono condizionate dai contesti sociali, economici e dalla formazione educativa dei suoi protagonisti. È comunque possibile estrarre ciò che supera e va oltre le contingenze con l’ausilio del logos.
Le prospettive non sono realtà intrascendibili – esse sono all’interno di contingenze –, ma il logos può elevarsi verso l’universale con il metodo dialettico della filosofia. Tale metodo ha come scopo quello di delineare con sempre maggiore precisione ciò che è approssimativo: è pertanto esperienza linguistica fondante che pone al centro la comunità.
Le verità filosofiche non sono calcoli, ma universali che si elevano dal tempo storico: sono immagini concettualizzate nella storia dell’eterno.
Lev Semënovič Vygotskij (1) è stato non solo psicologo, ma anche pensatore con forte impronta filosofica, precorritore della metafisica umanistica. I suoi studi di psicologia cognitiva sono prossimi alla filosofia, poiché assume come centrale l’essere umano quale soggetto che dà forma al mondo, e in tal modo lo strappa dal caos percettivo, per dar forma ad un’identità storica perfettibile. Il linguaggio è l’ele˝mento che consente l’umanizzazione.
Lo psicologo russo prende le distanze dalla visione botanica (secondo la quale l’essere umano si svilupperebbe spontaneamente come una pianta) e dalla visione zoologica che pone in relazione funzioni biologiche e funzioni superiori nell’essere umano come se fossero presenti in tutti gli animali.
L’umanesimo metafisico dello psicologo russo riporta l’essere umano alla sua differenza qualitativa dagli altri animali non umani, poiché le funzioni superiori (pensiero e linguaggio) sono esclusive dell’essere umano. Il pensatore si differenzia dalla visione botanica che separa l’essere umano dal contesto e ritiene possibile lo sviluppo etico e linguistico in modo spontaneo. La visione botanica in realtà ha l’obiettivo di eliminare le “interferenze” sociali, le quali sono giudicate negative. Rousseau è stato il modello per lo sviluppo della tesi botanica.
Lev Semënovič Vygotskij pone al centro la comunità e l’interazione tra il soggetto e la comunità, pertanto lo sviluppo cognitivo linguistico necessita della buona comunità, della koinè, senza la quale il soggetto è limitato e offeso nella sua evoluzione.
Comunità e individuo non sono separabili. L’essere umano per sua natura è comunitario. Lo psicologo russo dimostra che senza la cura della buona comunità il soggetto non sviluppa al massimo le sue potenzialità razionali. La comunità dev’essere luogo di accoglienza e cura delle nuove generazioni.
Il bene è, in tal modo, posto dal logos che si forma nella comunità.
Il bene è la razionalità linguistica con la quale dare significato e senso all’orizzonte individuale e comunitario.
Il soggetto in formazione non è semplice presenza passiva, non è orcio da riempire con dati e contenuti. Il soggetto in formazione, al contrario, usa il linguaggio e gli stimoli che gli sono stati donati in modo creativo e personale. L’anti-economicismo è palese nel pensiero e nella pratica di ricerca dello psicologo. L’essere umano non è riducibile a sola biologia o a strutture di ordine economico; le implica, ma ad esse dona senso e significato con il linguaggio.
Vygotskij individua tre fasi nello sviluppo linguistico: il linguaggio interiore, il linguaggio egocentrico e il linguaggio esteriore o adulto. La prima fase si caratterizza per il linguaggio gestuale: già in questa fase il bambino, se sostenuto in modo adeguato e consapevole con sollecitazioni positive, è protagonista della trasformazione del linguaggio gestuale in linguaggio egocentrico, il quale si concretizza nei suoi monologhi in presenza degli altri.
Il linguaggio egocentrico è intermedio fra il linguaggio esteriore e quello interiore.
Intorno ai sette anni il bambino matura una seconda interiorizzazione.
Tali passaggi non sono meccanici, non sono iscritti nella biologia, necessitano del supporto biologico, ma senza la cura sociale, possono rallentare fino al prodursi di danni cognitivi permanenti nello sviluppo e nella formazione.
Dal linguaggio egocentrico, dunque, si passa al linguaggio interiore o pensiero. In Piaget l’egocentrismo non ha funzione positiva, è un limite all’evoluzione del pensiero del bambino. Secondo Vygostkij, invece, il linguaggio egocentrico è imprescindibile per giungere al linguaggio adulto.
Il linguaggio è funzione che umanizza, è sostanza dell’essere umano: non a caso il suo sviluppo investe tutte le funzioni psichiche.
Il linguaggio, dunque, è la casa dell’essere umano. Dove vi è linguaggio vi è l’essere umano. Il linguaggio è relazione, partecipazione politica ed ascolto.
L’umanesimo che potremmo definire metafisico di Vygostkij è dunque evidente. Le ragioni dell’ostilità dello stalinismo nei suoi confronti si spiegano con il suo umanesimo metafisico, il quale non rigetta Marx, non ripudia Spinoza, ma anzi ne completa i più loro profondi concetti filosofici con la propria originale speculazione in campo linguistico ed educativo. L’essere umano – e il linguaggio prima di tutto –, dunque, avversando dialetticamente ogni riduzionismo che, in tal senso, nega il fondamento dell’umano e dell’umanesimo:

