«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Nell’indugio spesso il tempo frapposto distoglie la mente dall’intenzione: il che a cosa fatta non è più possibile, nell’indugio invece può accadere» (frg. 58, Diels).
«Ci son di quelli che non vivono la vita presente, ma si preparano con molto zelo come se dovessero vivere non il presente, ma una qualche altra vita; e intanto il tempo si perde e fugge via» (fr. DK 87 B 53 a).
Citato in I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di Gabriele Giannantoni, traduzione di G. Giannantoni et al, Laterza, 1983
Il problema del vivere e dell’agire umano oggi, nonché il problema delle grandi azioni collettive, sono inscindibilmente e solidarmente problemi teoretici e pratici ad un tempo. Soltanto dalla loro giusta soluzione si può ricevere la linfa vitale ed animatrice di cui abbisognano la buona vita e le buone azioni umane, o almeno il canale indispensabile per tale linfa.
Tommaso Demaria è stato un comunitarista cattolico. Il pensiero metafisico, e come tale antinichilistico, è osteggiato in ogni sua forma filosofica. L’ostracismo di cui sono oggetto gli autori la cui ricerca è spesa nella rifondazione della metafisica, svela la verità del capitalismo ed il suo nichilismo ideologico e dogmatico. L’ostilità bellicosa contro la metafisica è assoluta. Per il capitalismo si tratta di un nemico e, pertanto, non vi sono espressioni metafisiche maggiormente tollerate rispetto ad altre: ogni fondazione veritativa è osteggiata in quanto antitetica al relativismo del capitalismo. La metafisica fonda la verità, delimita dei confini concettuali per discernere il bene dal male. Il capitalismo ha la sua verità nel nichilismo, e nella dismisura, pertanto non può tollerare limiti e confini, perché dove vi è verità necessariamente l’essere umano riconosce razionalmente, o in modo intuitivo, la presenza di confini e con essi la possibilità di progetti alternativi. La censura cade come una mannaia ideologica sui pensatori metafisici, formalmente tollerati, nei fatti sospinti al silenzio. L’ostilità mediatica contro la metafisica comporta l’inevitabile marginalità culturale. La verità è la prima vittima della struttura economica del capitalismo che, per proliferare, necessita dell’assenza di ogni fondamento veritativo, divorando ogni confine, attaccando ogni limite geografico ed etico pur di sopravvivere. Il capitalismo assoluto non conosce altra legge che il profitto «è il dito di dio (il mercato) della contemporaneità». Non vi è più civiltà, in tal modo, ma solo mercato. Il capitale non è “fenomeno esterno”, ma interno: governa la mente dei popoli. Riconoscerlo significa identificare la sua presenza nel modo di pensare, nel linguaggio, nell’agire di ciascuno. Emanciparsi dal nichilismo capitalistico significa confrontarsi con se stessi, riconoscerne la presenza. Senza tale attività interiore ogni progetto è inutile, ogni resistenza mostra la propria incoerenza. Nulla è più osteggiato dei concetti come “bene”, “universale”, “vincoli etici”. Al loro posto vi è il termine “giustizia” utilizzato in modo ideologico. Si tratta di giustizia senza “bene”, e pertanto limitata alla meritocrazia conseguente la competizione. Giustizia astratta e formale, priva di concretezza e fondamento ontologico. La giustizia senza fondamento è semplicemente ridotta ad una formale distribuzione dei beni secondo “l’ordine del merito” coniugato allo sviluppo intensivo dell’economia. In tal modo si procede ad instaurare un’organizzazione sociale senza progetto. Il “bene” non solo comunica significato teoretico alla giustizia, ma stabilisce gerarchie assiologiche. Senza il “bene” non vi può essere vita buona, non vi è comunità e specialmente non vi è storia. La giustizia formale dei diritti individuali non intacca le contraddizioni, ma le consolida, le naturalizza e riduce la vita ad «ente statico», a solo corpo senza storia.
