Cardinale Bessarione (1403-1472) – I libri vivono, discorrono, parlano con noi, ci insegnano, ci ammaestrano, ci consolano: se non ci fossero si cancellerebbe anche la memoria degli uomini.

bessarione

Il cardinale Bessarione, in una lettera del 31 maggio del 1468 indirizzata al doge Cristoforo Moro – con cui il cardinale accompagnava il lascito della sua importante biblioteca (482 volumi greci e 264 latini) alla città di Venezia – scriveva:

«I libri sono pieni delle parole dei saggi, degli esempi degli antichi, dei costumi, delle leggi, della religione. Vivono, discorrono, parlano con noi, ci insegnano, ci ammaestrano, ci consolano, ci fanno presenti ponendole sotto gli occhi cose remotissime dalla nostra memoria. Tanto grande è la loro dignità, la loro maestà e infine la loro santità, che se non ci fossero i libri, noi saremmo tutti rozzi e ignoranti, senza alcun ricordo del passato, senza alcun esempio; non avremmo alcuna conoscenza delle cose umane e divine; la stessa urna che accoglie i corpi, cancellerebbe anche la memoria degli uomini».

 

 

Bessarione nella serie degli uomini illustri dello Studiolo di Federico da Montefeltro. Il quadro è ospitato presso il Museo del Louvre.

Bessarione nella serie degli uomini illustri dello Studiolo di Federico da Montefeltro.
Il quadro è ospitato presso il Museo del Louvre.

 

Cardinale Bessarione, Lettera del 31-5-1468, citata in Eugenio Garin, La cultura del Rinascimento, Milano, Il Saggiatore, 1988, p. 41.

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Erich Fried (1921-1988) – Chi vuole che il mondo rimanga così com’è non vuole che il mondo rimanga del tutto.

Chi vuole

che il mondo

rimanga così com’è

non vuole che il mondo

rimanga del tutto.

 

Erich Fried, Status quo.

 

 

erich fried

 

È assurdo
dice la ragione


è quel che è
dice l’amore.

È infelicità
dice il calcolo
non è altro che dolore
dice la paura

è vano
dice il giudizio

è quel che è
dice l’amore.

È ridicolo
dice l’orgoglio
è avventato
dice la prudenza
è impossibile
dice l’esperienza

è quel che è
dice l’amore.

fried18

Erich Fried, È quel che è. Poesie d’amore di paura di collera,
traduzione di Andrea Casalegno, Einaudi, 1988.

 

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Hevi Dilara (rifugiata politica curda, musicista, poetessa) – Nostalgia

Hevi Dilara

Nostalgia

 

Lontana dal mio paese.

Lontano il mio paese da me.

La distanza é dolore.

Io conosco il dolore

ma non posso dirlo con parole

Le parole

non vivono come l’ albero

di mille anni che ho lasciato.

Le parole non scorrono

come scorre e pulsa

nelle vene del mondo

il fiume che ho lasciato.

Le parole non saltano leggere

come la gazzella sui monti che ho lasciato.

Le parole non profumano come i fiori più

belli del mondo, i fiori che

ho lasciato.

Solo chi ha molto amore può amare.

Solo chi ha molta nostalgia può sognare.

La distanza è dolore.

Io conosco il dolore ma non

posso dirlo con parole.

Le parole non possono

descrivere il paradiso che ho perduto.

 

Hevi Dilara, Nostalgia, da Ellis Island.

 

 

Storia di Hevi, rifugiata politica curda, musicista, poetessa e direttrice artistica del Festival del Cinema curdo

 

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Paola Mastrocola – «La passione ribelle»: Il treno non si ferma? Ma siamo sicuri? E ribellarci? Chi studia è sempre un ribelle. Com’è che non viene mai in mente a nessuno? Se oggi qualcuno volesse ribellarsi al mondo com’è diventato, se decidesse così, di colpo, di non stare più al gioco, di scendere dal treno in corsa, studiare potrebbe essere la mossa vincente.

paola-mastrocola-scuola-ruolo-sindacato

 

«Chi studia è sempre un ribelle.
Uno che si mette da un’altra parte rispetto al mondo
e, a suo modo, ne contrasta la corsa.
Chi studia si ferma e sta: così, si rende eversivo e contrario.
Forse, dietro, c’è sempre una scontentezza:
di sé, o del mondo.
Ma non è mai una fuga.
È solo una ribellione silenziosa
e, oggi più che mai, invisibile.
A tutti i ribelli invisibili è dedicato questo libro.»

