Peter Sloterdijk – L’arte come baluardo di messa in crisi dell’attuale in favore di un possibile ancora non realizzato.

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Peter Sloterdijk, L’impeartivo estetico. Scritti sull’arte, Raffaello Cortina, 2017.

 

L’estetica di Sloterdijk non è semplicemente una filosofia dell’arte, ma anzitutto un modo eminente di fare filosofia. Al centro della riflessione che attraversa i saggi qui raccolti è la questione dell’aisthesis – la sensazione o sensibilità – nella sua più ampia declinazione. Da un lato si attribuisce all’arte “in senso stretto” uno spazio eccentrico rispetto alla norma, dall’altro si fa valere un modo alternativo di guardare all’esperienza estetica, riconoscendole un ruolo guida nelle scelte consapevoli e nelle condotte inconsapevoli dell’essere umano. Così concepita, l’estetica possiede un profondo potere euristico: ci aiuta a capire che tipo di mondo ci siamo costruiti, come ci “sentiamo” in questo mondo e in che modo potremmo cambiarlo, cominciando da noi stessi.
Con lo stile incisivo e la profondità analitica che gli sono propri, Sloterdijk affronta un ampio spettro di questioni tradizionalmente assegnate alla dimensione estetica – dall’architettura alla musica, dal design alla pittura, dalla forma della città alla letteratura – inquadrandole nella sua originale e innovativa antropologia filosofica.



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Giacomo Leopardi (1798-1837) – La più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo s’innalza per mezzo di essa come al di sopra di se medesimo.

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«La più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo s’innalza per mezzo di essa come al di sopra di se medesimo».

Giacomo Leopardi

 

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logo La vita felice

Giacomo Leopardi, Storia della astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXIII, La Vits Felice, 2014, pp. 464; con uno scritto di Armando Massarenti e un’appendice di Laura Zampieri.

 

«Trecento pagine di erudizione densissima, in cui si ripercorre l’evoluzione della disciplina dall’antichità fino al presente, elencando con dettaglio puntiglioso tutte le fonti, con una completezza e una competenza che forse non ho incontrato (mi perdonino) nei miei collkeghi storici della scienza. E tutto questo composto da Giacomo Leopardi a … quindici anni».

Carlo Rovelli

Quarta di copertina

«La più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo s’innalza per mezzo di essa come al di sopra di se medesimo, e giunge a conoscere la causa dei fenomeni più straordinari. Una così utile scienza dopo essere stata per molto tempo soggetta alle tenebre dell’errore ed alle follie degli antichi filosofi, venne finalmente ne’ posteriori secoli illustrata a segno, che meritamente può dirsi, poche esser quelle scienze, che ad un tal grado di perfezione sieno ancor giunte». Esordisce così Giacomo Leopardi in questa opera giovanile (è del 1813) dalla quale riceverà riconoscimenti che salgono ben presto a un grado di ammirazione e che esaltano la eccezionale importanza del filologo. La Storia della astronomia, infatti, è senza dubbio un’opera di letteratura. Leopardi si avvale delle enormi cognizioni scientifiche di cui è in possesso e le usa per collegarle ovunque agli scrittori greci e romani della classicità, per sottolineare quanto anch’essi avessero fatto riferimento nelle loro opere alle scienze astronomiche e quindi se ne fossero fatti portavoce, attribuendo così una missione vaticinante e una funzione storico-conoscitiva al letterato.

Ancora su Giacomo Leopardi

Edoardo BoncinelliGiulio Gioriello, L’incanto e il disinganno: Leopardi. Poeta, filosofo, scienziato, Guanda, 2016.

Annalisa Strada, Leopardi e l’amore nascente, Raffaello Ragazzi, 2016.

Sebastiano Timpanaro, Alcune osservazioni sul pensiero di Leopardi, Solfanelli, 2015.

Giorgio Cosmacini, L’infinito di Leopardi, un impossibile congedo, Sedizioni, 2016.