«Tutte le più alte funzioni psichiche sono processi mediati, e i segni sono i mezzi fondamentali adottati per padroneggiarli e dirigerli. Il segno mediatore è incorporato nella loro struttura come una parte indispensabile, o per meglio dire come il perno del processo totale. Nella formazione dei concetti, il segno è la parola, che da prima svolge il ruolo di mezzo nella formazione di un concetto e successivamente diventa il suo simbolo». (2)

 

Interazione e concetto

Il concetto è operazione linguistica, esso è strumento metafisico. Dove vi è concetto il linguaggio acquisito si evolve in modo divergente. Gli stimoli della comunità e le domande che essa pone, così come l’interrogarsi sui grandi temi, conducono all’interazione concettuale. Il concetto è l’universale con cui si risponde creativamente alle contingenze e si organizzano nuove strategie mai battute in precedenza. Senza linguaggio non vi è trascendenza critica.

Il concetto investe la comunità nella sua storia. Il concetto è condivisione olistica, in quanto esso è interazione con l’esterno e nel contempo interiorità che modifica le funzioni psichiche. Tale attività, precipuamente umana, è possibile solo in un clima di libertà corale. Il linguaggio è attività complessa nella quale vige la logica della interazione creatrice:

«La formazione del concetto è il risultato di un’attività complessa a cui prendono parte tutte le funzioni intellettuali fondamentali. Il processo, tuttavia, non può essere ridotto ad associazione, attenzione, immaginazione, inferenza o a tendenze determinanti. Queste funzioni sono tutte indispensabili, ma non sono sufficienti senza l’uso del segno e della parola, che sono i mezzi con cui dirigiamo le nostre operazioni mentali, controlliamo il loro corso e le incanaliamo verso la soluzione del problema che ci sta dinanzi. La presenza di un problema che richiede la formazione di concetti non può essere considerata di per sé la causa del processo, anche se i compiti che la società pone davanti ai giovani, quando entrano nel mondo culturale, professionale, civile degli adulti, costituiscono indubbiamente un fattore importante nella comparsa del pensiero concettuale. Se l’ambiente non pone tali compiti all’adolescente, se non gli pone nuove domande, non stimola la sua intelligenza fornendogli una serie di nuovi fini, il so pensiero non raggiunge gli stadi più elevati, o li raggiunge con grande ritardo. Il compito culturale tuttavia, di per sé, non spiega il meccanicismo di sviluppo che risulta nella formazione del concetto». (3)

L’approccio di Vygostkij è olistico: non si può separare la parte dal tutto, ma bisogna cogliere le reazioni-azioni tra il soggetto e la comunità. Quest’ultima è una rete di punti di tensione e di produzione di saperi. La qualità della comunità coincide con la capacità di far circolare parole e immagini che possano favorire la concettualizzazione e l’evoluzione psicologica del bambino.

Una comunità che pone al centro il calcolo e l’utile immediato quale paradigma valutativo è destinata, sembra dirci il pensatore russo, all’asfissia concettuale. Senza circolazione dei linguaggi non vi può che essere che la sterilità del nichilismo passivo pronto a mutarsi in violenza e negazione dell’altro. Il linguaggio è il metodo e lo strumento con cui si decodifica il mondo. Senza di esso l’essere umano si disumanizza:

«Il ricercatore deve cercare di capire i legami intrinseci tra i compiti esterni e la dinamica dello sviluppo, e vedere la formazione dei concetti come una funzione di tutto lo sviluppo culturale e sociale dell’adolescente che influenza non solo il contenuto, ma anche il metodo del suo pensiero». (4)

 

Ambiente e linguaggio

Il linguaggio non può essere liquido o ancipite. Una comunità deve comunicare i suoi significati in modo chiaro, non vi devono essere ambiguità. Senza la stabilità del linguaggio il bambino non può essere avviato verso il concetto. Si deve sviluppare una rete sociale positiva. La fiducia del bambino nei significati delle parole è fondamentale, egli deve riconoscere nelle persone che ne curano la formazione l’autorevolezza lessicale. Un linguaggio instabile favorisce la schizopatia linguistica, non permette ai significati di consolidarsi e di essere esplorati nelle sue possibilità significanti:

«Il linguaggio dell’ambiente, coi suoi significati stabili, permanenti, indica la via che le generalizzazioni del bambino prenderanno. Ma, pur così coartato, il pensiero del bambino procede lungo questo cammino preordinato nel modo che è peculiare al suo grado di sviluppo intellettuale. L’adulto non può trasmettere al bambino il proprio modo di pensare. Egli gli fornisce semplicemente il significato già pronto di una parola, intorno a cui il bambino forma un complesso, con tute le particolarità funzionali, strutturali e genetiche del modo di pensare per complessi, anche se il prodotto del suo pensiero è in effetti identico per il contenuto ad una generalizzazione che avrebbe potuto essere stata formata secondo un modo di pensare concettuale». (5)

 

La parola originaria è l’archetipo che pone le condizioni per la costruzione di quadri concettuali sempre più ampi, si dipinge con il linguaggio l’immagine del mondo. Il processo di significazione necessita della mediazione dei segni con i quali dare significato al mondo: essi sono la risposta alle stimolazioni educative della comunità in tutte le sue forme:

«La parola originaria non è un simbolo diretto per un concetto, ma piuttosto un’immagine, un quadro, uno schizzo mentale di un concetto, una breve storia su di esso – in verità una piccola opera d’arte. Nel dare un nome ad un oggetto per mezzo di tale concetto di natura pittorico, l’uomo l’unisce in un gruppo con molti altri oggetti. Sotto questo aspetto il processo della creazione del linguaggio è analogo al processo della formazione dei complessi nello sviluppo intellettuale del bambino». (6)

 

Il bambino dev’essere stimolato proponendogli situazioni problematiche che favoriscano lo sviluppo qualitativo della sua evoluzione.