Dalla quarta di copertina

 

 

Oggi non si studia più.
È da predestinati alla sconfitta.
Lo studio evoca Leopardi che perde la giovinezza,
si rovina la salute e rimane solo come un cane.
È Pinocchio che vende i libri per andare a vedere le marionette.
È la scuola, l’adolescenza coi brufoli, la fatica, la noia, il dovere.
È un’ombra che oscura il mondo, è una crepa sul muro:
incrina e abbuia la nostra gaudente e affollata voglia di vivere nel presente.
Lo studio è sparito dalle nostre vite.
E con lui è sparito il piacere per le cose che si fanno
senza pensare a cosa servono.
La cosa più incredibile è che non importa a nessuno.

                                                     Dal risvolto di copertina

 

«Il treno non si ferma.
Ma siamo sicuri?
[…]
E ribellarci?
Com’è che non viene mai in mente a nessuno? Se davvero qualcosa di tutto questo non ci piace, perché non mostriamo reazioni? Siamo rospi che si lasciano tirar pietre e stanno immobili per strategia?
Lo studio potrebbe servirci…»

 [continua a leggere il breve estratto in PDF: Paola Mastrocola, La passione ribelle]

Paola Mastrocola, La passione ribelle

 

 Paola Mastrocola, La passione ribelle, Editori Laterza, 2015, pp. 119-121

 

La passione ribelle

 

Paola Mastrocola e il suo nuovo libro: “Non so niente di te …

Se lo studio diventa una “passione ribelle” – Repubblica.it

Scuola, Mastrocola: no alla dittatura dell’ignoranza – Avvenire

E se a scuola si studiasse? – Il Sole 24 ORE

 

Libri di Paola Mastrocola

Saggi di Paola Mastrocola

  • La forma vera. Petrarca e un’idea di poesia, Bari, Laterza, 1991.
  • La fucina di quale dio, Torino, Genesi, 1991.
  • Le frecce d’oro. Miti greci dell’amore, Torino, SEI, 1994.
  • L’altro sguardo. Antologia delle poetesse del Novecento, a cura di e con Guido Davico Bonino, Milano, A. Mondadori, 1996.
  • Nimica fortuna. Edipo e Antigone nella tragedia italiana del Cinquecento, Torino, Tirrenia Stampatori, 1996.
  • L’idea del tragico. Teorie della tragedia nel Cinquecento, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998.
  • E se divento grande. Storia del giovane Agostino, Torino, SEI, 1999.

 

 

 

 

 

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Claude Lévi-Strauss (1908–2009) – La specie umana non può appropriarsi del nostro pianeta come se fosse una cosa e per comportarvisi senza pudore e senza discrezione.

«In questo secolo in cui l’uomo si accanisce nel distruggere innumerevoli forme di vita, dopo aver distrutto molte società la cui ricchezza e diversità costituivano da tempo immemorabile il suo più splendido patrimonio, è più che mai necessario dire, come fanno i miti, che un umanesimo ben orientato non comincia da se stessi, ma pone il mondo prima della vita, la vita prima dell’uomo e il rispetto degli altri esseri prima dell’amor proprio. Né va dimenticato che, essendo comunque destinato a terminare, nemmeno un soggiorno di uno o due milioni di anni su questa terra può servire da scusa a una qualsiasi specie, anche alla specie umana, per appropriarsi del nostro pianeta come se fosse una cosa e per comportarvisi senza pudore e senza discrezione».

 

Claude Lévi-Strauss, Le origini delle buone maniere a tavola, in particolare la parte III, “Il viaggio in piroga della luna e del sole», e la parte VII, “Le regole del saper vivere», Il Saggiatore, Milano 1999.

L’obiettivo dell’autore è mostrare come numerose indicazioni sociali e culturali derivate dai miti si possano ricondurre a un nucleo esiguo di principi strutturali, che riducono le distanze tra le società umane mostrandone le radici comuni. Così, confrontando credenze e comportamenti propri della nostra cultura con altri provenienti da culture lontane nello spazio e nel tempo, è possibile cogliere il loro carattere significativo: quando si riferiscono al modo di stare a tavola, all’educazione delle ragazze o alla cottura dei cibi, i miti e le usanze dicono in realtà molto di più; per quanto appaiano casuali, sono il mezzo attraverso cui si esprimono le strutture mentali di un intero popolo.

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David Foster Wallace (1962–2008) – Nella scrittura il talento è solo uno strumento. Fondamentale è lo scopo da cui è mosso il cuore della scrittura, nei fini che si è proposta la coscienza che sta dietro il testo. Ha qualcosa a che fare con l’amore.