Alessandro D’Avenia, L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita, Mondadori, 2016.


Giacomo Leopardi – Cos’è la lettura per l’arte dello scrivere
Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione
Giacomo Leopardi (1798-1837) – La felicità non è che la perfezione, il compimento della vita.
Giacomo Leopardi (1798-1837) – Un sorriso e una poesia possono aggiungere un filo alla trama brevissima della vita, accrescendo la nostra vitalità.

 


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Byung-Chul Han – La vita contemplativa è più attiva di qualsiasi iperattività, che rappresenta un sintomo di esaurimento spirituale.

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La società della stanxhezza

La società della stanxhezza

Byung-Chul Han nella sua opera La società della stanchezza descrive la vita “dell’ultimo uomo”, l’uomo del mercato globalizzato, formato per la produzione H24 – a volere usare un’espressione in voga nel sistema dell’efficienza a tutti costi –, del risultato quale paradigma di giudizio per discriminare gli inclusi dagli esclusi.
È la società del poter fare: lo Stato non più garante dei diritti sociali ed individuali interviene per porre le condizioni perché possa essere possibile sempre la competizione. Il nuovo imperativo invita al poter fare, alla passività dinanzi all’iperstimolazione. La società del doping: tutto diviene lecito purchè il risultato sia possibile. L’ego ipertrofico raccoglie nel vuoto del proprio narcisismo ogni stimolazione all’azione con l’effetto di un io esponenziale che, con la sua ombra, oscura la comunità, il libero pensiero, ogni atto creativo. La gettatezza dell’iperattivismo comporta la passività. La libertà, invece, conosce la resistenza. Il riposo e la noia quali momenti imprescindibili della creazione del nuovo. ”Ci sono due forme di potenza. La potenza positiva è la potenza di fare qualcosa. La potenza negativa è invece la potenza di non fare – di dire no, per esprimerci con Nietzsche. Questa potenza negativa si distingue però dalla mera impotenza, dall’incapacità di fare qualcosa. L’impotenza è soltanto il contrario della potenza positiva. È essa stessa positiva nella misura in cui è vincolata a qualcosa. Essa, intatti, è un non poter fare qualcosa. La potenza negativa supera questa positività che è vincolata a qualcosa, è una potenza di non fare. Se possedessimo solo la potenza positiva di percepire qualcosa, senza quella negativa di non percepire, la percezione sarebbe esposta senza difese a tutti gli stimoli e gli impulsi che premono e s’impongono. Non sarebbe possibile, così, alcuna “spiritualità”. Se possedessimo solo la potenza di fare qualcosa e non la potenza di non fare, giungeremmo a un’iperattività mortale. Se avessimo solo la potenza di pensare qualcosa, il pensiero si disperderebbe nella serie infinita degli oggetti. Sarebbe impossibile riflettere, poiché la potenza positiva, l’eccesso di positività, ammette solo di prolungare il pensieri” [1]
Il paradosso è che la società che si presenta come la più libera in assoluto, modello oltre il quale non vi è che il nulla, fa dell’attività il suo integralismo che uccide la libertà. Quest’ultima necessita del tempo sospeso per aprirsi ai legami, alla cura del sé, al pensiero critico, mentre la produzione assume carattere di consenso e nel contempo mezzo per narcotizzare le masse.