Lo sviluppo prossimale consente di presentare problemi in linea con le capacità del bambino o dell’adolescente, ma che si trovano al limite tra la fase di sviluppo in atto e la successiva. In tal modo si evita la noia del troppo facile e nel contempo non si cade nella frustrazione del troppo difficile. La centralità è, sempre, la formazione linguistica, è il logos tradotto in filosofia. Senza la preminenza del linguaggio le città e le istituzioni divengono “non luoghi”, poiché si vive in uno stato di abbandono linguistico e metafisico.

Leggere Vygostkij è comprendere il nostro presente e il suo tradimento metafisico. L’aver posto la merce al centro, anziché il concetto, spiega le tragedie etiche presenti e l’assenza di una politica a misura di essere umano.


1 Lev Semënovič Vygotskij (17 novembre 189611 giugno 1934).

2 Lev Semënovič Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Giunti Barbèra, p. 79.

3 Ibidem, pp. 81-82.

4 Ibidem, p. 82.

5 Ibidem, p. 92.

6 Ibidem, p. 99.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Lev Semënovič Vygotskij – Prospettiva rivoluzionaria del futuro, immaginazione umana e fantasia, educazione, attività creatrice.

Lev Semënovič Vygotskij

 

Prospettiva rivoluzionaria del futuro,

immaginazione umana e fantasia, educazione , attività creatrice

 

«La prospettiva rivoluzionaria del futuro permette di conoscere lo sviluppo e la vita della personalità come un processo unitario, che si protende in avanti e che con una necessità oggettiva è indirizzato verso il punto finale, conclusivo, indicato dalle esigenze dell’essere sociale. […] Nel processo di questa conquista l’uomo come biotipo determinato si trasforma in uomo come sociotipo, l’organismo animale diventa una personalità umana. L’appropriazione sociale di questo processo naturale si chiama educazione. Esso non sarebbe possibile se nello stesso processo naturale dello sviluppo e della formazione del bambino non fosse insita la prospettiva del futuro».

Lev Semënovič Vygotskij, Sul problema della dinamica del carattere infàntile, 1928.

 

«Il cervello non è soltanto un organo che conserva e riproduce la nostra esperienza passata, ma è pure un organo che combina attraverso l’attività creatrice e che, a partire dagli elementi dell’esperienza passata, forma nuove situazioni e un nuovo comportamento.

Se l’attività umana si limitasse a riprodurre ciò che è vecchio, l’uomo sarebbe un essere rivolto unicamente al passato, un essere capace di adattarsi al futuro solo riproducendo questo passato.

L’attività creatrice dell’essere umano è proprio ciò che lo rende un essere rivolto al futuro, che crea il suo futuro e modifica il suo presente.

Questa attività creatrice, basata sulle facoltà combinatorie del nostro cervello, è denominata immaginazione o fantasia dalla psicologia.

In genere, con immaginazione o fantasia non si pensa a ciò che la scienza intende con questi termini.

Per il senso comune si chiama così tutto ciò che non è reale, tutto ciò che non corrisponde alla realtà, e che, perciò, non può avere alcun serio significato pratico.

La verità è che l’immaginazione in quanto base di ogni attività creatrice si manifesta allo stesso modo in tutti i vari aspetti della vita culturale, rendendo possibile l’attività creatrice artistica, scientifica e tecnica.

In questo senso tutto ciò che ci circonda e che è stato creato dall’uomo, tutto il mondo della cultura,  all’opposto del mondo della natura, è un prodotto dell’immaginazione umana e dell’attività creatrice che si fonda su essa».

Lev Semënovič Vygotskij, Immaginazione e attività creatrice nell’età infantile, 1930.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Salvatore Bravo – Come alberi, è necessario attingere alle sorgenti di linfa rimaste vive; un nuovo germoglio, più basso, un nuovo germoglio sordamente perfora la dura scorza, un germoglio venuto dall’interno e dal profondo, dall’interno durevole dell’albero, emissario segreto.

Le immagini e le metafore della filosofia ci accompagnano nel nostro cammino accidentato nel quale la speranza è la prassi da cui germogliano la resistenza e le idee per un nuovo mondo che potrebbe venire a noi, se distogliamo l’attenzione dall’indifferenza dei nostri giorni e dalle macchinazioni delle logiche di dominio.

Il potere, nella forma del dominio produce servi; questi ultimi affinano la loro azione nella ricerca di schiavi da sottomettere. I servi sono alla ricerca di schiavi per sopportare la condizione di sterili adulatori. La mortificazione che ne consegue, per tutti a tale vista, è uno scoramento che si infrange contro la dura realtà del niente. In un periodo storico in cui i giochi del dominio sembrano prevalere sulla speranza e sul logos, le immagini e le metafore possono indicarci il movimento razionale ed emotivo da tenere, mentre tutto sembra accadere fatalmente, al punto da sembrarci che non vi è bivio alcuno.

