«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«L’uomo tedesco ha per il complesso dell’esistenza di un essere reale la parola Gestalt. In questa espressione egli astrae dall’elemento mobile, e assume che qualcosa di co-appartenente sia solidificato, conchiuso e fissato nel suo carattere. Ma se noi consideriamo tutte le Gestalten, particolarmente quelle organiche, troviamo che non vi occorre mai qualcosa di stabile, qualcosa di quiescente, di compiuto, ma che piuttosto tutto oscilla in un continuo movimento. Per questo la nostra lingua usa la parola Bildung con sufficiente proprietà tanto per indicare ciò che è stato prodotto quanto ciò che è in fase di produzione. Se vogliamo introdurre una morfologia non dobbiamo parlare di Gestalt, ma se ci serviamo di questa parola dobbiamo quantomeno connetterle solo l’idea, il concetto o qualcosa che nell’esperienza venga tenuto fermo soltanto per la durata dell’istante. Il già formato viene subito ritrasformato; e noi, se vogliamo acquisire una percezione vivente della natura, dobbiamo mantenerci mobili e plastici seguendo l’esempio che essa ci dà. […] Ogni vivente non è un singolo, ma una pluralità; anche presentandosi come individuo, rimane tuttavia un insieme di esseri viventi e autonomi, che, eguali secondo l’idea e per natura, appaiono empiricamente identici o simili, diversi o dissimili».
J.W. Goethe, Zur Morphologie. Ersten Bandes erstes Heft 1817, in W, XIX, p. 16; tr. it. a cura di S. Zecchi, in La metamorfosi delle piante, Guanda, Parma 1983, p. 43.
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«Quando Gesù diceva: “il padre è in me ed io nel padre, chi ha visto me, ha visto il padre; chi conosce il padre sa che quel che dico è vero; io ed il padre siamo uno”, gli ebrei lo accusavano di bestemmia perché egli, nato uomo, si faceva Dio. Come avrebbero potuto riconoscere in un uomo qualcosa di divino, essi, i poveri, che portavano con sé soltanto la coscienza della loro miseria, della loro profonda servitù, della loro opposizione al divino, la coscienza di un incolmabile abisso tra umano e divino? Solo lo spirito riconosce lo spirito. Essi vedevano in Gesù soltanto l’uomo, il nazareno, il figlio del falegname i cui fratelli e parenti vivevano in mezzo a loro: tanto egli era, ne avrebbe potuto essere di più; era soltanto uno come loro ed essi stessi sentivano di essere nulla. […] Il leone non dimora in una noce, né lo spirito infinito nella prigione di un’anima ebraica, né il tutto della vita in una foglia secca».
G.W.F. Hegel, Der Geist des Christentums und sein Schicksal [Spirito del cristianesimo e il suo destino], in Id., Werke in zwanzig Bänden, Band I, Suhrkamp Verlag, Frankfurt 1971, pp. 380-381; tr. it., in Id., Scritti teologici giovanili, Guida, Napoli 1972, p. 424.
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Nell’immagine in evidenza, a sn.: Rilievo in scisto raffigurante il Buddha, il Vajrapani e alcuni monaci, proveniente da Butkara I (Pakistan) e conservato presso il Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma.
«Non fare ciò che è male / fare ciò che è bene / purificare la propria mente: / questo è l’insegnamento del Buddha», si legge nel Dhammapada, uno dei più influenti testi buddhisti. Studiando i testi del Canone del Buddhismo Theravāda, Antonio Vigilante offre in questo saggio una interpretazione dell’etica buddhista quale etica transpersonale, tesa al superamento del soggetto attraversi tre momenti. Il primo è il passaggio da un sé disperso nella molteplicità dei suoi desideri ad un sé solido e centrato, grazie alla meditazione e ad altre pratiche disciplinari che hanno molte affinità con le tecniche filosofiche greche, in particolare dello Stoicismo. Il secondo è l’apertura di questo sé grazie alle dimore divine, i quattro valori fondamentali del Buddhismo: la benevolenza, la compassione, la gioia partecipe e l’equanimità. Il terzo momento, quello del Risveglio, è l’abbandono del sé e, con esso, della stessa etica, con la sua distinzione tra bene e male. Solo quando il superamento del soggetto è completo l’etica si realizza pienamente e al tempo stesso si estingue, poiché trasceso l’io è spenta la possibilità stessa del male. Centrata sulla negazione della sostanza, l’irrilevanza dell’esistenza del Divino e l’insussistenza del soggetto, la visione del mondo buddhista nega i fondamenti stessi della civiltà occidentale. Ma questi fondamenti, osserva Vigilante, sono venuti consumandosi nel pensiero contemporaneo, da Nietzsche a Sartre, per cui l’etica buddhista sembra indicare oggi una via percorribile da un Occidente in crisi.
Antonio Vigilante vive a Siena. Si occupa di teoria della nonviolenza, pedagogia, filosofia morale e interculturale. Tra i suoi libri: Il Dio di Gandhi (2009), La pedagogia di Gandhi (2010), Ecologia del potere. Studio su Danilo Dolci (2012), L’educazione è pace. Scritti per una pedagogia nonviolenta (2014), A scuola con la mindfulness (2017), La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha (2019). Con Petite Plaisance ha pubblicato: Dell’attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore (2018) e L’essere e il tu. Aldo Capitini in dialogo con Nishitani Keiji, Enrique Dussel e Murray Bookchin (2019).
Indice
Introduzione Nota Abbreviazioni
Il Dhamma del Buddha La via della conoscenza Filosofia e religione Un misticismo ateistico La zattera Il Buddha e la tradizione indiana Śramaṇa Nobili verità La genesi interdipendente L’azione Il nibbāna Razionale e irrazionale
Il sé disperso e il sé dimora La psicologia buddhista I pezzi del carro La nausea La possibilità della gioia L’indicibile Inquinanti
Tecnologie del non sé La cura di sé Enkrateia Il Sāṃkhya Lo Yoga Una pratica di immersione Samatha e vipassanā Lo sforzo Jhāna Lo sguardo profondo Sentieri che si intersecano
Una casa sicura La felicità più alta Dal quotidiano al sublime Etica domestica Non uccidere Non rubare La condotta sessuale Etica della parola Non assumere sostanze inebrianti La via verso il riconoscimento Pacificare le relazioni Genitori e figli Maestri e discepoli Etica coniugale L’amicizia Servi ed operai Asceti e brahmani Essere inclusivi Un’etica concreta Etica e politica
La fortezza dei saggi La via del bhikkhu Lo sciocco e il saggio Artigiani di sé L’amicizia spirituale Dimore stabili Le colpe più gravi
Le colpe meno gravi
L’apertura
Il dimorare divino La benevolenza Controvento Il dolore, la gioia, il distacco Porte aperte sul Risveglio Al di là dei segni Il sé dono Oltre il bene e il male L’abbandono e l’insegnamento
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Seconda edizione. ISBN 978–88–7588-289-1, 2021, pp. 240, Euro 20 – Collana “Il giogo” [136]. In copertina: Kouros, IV secolo a.C., Atene, Museo Archeologico Nazionale.