Il nuovo “oppio dei poveri” è l’iperproduzione senza consapevolezza.
L’uomo dell’iperproduzione disimpara a vedere, a contemplare la ricchezza della vita, la sua problematicità creativa. Si vogliono uomini ciechi per il nuovo integralismo, oscurati dalla produzione, che anestetizzano il loro sentirsi nel mondo “La mancanza di spirito, la meschinità si fonderebbero sull’“incapacità di resistere a uno stimolo”, di contrapporgli un “no”. Reagire immediatamente e seguire ogni impulso sarebbe già una malattia, una decadenza, un sintomo d’esaurimento. Qui Nietzsche non esprime altro che la necessità di una rivitalizzazione della vita contemplativa. Questa non è un aprirsi passivo, che dice “sì” a tutto ciò che i viene e che accade. Al contrario, essa oppone resistenza agli stimoli che premono e s’impongono. Invece di abbandonare lo sguardo all’impulso esterno, essa lo guida sovrana. Come fare sovrano che dice no, la vita contemplativa è più attiva di qualsiasi iperattività, che rappresenta allora un sintomo di esaurimento spirituale.”[2]
Contro la pressione alla prestazione Byung Chul Han propone la stanchezza che cura. La noia come la stanchezza spostano l’asse percettivo, il soggetto nel tempo sospeso dalla produzione riconfigura i significati, coglie nella noia la percezione che il presente non è tutto, ma solo il frammento della possibilità, della storia multilineare che attende per essere rimessa in gioco “La stanchezza da esaurimento è una stanchezza della potenza positiva. Rende incapaci di fare qualcosa. La stanchezza che ispira è una stanchezza della potenza negativa, ossia del non-fare. Anche lo Shabbat, che in origine significava “smettere”, è un giorno del non-fare, un giorno libero da ogni fare-per, da ogni cura (Sorge) – per dirla con Heidegger. Non si tratta di un intervallo. Dopo la creazione, Dio designò il settimo giorno come sacro. Sacro non è, dunque, il giorno del fare-per, ma il giorno del non fare, un giorno in cui sarebbe possibile l’utilizzo dell’inutilizzabile. Il giorno della stanchezza. L’intervallo è un tempo senza lavoro, un tempo di gioco, diverso anche dal tempo di Heidegger, che è essenzialmente un tempo della cura e del lavoro. Handke descrive questo intervallo come un tempo di pace. La stanchezza è disarmante. Nel lungo, lento sguardo di chi è stanco sorge la risolutezza della quiete. L’intervallo è un tempo dell’in-differenza come cortesia: “Io qui sto raccontando della stanchezza in un momento di pace, nell’intervallo. E in quelle ore c’era pace […]. E la cosa sorprendente è che la mia stanchezza là pareva collaborare al momento di pace – acquietando? attenuando? – disarmando ogni volta già sul nascere con lo sguardo i gesti di violenza, di rissa o anche soltanto di scortesia”.[3]
La stanchezza è disarmante perché si orienta verso l’ascolto di se stessi e degli altri, la relazione riemerge nella sua dinamicità ed intenzionalità verso la trasformazione dei processi naturalizzati che in quanto tali sono portatori di violenza e passività. La dialettica del possibile non può più attendere, la società del doping descritta dal filosofo vive nella dimenticanza di sé , cela nel ventre dell’iperattività la sua disperazione. Solo la resistenza pensata e progettata può rivitalizzare un sistema ripiegato nel suo meccanicismo depressivo