Dove vi è speranza vi è scelta, si è sempre ad un bivio, il quale non è semplice condizione spaziale, ma postura della coscienza che si spazializza in agire e prassi. L’agire, nel rispetto etimologico del termine “agere”, è libertà, è un nuovo inizio. Il novus che si presenta a noi non è mai senza storia, ma è la linfa dell’esperienza storica divenuta concetto. La forza plastica e creatrice del logos ripensano il già stato, per portarlo a noi in forma di concetto. Non si tratta di semplice attività finalizzata a duplicare il già stato, ma dalla profondità della linfa storica il discernimento consente di abbandonare possibilità regressive per ricreare in forme nuove il già stato, in tal modo si è ad un bivio: è necessario scegliere tra forme regressive che inducono e conducono all’indifferenza e la responsabilità del nuovo che si associa al timore del rischio. Non vi sono percorsi posti per sempre in sicurezza, ma solo il cammino responsabile può evitare tragedie e sclerotizzazioni nefaste.

Il percorso è arduo, l’attimo più difficile ed esteso consta della capacità di scendere nella profondità della storia dello spirito per ritrovare il senso smarrito. Sono processi in cui il singolo non riscopre semplicemente la sua storia, ma sente il suo esserci al mondo come “comunitario”, in lui vive e germina una storia più grande che spontaneamente dona ed indica la scelta, sta a lui ascoltarla. Nulla è più difficile e grande che l’ascolto. L’Umanesimo è pensiero che si riorienta nell’ascolto che trascende i limitati orizzonti individualistici per nuove prospettive comunitarie.

Charles Péguy ci dona una metafora eterna, oggi più vera che mai, poiché nei periodi storici in cui il tatticismo becero e l’adulazione più volgare sembrano prevalere sulla verità e l’ateismo sembra trionfare, tale metafora è più fortemente vera. L’ateismo è disperazione che si ribalta in indifferenza, se non vi è verità, tutte le prospettive sembrano eguali e non si può che naufragare nell’indifferenza e nella violenza del politicamente corretto con i suoi applausi bugiardi. Dinanzi all’ateismo che mostra ancora una volta il suo volto nichilistico nel quale le parole e i volti sembrano oscurarsi nell’omologazione per lasciarci in una cupa disperazione limitrofa all’indifferenza Charles Péguy ci offre una metafora su cui meditare e che ci può essere di ausilio per far emergere la speranza quale prassi viva del pensiero:

 “Quando in un albero, generalmente in un vegetale arbusto o arborescente, per una ragione qualunque, gelata, colpo di gelo, colpo di vento, colpo di sole, trauma, siccità, un germoglio abortisce, […] essa abbandona al suo destino di sterilità la cima agonizzante; essa fa una sussunzione, una profonda esaltazione, una assunzione, una ripresa; essa riprende più in profondità: un nuovo germoglio nasce sotto il primo, spesso molto più sotto, spesso tanto sotto al primo quanto gli è necessario per attingere alle sorgenti di linfa rimaste vive; un nuovo germoglio, più basso, un nuovo germoglio sordamente perfora la dura scorza, un germoglio venuto dall’interno e dal profondo, dall’interno durevole dell’albero, emissario segreto[1]”.

Come alberi nella tempesta dobbiamo scendere nella profondità di noi stessi e ritrovare la linfa duratura con la quale creare il nuovo. Senza fondamenta profonde non vi è comunità, ma non vi è neanche l’individuo il quale si disperde nelle contingenze e nelle funzioni burocratiche.

 

Prospettive

Viviamo in pieno nichilismo e dimenticanza. Ma malgrado la desertificazione della vita e delle idee, come in un deserto che attende pioggia per germogliare sotto lo strato di sabbia del presente, radici profonde continuano a vivere e ad attendere ascolto e parole. Il chiasso dell’adulazione rende sterili, in quanto l’ascolto si oscura per la sola parola servile disponibile a vivere in superficie e a lasciarsi esiccare dalle contingenze. La profondità è olistica, insegna a mirare il mondo nello stupore delle prospettive che si completano. Fuori della caverna muschiosa le prospettive sono l’humus per il pensiero libero da clericalismi di ogni genere. Alla disperazione della prospettiva unica che diviene caverna e tomba a camera senza uscita, bisogna opporre la profondità che tocca la terra per innalzarsi al cielo delle possibilità malgrado resistenze e ramificate sconfitte, solo nella pluralità delle prospettive capaci di ritrovare il comune fondamento è possibile uscire dalle prigioni del politicamente corretto e dalla ridda degli opportunismi senza futuro e pensiero:

 

“La realtà non è proprio fatta in prospettiva né esaurita da una prospettiva, tanto quanto un paesaggio non è fatto in prospettiva né esaurito da una prospettiva. Qui come là, e giustamente perché il paesaggio stesso è una realtà, un frammento della realtà, una sorta di realtà, una parte integrante della realtà, qui come là è necessaria almeno, in prima battuta, un’infinità di prospettive; e è necessario inoltre uscire da là, è necessario in seconda battuta uscire da tutta(e) la(e) prospettiva(e), uscire dall’ordine stesso della prospettiva e delle prospettive, provare a contemplare con un tutt’altro sguardo[2]”.