I testi qui offerti al lettore si caratterizzano per la loro coerenza, nei suoi due aspetti di insistenza e resistenza. Insistenza, nel senso di continuare tenacemente a porre problemi e domande, senza variare disinvoltamente il punto di vista da cui l’interrogazione viene posta, rifiutando la convinzione secondo la quale le sconfitte storiche sono di per sé la prova di errori nella teoria. E resistenza: che significa accettare i mutamenti imposti dalla riflessione e dalle cose stesse su cui ci si interroga, ma invece rifiutare pentitismi compiacenti, cedimenti corrivi alle mode correnti o alle “luci della ribalta”; restare fedeli, insomma, a ciò che di noi hanno fatto la nostra storia intellettuale e morale, da un lato, la nostra collocazione nel mondo, dall’altro. Scritti con la mano sinistra, appunto. Nel doppio senso che si tratta, da un lato, di scritti marginali, parerga, rispetto al mio impegno professionale di studioso della filosofia antica; dall’altro, di scritti che rispecchiano più direttamente la mia collocazione politica, la mia presa di partito (la scelta “da che parte stare”). “A sinistra”, dunque. Una posizione alla quale mi consegnano la mia tradizione familiare, il mio percorso intellettuale e morale, la mia convinzione di un futuro possibile alternativo alla barbarie che attraversa il nostro tempo e ne minaccia l’orizzonte. La stessa tensione razionale, lo stesso sforzo di comprensione e argomentazione, ispirano e sorvegliano (o almeno dovrebbero sorvegliare) sia il lavoro di ricerca sia la “presa di partito” che coinvolge l’uomo prima che il ricercatore.
Il libro è diviso in tre parti. Nella prima, Tra filosofia e politica, si discutono alcune problematiche filosofiche rilevanti dal punto di vista delle interrogazioni che vengono, in senso lato, dalla politica. Nella seconda, Tra politica e filosofia, l’oggetto di indagine sono le prospettive della politica considerate da un punto di vista filosofico. Nella terza, Fra gli antichi e noi, si torna ad una riflessione sulla società e sul pensiero dell’antichità dal punto di vista delle prospettive filosofico-politiche delineate. Grandi interrogativi, dunque, per piccoli scritti, nell’intento di tenere aperto lo spazio dell’incertezza, di riproporre l’urgenza della riflessione, resistendo sia al cedimento di fronte all’omologazione del pensiero, sia alla rassegnazione di fronte all’estrema durezza dell’epoca. Non si tratta di un compito esclusivo del filosofo, e tanto meno dell’antichista, perché esso coinvolge la responsabilità morale e intellettuale di ognuno.
Mario Vegetti
Nota bibliografica sull’opera di Mario Vegetti
a cura di Fulvia de Luise
Mario Vegetti (1937-2018) è stato professore emerito di Storia della filosofia antica all’Università di Pavia. Con il suo lavoro scientifico, ha aperto nuovi campi di indagine all’analisi storica e filosofica della cultura antica, diventando protagonista di un rinnovamento tematico e metodologico di eccezionale portata, che si avvaleva, da un lato, della ricezione e dell’elaborazione delle esperienze antropologiche francesi, legate allo strutturalismo e al marxismo, dall’altro del confronto con l’approccio analitico di matrice anglosassone, da cui veniva l’attenzione alla specificità filosofica dei testi antichi e all’attualità delle loro argomentazioni nel contesto del dibattito contemporaneo. La questione del metodo interpretativo ha occupato uno spazio importante nelle diverse fasi della sua attività di studioso, con effetti di particolare originalità nell’applicazione al rapporto con gli antichi, che Vegetti intendeva affrancare dal classicismo e da ogni forma di incauta attualizzazione. La prima parte del suo percorso è caratterizzata dall’interesse per la dimensione scientifica del pensiero antico, con particolare riferimento alla medicina e alla biologia. Appartengono a questo periodo le traduzioni commentate delle opere di Ippocrate [… continua a leggere cliccando su Nota bibliografica sull’opera di Mario Vegetti a cura di Fulvia de Luise].
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Fulvia de Luise insegna Storia della Filosofia Antica presso in Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento (clicca qui per la pagina dell’Università a lei dedicata). Dal 1994 al 2007 ha partecipato al seminario di studio sulla Repubblica di Platone, diretto dal prof. Mario Vegetti presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università agli Studi di Pavia, contribuendo con numerosi saggi alla produzione di un commentario dell’opera (pubblicato in sette volumi, tra il 1998 e il 2007, per i tipi della Bibliopolis, Napoli). Tra il 1989 e il 2001 ha svolto un’intensa attività di ricerca sui modelli antropologici ideali nel pensiero antico e sul tema della felicità nel pensiero antico e moderno, pubblicando due monografie, in collaborazione con G. Farinetti (Felicità socratica, Hildesheim 1997; Storia della felicità. Gli Antichi e i moderni, Torino 2001). I suoi studi si sono rivolti inoltre all’interpretazione della scrittura platonica, con particolare riferimento, oltre che alla Repubblica, al Fedro e al Simposio, di cui ha curato edizioni commentate (clicca qui per le pubblicazioni di Fulvia de Luise).
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Maurizio Migliori, La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni. Introduzione di Luca Grecchi.
ISBN 978-88-7588-247-1, 2019, pp. 592, Euro 38 – Collana “Il giogo” [100]. In copertina: Vasilij Kandinskij, Verso l’alto (Empor), 1929, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia.
ZENONE E PLATONE: DUE DIALETTICHE A CONFRONTO Da una realtà aporetica a una realtà unimolteplice
«L’uno è molti e infiniti e i molti sono uno». Filebo 15E3-4
In questo contributo si intende delineare un quadro comparativo della dialettica così come intesa da Zenone di Elea e poi inverata e, allo stesso tempo, superata da Platone. A questo fine ci muoveremo su tre fronti:
la delineazione dei tratti essenziali della dialettica di Zenone;
il giudizio platonico sulla dialettica di Zenone, ricavabile dall’incipit del Parmenide;
la presentazione della dialettica di Platone come superamento e inveramento di quella zenoniana.
Una premessa terminogica
Prima di entrare nel vivo del confronto tra Zenone e Platone è necessaria però una breve premessa, perché il termine dialettica ha assunto, nel corso della storia della filosofia, una pluralità di sensi e di accezioni che è bene distinguere. Essenzialmente incontriamo tre figure di dialettica:
intesa come filosofia, cioè come uno strumento che svela la natura di una realtà che è essa stessa dialettica, nella quale positivo e negativo convivono;
come dialogica, cioè come tecnica della discussione;
come tecnica di confutazione.
[…]
La concezione zenoniana della dialettica risulta conservata e innovata dalla dialettica platonica: risulta conservato infatti il processo di innalzamento, per cui dalla contraddizione delle conseguenze si traggono risultati che concernono le premesse (nel caso del paradosso della freccia abbiamo visto come la conclusione contraddittoria permette di invalidare la premessa), ma in un senso nuovo. L’analisi dialettica, svelando la complessità dei nessi che costituiscono il reale, ci costringe a cercare la chiave per capire la non contraddittorietà della struttura apparentemente aporetica e ci indica il cammino per superare la contraddizione tramite un trascendimento ontologico. Il fatto di risalire a una dimensione filosoficamente più alta, però, non dissolve l’aporia ma, lasciandola essere tale al suo livello, consente di inquadrarla in una visione coerente e vera del reale: un qualsiasi essere umano, in sé considerato, è realmente e irriducibilmente uno e molti.