L’ente statico L’essere umano è dominato da un sistema organizzativo che nega la progettualità e riduce la vita di ciascuno a “semplice cranio” senza relazione. L’ente statico è l’essere umano ridotto a sola natura, e dunque astratto dalla storia. Il capitalismo assoluto destoricizza per potersi naturalizzare ed eternizzare. Gli esseri umani sono indotti ad autorappresentarsi come “pura biologia” senza storia vissuta, in tal modo il regno del capitale governa sovrano. il soggetto si ripiega su se stesso e non vi è storia in un mondo di soli corpi:
«L’ente statico quindi viene così chiamato, non per altro che per questo: perché appunto, per creazione divina o per produzione e generazione naturale, vien posto all’esistenza come ente già bell’e fatto. Ciò non impedisce che l’ente statico esistenzialmente appaia come un ente magari attivissimo e con una fenomenologia in continuo movimento anche come crescita, dando luogo ad una apparente contraddizione in termini: quella precisamente di un ente statico che agisce, si muove e forse cresce. Ma bisogna tener conto del significato tecnico della parola, superandone il significato volgare ed empirico corrente, che per quanto tale non ha diritto al monopolio lessicale. E nel significato tecnico da noi stabilito, per una ragione metafisica che andrà man mano chiarendosi, lo statico, ripetiamo, non nega affatto né l’attivismo né il movimento. Nega soltanto l’ente in costruzione, affermando che l’ente statico è già bell’e fatto fin dalprimo istante della sua esistenza. L’ente statico così inteso viene a coincidere con l’ente di primo grado, sì che i due diventino sinonimi. Ambedue infatti corrispondono e qualificano l’ente in natura rerum, sia pure con sfumature diverse. L’ente statico qualifica l’ente in natura rerum come essere (e conseguentemente anche – lo vedremo fra breve – come essenza); l’ente di primo grado invece lo qualifica geneticamente, nel senso che lo pone come ente “primogenito” rispetto all’ente di secondo grado, che metafisicamente è sempre un “secondogenito”. Ciò posto, sarà facile controllare la verità dell’ente statico come da noi concepito, guardando alla natura rerum. Qualsiasi pianta od animale sarà ente statico non perché fisicamente o fenomenicamente sia immobile, ma semplicemente perché, fin dal primo istante della propria esistenza, piante ed animali sono già quel dato essere completo, bell’e fatto. Un bambino, un gatto, un cane, una pianta qualsiasi, nascono già possedendo il loro essere, specificamente completo e inconfondibile. Nascono col loro essere già bell’e fatto. In una parola, metafisicamente sono enti statici, nonostante l’attivismo e la molteplice fenomenologia in movimento che li accompagna».[1]
L’ente statico vive fuori della storia, è astratto, sradicato dalla comunità, la quale non è luogo neutro, ma è radicamento nel linguaggio, nella tradizione storico-filosofica e specialmente nella responsabilità. Entrare nella storia significa schierarsi, situarsi in una posizione ideologica e progettuale. L’ente statico, in quanto passivo dinanzi agli eventi storici, inevitabilmente diviene il suddito fedele dei falsi assoluti che appaiono e scompaiono dal suo orizzonte vitale. Ogni ideologia che riduce l’essere umano ad “ente statico”, ne lede la verità che lo sostanzia. L’essere umano, cioè, è un ente che non può essere limitato al semplice corpo: diventa umano entrando nella storia e radicandosi responsabilmente in un progetto comune.
L’ente dinamico L’ente dinamico, dunque, è l’essere umano che completa se stesso e la sua natura (ente statico) entrando nella storia, dove incontra la comunità viva. L’ente statico assume valore solo se integrato nell’entedinamico. Il corpo vissuto partecipa alla costruzione della storia, diventa concreto integrandosi con l’ente statico; diviene, così, veicolo di relazioni e storia, altrimenti è solo «nuda vita»:
«Ne segue un completamento del panorama dell’essere e dello sviluppo della sua relativa metafisica. E ciò, fin dall’inizio dell’Ontologia, senza discontinuità e senza disorientamenti, senza contraddizioni o rinnegamenti, poiché si tratta di un puro adeguarsi realistico al significato e al quadro effettivo dell’essere, che è insieme ente statico ed ente dinamico. Ed è tale, ci sia lecito ripeterlo ancora una volta, non a titolo di una qualsiasi estrosità soggettiva, ma per suggerimento del dato di esperienza, e per una imprescindibile esigenza della cultura e della vita di oggi, sulla linea dell’integrazione teoretica e della indispensabile apertura pratica dello stesso sistema realistico. Si tratta infatti, sul piano pratico, in continuità e in sintonia con un rinnovamento cristiano del mondo che rimane l’unica vera rivoluzione, di adeguarsi alla più grande rivoluzione storica in atto, che è quella del passaggio dall’homo faber (semplice artigiano) alla umanità costruttiva della nostra civiltà industriale. Ciò che esige, sul piano teoretico, l’integrazione dinamica dello statico, a cominciare da quella integrazione radicale, l’unica veramente decisiva, che consiste nella integrazione ontologica. Integrazione dinamica dello statico, diciamo; e non rifiuto di esso. Il dinamico non è rifiuto dello statico. Al contrario, ne è una postulazione e rivalorizzazione. L’ente di secondo grado non può né esistere né avere un senso, senza l’ente di primo grado e la sua indispensabile premessa metafisica. L’autentico rapporto tra statico e dinamico, quindi, sia detto una volta per sempre, rimane quello della reciproca postulazione, solidarietà ed integrazione, sia teoretica che pratica. Il che si rifletterà necessariamente anche sulla tradizione, che nella dialettica dell’ente dinamico, non solo non può venir rifiutata, ma deve essere accolta rianimata, decisamente rivalorizzata, e dinamicamente rilanciata. La tradizione non è l’essere, ma interpretazione dell’essere. Il suo rilancio implica quindi il passaggio dall’ente statico all’ente dinamico. Senza tale passaggio muore la tradizione, e si blocca la costruzione».[2]
Dinontorganico Tommaso Demaria utilizza il termine dinontorganico (Dinamico, ontologico, organico): significa che la Realtà Storica è costruita dal libero agire degli uomini. L’essere umano è concreto, perché si umanizza nella storia, nella quale realizza la sua verità profonda: è parte di un tutto, per cui il suo agire storico è comunitario, e si storicizza in istituzioni, comunità e modelli economici nei quali realizza “creativamente” la sua essenza di essere concreto e libero. La verità, in questo modo, fonda la giustizia.