 

Prima di riprendere la lotta impariamo a vivere l’ispirazione di paesaggi che abbiamo smesso di guardare per la cappa depressiva della logica crematistica dei banchieri che infettano i pensieri comunitari e l’impegno oblativo, cioè (come si può anche semplicemente leggere in un vocabolario della lingua italiana) del livello più alto dello sviluppo affettivo, contraddistinto dalla capacità di amare e di offrire liberamente senza contropartite.

[1] Ch. Péguy, Brunetière, Edizioni Milella, Lecce 1988,in OPC II, pag. 583

[2] Ch. Péguy, À nos amis, à nos abbonés, in OPC II, p. 1294


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Salvatore Bravo – L’ultima parola della storia. Rileggendo i versi di Patrizia Cavalli. Il tempo è vita intessuta di parole che attendono di essere condotte a nuova vita.

Salvatore Bravo

L’ultima parola della storia.
Rileggendo i versi di Patrizia Cavalli

Il tempo è vita intessuta di parole che attendono di essere condotte a nuova vita

Ma io non voglio andarmene così, lasciando tutto come ho trovato … Un altro è il mio progetto … è accogliere la lingua che mi è data … immaginando una visione. Come di fronte a un fiore di datura … questa è la gioia fiera del mio compito, qui è il mio valore.

P. Cavalli




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Friedrich Hölderlin – Chi pensa le cose più profonde [das Tiefste], ama ciò che è più vivo [das Lebendigste]». Essere uno con il tutto: questo è il cielo per l’uomo. Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia.

Chi pensa le cose più profonde [das Tiefste], ama ciò che è più vivo [das Lebendigste]».

«Wer das Tiefste gedacht, liebt das Lebendigste»

Friedrich Hölderlin , Sokrates und Alkibiades (Socrate e Alcibiade)

«O felice natura!
Non mi so render conto di ciò che avviene in me quando levo lo sguardo verso la tua bellezza […]. Tutto il mio essere ammutolisce e sta in ascolto quando le delicate onde del vento giocano intorno al mio petto. Perduto nell’ampio azzurro del cielo, levo lo sguardo su verso l’etra e giù verso il mare sacro e mi sembra che uno spirito fraterno mi apra le braccia e che il dolore della solitudine si sciolga nella vita della divinità.
Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dèi; questo è il cielo per l’uomo.
Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia, è la sacra cima del monte, è il luogo dell’eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa, il tuono la sua voce e il mare che freme e spumeggia assomiglia all’onde di un campo di grano»

Friedrich Hölderlin, Iperione, trad. di G. V. Amoretti.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Chandra Candiani – Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Un lavoro costante. Una risoluta risposta nella direzione del giusto e della testimonianza del vero.


«È tipico del filosofo quello che tu provi, essere pieno di meraviglia; il principio della filosofia non è altro che questo».

Platone, Teeteto, 155 D.

«Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia».

Aristotele, Metafisica, I, 2, 982 B.

 

«La violenza vuole, mentre la meraviglia non vuole nulla se non il pensiero, l’instancabile pensiero filosofico».

M. Zambrano

 

 

Chandra Candiani

Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Un lavoro costante. Una risoluta risposta nella direzione del giusto e della testimonianza del vero.

 

Ho sempre avuto la sensazione scomoda e stupefacente di non sapere niente. A scuola mi sembrava che, anche studiando qualcosa, le lacune aumentassero a dismisura […]. Restavo allibita dal non sapere. Lo stesso poi con la letteratura e con la poesia: più leggevo e più mi sfuggiva tutto di mano. Imparando a meditare, sono entrata in familiarità, lentamente, lentamente, con il non sapere. […] Chi crede di sapere molto sperimenta solo esperienze di seconda o di centesima mano, non è mai in intimità con niente, non trema davanti al non conosciuto e non si inoltra. Perché il sapere dell’esperienza non si può accumulare, l’esperienza inganna come tutto il resto, se credi di poterla ripetere quando ti addentri nei territori del non conosciuto. Non ci sono primi della classe, né esperti, né Maestri, se non quelli che ti spingono a conoscere in prima persona, a ferirti e medicarti […].

Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. […] La pratica della meraviglia è una pratica che cura anche il cuore più ferito della terra.

[…]

Non è la consapevolezza, né tantomeno la semplice attenzione che fanno risveglio, ma è la saggezza che, allenando attenzione e consapevolezza, sgorga da sé, dal cuore, quando diventa soffice e compassionevole, quando è lavorato come un pane o un pezzo di terra. Un lavoro costante. Una saggezza non concettuale ma nemmeno istintuale, una pacata resa a quel che c’è e una risoluta risposta, dopo la resa, nella direzione del giusto e della testimonianza del vero.

 

Chandra Candiani, Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano, Einaudi, Torino 2021, pp. 8-9 e p. 93.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Platone – La ποίησις [creazione] è causa del passaggio dal non essere all’essere, e coloro che posseggono questa arte della creazione sono detti creatori [poeti] (ποιηταί).