Questo richiede una visione estremamente articolata del reale, una visione multifocale, e un metodo che sia, per sua natura, adeguato alla comprensione di una realtà uni-molteplice, ma implica anche la consapevolezza che è impossibile trovarsi di fronte a un modello unico di descrizione del reale: infatti nella dialettica platonica c’è la movenza dell’unificazione, della risalita ai principi (quindi della sintesi), ma c’è anche il senso dell’irriducibilità del reale: l’infinito è irriducibile e resta in perenne conflitto con il limite, come ci ricorda il Filebo:
«SOCRATE: Dunque, poiché le cose sono così ordinate, bisogna che cerchiamo di porre in ciascuna situazione sempre un ‘unica Idea per ogni cosa: infatti, noi ve la troveremo insita; se dunque l’abbiamo individuata, dobbiamo esaminare se dopo una ve ne siano due, se no tre o qualche altro numero, e, di nuovo, allo stesso modo per ciascuna di quelle, fino a che non si vede dell’uno posto all’inizio non solo che è uno, molti e infiniti, ma anche quanti è; l’Idea dell’ illimitato non bisogna attribuirla alla molteplicità, prima di averne individuato il numero totale, mediano tra l’infinito e l’uno, e solo allora lasciare che ciascuna unità di tutte le cose vada nell’illimitato» (16C7-E2).
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Sommario
Una premessa terminologica La dialettica din Zenone I molti simili e dissimili e il paradosso della freccia Il confronto tra Zenone e Platone: il Parmenide La dialettica platonica come superamento e invermento di quella di Zenone Il nesso tutto-parte I nessi tra le Idee: il Sofista Considerazioni conclusive
Un tuffo …
… tra alcuni dei libri di Lucia Palpacelli…
L’Eutidemo di Platone. Una commedia straordinariamente seria, Vita e Pensiero, 2009
L’analisi di Lucia Palpacelli affronta in modo nuovo il testo, rifiutando la tradizionale lettura ‘panironica’, che consente di aggirare le tante ‘stranezze’ del dialogo interpretandole come giochi ironici, in ultima istanza poco comprensibili. Al contrario, l’autrice mostra come il dialogo rifletta il pensiero platonico e si riveli un’opera molto significativa all’interno del corpus. L’Eutidemo diventa così un prototipo della ‘scrittura filosofica’ di Platone, che lancia una continua sfida al lettore, chiamato a intendere i problemi proposti e a sviluppare autonomamente le linee di soluzione offerte in forma allusiva.
Aristotele interprete di Platone. Anima e cosmo, Morcelliana, 2013
Il volume mette a confronto analiticamente le opere fisiche di Aristotele con i dialoghi platonici sulle stesse tematiche (in particolare con il Timeo), per ricostruire la complessa articolazione del concetto di physis, dal cosmo alla considerazione degli esseri viventi. La via critica seguita, e indicata dai testi stessi, permette di ricostruire un percorso che si configura sempre come bifronte: le innegabili e, in alcuni casi, fondamentali divergenze tra Aristotele e Platone si innestano su comuni tematiche e domande, per cui, lì dove si segna una distanza, si deve anche riconoscere un punto di accordo. Il rapporto tra Aristotele e Platone va delineandosi in queste pagine nella cifra distintiva di un movimento di vicinanza/lontananza, che rende possibile cogliere il senso e l’effettivo valore della critica aristotelica.
Aristotele, La generazione e la corruzione Testo greco a fronte, a cura di M. Migliori e L. Palpacelli, Bompiani, 2013
Il “De generatione et corruptione”, opera poco conosciuta e sottovalutata, svolge un ruolo importante nelle riflessioni fisiche di Aristotele. Lo Stagirita affronta e risolve le questioni concernenti i quattro tipi di mutamento, distinti secondo la categoria di riferimento: la generazione e corruzione secondo la sostanza, l’aumento-diminuzione secondo la quantità, l’alterazione secondo la qualità, la traslazione secondo il luogo. L’articolazione di tali temi si sviluppa in un ricco confronto con i filosofi del tempo, con la ripresa della centrale tematica delle cause fisiche e con espliciti riferimenti al Motore immobile trattato nella Metafisica. L’ampia introduzione di Maurizio Migliori, che affronta le questioni di fondo proposte in questo testo, è completata da un saggio bibliografico di Lucia Palpacelli che espone criticamente tutti gli studi apparsi nell’ultimo trentennio. La traduzione e il commentario di Migliori sono stati rivisti e arricchiti sulla base di un analogo aggiornamento bibliografico. Il lettore ha così a disposizione un testo completo, presentato in un’ottica unitaria e sorretto da una lettura critica aggiornata.
La natura intermedia di Eros. Pausania e Aristofane a confronto con Socrate, in: «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 3 – 2016, Vita e Pensiero, 2016
In this paper, speeches of Socrates, Pausanias and Aristophanes are analysed combining them together. This analysis is performed starting from the concept of intermediate (metaxuv) which allows us to construe Pausians’ speech as preparatory with respect to Socrates’ speech, and Aristophanes’ speech as its denial. Indeed, the concept of intermediate is applied to Eros 1) in embryo in Pausianas’ speech (which finally distinguishes two kinds of Eros) and 2) openly in Socrates’ speech. In this regard, the two speeches are connected and they show a progression 1) from a strictly practical and ethical-behavioural level (Pausanias’ speech) 2) to a theorical-metaphysical level based on Eros’ nature (Socrates’ speech). Aristophanes, on the other hand, defines Eros as a desire of total fusion, his view is corrected and downscaled by Socrates enforcing the concept of intermediate.
Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta
Il presente volume è il terzo di una serie di collettanei aristotelici, cominciata nel 2016 con Sistema e sistematicità in Aristotele, e proseguita nel 2017 con Immanenza e trascendenza in Aristotele, tutti editi a mia cura presso questa casa editrice. A questi volumi hanno partecipato alcuni fra i maggiori studiosi italiani dello Stagirita, che desidero nuovamente ringraziare per la loro disponibilità e gentilezza, ma soprattutto per l’ennesimo dono che hanno voluto fare agli studi aristotelici. Il volume di quest’anno, Teoria e prassi in Aristotele, nasce con l’intento di esaminare alcune distanze, spesso rilevate dagli studiosi, fra la teoria e la prassi nel pensiero aristotelico. Il tema è stato analizzato, come di consueto, secondo una pluralità di punti di vista ed approcci. L’apertura del volume, come da tradizione, è stata anche stavolta un dialogo generale tra lo scrivente e Carmelo Vigna. A questo dialogo, sempre come da tradizione, ha fatto seguito un commento di Enrico Berti, caratterizzato da notazioni profonde ed essenziali. Di seguito, vi sono stati interventi assai puntuali inerenti soprattutto il piano etico (Marcello Zanatta), politico (Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Alberto Jori), teoretico (Claudia Baracchi, Mario Vegetti), economico (Silvia Gullino, Luigi Ruggiu), sociale (Giulio Lucchetta) e scientifico (Lucia Palpacelli). Il volume è già sufficientemente ampio, per cui mi posso limitare, in questa occasione, ad un ricordo speciale, quello dell’amico Mario Vegetti, che ci teneva molto ad essere presente con un saggio. Rammento con affetto la sua ironia sui «dialogoni metafisici» fra me e Vigna che aprono questi volumi. Per il 2019, l’intenzione è di iniziare una trilogia sul pensiero platonico, cominciando con un collettaneo sulle Leggi, un dialogo relativamente poco indagato, rispetto almeno alla Repubblica. Tutto questo, come sempre, si potrà attuare – oltre che mediante la collaborazione di ottimi studiosi, negli anni divenuti amici – grazie alla passione culturale di Carmine Fiorillo, fondatore e “reggitore” di Petite Plaisance, al quale anche stavolta esprimo la mia vicinanza e gratitudine.