Salvatore Bravo

[1] Byung Chul Han La società della stanchezza ( ed. nottetempo Roma, 2013-pag 20)

[2] Ibidem pag 19

[3] Ibidem pag 27

 

 


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María Zambrano (1904-1991) – Il punto dolente della cultura moderna è la sua mancanza di trasformazione della conoscenza pura in conoscenza attiva, che possa alimentare la vita dell’uomo di ciò che necessita.

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Persona e democrazia

Persona e democrazia

«[…] tocchiamo il punto dolente della cultura moderna: la sua mancanza di trasformazione della conoscenza pura in conoscenza attiva, che possa alimentare la vita dell’uomo di ciò che necessita» (p. 56)

 

María Zambrano

Il nuovo totalitarismo per la Zambrano è la tirannia dell’attività illimitata che rende la persona cosa, frammento di natura, oggetto di leggi meccaniche.

Persona e democrazia di Maria Zambrano è il testo di una pensatrice eterodossa, sempre al limite dei sistemi ideologici che ha incarnato la filosofia nell’atto dl vivere. Eterodossa perché libera dai sistemi poteri rassicuranti, dalle verità pronte per l’uso. Cattolica senza chiesa e donna di sinistra senza partito, ha vissuto la libera scelta del pensiero con l’esilio e con la miseria materiale. Pensare per la Zambrano significava vivere la dimensione del tempo ricurvo, ritornare su se stessi per capire, ricategorizzare le possibilità della realtà storica vissuta, per cui vi è pensiero solo nel soggetto che ritorna in sé, in un movimento dialettico disalienante, per “sentire la propria identità” coagularsi attorno alla dimensione del pensare. La comunicazione è possibile nel tempo sospeso dalla prassi, nell’incontro che non vuole affascinare e predare ma accoglie la parola per sentirla nella profondità del pensiero in cui la densità emotiva mai è recisa dal piano della razionalità. In Persona e democrazia la Zambrano coglie con chiarezza il profilarsi del totalitarismo del tempo pieno delle democrazie liberiste. Filosofa senza pregiudizi a cui la marginalità ha donato la capacità di giudicare i pericoli che minacciano la comunità delle persone, la Zambrano giudica la democrazia liberista una nuova forma di totalitarismo. Le democrazie hanno fatto dell’azione e della produzione la metafisica del loro consenso, il loro feticcio, ma il tempo pieno osserva la Zambrano è tempo senza pensiero, perché il tempo non più ricurvo, è rettilineo, segue il ritmo naturale della produzione. Il tempo pieno dei totalitarismi dal nazionalsocialismo al tempo pieno delle democrazie liberale, annichilendo il pensiero vorrebbero eterizzare se stessi mediante un processo di naturalizzazione con il quale il sistema si sottrae al pensiero. E proclama la fine della storia. Solo il tempo vuoto consente la libertà e la democrazia autentica poiché è il tempo che ritorna su se stesso, emancipato dalla pratica coatta, dall’orizzonte delle sole cose, consente al soggetto di appartenersi, di andare verso se stessi e gli altri con intenzionalità spontanea. Il nuovo totalitarismo per la Zambrano è la tirannia dell’attività illimitata che rende la persona cosa, frammento di natura, oggetto di leggi meccaniche. Il suo appello – denuncia del nuovo totalitarismo – non deve coglierci impreparati ed inermi, ma motivarci all’attiva difesa del pensiero e dunque della comunità democratica e partecipata.

Salvatore Bravo

 

María Zambrano, Persona e democrazia, Bruno Mondadori, 2000.


Maria Zambrano – La virtù della delicatezza
Maria Zambrano (1904-1991) – Il silenzio che accoglie la parola assoluta del pensiero umano diventa il dialogo silenzioso dell’anima con se stessa.
Maria Zambrano (1904-1991) – Saper guardare un’icona significa liberarne l’essenza, portarla alla nostra vita

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Marino Gentile (1906-1991) – È necessario anzitutto rammentare e riconoscere l’ampiezza delle ostilità e delle perplessità che suscita, nella cultura filosofica e non filosofica contemporanea, il nome stesso della metafisica.

Marino Gentile 001

 

 

«Nel dare inizio a un corso di lezioni sul tema: come si pone il problema metafisico, è necessario anzitutto rammentare e riconoscere l’ampiezza delle ostilità e delle perplessità che suscita, nella cultura filosofica e non filosofica contemporanea, il nome stesso della metafisica».