Tommaso Demaria, come di molti studiosi metafisici (Costanzo Preve,[3] Massimo Bontempelli[4]), ha testimoniato con coerenza la necessità di una rifondazione metafisica e comunitaria del pensiero senza la quale l’essere umano è solo quantità, e dunque oggetto di “cattivi infiniti”. Il filosofo deve entrare nella storia per vivere e pensare i problemi che essa pone, deve dimostrare “concretezza”, altrimenti è solo servo del potere e tradisce la sua vocazione politica ed etica:
«La realtà storica è una realtà viva, impegnata nell’azione e impregnata di azione, che addirittura si risolve in una costruzione del mondo. Niente di meno invitante ad una speculazione metafisica pura, inerte, sganciata dalla pratica, per non dire evasione, talvolta, da ogni impegno e funzionalità pratica. A costo di ripeterci, diciamo ancora una volta che ci interessiamo della metafisica della realtà storica non già per una tendenza alla contemplazione pura o per un istinto di evasione dalla pratica, tacitando se mai la propria coscienza di fronte al dovere operativo, col pensiero che ogni idea si riflette, sia pur mediatamente e remotamente, nell’azione. Il motivo del nostro interesse, e del nostro passaggio dalla realtà storica alla sua metafisica anziché ad un impegno pratico immediato, è proprio l’opposto: è indettato dalle esigenze del problema operativo, e nient’altro. Il motivo del nostro interesse nasce dalla convinzione che il problema del vivere e dell’agire umano oggi, nonché il problema delle grandi azioni collettive, tanto sul piano naturale che soprannaturale, sono inscindibilmente e solidarmente problemi teoretici e pratici ad un tempo. Essi affondano le loro radici appunto nel problema metafisico della realtà storica. E soltanto dalla giusta soluzione di questo possono ricevere la linfa vitale ed animatrice di cui abbisognano, o almeno il canale indispensabile per tale linfa».[5]
Il comunitarismo cattolico di Demaria ha molti punti di contatti con i comunitaristi italiani e con gli studiosi che silenziosamente ricercano per fondare una nuova metafisica (Luca Grecchi, con la sua metafisica umanistica,[6] ne è un esempio) pone problemi che non possono essere elusi, perché sono l’urgenza della contemporaneità.
Salvatore Bravo
***
[1] Tommaso Demaria, Ontologia realistico-dinamica, vol. I, Ed. “Costruire”, Bologna 1975, p. 45.
[3] Cfr. Costanzo Preve, Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli 2006; Costanzo Preve, Lettera sull’umanesimo, Petite Plaisance, Pistoia 2012. Cfr. anche: Salvatore Bravo, L’albero filosofico del Ténéré. Esodo dal nichilismo ed emancipazione in Costanzo Preve. Dalla metafora del deserto (Nietzsche-Arendt) al fondamento veritativo in Costanzo Preve, Petite Plaisance, Pistoia 2019.
[4] Cfr. Salvatore Bravo, L’umanesimo integrale di Massimo Bontempelli, Petite Plaisance, Pistoia 2020.
[5] Tommaso Demaria, Ontologia realistico-dinamica, op. cit., pp. 19-20.
[6] Luca Grecchi, Compendio di metafisica umanistica, Petite Plaisance, Pistoia 2018.
«Ma la compassione che nasce nell’animo nostro alla vista di uno che soffre è un miracolo della natura che in quel punto ci fa provare un sentimento affatto indipendente dal nostro vantaggio o piacere, e tutto relativo agli altri, senza nessuna mescolanza di noi medesimi. E perciò appunto gli uomini compassionevoli sono sì rari, e la pietà è posta, massimamente in questi tempi, fra le qualità le più riguardevoli e distintive dell’uomo sensibile e virtuoso».
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 108, aprile 1820, in Id., Zibaldone, ed. critica a cura di Giuseppe Pacella, Garzanti, Milano 1991, 3 voll.
«Marx ha determinato ciò che deve verificarsi nell’economia, il necessario cambiamento economico-istituzionale, ma non ha ancora assegnato l’auspicabile autonomia all’uomo nuovo, allo slancio, alla forza dell’amore e della luce, ossia al momento morale in sé, nell’ordinamento sociale definitivo. […] L’economia è stata eliminata, eppure mancano l’anima e la fede, a cui si doveva far posto; lo sguardo attivo e intelligente ha distrutto ogni cosa, molte volte certo con ragione […]. È stato sconfessato a ragione anche il socialismo troppo arcadico e astrattamente utopico ricomparso dal tempo del Rinascimento come forma secolarizzata del regno millenario […]. Ma di tutto ciò non si è compresa l’implicita tendenza utopica, né si è colta e giudicata la sostanza delle sue immagini prodigiose, né tantomeno si è soppresso l’originario desiderio religioso che in ogni movimento e in ogni meta della trasformazione del mondo voleva creare uno spazio alla vita per essenzializzarsi in modo divino e infine stabilirsi chiliasticamente in bontà, libertà e luce del telos».