Luca Grecchi
Lucia Palpacelli
La pluralità metodologica nel pensiero aristotelico:tra teoria e prassi
Le diverse prospettive possibili per conoscere la realtà Ogni scienza considera lo stesso oggetto da punti di vista diversi Ogni scienza ha i suoi principi La relazione tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto: in sé e per noi La coscienza del limite umano nella conoscenza Il rapporto tra lo statuto ontologico dell’oggetto e il livello epistemologico L’estrema varietà della prassi metodologica L’approccio dialettico Un problema terminologico Alcuni esempi della movenza dialettica La diversa articolazione della movenza “dal generale al particolare” Da ciò che è più chiaro per noi a ciò che è più chiaro per natura Il valore dell’esperienza e dei fatti L’acqua più fredda che umida: la necessità teorica vince sul dato empirico La scienza non sbaglia, ma lo scienziato sì Considerazioni conclusive
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Diego Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune. Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.
ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [118]. In copertina: Anonimo, Il mondo sotto il berretto del matto, 1600 ca. Norimberga, Germanisches Nationalmuseum.
Sotto il segno di Mercurio. Vita di Orazio, Osanna Edizioni 1992.
Johann Wolfgang Goethe, Nausicaa, a cura di Sotera Fornaro, Osanna Edizioni 1994.
ohann Wolfgang Goethe, Achilleide, a cura di Sotera Fornaro, Salerno editore 1998
Percorsi epici. Agli inizi della letteratura greca, Carocci 2003.
L’origine dell’epica va cercata nel bisogno umano di raccontare. Una città, una donna, una guerra, il viaggio: questi i nuclei tematici dei poemi di Omero, che si sviluppano attorno a racconti dalle radici antiche, a lungo tramandati oralmente prima di cristallizzarsi nella scrittura. La poesia omerica, agli inizi della letteratura greca, fu sempre nell’antichità considerata «divina», ed ancora suscita stupore per le sue infinite possibilità di lettura. Questo libro ripercorre alcune questioni e temi epici. Destinato a chi si voglia accostare all’epica greca arcaica, pur non conoscendo necessariamente il greco antico, il suo scopo è fornire un’introduzione alle opere che hanno condizionato l’immaginario letterario occidentale, recuperando perciò il gusto e la necessità della loro lettura, anche solo in traduzione. Nella prima parte sono contenute le premesse indispensabili per avvicinarsi all’epica con consapevolezza storica e letteraria; la seconda, invece, è un itinerario attraverso le immagini della poesia, esplicite e implicite, dei poemi di Omero e di Esiodo, per verificare come l’epica descriva se stessa. Le figure ed i concetti principali della storia degli studi omerici compaiono in forma di lemmi nel repertorio finale.
Introduzione alla filologia greca, a cura di Heinz-Günther Nesselrath e Sotera Fornaro, Salerno editore 2004.
L’Introduzione alla filologia greca fornisce un panorama della scienza dell’antichità greca e dei suoi attuali metodi e compiti. Il curatore si è avvalso della collaborazione di 25 specialisti tedeschi, austriaci, svizzeri, inglesi e italiani, concependo la struttura dell’opera in modo da offrire introduzioni dettagliate, affidabili e aggiornate alle singole discipline che insieme costituiscono un quadro completo della scienza dell’antichità. Questa nuova esposizione complessiva si rivolge agli studiosi di letteratura greca e di discipline affini (filologia classica, storia antica, archeologia): essa costituisce uno strumento per lo studio individuale, un sussidio didattico e una prima introduzione alle singole discipline. Edizione in brossura.
Introduzione alla filologia greca, a cura di Heinz-Günther Nesselrath, Sotera Fornaro, Salerno 2004
L’Introduzione alla filologia greca fornisce un panorama della scienza dell’antichità greca e dei suoi attuali metodi e compiti. Il curatore si è avvalso della collaborazione di 25 specialisti tedeschi, austriaci, svizzeri, inglesi e italiani, concependo la struttura dell’opera in modo da offrire introduzioni dettagliate, affidabili e aggiornate alle singole discipline che insieme costituiscono un quadro completo della scienza dell’antichità. Questa nuova esposizione complessiva si rivolge agli studiosi di letteratura greca e di discipline affini (filologia classica, storia antica, archeologia): essa costituisce uno strumento per lo studio individuale, un sussidio didattico e una prima introduzione alle singole discipline. Edizione rilegata.
Antigone. Storia di un mito, Carocci 2012.
Dalla messa in scena della tragedia di Sofocle ad Atene, nel V secolo a.C, la figura di Antigone non ha più conosciuto momenti di eclissi nella storia della letteratura, del teatro, del pensiero. Il suo mito ha posto e pone domande inderogabili: qual è il rapporto tra potere e giustizia? Quali sono i limiti della legge? Ci si deve opporre all’ingiustizia perpetrata dallo Stato? Il martirio è una forma utile di resistenza? Può il potere disporre del corpo del nemico? In che cosa consiste la diversità politica e di genere di Antigone? Ogni epoca ha risposto diversamente a tali questioni e ha prodotto un’Antigone sua propria: l’amante, la santa, la terrorista, l’ebrea torturata nei campi di concentramento, la ribelle di una gioventù bruciata. “Antigone” è diventato dunque un nome-simbolo, capace di rappresentare situazioni anche lontanissime dalla cultura occidentale e senza più alcun legame con il contesto in cui Sofocle scrisse e rappresentò la sua tragedia. Le ricezioni dell’Antigone sono perciò infinite: il libro offre una guida alle più significative di esse in ambito europeo, dal teatro greco antico sino ad oggi.
Walter Hasenclever, Antigone, a cura di Sotera Fornaro, Mimesis 2013
Scritta in trincea durante la prima guerra mondiale, l’Antigone di Walter Hasenclever denuncia l’insensatezza di tutte le guerre ed è un grido pacifista nel mezzo dell’orrore. L’Antigone greca, che paga con la vita la sua ribellione alle leggi dello Stato in nome di una legge divina non scritta ma inderogabile, diventa in questo dramma espressionista una profetica e rassegnata martire della violenza politica di ogni genere. È la vittima non solo di un sanguinario potere tirannico, ma anche di un proletariato sbandato e assetato di vendetta. Questa tragedia giovanile esprime l’oscuro presagio di una schiera di ‘demoni’ che avrebbero saputo conquistare le masse e portare alla catastrofe il mondo già provato da una prima, terribile guerra. Quella di Hasenclever è dunque la prima Antigone politica del XX secolo, stranamente sfuggita alla censura: va accostata all’Antigone del romanzo Novembre 1918 di Alfred Döblin e alla più celebre Antigone di Bertolt Brecht (1948). L’Antigone di Hasenclever da una parte, quella di Brecht dall’altra, sono infatti erme poste a confine di due momenti decisivi nella storia della cultura tedesca e, pur in una visione pessimistica della storia, esprimono attraverso il riuso di un mito antico la possibilità di ripartire dall’arte dopo essere giunti al punto zero della ‘civiltà’ europea.