La ποίησις [creazione] è causa del passaggio
dal non essere all’essere,
e coloro che posseggono questa arte della creazione
sono detti creatori [poeti] (ποιηταί)

 

οἶσθ’ ὅτι ποίησίς ἐστί τι πολύ· ἡ γάρ τοι ἐκ τοῦ μὴ ὄντος εἰς τὸ ὂν ἰόντι ὁτῳοῦν αἰτία πᾶσά ἐστι ποίησις, ὥστε καὶ αἱ ὑπὸ πάσαις ταῖς τέχναις ἐργασίαι ποιήσεις εἰσὶ καὶ οἱ τούτων δημιουργοὶ πάντες ποιηταί. […] Ἀλλ’ ὅμως, ἦ δ’ ἥ, οἶσθ’ ὅτι οὐ καλοῦνται ποιηταὶ ἀλλὰ ἄλλα ἔχουσιν ὀνόματα, ἀπὸ δὲ πάσης τῆς ποιήσεως ἓν μόριον ἀφορισθὲν τὸ περὶ τὴν μουσικὴν καὶ τὰ μέτρα τῷ τοῦ ὅλου ὀνόματι προσαγορεύεται. ποίησις γὰρ τοῦτο μόνον καλεῖται, καὶ οἱ ἔχοντες τοῦτο τὸ μόριον τῆς ποιήσεως ποιηταί.

 

Tu sai che la creazione (ποίησις) è qualcosa di molteplice. La causa, infatti, per la quale una cosa passa dal non essere all’essere è sempre la ποίησις. Cosicché tutte le opere che si realizzano nelle diverse arti (τέχναις) sono creazioni (ποιήσεις) e tutti gli artefici sono creatori [poeti] (ποιηταί). […] Però sai che non sono chiamati tutti creatori (ποιηταὶ), ma hanno altri nomi (ὀνόματα), e che una parte distinta di tutta intera la creazione, ossia quella che riguarda la musica (μουσικὴν) e i versi (μέτρα), viene designata con il nome dell’intero (τοῦ ὅλου ὀνόματι). Solamemnte questa viene detta creazione (ποίησις), e coloro che posseggono questa arte della creazione sono detti creatori [poeti] (ποιηταί).

 

Platone, Simposio, 205 b-c, trad. di Giovanni Reale, in Id., Tutti gli scritti, Bompiani, Milano 2001, p. 513.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Platone – La giusta maniera di procedere nelle cose d’amore per conoscere il bello in sé. In chi abbia imparato a contemplare l’infinito universo della bellezza le sue parole e i suoi pensieri saranno pieni del fascino che dà l’amore per il sapere (φιλοσοφια).

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Eraclito, Aristotele – Per l’uomo il carattere è il suo “daimon”. Nelle amicizie fondate sulla virtù non si verificano recriminazioni e, come misura, come sembra, si usa la scelta di colui che dona: l’elemento principale del carattere e della virtù, infatti, è la scelta.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Rodolfo Mondolfo – Dal dubbio esce la critica profonda di Socrate, che non ha solo intento demolitore, ma, soprattutto, ricostruttore. Senza il dubbio sulla validità delle opinioni tradizionali e volgari, questa critica non sarebbe sorta, e non avrebbe la filosofia greca potuto vantare la sua più meravigliosa fioritura in Platone ed Aristotele.

Rodolfo Mondolfo

Dal dubbio esce la critica profonda di Socrate, che non ha solo intento demolitore, ma, sopra tutto, ricostruttore. Senza il dubbio sulla validità delle opinioni tradizionali e volgari, questa critica non sarebbe sorta, e non avrebbe la filosofia greca potuto vantare la sua più meravigliosa fioritura in Platone ed Aristotele

I periodi di maggiore e più vigoroso rigoglio del pensiero filosofico hanno avuto a preparazione ed impulso la critica demolitrice delle tradizionali credenze. Allorquando il pensiero comincia ad esaminare su quali fondamenta si eriga l’edificio delle comuni convinzioni, troppo spesso le trova deboli e poco resistenti: e allora, sotto i colpi spietati della ragione indagatrice, che incalza tanto più urgentemente, quanto minore opposizione trova, comincia e procede rapidamente il crollo di opinioni per lungo tempo ritenute valide e indiscutibili. Gli spiriti deboli, limitati, che non trovano in sé le forse di un’opera ricostruttrice, si fermano a contemplare le rovine, e credono, di fronte alla caduta dell’edificio secolare, impossibile impresa l’erezione di un altro novello e più forte.
Ma quelli, che non sanno acquetarsi nell’inoperoso e sfiduciato scetticismo, sentono, nello spettacolo stesso della rovina, un irresistibile e più alacre impulso a proseguire l’opera, cercando un punto fermo e stabile, sul quale la ragione possa arrestarsi, per trovarvi più resistente fondamento.
Dubbio e ricerca sono fratelli inseparabili: lo stesso nome di scetticismo, che significa il dubbio esteso a tutti gli oggetti e le forme dell’attività intellettuale e pratica, nella sua derivazione da σκéψις, ricerca, esame, dimostra l’intimo collegamento del dubbio con l’impulso all’indagine.

