«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Warum bin ich vergänglich? o Zeus! so fragte die Schönheit.
Macht dich doch, sagte der Gott, nur das Vergängliche schön.
Lagnanza della Bellezza
Perché sono effimera, Zeus? Così domandò la Bellezza.
È solo l’effimero a farti bella, il dio rispose.
J. W. von Goethe, Klage der Schönheit (Lagnanza della Bellezza), Xenien (Xenie) [1796], In Id., Tutte le poesie, Volume II, Tomo I, edizione diretta da Roberto Fertonani, con la collaborazione di Enrico Ganni, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1994, pp. 624-625.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
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L’opera poetica di Silvio Raffo è la testimonianza forse più evidente della sopravvivenza, anzi della necessità, della musa lirica nel panorama contemporaneo, così lontano dalla melodia e dal verso “alato”, quello della Parola che luzianamente “vola alta” ed è in grado di “reveillér le coeur”. Per otto secoli, grazie all’endecasillabo e al settenario, la poesia ha svolto questa duplice funzione: illuminare e “commuovere” attraverso la parola musicale. Si può essere grati a Silvio Raffo per la sua capacità di adattare rime e metri classici alla modernità di un lessico attuale e alle tematiche dell’introspezione e della disappartenenza al reale, che costituiscono le novità più interessanti della produzione letteraria novecentesca. Il suo è un canzoniere pervaso di tenerezza, di grazia e “arcangelica” saggezza, ma anche di finissima e quasi impietosa ironia. “Livre de chevet” per gli intenditori ma anche per chiunque voglia accostarsi ad un’autentica, inattuale, poesia.
Indice
da I giorni delle cose mute (1967)
L’ho ribevuta in sogno Vorrei che questa notte ed altre notti Le lacrime d’amore
da Invano un segno (1975)
… Dunque sarà tutta una vita agli argini Alla stazione di Formia una mattina Congedi Underground lunar sight
da Stanchezza di Mnemosyne (1983)
Ebbra di soli e piogge la memoria Alla Musa La fune L’angelo eremita L’attore Le sere veneziane
da Immagini di Eros (1984)
Dedica prima Eros-Anghelos Eros-Narcissus Dedica finale
da Lampi della visione (1988)
Smarrito ogni senso del tempo Ekstasis Trame Da tempo ho in mente un luogo Confidenze Per troppa vastità Rendez vous Post scriptum da Altrove
da L’equilibrio terrestre (1991)
Il rito Notti di Grecia L’equilibrio terrestre Ritratto dell’artista da morto
da Vocative (2000)
Ahi fanciulli fanciulli mie chimere O miei timidi alfieri Venezia Lido
da Maternale (2007)
Non è morboso errore Ora possiamo andare
da Al fantastico abisso (2011)
La visionnaire I. Pioveva a brevi scrosci sulla Baia II. L’oblio che mi diluvia dalla Baia III. Sto cercando la splendida parola IV. Io sono il Trapassato della Baia Che cos’è la paura?
da La vita irreale (2015)
Oh no non è qui la mia vita Congratulations La vita è un’irreale pantomima
da Veglia d’autunno (2016)
Puro olvido L’autunno della vita
da Corpo segreto (2017)
As If L’alba della partenza Alien Avessi un grande amore da rimpiangere Il Karma dell’attesa A qualsivoglia amplesso Espediente Le Dauphine sage La débacle prochaine Il destino dei poeti Ai lost boys L’image l’anchorage La mer, la mère Spina e rosa The swinging boy
da La ferita celeste (2019)
Nel ricamo della mia vita L’errore di Dio Il passato eventuale Congedo
Silvio Raffo
Nato a Roma, vive a Varese, dove dirige il Centro di cultura creativa “La Piccola Fenice”, attivo dal 1986. Traduttore, poeta e narratore, ha collaborato con radio, televisioni svizzere e italiane, e giornali, fra cui il mensile «Poesia». Nel 1997 è stato finalista al Premio Strega con il romanzo La voce della pietra (il Saggiatore, 1996) dal quale è tratto il film Voice from the Stone, con Emilia Clarke e Marton Csokas, regia di Eric D. Howell. È considerato fra i massimi esperti della poetessa statunitense Emily Dickinson in Italia. Esordisce giovanissimo come poeta con I giorni delle cose mute(Kursaal, 1967). Agli stessi anni risale l’amicizia con figure di primo piano nel panorama letterario italiano, quali Natalia Ginzburg, Maria Luisa Spaziani e Daria Menicanti, oltre a Margherita Guidacci e Paola Faccioli. L’attività poetica prosegue negli anni Ottanta con la pubblicazione delle raccolte Lampi della Visione (Crocetti, 1988) e L’equilibrio terrestre (Crocetti, 1991), fino ai più recenti Maternale (Nuova Editrice Magenta, 2007) e Al fantastico abisso (Nomos, 2011). Sempre agli anni Ottanta risale l’approdo alla traduzione, con la pubblicazione di un’antologia di Emily Dickinson (Fogola, 1986). La traduzione di Emily Dickinson prosegue con due raccolte uscite presso