Che cos’è un classico? Il classico in J. M. Coetzee, Edizioni di Pagina 2013
Che cos’è un classico? I classici svolgono un ruolo concreto nella vita? Per quale mistero hanno la capacità di infondere coraggio e forza alle vittime di poteri politici aberranti? Perché attraverso i classici accettiamo meglio la malattia e l’avvicinarsi della morte? Sono questi alcuni degli interrogativi a cui lo scrittore di origine sudafricana J.M. Coetzee risponde nei suoi romanzi e nei suoi saggi. Attraverso la scrittura di Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003 e oggi uno degli scrittori più famosi al mondo, questo libro riflette sul concetto di classico dal punto di vista di una classicista di mestiere e approda ad alcune seppur provvisorie conclusioni. Classico è ciò che è umano e si oppone alla barbarie; ciò che resiste e aiuta a resistere all’orrore e alla violenza. Classico è sempre un atto d’amore, per la vita, per l’umanità, per l’idea stessa dell’amore. Classico è quel che perdura, passando al vaglio del tempo e di giudici competenti. Classico è il cuore che cerchiamo in un mondo spesso senza cuore.
Antigone ai tempi del terrorismo. Letteratura, teatro, cinema, Pensa Multimedia 2016
Eidolon. Saggi sulla tradizione classica, a cura di Sotera Fornaro e Daniela Summa, Edizioni di Pagina 2013
Il riflesso, l’immagine, l’eidolon dei testi e delle opere ‘classiche’ ha continuato ininterrottamente a riverberarsi nella letteratura e nell’arte occidentale moderna e contemporanea; lo studio dei Greci ha condizionato la nascita e lo sviluppo delle istituzioni universitarie e museali; il confronto con la vita politica e sociale dell’antichità ha plasmato riflessioni filosofiche e storiografiche. I saggi qui raccolti offrono esempi di storia della tradizione classica dal XVIII secolo ad oggi. Marco Castellari scrive dell’Antigone di Bertolt Brecht rivista nel 2006 da George Tabori; Sotera Fornaro affronta il frammento drammatico Prometeo di Goethe; Mario Marino esamina un manoscritto inedito di Johann Gottfried Herder con annotazioni sul De rerum natura; Corinne Bonnet ricostruisce il ruolo attribuito a Cartagine nella Storia romana di Theodor Mommsen; Daniela Summa disegna un panorama delle vicende storiche e individuali che hanno accompagnato dagli inizi dell’Ottocento l’elaborazione del corpus epigrafico di Cipro; Carlotta Santini delinea il confronto sul mito tra Thomas Mann, Karoly Kerényi e Furio Jesi; Eleonora Cavallini tratta dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese e del giudizio che ne dette Italo Calvino.
Bernhard Zimmermann, La commedia greca. Dalle origini all’età ellenistica, a cura di Sotera Fornaro, Carocci 2016
Il libro è una storia della commedia greca, dei suoi autori, delle sue occasioni rappresentative e dei suoi contesti politici e sociali, dalle origini sino al III secolo a.C. Questa traduzione è condotta sulla nuova edizione del 2006 ed è arricchita da un’appendice originale sulle testimonianze epigrafiche della commedia greca, a cura di Daniela Summa, ricercatrice all’Accademia delle Scienze di Berlino. Zimmermann affronta la questione dell’origine della commedia greca, delinea le tappe del suo assurgere a genere letterario, ne esamina la struttura, la metrica, la musica, dà indispensabili notizie sull’architettura teatrale, la messa in scena, le maschere e i costumi; passa quindi in rassegna, con numerosi riferimenti antologici, i drammi traditi di Aristofane e quelli di Menandro, ma anche i frammenti degli autori della commedia “di mezzo” e “nuova”. Il volume si conclude con un panorama, in parte inedito, di storia della ricezione.
Agosto, Edizioni di Pagina 2017
Un ragazzo, Ahmed, dorme per strada; una donna lo scorge dalla sua finestra e decide di aiutarlo. Ha inizio così, in una notte d’estate, un legame difficile, che va avanti tra la comprensione e l’ostilità. Intanto, tra i vicoli stretti di una piccola città vicino al mare, accadono violenze inspiegabili e circolano misteri: forse si sta preparando un attentato. E chi è davvero l’enigmatica Bintou, la sorella silenziosa e discreta, che prega nella moschea e sembra animata da una irremovibile fede? In un crescendo d’ansia e di solitudine, trascorre un feroce agosto assolato. Dopo quel mese vissuto in sospeso tra desideri d’amore ed acute nostalgie del passato, nessuno sarà più lo stesso di prima.
Un uomo senza volto. Introduzione alla lettura di Luciano di Samosata, Pàtron 2019.
«Non conosco classico più classico di questo classico seriore, minore e manierista», scriveva nel 1974 Pier Paolo Pasolini recensendo i Dialoghi di Luciano, apparsi per i ‘Millenni’ di Einaudi con la prefazione di Leonardo Sciascia. Con la definizione di ‘classico’, il poeta di Casarsa intendeva descrivere la capacità di Luciano di vedere i «dettagli reali in modo tanto economico quanto incantevole», e di vederli con «occhio acuto e metallico», teso a incidere nella realtà a lui contemporanea, senza compassione, con l’attenzione alle piccole cose e alle meno appariscenti delle creature. Pasolini si identificava con lo scrittore antico, perché come lui soffriva della consapevolezza di trovarsi in un «vicolo cieco della storia, e della storia letteraria», e guardava all’ormai irrecuperabile passato con nostalgia: in tale buio della storia, presagio anche della fine imminente della propria vicenda individuale, Pasolini rileggeva Luciano, ritrovando e condividendo quel riso satirico impietoso della cultura del proprio tempo, con l’amara coscienza che, come lui stesso, Luciano «anziché corrodere, minare, demistificare – da filosofo ‘cane’ come il suo mitico Menippo – la propria cultura, corrode, mina e demistifica la vita stessa». Oggi, in un periodo che forse può definirsi da ‘fine del mondo’, nell’era della realtà virtuale e della post-verità, si vuole con questa introduzione invitare ancora alla lettura di quest’autore, di cui pure non sappiamo quasi nulla, tranne che veniva da Samosata, lontana città sull’Eufrate e che visse nel pieno II sec.d.C.. Un autore su cui l’antichità stese il silenzio, e che nei secoli è stato oggetto di giudizi antitetici, dall’ammirazione allo spregio. Un autore, dunque, destinato a restare un «uomo senza volto», come scriveva Alberto Savinio: ma i cui discorsi e dialoghi offrono ancora infinito materiale di riflessione, con il loro caleidoscopio di tipi umani e di caratteri, la derisione delle manie intellettuali e delle mode culturali, l’intelligenza nel comprendere il libro della vita per trarne mondi di fantasia, l’accuratezza con cui rappresentano la fenomenologia delle emozioni, l’uso delle immagini e della loro evocazione, il confronto originale con temi e generi tradizionali, l’esperienza delle arti non verbali e per-formative, la profonda umanità e la disincantata filosofia morale.