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«Ho scoperto che la disciplina più difficile nella scrittura è cercare di partecipare al gioco senza lasciarsi sopraffare dall’insicurezza, dalla vanità e dall’egocentrismo. Mostrare al lettore che si è brillanti, spiritosi, pieni di talento e così via, cercare di piacere, sono cose che, anche lasciando da parte la questione dell’onestà, non hanno abbastanza calorie motivazionali per sostenere uno scrittore molto a lungo. Devi disciplinarti e imparare a dar voce solo alla parte di te che ama le cose che scrivi, che ama il testo a cui stai lavorando. Che ama e basta, forse.

Il talento è solo uno strumento. È come avere una penna che scrive invece di una che non scrive. Non sto dicendo che riesco costantemente a rimanere fedele a questi principi quando scrivo, ma mi sembra che la grossa distinzione fra grande arte e arte mediocre si nasconda nello scopo da cui è mosso il cuore di quell’arte, nei fini che si è proposta la coscienza che sta dietro il testo. Ha qualcosa a che fare con l’amore. Con la disciplina che ti permette di far parlare la parte di te che ama, invece che quella che vuole soltanto essere amata».

David Foster Wallace

 

David Foster Wallace03

 

 

La scopa del sistema (The Broom of the System) (1987), trad. Sergio Claudio Perroni, Roma: Fandango, 1999, 502 pp. ; Torino: Einaudi, 2008, 553 pp.
Infinite Jest (1996), trad. Edoardo Nesi con la collaborazione di Annalisa Villoresi e Grazia Giua, Roma: Fandango, 2000, 1434 pp. ; nuova ed. Torino: Einaudi, 2006, 1281 pp.
Il re pallido (The Pale King) (2011) (incompiuto), trad. Giovanna Granato, Milano, Einaudi, 2011, 728 pp.


La ragazza con i capelli strani (Girl with Curious Hair) (1990), trad. Francesco Piccolo, postfazione di Mattia Carratello, Torino: Einaudi, 1998, 202 pp.; come La ragazza dai capelli strani, trad. Martina Testa, prefazione di Zadie Smith, Roma: Minimum fax, 2003, 285 pp. ; n. ed. con un racconto inedito, ivi, 2008, 339 pp.
Verso Occidente l’impero dirige il suo corso (Westward the Course of the Empire) (1989), trad. Martina Testa, Roma: Minimum Fax, 2001, 217 pp.
Brevi interviste con uomini schifosi (Brief Interviews with Hideous Men) (1999), introduzione di Fernanda Pivano, trad. Ottavio Fatica e Giovanna Granato, Torino: Einaudi, 2000, 288 pp.
Oblio (Oblivion: Stories) (2004), trad. Giovanna Granato, Torino: Einaudi, 2004, 393 pp.
Questa è l’acqua (This Is Water) (2009), a cura di Luca Briasco, trad. Giovanna Granato, Torino: Einaudi, 2009, 166 pp.
Piccoli animali inespressivi (Little Expressionless Animals) (1988) in The Paris Review. Il libro, Roma: Fandango, 2010, pp. 215–65 (dal n. 106 della rivista)
Il rap spiegato ai bianchi (Signifying Rappers: Rap and Race in the Urban Present) (1990) – scritto con Mark Costello, trad. Christian Raimo e Martina Testa, prefazione di Frankie HI-NRG MC, Roma: Minimum fax, 2000, 188 pp.
Una cosa divertente che non farò mai più (A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again) (1997), trad. Gabriella D’Angelo e Francesco Piccolo, postfazione di Fernanda Pivano, Roma: Minimum fax, 1998, 143 pp. ; nuova ed. rivista, Roma: Minimum fax, 2001, 140 pp. ; nuova ed. con un omaggio di Edoardo Nesi, Roma: Minimum fax, 2010, 164 pp.
Tennis, tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più) (A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again) (1997), trad. Vincenzo Ostuni, Christian Raimo e Martina Testa, Roma: Minimum fax, 1999, 317 pp.
Up, Simba! (2000)
Tutto, e di più. Storia compatta dell’infinito (Everything and More: A Compact History of Infinity) (2003), trad. Giuseppe Strazzeri e Fabio Paracchini, Torino: Codice Edizioni, 2005, 262 pp.
Considera l’aragosta e altri saggi (Consider the Lobster) (2006), trad. Adelaide Cioni e Matteo Colombo, Torino: Einaudi, 2006, 382 pp.
Roger Federer come esperienza religiosa (Roger Federer as Religious Experience) (2006), trad. Matteo Campagnoli, Ed. Casagrande, 2010, 56 pp.
Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta (Although of course you end up becoming yourself), a cura di David Lipsky, trad. Martina Testa, Roma: Minimum fax, 2011
Di carne e di nulla (Both flesh and not) (2013), trad. Giovanna Granato, Torino, Einaudi, 2013, 256 pp.
Un antidoto contro la solitudine, Interviste e conversazioni (2013), Minumum Fax, 2013, 292 pp.