[…] Dallo stesso dubbio […] esce la critica profonda di Socrate, che non ha solo intento demolitore, ma, sopra tutto, ricostruttore. Senza il dubbio sulla validità delle opinioni tradizionali e volgari, questa critica non sarebbe sorta, e non avrebbe la filosofia greca potuto vantare la sua più meravigliosa fioritura in Platone ed Aristotele. Quella condizione di spirito, così comune anche ai giorni nostri nella più gran parte degli uomini, per cui vengono passivamente subìte e mantenute idee ed opinioni di cui non si conosce né si è mai sentito il bisogno di indagare l’origine e la validità, onde a errori e pregiudizi e nozioni il sentimento più che la ragione conferisce autorità di legge e forza di reggere il mondo, era carattere distintivo della società e del tempo di Socrate.
I sofisti avevano già scossa questa cieca fidanza, ma sostituendo alla incosciente credenza lo scetticismo: Socrate, che vuol raggiungere invece una convinzione consapevole e razionale, richiama gli uomini alla conoscenza di se stessi, che per lui significa revisione critica delle proprie idee ed opinioni e conseguente purificazione del pensiero dalle contraddizioni.
Tale è il Socrate che l’Apologia platonica ci rappresenta: un assiduo scrutinatore di tutti, che, nel fare l’esame del pensiero altrui, vuol compiere anche quello del proprio per raggiungere insieme con gli altri l’intento della liberazione dall’errore. […] E il punto di partenza, per tutto questo lavoro di critica era per Socrate il dubbio, che, dal pensiero proprio, al quale era stimolo di ricerca, egli voleva comunicare all’altrui, per indurre anche negli altri quell’abito dell’assidua indagine e verifica, che gli era proprio […].
Ma che cos’è questo dubbio di Socrate, e qual è la sua distinzione dal dubbio scettico dei sofisti? […] Come assai bene nota lo Zeller, i sofisti avevano ingenerato una disposizione generale al dubbio: ma tale disagiata condizione degli spiriti rendeva necessaria la ricerca di un metodo.
I sofisti avevano fatto cadere le convinzioni tradizionali e gli antichi sistemi filosofici, rivelandone la imprecisione di concetti e le contraddizioni latenti; ma risultando in tal modo che la debolezza delle opinioni comuni e dei sistemi dogmatici era nel difetto di metodo, si rendeva palese la necessità di un metodo dialettico, il quale eliminasse le contraddizioni con rendere più chiari ed esatti i concetti. La riflessione critica diventava così il compito del pensiero filosofico.
Cosicché Socrate non dà un insegnamento formale, non impartisce lezioni, non fa l’esposizione dottrinale delle proprie opinioni; ma esamina le proprie e le altrui e sospinge i discepoli sulla via di questa revisione critica.
Ecco la differenza tra il suo dubbio e quello dei sofisti: egli sa, al pari di questi, che l’opinione comune o il dogmatismo dei filosofi precedenti si infrangono contro gli scogli della contraddizione; ma non conclude per ciò, con i sofisti, che la scienza sia assolutamente impossibile; sì bene soltanto che saprebbe ritrovarsi per quella via, e che una revisione del metodo si impone. Il dubbio, che gli altri portavano sulla possibilità della scienza, egli trasporta invece sulla legittimità del metodo; la conclusione negativa converte in conclusione critica, proclamando la necessità di sottoporre a revisione ogni opinione, per antica ed autorevole che sia, per eliminarne le contraddizioni, correggerla, completarla, determinarla con esattezza maggiore.
l dubbio e la riflessione, che nella sofistica erano stati strumento di distruzione dell’antica filosofia, diventano così con Socrate il punto di partenza della filosofia nuova, e l’impulso al maggior fiore del pensiero speculativo in Grecia.

Rodolfo Mondolfo, Il dubbio metodico e la storia della filosofia. Prolusione a un corso libero di storia della filosofia nell’Università di Padova, con Appendice storico-critica, Fratelli Drucker, Padova-Verona 1905, pp. 7-14.


indicepresentazioneautoresintesi

Questo saggio nasce dall’esigenza di ridiscutere due problemi che si pretendono già risolti: l’antico problema del “miracolo greco”, che voleva spiegare l’origine del pensiero filosofico e scientifico in Grecia contrapponendolo semplicisticamente ad un “mondo orientale”, anch’esso a sua volta schematizzato e semplificato, e rispetto al quale esso sarebbe nato del tutto eccezionalmente e sorprendentemente; e il problema del passaggio della riflessione greca antica dalla considerazione del cosmo, da riflessioni naturalistiche, fisiche ed astronomiche, alle riflessioni sul mondo morale dell’uomo: dal “naturalismo” all’“umanesimo”.
Mondolfo capovolge questi due vecchi, veri e propri, luoghi comuni, criticando la vecchia tesi che voleva l’affermarsi delle prime teorie morali come derivazioni da teorie astrologiche e biologiche. Al contrario, per lui le credenze astrologiche sono causa e non effetto delle osservazioni dei fenomeni celesti, e non nascono da un interesse teorico, ma dagli interessi pratici della vita dell’uomo. E questo vale anche per l’elaborazione di teorizzazioni razionali di concetti come destino, legge universale, giustizia, male, necessità, e quindi anche degli stessi concetti di natura e cosmo, concetti con i quali i primi filosofi greci passavano dal mondo mutevole e frammentario delle proprie esperienze di vita vissuta all’elaborazione teorica ed alla costruzione dei primi sistemi filosofici.