Berlino. Tra passato e futuro, Cue Press 2019
Il genere testuale della ‘guida turistica’ viene applicato alla materia del teatro. Un percorso attraverso i luoghi dove si consuma il rapporto con la cultura materiale, nello spazio vivo della comunità. Ma i teatri sono anche spazi e architetture capaci di svelare tracce di civiltà passate, luoghi meravigliosi per passare una serata e lasciarci raccontare, attraverso la loro storia e i loro spettacoli, la vita stessa della città. Poi lo spettacolo finisce, e la vita continua, allora saremo pronti a consigliarvi locali e ottimi ristoranti. Ancora, quindi, il teatro e la città: un luogo continuo e dinamico, energicamente legato all’epoca e al tessuto urbano in cui si inserisce, ecco quello che si respira nei teatri del mondo. Quante volte, visitando una capitale europea, vi siete chiesti: «Ma dove saranno i teatri?», «Quali saranno gli spettacoli più vicini al mio gusto?», «Quali artisti?». Allora, o restate in albergo, oppure leggete la nostra guida teatrale. Una serie progettata e realizzata insieme ad Andrea Porcheddu, che ci porterà in giro per il mondo: New York, Berlino, Londra, Tunisi, Hong Kong, Buenos Aires, Milano, Praga… Benvenuti a Berlino! Una città che è cambiata molto nel corso degli anni e in particolar modo nel secolo scorso, in cui si è trovata divisa in due sfere d’influenza; caotica ma meravigliosa, ricca d’arte e soprattutto di teatro, dal Berliner Ensemble di Brecht alla Volksbühne [teatro del popolo], nati nella DDR e tuttora teatri per antonomasia della capitale tedesca. Un tuffo nella peculiarità di questa città, di questa cultura che ha conosciuto artisti tra i più grandi di tutti i tempi.
Saffo, Ode all’amata, a cura di Sotera Fornaro, Mucchi 2020
Dei nove libri della poetessa greca Saffo ci sono rimasti solo sparuti frammenti, e solo una poesia per intero. Tuttavia quei versi attraversano i secoli, segnando la lirica amorosa e imponendo persino una nuova misura del sentimento d’amore; la figura evanescente di Saffo, amante disperata e donna teneramente innamorata, ha segnato l’immaginario occidentale ed è diventata l’archetipo del dissidio tra arte e vita, tra letteratura e sentimento. Anche i più celebri dei frammenti di Saffo, però, restano enigmi: così il fr. 31 Voigt, che è stato interpretato sia come l’ode della follia erotica e dei suoi sintomi fisici, sia come il canto più addolorato della gelosia. Innumerevoli sono le traduzioni di quest’ode, che ci è giunta mutila proprio alla fine, a partire da quella latina di Catullo. La prima traduzione italiana a noi nota data 1572, ed è di uno sconosciuto letterato dal nome Francesco Anguilla. In questa storia infinita, gli interpreti e i traduttori sono per lo più gli uomini: eppure l’ode di Saffo canta delle sensazioni, forti sino alla morte, provocate dall’amore di una donna verso un’altra donna. Così in questo libro si propongono 10 versioni, più o meno libere, talora riscritture, di dieci donne, dalla ‘Saffo del Cinquecento’, Gaspara Stampa, sino alle più vicine Iolanda Insana e Alda Merini.
Antigone. Usi e abusi di un mito dal V secolo a. C. alla contemporaneità, a cura di Sotera Fornaro e Raffaella Viccei, Edizioni di Pagina 2021
La figura di Antigone si aggira da secoli nelle culture e nei contesti più lontani e diversi: ripercorrere tutte le metamorfosi della figlia di Edipo appare perciò impresa impossibile. Molte zone d’ombra restano nella storia delle Antigoni e molte domande irrisolte. Ad esempio, poco note sono le rappresentazioni iconografiche del mito; quasi sconosciuta è l’Antigone sororale e politica del teatro italiano del Cinquecento. Cosa significano nel pensiero giuridico le ‘leggi non scritte’ di Antigone? Perché Antigone oggi può perdere la statura eroica e diventare personaggio da melodramma? Si può parlare di un ‘modello Antigone’ nella critica letteraria e nella scrittura delle donne? Altri interrogativi insoluti ci pone il testo stesso della tragedia di Sofocle, un classico globale quant’altri mai. Con alcuni di tali argomenti e questioni si misurano i saggi che abbiamo qui raccolto, conclusi dalle considerazioni di Massimiliano Civica per la ‘sua’ “Antigone” in scena.
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La teoretica di E. Severino rimane in una condizione di indeterminatezza che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico. Non resta che filtrare dal pensatore de La Struttura originaria gli elementi di inquietudine concettuale che possono esserci di ausilio per decodificare il presente
Severino nel regno dell’impotenza La metafisica di Emanuele Severino[1] è stata spesso tacciata di essere astratta ed avulsa dal contesto storico. La curvatura analitica della filosofia degli ultimi decenni impedisce, in realtà, di coglierne lo spessore critico implicito verso la fase avanzata del capitalismo. Emanuele Severino ha problematizzato la volontà di potenza del capitalismo assoluto, ne ha analizzato il fondamento che ne spiega gli automatismi sociali, psicologici ed economici. La hýbris è la verità tragica e terribile dell’onnipotenza della tecnica alleata del capitale. Il capitalismo assoluto è mosso dalla volontà di potenza e di annientamento della vita, in quanto ha assunto “il divenire” nelle sue forme polisemantiche quale dogma indiscutibile. Il divenire palesa la fragilità dell’essere umano esposto alla morte ed al pericolo della nullificazione. La paura di essere “niente”, di venire dal nulla e di ritornarne al nulla comporta il potenziamento della tecnica con la quale si cerca di neutralizzare il pericolo. In tale contesto il fine arretra fino a scomparire per lasciare il posto all’idolatria della tecnica e dei mezzi. Volontà, tecnica e capitalismo sono un corpo unico che si autoalimentano; la volontà di potenza è tecnica che diviene accumulo di capitale e vuole solo se stessa in un crescendo antisociale segnato dal tremendum. La società della paura partorisce mostri. Pertanto lo strumentalismo tecnico è la risposta all’ontologica paura che accompagna la vita umana. La paura in un crescendo senza limiti si trasforma in terrore. La tecnica con il suo potere è la risposta all’accelerazione della storia che liquida il passato senza prospettare il futuro. Si resta, in tal maniera, in un presente sospeso e, dunque, ci si consegna alla tecnica che assume una prospettiva soteriologica. Il regno dell’impotenza rafforza l’uso e l’abuso della tecnica in una spirale muscolare che cela l’impotenza dinanzi al divenire. La grande paura del divenire è da smascherare come “semplice apparenza destinale”, nel cui abbaglio si consolida la spirale di violenza, la filosofia ha il compito di liberare dalla paura, di rispecchiare il disvelamento destinale dell’essere negli essenti:
“Evitare che il fine ostacoli e indebolisca il mezzo significa assumere il mezzo come scopo primario, cioè subordinare ad esso ciò che inizialmente ci si proponeva come scopo. Le grandi forze della tradizione occidentale si illudono dunque di servirsi della tecnica per realizzare i loro scopi: la potenza della tecnica è diventata in effetti, o ha già incominciato a diventare, il loro scopo fondamentale e primario. E tale potenza – che è lo scopo che la tecnica possiede per se stessa, indipendentemente da quelli che le si vorrebbero far assumere dall’esterno – non è qualcosa di statico, ma è indefinito potenziamento, incremento indefinito della capacita di realizzare scopi. Questo infinito incremento è ormai, o ha già incominciato ad essere, il supremo scopo planetario[2]”.