Marino Gentile

 

 

267 ISBN

Marino Gentile
Come si pone il problema metafisico

Introduzione di Carmelo Vigna

indicepresentazioneautoresintesi

 


coperta 99

Marino Gentile
La metafisica presofistica
Il valore classico della metafisica antica

Introduzione di Enrico Berti

indicepresentazioneautoresintesi

«Quest’opera è un esempio perfettamente riuscito di confluenza tra impegno storiografico, di valore ineccepibile, e impegno teoretico, ovvero filosofico, di grande respiro. Essa perciò costituisce il modello di un modo di fare storia della filosofia e filosofia teoretica insieme, che restò poi a caratterizzare altri lavori storici di Marino Gentile, in cui nessuna delle due discipline è sacrificata all’altra […] ma ciascuna valorizza l’altra.
[…] La maniera del tutto particolare, e innovatrice, di intendere la metafisica classica da parte di Marino Gentile, rappresenta la gloria maggiore del maestro, quella per cui vale ancora la pena dichiararsi con orgoglio suoi allievi».

ENRICO BERTI



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Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.

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Compendio di metafisica umanistica

indicepresentazioneautoresintesi

 

«L’anima è, in certo modo, tutte le cose».
Aristotele, De anima, 431 b 21

Pubblico in questa sede il testo, lievemente modificato, della relazione da me tenuta, il giorno 1 dicembre 2016, all’Università degli studi di Macerata, all’interno del convegno intitolato Sistema, sistematico, asistematico. Chiarimenti per un concetto ambiguo, organizzato dai professori Arianna Fermani e Maurizio Migliori. Si tratta della sintesi di ciò che in questi anni ho definito più volte “metafisica umanistica”, struttura teoretica che costituisce l’oggetto di un libro che annunciai già nel 2003, ma che sono continuamente costretto a rimandare per il problema, ben noto a chi fa ricerca, che più si studia e più si comprende di essere ignoranti (ossia che mancano ancora – ad oggi: spero non per sempre – alcuni necessari elementi per poter costituire compiutamente il discorso). In ogni caso, poiché diversi amici mi hanno da tempo richiesto di esporre quanto meno una sintesi della metafisica umanistica, ossia di quella che ritengo essere la struttura sistematica meglio in grado di descrivere fondatamente la realtà sul piano onto-assiologico, ho colto l’occasione di questo convegno per effettuarne una esposizione, non sapendo ancora quanto tempo mi ci vorrà per concludere la sistematizzazione complessiva.

[…] Ritengo necessario affrontare il tema veritativo anche sul piano politico-sociale. Come può infatti la metafisica, il sapere dell’intero e del fondamento, trascurare quanto più caratterizza oggi l’intero (la crematistica impone ovunque le proprie modalità: non solo alla società, ma anche alla natura), e quanto più nega il fondamento (la natura razionale e morale dell’uomo)? Come detto, per essere coerente con il proprio carattere onto-assiologico, l’approccio veritativo della metafisica umanistica non può limitarsi a descrivere come le cose sono (sul piano sociale, descrivere il modo di produzione capitalistico), e nemmeno a valutare l’attuale stato di cose (valutarlo negativamente, come poc’anzi fatto). Deve fare di più, ossia deve dire come, almeno nelle sue linee generali, un modo di produzione sociale dovrebbe strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico, ossia per realizzare le potenzialità razionali e morali presenti negli uomini, consentendo loro la felicità. Dato che la natura umana è determinata, ossia dotata di stabili caratteristiche costitutive (e non di qualsiasi caratteristica), è normale che essa possa realizzarsi solo in una totalità sociale determinata, ossia dotata di conformi caratteristiche (e non in qualsiasi totalità sociale): da qui la necessità anche teoretica della progettualità.

Luca Grecchi

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In copertina:
Paul Klee, Der Seiltänzer [Il funambolo], 1923.

Il funambolo di Klee cerca di trovare un nuovo equilibrio sospeso a mezz’aria su una corda tesa, nel suo essere uomo in uno spazio di-segnato in basso da strutture leggere, tra loro correlate in profondità, ma protese nella comune tensione verso l’alto. L’artista e il funambolo anelano ad un distacco smaterializzante, ma non perdono il contatto necessario e insieme vincolante con la realtà e con il mondo terreno, senza comunque soccombervi, e cercando invece di elevarsi alla compiuta umanità dell’esser uomo, proprio perché l’Uomo è l’unico ente in grado di pensare l’essere.


Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.
Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele
Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità
Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno
Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.
Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?
Luca Grecchi – Sulla progettualità
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.


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Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.

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«[…] vi è più finalità e perfezione nelle opere della natura
che in quelle della tecnica».
Aristotele, Le parti degli animali, 639 b20.

 

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«Invero da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque, ma questa particolare creatura da questo seme particolare, né un seme deriva a caso da un corpo qualsiasi. Il seme è dunque principio di formazione di ciò che da esso deriva. Per natura ciò avviene: perché la nascita viene dal seme».

Aristotele, Le parti degli animali, 641 b 26-29.

 

 

Le parti degli animali

Le parti degli animali

 

 

Immagine in evidenza: V. Van Gogh, Il seminatore.

*****

Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.

 



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Ricardo Piglia (1941-2017) – Ernesto Che Guevara è colui che persevera nella decifrazione dei segni, è la pura espressione della costruzione del senso, sostenitore della pedagogia sempre, fino all’ultimo respiro: “Yo sé leer”, “Io so leggere”.

Piglia Ricardo_Che Guevara

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Una straordinaria immagine di Guevara in Bolivia:
si è arrampicato su un albero e legge.

***

«Le mie fondamentali debolezze: il tabacco e la lettura».

E. Che Guevara

«Guevara non propone niente che non faccia lui stesso […] non comanda agli altri di fare ciò che egli sostiene. Questa è una differenza essenziale, la differenza che lo ha fatto diventare quello che è. Un  uomo che paga con la vita la fedeltà a quello che pensa. […] E quello che propone come esempio, quello che trasmette come esperienza, è la propria vita.
Parallelamente, persiste in Guevara ciò che ho chiamato la figura del lettore. Colui che rimane isolato […], contrapposto al politico. Il lettore come colui che persevera, pacifico, nella decifrazione dei segni. Colui che costruisce il senso nell’isolamento e nella solitudine. Fuori da ogni contesto, in mezzo a ogni situazione, risoluto nella sua determinazione. Intransigente, pedagogo di se stesso e di tutti, non perde mai la convinzione assoluta della verità che ha decifrato. Una figura estrema dell’intellettuale come rappresentante puro della costruzione del senso (o, comunque sia, di un certo modo di costruire il senso).
E nell’ epilogo di Guevara le due figure tornano a unirsi, perché sono indissolubili sin dal principio. C’è una scena che costituisce quasi un’allegoria: l’ultima notte prima di essere assassinato, Guevara la trascorre nella scuoletta di La Higuera. L’unica persona ad avere un atteggiamento compassionevole nei suoi confronti è la maestra del posto, Julia Cortés, che gli porta un piatto di stufato preparato da sua madre. Quando entra, il Che è sdraiato, ferito, sul pavimento dell’aula. In quel momento – e queste sono le sue ultime parole – Guevara indica alla maestra una frase scritta alla lavagna, e le dice che è mal scritta, che c’è un errore […]: “Manca l’accento”. Fa questa piccola osservazione alla maestra. La pedagogia sempre, fino all’ultimo.
La frase (scritta sulla lavagna della scuoletta di La Higuera) è “Yo sé leer”, lo so leggere. Che sia questa la frase, che nell’epilogo della sua vita l’ultima cosa che Guevara nota sia una frase legata alla lettura, è come un oracolo […]» (pp. 122-123)

Ricardo Piglia, L’ultimo lettore, Feltrinelli, 2007.