Ernst Bloch, Spirito dell’utopia , trad. it. di V. Bertolino, F. Coppellotti, Sansoni, Milano 2004, pp. 323-325.
«Ogni progetto e ogni creazione che siano stati spinti ai limiti della loro perfezione hanno sfiorato l’utopia e […] proprio alle grandi opere culturali, che seguitano sempre ad agire in senso progressivo, hanno dato un’eccedenza al di là della loro mera ideologia di valore locale, e con ciò niente di meno che il sostrato dell’eredità culturale».
Ernst Bloch, Il principio speranza , trad. it. di E. De Angelis, T. Cavallo, Garzanti, Milano 2005, pp. 184-185.
«L’utopia è una forza di anticipazione», ovvero l’elemento più dinamico e attivo della «coscienza anticipante», che per Bloch costituisce l’anima profonda della speranza. «La funzione utopica strappa le questioni della cultura umana alla comoda poltrona di mera contemplazione; in tal modo, su vette effettivamente conquistate, essa apre la vista ideologicamente non deformata sul contenuto umano della speranza» (Ivi, p. 186).
«Tutti gli ideali sono varianti del contenuto fondamentale, il sommo bene» (Ivi, p. 204).
« […] emerge dunque una costruzione di desiderio, una costruzione razionale, priva ormai di qualunque certezza della speranza chiliastica, ma tale da pensarsi in compenso come realizzabile con le proprie forze, senza appoggi o interventi trascendenti. L’Utopia è sempre più progettata nel non-divenuto della terra, nella tendenza umana alla libertà – come un minimum di lavoro e di stato, come un maximum di gioia» (Ivi, p. 599).
I testi qui raccolti ripercorrono due seminari residenziali in cui confluivano studi di filosofia antica e un’insolita composizione di temi: il rapporto tra greco e non greco, e le peripezie del pensiero tra il Mediterraneo degli Elleni, il Levante, l’Egitto, in onde migratorie che saranno costitutive dell’Europa; il rapporto tra filosofia e vita, soprattutto la vita sofferente, quale è variamente ma senza eccezioni la vita mortale, esposta e vulnerabile a ogni rovescio; il rapporto tra l’esercizio della ragione e ciò che la eccede, si chiami natura, dio, intelletto o in altro modo; al limite, il rapporto tra theoria e praxis. Volgersi al passato in una modalità interrogativa significa soprattutto ricalibrare la nostra domanda su noi stessi, chiederci come siamo diventati quello che siamo, attraverso quali vicende, ma anche e soprattutto attraverso quali dimenticanze, quali sparizioni, quali discontinuità e ricadute nella latenza. Vale a dire: come siamo giunti qui dove ci troviamo, per quali percorsi consapevoli, ma anche inconsci e bui – giacché il passato (tanto individuale quanto collettivo) è saturo di ciò che, di esso, non è stato ancora mai visto e deve ancora accadere.
Indice
Introduzione. Teoresi delle farfalle
Primo incontro: seminario d’autunno Heidegger: la fine e l’inizio Esercitare la vita
Secondo incontro: laboratorio di primavera Aristotele, i poeti, Eros rilucente Aristotele, gli antichi, gli dèi Spazio, tempo, contraddizione
Immagini sulla soglia di Platone L’albero Il fuoco Il rasoio e i cavalli
Il guerriero e la morte Compito del guerriero Il mito del guerriero
L’universalismo moderno sorge nell’astrazione, nella separazione dai fenomeni eterogenei e irregolari, nella lontananza che uniforma. Per l’esperienza antica, invece, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte che contempla i singoli fenomeni cogliendone a un tempo le differenze irriducibili e i nessi, la tessitura complessiva
« […] la concezione antica dell’anthropos mostra che non c’è contraddizione, né incompatibilità, tra il mio interesse e quello degli altri […]. Per l’umano così inteso, l’amicizia è il fondamento di ogni registro e variazione relazionale. È il luogo in cui il singolo si realizza e in cui può darsi la solidarietà che rende l’insieme coeso. Ed è qui, in questa esperienza concreta, vissuta, singolare, che si radica lo sviluppo universale. L’universalità non è una invenzione cristiano-moderna; gli antichi conoscono bene la prospettiva “secondo il tutto“, ma pervengono ad essa per una via completamente differente. L’universalismo moderno sorge nell’astrazione, ovvero nella separazione dai fenomeni eterogenei e irregolari, nella lontananza che uniforma. Per l’esperienza antica, invece, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte, ovvero in uno sguardo che, divenuto più capiente, contempla i singoli fenomeni cogliendone a un tempo le differenze irriducibili e i nessi, la tessitura complessiva. Così intesa, l’universalità si articola su uno sfondo esperienziale, mantiene il contatto con la concretezza dei vissuti, sempre differenti e cangianti, eppure anche visti nell’insieme. È così che diventa possibile comprendere la relazione, l’essere in comunione e comunanza non come insidia o camicia di forza per il singolo, ma come risorsa. […] L’amicizia pensata more graeco […] suggerisce che stare insieme non è un caso da sopportare malvolentieri, per contratto, con rassegnazione, ma un piacere, e una possibilità di realizzazione. E soprattutto: più che un limite alla mia libertà di individuo, l’altro, gli altri, il “noi” sono ciò che rende possibile il mio essere, sono costitutivi del mio essere quello (quella) che sono, proprio l’individuo singolare che io sono.» (pp. 17).