Divenire e principio di non contraddizione La filosofia di Severino è, dunque, la risposta alla grande paura mediante la metafisica dell’essere. Per neutralizzare il “male” nei suoi fondamenti pone in discussione il principio su cui si fonda il divenire: il principio di contraddizione. Esso si nega nel suo porsi, poiché implica e giustifica l’assurda opposizione tra essere e nulla su cui si fonda il divenire. Il principio di non contraddizione, invece, deve indicare l’opposizione della parte con il tutto, o l’opposizione tra gli essenti nel loro apparire. Il divenire dev’essere sostituito con l’apparire e lo scomparire degli essenti, questi ultimi sono eterni: ogni attimo, ogni gesto è eterno, poiché ciò che c’è non può diventare nulla, in quanto è iscritto nell’essere degli essenti la loro eternità. L’iperparmenideo Severino dimostra che l’essente non può diventare nulla, perché è. Se ogni ente è già nell’essere, non può tornare nel nulla. L’essente appare e scompare dall’orizzonte di visibilità della coscienza, ma prima e dopo il suo apparire non era nulla, bensì semplicemente era in un altro apparire. Il concetto di essere ha nel suo grembo, quindi, la negazione del nulla: logicamente ed ontologicamente ciò che è non può che essere eterno (gli eterni):
“L’aporia dell’essere del nulla è risolta col rilevare che il principio di non contraddizione non afferma la non esistenza del significato autocontraddittorio [ossia la contraddizione in cui consiste il significato nulla] ma afferma che «nulla» non significa «essere» […]. Il non essere, che nella formulazione del principio di non contraddizione compare come negazione dell’essere, è appunto il non essere che vale come momento del non essere, inteso come significato autocontraddittorio. [Dunque], certamente il nulla è; ma non nel senso che «nulla» significhi «essere»: in questo senso, il nulla non è, e l’essere è – ed è questo non essere del nulla ed essere dell’essere, che viene affermato dal principio di non contraddizione[3]”.
Il principio di non contraddizione in Aristotele è l’espressione più vera del destino dell’Occidente planetario: è il regno del “niente” e del “nichilismo”, poiché il divenire con il terrore che esso comporta ha colonizzato l’intero pianeta. La tecnica da salvezza utopica è diventata distopia distruttrice che annichilisce e nientifica. Ciò che avrebbe dovuto scongiurare è di conseguenza pienamente realizzato. La globalizzazione della tecnica alleata con l’economicismo ha moltiplicato il terrore con i suoi effetti, la sopravvivenza del pianeta è minacciata, per cui la cura si è mostrata peggiore del male che avrebbe dovuto curare:
“L’Occidente è la civiltà che cresce all’interno dell’orizzonte aperto dal senso che il pensiero greco assegna l’essere-cosa delle cose. Questo senso unifica progressivamente, e ormai interamente la molteplicità sterminata degli eventi che chiamiamo «storia dell’Occidente», e domina ormai su tutta la terra: l’intera storia dell’Oriente è così diventata anch’essa preistoria dell’Occidente. Da tempo i miei scritti indicano il senso occidentale – e ormai planetario – della cosa: la cosa (una cosa, ogni cosa) è, in quanto cosa, niente; il non-niente (un, ogni non-niente) è, in quanto non-niente, niente. La persuasione che l’ente sia niente è il nichilismo. In tal senso abissalmente diverso da quello d Nietzsche e Heidegger, il nichilismo è l’essenza dell’Occidente[4]”.
La paura è il sentimento analizzato da Heidegger in Essere e tempo, in Severino come in Heidegger la paura (Furcht) e l’angoscia (Angst) divengono condizione ontologica ed esistenziale, sono astratti dalla condizione materiale storica con l’effetto di non essere spiegati nella loro genealogia immanente legata ai processi produttivi.
Limiti della metafisica in Severino Severino indica il problema, ma non lo traduce in conflittualità sociale. Addita nella tecnica, similmente ad Heidegger, un destino da trascendere mediante la ridefinizione ineluttabile dei fondamenti della civiltà. L’essere umano è il custode del destino della metafisica, ma si limita a rispecchiare l’apparire dell’essere, a costatare il destinale apparire degli essenti, anziché la propria e la loro nullificazione. Il fondamento veritativo (l’essere degli essenti) è sfuggente ed indefinibile, in quanto Severino esclude che sia Dio, ma non lo configura in senso positivo. Il presunto fondamento si presta ad un prospettivismo interpretativo che ripropone il nulla in modo altro. I grandi passaggi della storia sono segnati dallo svelarsi dell’essere, l’esser umano deve solo “rispecchiare” l’accadere
“Gli eventi improvvisi non hanno radici e quindi scompaiono altrettanto rapidamente di come sono venuti. Ma gli eventi improvvisi, proprio perché tali, sono i più percepibili. Di essi chiunque può dire, e a buon diritto, che “assiste” alla loro comparsa e alla loro scomparsa. I grandi eventi, preparati da lungo tempo e non improvvisi, sono quindi i meno percepibili. Gli spettatori che assistono al loro farsi avanti sono quindi molto pochi. Chi direbbe, guardando il sole nelle prime ore del pomeriggio, che il suo declino ver.so occidente e già incominciato? Ben pochi. ma senz’altro l’astronomo. Lui sì sta “assistendo” all’inizio del tramonto. L’astronomo parla così in relazione auna certa struttura concettuale notevolmente complessa. Anche nel mio libro, a sua volta, si parla di declino del capitalismo in relazione a una certa struttura concettuale notevolmente complessa (che però ed era prevedibile – nulla ha a che vedere con il pensiero di Marx)[5]”.
La metafora astronomica utilizzata da Emanuele Severino non è casuale, ma svela la passività con cui l’essere umano deve attendere ed adeguarsi alla manifestazione dell’essere. L’emancipazione è privata del fondamento umano e storico e proiettata nel destino dell’essere che diviene il vero protagonista della storia. L’essere coniuga essenza ed esistenza nella totalità degli essenti, è nella storia e ne determina gli eventi. La libertà è sostituita da una rassicurante necessità. Si opera una scissione tra teoria e prassi con esiti che favoriscono il consolidamento dell’economicismo scientista. Il pericolo dell’astratto è insito nel rifiuto di analizzare le responsabilità politiche, sociali e materiali della condizione attuale. La filosofia di Severino è per tutti e per nessuno, non vi è un soggetto materiale e concreto a cui si rivolge, pertanto la prassi è sostituita dal destino. Il capitalismo cadrà a causa del potenziamento automatico della potenza tecnica, la quale dissolverà la scarsità che spinge alla produzione. Le macchine, nel loro vorticoso affinamento tecnico, produrranno un’infinita quantità di merci che risolveranno la scarsità. Le responsabilità umane si obliano dietro le ferree leggi sovraumane, si proietta nell’alto dei cieli il positivismo tecnocratico che si critica in terra: il determinismo regna sovrano. Non sono indicati i soggetti che dovrebbero operare per trasformare il divenire in apparire. Pertanto ricade in una forma di impotenza teoretica senza prassi e progetto. Il logos in Severino deve appurare l’apparire e lo scomparire degli essenti. Cade la sua funzione principale, ovvero la capacità di misurare e di porre fini oggettivi. L’emancipazione consiste nel liberarsi del Dio tradizionale che stabilisce l’essere e il nulla degli essenti, mentre per Severino tutti gli esenti sono eterni, non vi è un essente privilegiato in cui essenza ed esistenza coincidono:
“Ogni ente è eterno. Quindi è eterno anche quell’ente che è lo stesso accadere dell’ente […]. L’ente che accade […] e il suo accadimento è un eterno; quindi è necessario che l’ente accada. Nemmeno la sintesi tra l’ente che accade e il suo accadere può non essere (ossia esser niente)[6]”.