indicepresentazioneautoresintesi

In queste pagine si afferma il principio che le concezioni della natura svolte dai presocratici sono il risultato della proiezione dei problemi del mondo umano sull’universo fisico: è da respingere l’opinione per cui il pensiero filosofico all’inizio si sarebbe occupato esclusivamente dei problemi più lontani, relativi all’origine, alla formazione e alla costituzione del cosmo e solo in tempi più recenti avrebbe rivolto la propria attenzione a quelli più vicini, cioè ai problemi relativi all’uomo. Pur non essendo una delle opere fondamentali del Mondolfo, questo libro è però una delle sue opere più significative: vi si possono trovare i principali motivi che ne caratterizzano il pensiero. Ha messo in evidenza le tendenze poliedriche dello spirito ellenico e la varietà e il contrasto delle sue manifestazioni nel pensiero dei filosofi greci, dimostrando come negli scritti di alcuni di essi si possa trovare il riconoscimento esplicito dell’importanza del soggetto umano nella gnoseologia, nell’etica e nella teoria delle creazioni culturali. In questo libro vengono inoltre indicati altri precedenti della filosofia della cultura: in Platone, in Aristotele, in Tommaso d’Aquino, nei filosofi del Rinascimento, in quelli dell’età moderna fra i quali Vico, Hegel e gli idealisti. La concezione della filosofia come «problematicità» non porta mai Mondolfo alla conclusione sconsolata del problematicismo e neppure alla conclusione degli scettici che proclamano la sterilità e la vanità dell’indagine filosofica. Al contrario conduce ad una conclusione fiduciosa: il lavoro filosofico contribuisce a rendere la coscienza dei problemi sempre più chiara e profonda.


indicepresentazioneautoresintesi

 La formazione dell’ideale filosofico costituisce un momento di grande importanza nella storia dell’etica greca e forma il vincolo più intimo ed essenziale di continuità sia tra la riflessione morale più antica e l’indagine naturalistica che caratterizza fin da principio la filosofia presocratica, sia, più tardi, fra questo naturalismo e l’umanesimo di Socrate. Secondo l’idea tradizionale derivata da Cicerone, la filosofia, che fino allora avrebbe rivolto al cielo la sua contemplazione, con Socrate soprattutto, l’abbasserebbe verso la terra e l’uomo. In realtà, anche l’interesse conoscitivo verso la natura che appare al principio della filosofia greca ubbidiva a motivi essenzialmente umani, costituiti soprattutto da un’esigenza profondamente etica e religiosa, che sorgeva da un nuovo concetto dell’uomo e del suo fine. Per la tradizione anteriore l’uomo, mortale e limitato, doveva pensare unicamente cose umane, cioè limitate e mortali, rinunciando alle divine, che si dichiaravano privilegio degli dèi, difeso dalla loro gelosia. Nell’attribuire all’uomo la capacità di pensare alle cose divine, e nel farlo in tal modo partecipe del divino, convertiva in un’obbligazione sacra per lui quello che la saggezza anteriore gli vietava come insolenza (hybris) ed empietà. La filosofia pertanto diviene per i moralisti greci la forma più eccellente ed efficace di purificazione spirituale (catharsis); e l’attività del filosofo rappresenta – come ci mostra nella Repubblica platonica l’allegoria della caverna – una missione di illuminazione e liberazione. Socrate personificò questa missione, nella sua vita e nella sua morte.


indicepresentazioneautoresintesi

L’impossibilità d’intendere appieno la posizione storica, il valore e l’efficacia dell’opera di uno scrittore, senza penetrarne l’anima e la vita, è di solito meno sentita per i filosofi che per gli artisti; ma s’illumina di singolare evidenza nel caso di Rousseau, che in sé raccoglie l’artista e il filosofo insieme, in inscindibile unità. La lotta, ch’egli ha intrapresa, è diretta contro la cultura che resta esteriore allo spirito e lo soffoca; non contro lo sviluppo attivo dello spirito, cui anzi vuol restituire la sua libertà e dignità: è rivendicazione dell’interiorità, non negazione della humanitas. La dignità della natura umana è anzi da lui fortemente sentita ed affermata. Combattere gli abusi alle loro radici, ecco l’intento; non ripudiare i valori umani. Rivendicazione, non ripudio di essi è la critica della cultura corrotta e superficiale, che sacrifica alle apparenze la sostanza, alla moda e al successo la vera grandezza intellettuale e morale. Rousseau oltre all’intelletto indica in «quell’altra facoltà infinitamente più sublime, eppur mai contata per nulla», cioè nel sentimento, la vera via e l’essenza dell’interiorità che egli rivendica: ecco il punto centrale della sua filosofia. Qui la sorgente del suo appassionato amore per la natura; qui la sua profonda differenza dagli enciclopedisti, che pur di natura tanto parlavano; qui la fonte viva delle sue dottrine psicologiche e pedagogiche, religiose e morali, sociali e politiche; qui la spiegazione dell’immensa azione esercitata da lui su tutta la filosofia posteriore e sulla coscienza moderna. La sincerità del sentimento è un fine che la natura ci indica, assai più che la coerenza logica. Rousseau è il vero fondatore del moderno principio di libertà, inteso quale esigenza di dignità umana; nella libertà di Rousseau la personalità è innalzata al suo valore di fine in sé; e in quanto è, e deve essere fine, si proclama la sua irriducibilità alla posizione di mezzo per il raggiungimento di finalità esteriori.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

1 10 11 12 13 14 110