«Noi abitanti della modernità tarda siamo a malapena in grado di intendere quello che dicono gli antichi: per loro essere buoni significa essere felici, sentirsi dischiudere nella vastità della vita, ricercandone l’inveramento» (p. 57).
Noi moderni della tarda ora siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, eampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete «Noi moderni della tarda ora, venendo dopo Kant, abbiamo creduto di poterci emancipare dal bene-dovere rovesciandolo, appunto, in parodia. […] Resta molto arduo, per noi, intendere del bene altri risvolti, altre configurazioni possibili. E per questo, nella nostra epoca tarda, termini o espressioni come “bene comune”, “cittadinanza”, “comunità”, rischiano di perdere il senso concreto e la prossimità viva. Non riconoscendo il bene come realizzazione di sé in seno a un noi, crediamo di trovare libertà e felicità in comportamenti puramente arbitrari e sconnessi. Oppure siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, e tramite “la macchina” comunichiamo globalmente, ormai ampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete. Ma, così intesa, la connettività è contraffazione della comunità degli amici, così come la “realtà aumentata” è contraffazione della pienezza della vita» (p. 58).
Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. «Preso da una indominabile visione di felicità, il filosofo intravede una possibilità, indovina un riverbero di ciò che l’umano può e può essere. Tale esperienza di rapimento (un’esperienza travolgente, potenzialmente devastante nei confronti delle costruzioni umane) agisce come un promemoria inesorabile dell’irriducibilità dell’umano alle sue stesse istituzioni. Rammenta all’essere umano ciò che, in lui, supera la dimensione umana, indicandogli quello che può diventare. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Nell’esperienza filosofica è al contempo ricordato e annunciato l’essere umano a venire.
Il filosofo è una figura inaugurale che ritiene le tracce del lascito ma insieme lascia presagire un’umanità nuova Così, dunque, nell’inflessione filosofica l’eroe diventa qualcosa di radicalmente altro: una figura inaugurale, che ritiene le tracce del lascito ma insieme lascia presagire un’umanità nuova; un guerriero disarmato, privo di nome e reputazione, per il quale la lotta e il combattimento si svolgono lontani dal campo di battaglia, dalle competizioni, dagli onori e dalle benemerenze. […] La visione socratica di un altro mondo, in cui “uomini e donne” possano confrontarsi e crescere insieme evoca la comunità degli amici come comunità di dialogo e ricerca. È notevole che Socrate vi includa esplicitamente le donne. In Platone e nella tradizione pitagorica questo gesto è frequente e, allo stesso tempo, in netta controtendenza rispetto agli usi della polis. E, dovremmo dire, non soltanto in contrasto con la Atene del V e IV secolo, se è vero che nel discorso filosofico stesso finirà presto col prevalere la celebrazione dell’amicizia come relazione esclusiva tra uomini» ( p.107).
L’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto
«La visione aperta dell’essere umano e della sua potenzialità (dynamis), di ciò che può fare, essere e divenire, rende possibile non solo intravedere una comunità fin qui inimmaginabile, ma anche considerarla in quanto tale non impossibile. L’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto» (p. 145).
***
Risvolto di copertina
«L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto». Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.
L’architettura dell’umano Aristotele e l’etica come filosofia prima
Vita e Pensiero, 2014
Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.
In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.
Montagna theologica, caverna cosmica o cielo della controriforma, la Cupola di Santa Maria del Fiore ha sempre rappresentato un grandioso programma idealedidattico per l’architettura. Possiamo trascriverlo in un’equazione: l’educazione sta all’ideale come l’architettura sta all’attuale. Un’espressione a quattro incognite vincolate tra loro. Tra queste quella dell’ideale è la meno chiara per le scienze e la più oscura per le coscienze. Comunque, nella cultura del nostro tempo, l’educazione è ridotta ad accumulazione di regole, l’ideale al funzionale, l’architettura a pratica socionormativa, l’attualità a cronologia. In altre parole l’ideale ci richiede sempre un enorme sforzo critico rispetto a tutti i saperi. Esso ci costringe a ripercorrere la biforcazione secolare impressa dalla cultura tecnico-scientifica all’idea di “reale”: quella tra trascendenza e immanenza.