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Dante Alighieri (1265-1321) – Nè si dee chiamare vero filosofo colui che è amico di sapienza per utilitade.

Alighieri Dante

Alighieri Dante

«Nè si dee chiamare vero filosofo colui che è amico di sapienza per utilitade, sì come sono li legisti, [li] medici e quasi tutti li religiosi, che non per sapere studiano ma per acquistare moneta o dignitade; e chi desse loro quello che acquistare intendono, non sovrastarebbero a lo studio».

Convivio

Dante Alighieri, Convivio, III, XI, 10.

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Margherita Guidacci (1921-1992) – Il nostro mondo.

Margherita Guidacci

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Vi sono state epoche in cui l’uomo, nella sua vita individuale e collettiva, era dominato dall’idea di Dio.
Tutto ciò che faceva e subiva era interpretato religiosamente.
Le sue azioni erano considerate in base alla conformità a principii superiori.
Le trasgressioni, quando accadevano, erano sempre sentite come tali: l’uomo peccava allora ad occhi aperti, responsabilmente, conservando in ciò una sorta di ribelle grandezza, o riscattandosi in parte nel metafisico strazio del rimorso di cui si investiva nell’atto stesso di peccare.
Il peccatore sapeva volere e soffrire il suo peccato come il santo voleva e – diversamente – soffriva la sua santità.
Il peccatore e il santo, agli antipodi nella situazione morale, si sentivano giudicati da una stessa legge, e ad essa cercavano, con la stessa spontaneità, riferimento, per “fare il punto” del loro itinerario spirituale. Liberi gli individui di deviare a Est o a Ovest, la società era concorde nel riconoscere un unico Nord.
E questo Nord era Dio …

Leggi tutto il saggio di Margherita Guidacci

in PDF

el 1065

Margherita Guidacci, Il nostro mondo [Pubblicato sulla rivista Rassegna, a. I, n° 5, settembre 1945, pp. 40-44).], pp. 8.

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di M. Guidacci, a cura di Ilaria Rabatti,
vedi anche:

Il pregiudizio lirico. Consigli a un giovane poeta

La voce dell’acqua

Prose e interviste

l fuoco e la rosa. I Quattro Quartetti di Eliot e Studi su Eliot

 

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Maria Zambrano (1904-1991) – Il silenzio che accoglie la parola assoluta del pensiero umano diventa il dialogo silenzioso dell’anima con se stessa.

MARÍA-ZAMBRANO 01

MARÍA-ZAMBRANO 01

«E il silenzio, il silenzio che si fa è come un vaso, atto a recepire la parola definitiva e a conservarla senza che svanisca né si versi, affinché permanga senza passare né entri nella catena delle parole che si susseguono le une alle altre, in una moltitudine. Esiste infatti la moltitudine delle parole che hanno perso qualità e quel minimo di silenzio necessario a sostenerle e a farle apparire; una moltitudine che può trasformarsi in un esercito in marcia. […] Il silenzio che accoglie la parola assoluta del pensiero umano, la quale rimarrà così separata, solitaria, operante, come quella del linguaggio sacro degli inizi e, conservata in questo luogo silenzioso dell’anima umana, agirà indefinitamente, si attualizzerà in una illimitata e incessante riflessione, quella che Platone definisce come “il dialogo silenzioso dell’anima con se stessa”».

Maria Zambrano, Luoghi della pittura, Medusa, Milano, 2002.

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William Shakespeare (1564-1616) – «Cesare non potrebbe fare il lupo se non fossero pecore, e nient’altro che pecore, i romani».

William Shakespeare

CASSIO
Cesare […]  so che non potrebbe fare il lupo se non fossero pecore, e nient’altro che pecore, i romani.
Non farebbe il leone se non vedesse tanto cervi i romani.
Quelli che vogliono accendere una gran fiamma in fretta, cominciano con una brancatella di vilissima paglia; ora, che immondezzaio è Roma, che letamaio, che secchio di rifiuti, se si lascia adoprare come materia vile a illuminare una sostanza vile come Cesare! Ma, dove mi hai trascinato, mia tristezza? Io parlo così a uno che si acconcia forse volentieri a vivere da schiavo […].

[…]

ANTONIO
Fu, Bruto, il più nobile romano fra tutti i congiurati.
Tutti gli altri agirono per odio contro Cesare.
Lui solo, onesto nel suo pensiero, unicamente per l’interesse pubblico ed il bene comune si unì a loro.
Fu di nobile vita; e furono in lui così armonicamente commisti gli elementi naturali, che la Natura può levarsi e dire all’universo: «Questo fu un uomo».

William Shakespeare, Giulio Cesare, in Teatro, III, Einaudi, 1960, pp. 181-264

 

 

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