l’editore milanese Crocetti (1988, 1993) e confluisce nelle 1174 poesie tradotte per il Meridiano Arnoldo Mondadori Editore dedicato alla poetessa statunitense (Milano, 1997). Lo studio della Dickinson porta anche alla pubblicazione di un saggio (La sposa del terrore) e una biografia (Io sono nessuno, Le Lettere, 2011). Ad oggi è forse il più prolifico traduttore e studioso di poetesse anglo-americane, fra cui, oltre alla Dickinson, Emily Brontë, Charlotte Brontë, Anne Brontë, Christina Rossetti, Edna St. Vincent Millay, Dorothy Parker, Sara Teasdale, Wendy Cope. Per Arnoldo Mondadori Editore ha riportato alle stampe, dopo anni di silenzio, le poesie di Ada Negri (Arnoldo Mondadori Editore, 2002), e Sibilla Aleramo (Arnoldo Mondadori Editore, 2004). Nel 2012 ha curato la prima riedizione delle poesie e delle lettere della poetessa torinese Amalia Guglielminetti, a lungo dimenticate. Nel 2013 ha curato, insieme ad Alessandra Cenni, per l’editore Bietti, la più completa edizione dell’opera della poetessa milanese Antonia Pozzi, Lieve offerta. Nel 2008, insieme a Linda Terziroli, ha ideato e organizzato il Premio Guido Morselliche ogni anno organizza, oltre al premio letterario, giornate di studio dedicate all’autore di Dissipatio H.G. fra Italia e Svizzera. Ha insegnato fino al 2014 lettere classiche al Liceo Classico Ernesto Cairoli di Varese.
Attualmente è docente di Traduzione Letteraria all’Università dell’insubria di Varese.
Un tuffo …
… tra alcuni dei libri di Silvio Raffo…
Prima in Galleria,
poi, più sotto,
ogni singolo volume …
Galleria
i singoli volumi …
Da più remote stanze, prefazione di Daria Menicanti, Hellas, 1984
Immagini di Eros, Forum Quinta Generazione, 1984
Emily Dickinson, Poesie, a cura di Silvio Raffo, Fogola editore, I ed. numerata, 1986
Emily Dickinson, Geometrie dell’estasi, a cura di Silvio Raffo, Crocetti Editore, 1988
Lampi della visione, Crocetti Editore, 1988
Il lago delle sfingi, Marna, 1990
Donna, mistero senza fine bello, Newton Compton, Roma 1994
È questa un’antologia della poesia femminile europea dalle sue origini fino alle soglie del Novecento. Dalle mitiche plaghe della lirica greca che costituisce come un universo a sé stante, alle prime sparute voci di donna che nel Medioevo non possono ancora rivendicare un’identità letterariamente definita, all’affermazione delle poetesse cortigiane del Cinquecento fino agli splendidi esempi della letteratura ottocentesca, la poesia “femminile” – non sempre o non necessariamente “femminile” – esprime in linguaggi di volta in volta diversi un modo di sentire e vivere la realtà inconfondibilmente autentico e intensamente lirico.
L’equilibrio terrestre, Crocetti Editore, 1991
Vocative, LietoColle, 1996
Virginio. Le prodigiose avventure di un bambinaio androgino, il Saggiatore, 1997
Emily Dickinson, Le più belle poesie, Crocetti Editore, II ed., 1997
Emily Dickinson, Tutte le poesie, a cura di S. Raffo, M. Bagicalupo, N, Campana, M. Guidacci, I Meridiani Mondadori, 1997
Oscar Wilde, Tutti i racconti, a cura di M. D’Amico, L. Chiavarelli, S. Raffo, Newton Comton, 1977
Gli Specchi della Luna. Un secolo di Poesia al femminile, Edizioni Tettamanti, 1999
Spiaggia paradiso. L’esperimento del doktor Traum, Marna, 2001
Christina Rossetti, Nostalgia del cielo, a cura di Silvio Raffo, Le Lettere, 2001
Edna St. Vincent Millay, L’amore non è cieco, a cura di Silvio Raffo, Crocetti Editore, 2001
Ada Negri, Poesie, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2002
Dorothy Parker, Tanto vale vivere, a cura di S. Raffo e C. Libero, La Tartaruga, 2002
Anne, Emily, Charlotte Bronte, Poesie, a cura si Silvio Raffo, Mondadori, 2004
Sibilla Aleramo, Tutte le poesie, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2004
Il canto silenzioso, Marna, 2005
Platone, L’anima, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2006
Seneca, La serenità, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2006
Marco Aurelio, La libertà interiore, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2007
Maternale, NEM, 2007
Questo lavoro poetico di Silvio Raffo traduce e avvalora il senso di ogni vita umana: quello più profondo e naturale, radicato nel legame tra madre e figlio. Quando è il poeta a dichiararlo attraverso le forme più classiche della poesia stessa, il senso dato alle parole raggiunge vette supreme. “Materenale” o il Maternum, Maternage, o ancora Mothering, riallaccia in lingue diverse la forma più ancestrale della vita umana, intesa come atto di libertà assoluta, quello in cui una madre accetta di legarsi in maniera indissolubile ad un’altra vita, quella del figlio, rinforzando e ricreando la propria.