Lettera di Kant a Marcus Herz (Inizi di Aprile 1778)
Mio prezioso amico, amico scelto, lettere come quelle che ricevo da te mi trasportano in uno stato emotivo che ingentilisce la mia vita, esattamente come vorrei che la vita ne fosse ingentilita, quasi fosse una sorta di assaggio di un’altra vita. Questo avverto nel momento in cui, se le mie speranze non sono vane, intravedo nella tua anima onesta e grata una prova rincuorante che l’obiettivo dominante della mia vita accademica, che ho sempre presente nella mia mente, non è stato perseguito invano: parlo dell’obiettivo di diffondere disposizioni d’animo buone, basate su princìpi solidi, e di salvaguardare queste disposizioni assicurandole fermamente nelle anime ricettive, indirizzando gli altri a coltivare i propri talenti solo in direzioni utili. Tuttavia, questo mio piacere si tinge di una certa nota di malinconia, se considero che davanti a me si aprirebbe un’arena molto più vasta in cui promuovere questo obiettivo, ma che d’altra parte ne sono escluso per la limitata vitalità che mi caratterizza. Sai che non mi entusiasma particolarmente il pensiero di far profitti o di ricevere applausi su un grande palcoscenico. Piuttosto, una situazione tranquilla, che soddisfi la mia necessità di una dieta variabile di lavoro, riflessione e rapporti con gli altri, una situazione in cui il mio spirito, ipersensibile ma per altri versi leggero, e il mio corpo, precario ma mai tutto sommato malato, possano tenersi in esercizio senza eccessivo sforzo… è questo tutto ciò che ho desiderato e che sono riuscito ad ottenere. Tutti i mutamenti mi spaventano, anche quelli che prospetterebbero un miglioramento significativo delle mie condizioni. E penso di dover obbedire a questo istinto della mia natura, se voglio dipanare il filato tenue e delicato che il Fato ha intessuto per me. I miei ringraziamenti più sentiti, quindi, vanno ai miei amici e sostenitori che nutrono di me un’opinione così generosa, e si dedicano al mio benessere. Al contempo, però, chiedo sinceramente che dirigano questo genere di disposizione d’animo a proteggermi e sostenermi nella situazione che vivo adesso, in cui (finora) ho avuto la fortuna di vivere senza notevoli apprensioni. Ti sono grato, quindi, della tua prescrizione di medicinali nel caso di un’eventuale emergenza, carissimo amico, ma includendo essa dei lassativi, che in genere influiscono pesantemente sulla mia costituzione e comportano inevitabilmente una costipazione intensa, e considerata la regolarità del mio corpo ogni mattino, penso di essere in una saluta buona, pur fragile (buona a mio modo, perlomeno, non avendo mai esperito una salute migliore dell’attuale), e quindi ho deciso di lasciare interamente la questione alla natura, intervenendo con i rimedi artificiali laddove questa desistesse. La notizia secondo cui alcune pagine del libro su cui sto lavorando siano state già date alle stampe è prematura. Non desidero obbligarmi a sforzi per pubblicare in fretta (intenderei continuare i miei lavori su questa terra ancora per un po’), e lascio che altri progetti interrompano il mio lavoro sul libro. Esso prosegue, comunque, e penso di portarlo a compimento l’estate ventura. Mi auguro che tu riconosca, dalla natura e l’ambizione del progetto, che ci sono buoni motivi per cui un libro di questo genere, pur non straordinario per numero di pagine, mi abbia assorbito così tanto. Tetens, nel suo diffuso trattato sulla natura umana, ha scritto osservazioni penetranti, ma indubbiamente il testo dà l’impressione di essere stato edito direttamente dopo la stesura, senza correzioni. Introducendo il suo lungo saggio sulla libertà nel secondo volume, deve aver sperato di districarsi da un labirinto del genere inseguendo schizzi di idee abbozzati in tutta fretta da lui stesso, almeno così mi parrebbe. Dopo aver esaurito se stesso e il lettore, ha lasciato la questione esattamente al punto di partenza, suggerendo al lettore di farsi scortare dai propri sentimenti. Se la mia salute non vorrà peggiorare, penso proprio che sarò in grado di presentare il mio promesso libricino ai lettori la prossima estate. Mentre ti scrivo, ricevo un’altra amabile lettera, da Sua Eccellenza, il Ministro von Zedlitz, che mi ribadisce la sua offerta di un posto a Halle. Devo rifiutare, per le ragioni che ti ho già descritto. Siccome ho il dovere di rispondere immediatamente a Breitkopf a Lipsia, che mi chiedeva di rielaborare il mio saggio sulle razze del genere umano in maniera più approfondita, devo attendere il prossimo passaggio del postiglione per inviarti la presente lettera. Ti prego di salutare il Sig. Mendelssohn per me, riferendogli la mia speranza che la sua salute migliori, e il mio augurio di raccogliere il frutto del suo cuore naturalmente allegro e del suo spirito sempre fertile. Mantieni il tuo affetto e la tua amicizia nei miei confronti.