Guevara legge

Guevara legge


Guevara legge e fuma

Guevara legge e fuma


Autoritratto di Guevara in Thailandia, 1964

Autoritratto di Guevara in Thailandia, 1964


Guevara-legge Goethe

Guevara legge Goethe


La scuola di La Higuera, dove Guevara fu assassinato il 9 ottobre 1967

La scuola di La Higuera, dove Guevara fu assassinato il 9 ottobre 1967


 

 

Ultima pagina del Diario di Guevara in Bolivia

Ultima pagina del Diario di Guevara in Bolivia del 7-10-1967

 


Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Ha più valore, un milione di volte, la vita di un solo essere umano che tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra.
Ernesto Che Guevara (1928-1967) – 1951 … adesso sapevo che io starò con il popolo. E preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove vibrazioni e nuove speranze il grido del proletariato.
Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. L’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo.

 



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Simone Weil (1909-1943) – L’amicizia non ammette di essere disgiunta dalla realtà, non più che il bello. È puro quel che è sottratto alla forza.

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«L’amicizia è il miracolo grazie al quale
un essere umano accetta di guardare
a distasnza e senza avvicinarsi
quello stesso essere che gli è necessario
come nutrimento».

Simone Weil, 1942

«L’amicizia è per me un bene incomparabile,
senza misura, una sorgente divita,
non in senso metaforico ma letterale».

Simone Weil, 1947

 

 

Quaderni, vol. I

Quaderni, vol. I

«L’amicizia non ammette di essere disgiunta dalla realtà, non più che il bello. Essa costituisce un miracolo, come il bello. E il miracolo cosiste semplicemente nel fatto che essa esiste».

S. Weil, Quaderni, I, Adelphi, 1982, p. 157.

 

 

Quaderni vol. III

Quaderni, vol. III

«Occitania, Grecia, civiltà senza adorazione della forza. Perché per esse la temporalità è un ponte. E inoltre non cercano l’intensità negli stati d’animo, ma amano la purezza dei sentimenti. È puro quel che è sottratto alla forza. L’amore era per loro puro desiderio».

S. Weil, Quaderni, III, Adelphi, 1988, p. 142.


Simone Weil (1909-1943) – Silenzi che educano l’intelligenza
Simone Weil, «Oppressione e libertà», Orthotes Editrice, 2015
Simone Weill (1909-1943) – Trovare uomini che amino la verità
Simone Weil (1909-1943) – Il desiderio di luce produce luce: un tesoro che nulla al mondo ci può sottrarre.
Simone Weil (1909-1943) – Un regime inumano, lungi dal forgiare esseri capaci di edificare una società umana, modella a sua immagine tutti coloro che gli sono sottomessi.
Simone Weil (1909-1943) – Dove il pensiero non ha posto, non ne hanno né la giustizia né la prudenza. Le nostre idee di limite, di misura, di equilibrio, che dovrebbero determinare la condotta di vita, ormai hanno solo un impiego servile nella tecnica. Noi siamo geometri soltanto davanti alla materia. I Greci furono geometri innanzitutto nell’apprendimento della virtù.

 

 



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Franco Toscani – Il filosofo e le Muse. La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”-

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Il filosofo e le Muse

La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”

 

È noto che l’Accademia platonica, come θίασος (associazione cultuale al servizio delle Muse), fu consacrata al culto di Apollo e delle Muse e che al suo interno si trovava un altare dedicato alle Muse. Nonostante le sue perplessità e ben note posizioni sulla poesia e sull’arte, Platone istituisce un fecondo rapporto tra il filosofo e le Muse. Nel Cratilo (406 a 3-5) leggiamo che il nome stesso alle Mοῦσαι (Muse) e alla μουσική (musica) sembra derivare dal μῶσθαι (aspirare, cercare) proprio della ricerca e della filosofia. Nella Repubblica (VIII, 548 b8-c1) la “vera Musa”, quella da non trascurare, sempre “si accompagna ai discorsi e alla filosofia”. [… Leggi tutto nel PDF allegato qui sotto]


Fedro

Il filosofo è devoto alle Muse,
amante della bellezza, dedito all’amore, al pensiero e al sapere.


De Lampade

«in Musarum curia alumnus» (“un allievo alle cure delle Muse”),
G. Bruno, De lampade combinatoria lulliana (1587).


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Lachete

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