Si potrebbe intravedere nell’eternità di tutti gli essenti un principio di uguaglianza da tradurre in equa distribuzione dei beni materiali ed immateriali e superamento delle logiche padronali con il ritrarsi del Dio signore e padrone, ma Severino non conduce il suo sistema metafisico verso la prassi. La filosofia e la politica, la teoria e la prassi sono rescisse, si ricade nella filosofia dell’impotenza, in un “nichilismo onto-metafisico”.
Filosofia e prassi Riportare la Filosofia alla sua verità significa sottrarsi alla frammentazione specialistica per ridisporsi verso la verità:
“la filosofia da città è diventata radura, e le vie che la collegano alle circostanti regioni sono ormai autostrade[7]”.
La filosofia, prima che si disperdesse in innumerevoli specializzazioni, era attività politica. Non è un caso che nel testo riportato Severino la paragoni ad una città; essa ha avuto origine nella polis, dove la parola dialogante fondava la politica sull’universale condiviso, sulla verità che, in tal modo, fondava la politica comunitaria in un orizzonte di senso mediante il “katà métron”. Severino rifiuta la tradizione metafisica greca e cristiana, in quanto si fondano sul principio di non contraddizione e nel divenire, e di fatto recide il legame con la tradizione filosofica. La teoretica di Severino resta in una condizione di indeterminatezza che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico e dunque rischia un asfittico isolamento intellettuale indebolendone, come rileva Luca Grecchi, il piano ontologico:
“L’assenza di una precisa statuizione del fondamento ha condotto anche il pensiero di Severino ad una certa indeterminatezza, nonché all’assenza di un conseguente piano assiologico. Il nostro autore ha infatti dichiarato false tutte le strutture morali derivate dalla grande metafisica greca e cristiana, poiché la stessa metafisica è da lui considerata falsa, «identificando l’essere al niente». Il piano assiologico – umanistico e pertanto non vero – è dunque escluso dall’analisi di Severino[8].
Non resta che filtrare dal pensatore de LaStruttura originaria (1958) gli elementi di inquietudine concettuale che possono esserci di ausilio per decodificare il presente. Severino ripone al centro la totalità e l’arte di porre domande profonde senza le quali non vi è futuro e non vi è passato, per cui le domande che si levano devono essere accolte. E, come avviene nella storia della filosofia, ci invitano ad altre risposte e soluzioni. Ma senza l’incipit della domanda nulla può iniziare. I percorsi per uscire dal “sentiero della notte” sono plurali. Per poter avviare l’esodo nessuna domanda e nessun ipotetico percorso dev’essere respinto, ma vagliato con il logos, ogni respingimento preconcetto ci riporta nel “sentiero della notte”.
Salvatore Bravo
[1] Emanuele Severino (Brescia, 26 febbraio 1929 – Brescia, 17 gennaio 2020).
[2] Emanuele Severino, Il destino della tecnica, Rizzoli, Milano 2009, pp. 8-9.
[3] Severino, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, p. 215.
[4] Emanuele Severino, ἀλήθεια in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 415.
[5] Antonio Sabatucci, Emanuele Severino: la morte del capitalismo, p. 16
[6] Emanuele Severino, Destino della necessità, Adelphi, Milano 1980, p. 97.
[7] Emanuele Severino, La filosofia contemporanea, Milano 1986, p. 5.
[8] Luca Grecchi, Nel pensiero di Emanuele Severino, Petite Plaisance, Pistoia 2005, p. 88
Luca Grecchi, Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino.
ISBN 978-88-7588-092-7, 2005, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [4]. In copertina: Auguste Rodin, La Pensée. 1886, marmo, h. cm. 74. Musée d’Orsay.
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«[…] l’istanza del pensiero calcolante […] organizza il mondo ai fini dell’autoconservazione e non conosce altra funzione che non sia quella della preparazione dell’oggetto, da mero contenuto sensibile, a materiale di sfruttamento. La vera ragione […] si rivela da ultimo, nella scienza odierna, come l’interesse della società industriale. L’essere è visto sotto l’aspetto della manipolazione e dell’amministrazione. Tutto diventa processo ripetibile e sostituibile, semplice esempio di moduli concettuali del sistema: anche il singolo uomo […].
Kant ha anticipato intuitivamente ciò che è stato realizzato consapevolmente solo da Hollywood: le immagini sono censurate in anticipo, nell’atto stesso della loro produzione, secondo i moduli dell’intelletto conforme al quale dovranno essere contemplate» (pp. 92-93).
«L’industria culturale assolutizza l’imitazione. Ridotta a puro stile, ne tradisce il segreto, l’obbedienza alla gerarchia sociale. […] Parlare di cultura è sempre stato contro la cultura. Il denominatore comune “cultura“ contiene già virtualmente la presa di possesso, l’incasellamento, la classificazione, che assume la cultura nel regno dell’amministrazione. Solo la sussunzione industrializzata, radicale e conseguente, è pienamente adeguata a questo concetto di cultura» (p. 141).
«L’arte seria si è negata a coloro cui il bisogno e la pressione dell’esistenza rendono la serietà una beffa, e che sono, di necessità, contenti quando possono trascorrere passivamente il tempo […]. Ma il nuovo è che gli elementi inconciliabili della cultura, arte e svago, vengano ridotti, attraverso la loro sottomissione allo scopo, a un solo falso denominatore: la totalità dell’industria culturale. Essa consiste nella ripetizione» (p. 146).
«Il preteso contenuto è solo una pallida facciata; ciò che si imprime è la successione automatica di operazioni regolate. […] lo spettatore non deve lavorare di testa propria: il prodotto prescrive ogni reazione: non per il suo contesto oggettivo – che si squaglia appena si rivolge alla facoltà pensante –, ma attraverso segnali. Ogni connessione logica, che richieda fiato intellettuale, viene scrupolosamente evitata. […] L’idea stessa viene, come gli oggetti del comico e dell’orribile, lacerata e fatta a pezzi» (p. 148).
«L’odierna fusione di cultura e svago non si compie solo come depravazione della cultura, ma anche come spiritualizzazione forzata dello svago» (p. 155).
«L’industria culturale è interessata agli uomini solo come ai propri clienti e impiegati, e ha effettivamente ridotto l’umanità nel suo insieme, come ognuno dei suoi elementi, a questa formula esauriente» (p. 158).
«Nell’industria culturale l’individuo è illusorio non solo per la standardizzazione delle sue tecniche produttive. Esso è tollerato solo in quanto la sua identità senza riserve con l’universale è fuori di ogni dubbio […]. La pseudoindividualità è la premessa del controllo e della neutralizzazione del tragico […] L’industria culturale può fare quello che vuole dell’individualità solo perché in essa, da sempre, si è riprodotta l’intima frattura della società» (pp. 166-167).
«Il modo in cui una ragazza accetta e assolve il suo date obbligatorio, il tono della voce al telefono e nella situazione più familiare, la scelta delle parole nella conversazione, e l’intera vita intima, ordinata secondo i concetti della psicoanalisi volgarizzata, documenta il tentativo di fare di sé l’apparecchio adatto al successo, conforme, fin nei moti istintivi, al modello offerto dall’industria culturale. Le reazioni più intime degli uomini sono così perfettamente reificate ai loro stessi occhi che l’idea di ciò che è loro specifico e peculiare sopravvive solo nella forma più astratta: personality non significa – per loro – praticamente più altro che denti bianchi e libertà dal sudore e dalle emozioni. È il trionfo della réclame nell’industria culturale, l’imitazione coatta, da parte dei consumatori, delle merci culturali pur scrutate nel loro significato» (p. 180).
Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1971.
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