Il tuo servo sempre devoto e fedele, I. Kant
Il dono della parola
Questa lettera di Kant mi è stata donata da un amico traduttore, Angelo Magliocco. Ne cito il nome, poiché il suo lavoro di traduzione è sempre stato rispettoso delle parole verso le quali si ha ormai un’intenzionalità veloce, le si usa senza ascoltarle, mentre esse racchiudono un corpo, un’anima ed una storia. La lettera ci consente di vedere la grandezza da vicino. Siamo abituati alla grandezza seduttiva e rumorosa che non lascia spazio che a se stessa. Grandezza spaziale e barocca che deve occupare lo sguardo con la forza magnetica del sogno e della distopia dell’eccesso. La grandezza che ritroviamo in Kant riscalda il cuore e ci riconcilia con il mondo. Le parole nella lettera sono disposte in modo da comunicare all’amico un senso di mitezza ed accoglienza. Non vi è nessuna parola che possa essere associata a protervia o ad arroganza intellettuale, anzi vi è la consapevolezza che la produzione filosofica e scientifica necessitano di lentezza.
La pratica filosofica Il filosofo educa al pensare non solo nell’attività professionale, ma sempre, nel privato come nelle relazioni: filosofare è una pratica che unisce in un filo sottile ogni segmento temporale della vita. Nella lettera le parole ci lasciano immaginare la gestualità lenta e delicata del pensare. Pensare è il regno delle parole, le quali per potersi configurare necessitano di tempo, di intenzionalità temporale qualitativa e non quantitativa. Il successo con i suoi abbagli non lo attrae. L’erotica del sapere lo induce ad essere gratificato dall’agire nel sapere, mentre il palcoscenico con i suoi applausi non lo affascina, poiché il sapere ostentato è interruzione della profondità a favore della dispersione in vane e convenevoli parole. Il tempo del pensiero è prezioso e non lo si può dissipare nella vanità e nella dipendenza dalle adulazioni. La brevità della vita conferisce al tempo vissuto di ciascuno un valore assoluto.
Grandezza autentica La grandezza vista da vicino palesa la consapevolezza dei limiti di ogni esistenza e la necessità di dare senso alla propria vita con scelte che testimoniano un insegnamento etico senza “moralismo” o “giudizio”. Vivere con coerenza l’amore per il sapere nella condivisione discreta e dialogica, assume valenza educativa per coloro che hanno la fortuna di poter incontrare la vera grandezza. Ma anche coloro che nel tempo pongono lo sguardo lontano dal loro presente, per incontrare modelli a cui potersi ispirare e rigenerare dalla volgarità dell’eccesso, ritrovano nella vera grandezza una stella polare pronta a brillare sul loro cammino. Kant scrive che il fine della sua vita accademica è diffondere “disposizioni d’anime buone”. Si può essere certi che tale “disposizione” ha attraversato il tempo e continuerà a splendere per chi sa guardare ed ascoltare la profondità delle parole. Se tanta grandezza ha attraversato i secoli, vi è da chiedersi cosa resterà nel tempo di questi nostri anni.
«Come processo psichico fondamentale e indipendente, la fantasia ha un proprio valore di verità, che corrisponde a un’esperienza propria – il superamento cioè della realtà umana antagonistica. L’immaginazione tende alla riconciliazione dell’individuo col tutto, del desiderio con la realizzazione, della felicità con la ragione. Mentre quest’armonia è stata relegata nell’utopia dal principio della realtà costituita, la fantasia insiste nell’affermare che essa deve e può diventare reale, che dietro all’illusione sta vera conoscenza.[Nell’immaginazione e quindi nell’utopia], le forme di libertà e felicità che essa invoca pretendono di liberare la realtà storica».
Herbert Marcuse, Eros e civiltà [1955], trad. di L. Bassi, Einaudi, Torino 1968, p. 171 e p. 176.
L’immagine utopica è un’immagine di ciò che «deve essere», di ciò che colui che immagina desidera che sia […]. Quel che domina qui è la nostalgia per ciò che è giusto, che viene sperimentato nella visione religiosa o filosofica come rivelazione o come idea, e che per la sua essenza non può realizzarsi nel singolo, bensì solo nella comunità umana in quanto tale. […] [L’immaginazione è il fulcro, ma con una precisa direzione e in una connessione rigorosa fra idea e desiderio] Si è soliti in genere descrivere tali immagini come prodotto della immaginazione; ma con ciò si dice ben poco. Perché questa immaginazione non divaga, non viene sospinta qua e là da ispirazioni mutevoli, ma va concentrandosi in maniera solidamente strutturata intorno a una immagine prima e originaria, che dovrà elaborare, e questa immagine prima è un desiderio.
Martin Buber, Sentieri in utopia. Sulla comunità (1947), trad. it. di D. Di Cesare, Marietti, Genova-Milano 2009, p. 48.
In copertina: Paul Klee, Einst dem Grau der Nacht enttaucht … (Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte …), acquarello, inchiostro e matita su carta argentata, 1918, Berna, Kunstmuseum.
Il titolo dell’opera fa riferimento all’incipit di una poesia scritta probabilmente da Klee: Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte poi grave e prezioso e reso forte dal fuoco … Infine etereo avvolto di blu, si libra su campi innevati, verso cieli stellati.
Massimo Bontempelli, professore di liceo, è stato filosofo olistico: l’originalità della sua teoretica è nel tenere assieme filosofia, storia e pedagogia, al fine di orientare la paideia sul fondamento veritativo che coniuga l’asse ontologico-assiologico all’azione educativa. Ha avvertito l’incombere plumbeo del nichilismo sul destino dell’Occidente, guardando con gli occhi della mente il dramma in cui è impigliata la cultura occidentale ormai planetaria. Trascendere il nichilismo ha significato per lui interpretarlo, inseguirlo nei meandri della sua genealogia, per sfidarlo, e quindi, ricostruire il percorso verso la verità. La sofferenza teoretica per lo stato presente, si è sublimata in pensiero e pratica educativa. Filosofo dalla passione intellettuale per il presente, con l’impegno rivolto fortemente al futuro, ha teorizzato l’alternativa al nichilismo consumistico dei nostri giorni. Ha rielaborato il pensiero teoretico e politico di Hegel mediandolo col pensiero di Marx. Con Hegel ha condiviso l’urgenza della metafisica, senza la quale il soggetto è lasciato alla sua accidentalità e dissolto nel pulviscolo del conflitto economico. Il suo stile filosofico ed educativo ha un significato simbolico e sostanziale: l’essenziale è la parola, veicolo della qualità contro la quantità. Ci ha lasciati eredi non solo della sua attività teoretica, ma della sua esperienza umana vissuta fuori dalla caverna della società dell’immagine e della pornografia mediatica spacciata per trasparenza.
Questi i temi discussi
Prologo / L’uroboro / Nichilismi / La tirannia del presente: l’isola di Pasqua / Il verme nel nocciolo / Il pensiero debole / Massimo Bontempelli / L’olismo come paradigma irrinunciabile / La bicicletta di Bontempelli / La metafora della caffettiera / Concreto ed astratto / Lo sguardo contro il nichilismo / Destra-Sinistra / Pedagogia della passività / Le categorie della quantità e della qualità / La categoria della quantità e la morte / Modelli metafisici / Il regno dei lupi / La libertà / La derealizzazione / La sussunzione / Il bene / Il narcisismo-derealizzazione / Perché educare? / A scuola di nichilismo / Filosofia e Storia / La storia come necessità / Tempo e memoria / Msssimo Bontempelli/Costanzo Preve / Narcisismo, concretismo e arbitrarismo / Le miserie dell’abbondanza / La metafora della valle / Verità e libertà / “Ex ducere” / Mutazione antropologica / La Storia come asse culturale / Il Gesù di Bontempelli / La società del disprezzo di sé / Bontempelli interprete di Marx / Marx ed Hegel / L’esperienza della decrescita / Umanesimo integrale.
Regno dell’uomo, matematismo e meccanicismo (Galilei, Bacone e Cartesio)
Il disegno umanistico del «regnum hominis» / La caratteristica della concezione moderna del «regnum hominis» / Il matematismo del Galilei / Regno dell’uomo e meccanicismo nel pensiero di F. Bacone / L’atteggiamento di Bacone verso la matematica / R. Descartes come fondatore della filosofia moderna / Regno dell’uomo e meccanicismo nel pensiero cartesiano / La funzione del matematismo nel sistema cartesiano / La matematica e il dubbio universale / I due centri di certezza nel sistema cartesiano / Matematismo e meccanicismo / Le aporie del cartesianesimo.
Le difficoltà del matematismo. Il problema della «res extensa». Cartesio e Spinoza
Le condizioni per un cartesianesimo integrale / Sua incompatibilità con il concetto di anima-forma / Risoluzione del cartesianesimo nello spinozismo / Spinoza e Cartesio /Le caratteristiche del razionalismo spinoziano / Il matematismo nel pensiero spinoziano / Matematismo e meccanicismo / Occasionalismo e pascalismo.
Esteriorità e interiorità nella conoscenza (Locke e Leibniz)
Gli elementi della «modernità» nel pensiero del Locke: «regnum hominis» e meccanicismo / Come nel pensiero del Locke vi sia presente anche il matematismo / Il rapporto del Locke con la distinzione fra qualità primarie e qualità secondarie / Conseguente critica del concetto di sostanza da parte del Locke / Inadeguatezza del nominalismo tradizionale alla critica del Locke / Il matematismo come limite dommatico della ricerca lockiana / Il dualismo d’interiorità ed esteriorità / Leibniz e la sua ripresa al matematismo antico / Matematismo antico e matematismo moderno / La polemica vichiana e la prevalenza del matematismo nella cultura illuministica.
Il superamento kantiano del matematismo e i suoi limiti
La filosofia kantiana come ricerca assoluta / Condizioni della ricerca e funzione esercitata in essa dalla matematica e dalla meccanica / Raporto della dottrina dell’Io trascendentale con la funzione esercitata nella ricerca dalla matematica e dalla meccanica / Dall’estetica e dall’analitica alla dialettica / Il matematismo e le aporie della dialettica / Il matematismo come limite della ricerca kantiana.
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.AcceptRead More
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.