Dependance. Il caso di Evelyn Grant, A.CAR., 2009
Un giovane di diciotto anni, Daniel Grant, è in viaggio con la madre Evelyn verso quella che dovrebbe essere la loro nuova abitazione. La Locanda Sturmer, diretta da un’anziana signora, è situata ai margini di un bosco, in una località chiamata “Valle d’Ombra”. Daniel, che soffre di periodici attacchi di paralisi e di una inspiegabile cecità, ha bisogno di molta tranquillità e di ambienti dove la luce sia ridotta al minimo. La dépendance della locanda sembra il luogo ideale per lui, soprattutto la cantina. Ma sarà proprio il pozzo di questo sotterraneo ad accogliere ben presto un cadavere. Il delitto viene compiuto durante una delle crisi di Daniel; sia il colpevole sia il movente sembrano assai facili da individuare. La realtà è però molto più sconvolgente, e si rivelerà solo con l’arrivo di un quarto personaggio, Miss Baker, la dottoressa che segue da anni madre e figlio. La sorpresa finale non sarà semplicemente quella classica dell’individuazione dell’assassino, ma avrà a che fare con la scoperta dell’identità di ogni figura dell’intricato mosaico.
La sposa del terrore. Poesie di morte e di immortalità in Emily Dickinson. Ediz. italiana e inglese, Book Editore, 2009
Il saggio di Silvio Raffo indaga le ragioni seminali della poesia di Emily Dickinson. Analizzando e comparando i frammenti della poetessa americana in maniera approfondita e originale, Raffo disvela l’enigma che fa convivere Terrore ed Estasi nei testi di una delle più grandi poetesse di tutti i tempi.
Eros degli inganni, Bietti, 2010,
La quiete sonnolenta e monotona di un liceo classico di provincia viene turbata dall’arrivo di Eros, giovane professore di lettere che porterà lo scompiglio nelle vite dei giovani a cui insegna, fino alla sua misteriosa scomparsa. Al suo allievo prediletto, Gabriel, occorreranno vent’anni per giungere alla dolorosa scoperta di una verità che sarebbe stato meglio non svelare.
Sara Teasdale, Gli amorosi incanti, a cura di Silvio Raffo, Crocetti Editore, 2010
Io sono nessuno. Vita e poesia di Emily Dickinson, Le Lettere, 2011
“Io sono nessuno” di Silvio Raffo si segnala all’attenzione del lettore come un’opera singolare da più punti di vista. Non si tratta di una biografia nel senso tradizionale del termine, l’intento dell’autore è quello di ricomporre le fasi della formazione di una coscienza poetica “in progress”. In questo libro si dà dunque maggior rilievo al fatto “interiore”, partendo dalla convinzione che un’esistenza uneventful, come viene solitamente definita quella della Dickinson, può essere più ricca di una vita avventurosa e piena d’imprevisti e cambiamenti. Ogni capitolo parte da un testo dickinsoniano, e tale scelta ha un preciso valore: quello di ricondurre ogni evento biografico a una matrice spirituale che in un certo senso “trascende” gli eventi del cosiddetto reale. La reclusione della poetessa, così spesso enfatizzata dai suoi studiosi, non ha nella nostra indagine compiuta alcunché di claustrale o morboso, e viene lasciato spazio nuove, più convincenti interpretazioni.
Giallo matrigna, Robin, 2011
Il tema-base di “Giallo matrigna” è la perdita della memoria, un tópos già presente in grandi mystery del passato: il protagonista è uno scrittore affermato che, il giorno della presentazione del suo ultimo libro (la biografia di una cantante non famosa ma molto particolare come personaggio) si accorge di aver cancellato dalla memoria le ultime ventiquattro ore. In questo lasso di tempo è stato compiuto un delitto. La vittima è proprio la cantante, Nita Landis. Un simile episodio era già accaduto vent’anni prima, il vuoto riguardava il giorno della morte della sua matrigna. Un ulteriore elemento di mistero riguarda il figliastro della cantante, scomparso nel nulla. Il titolo allude al colore del vestito indossato da entrambe le vittime. Atmosfere morbidamente crepuscolari e decadenti (l’Hotel Regina Palace di Stresa e la tenuta in riva a un fiume dove vive il protagonista) danno al racconto un sapore old fashion di squisita eleganza, come del resto la scrittura sapientemente sorvegliata. “Giallo matrigna” si è classificato secondo al premio “Alberto Tedeschi” per il miglior romanzo giallo italiano nel 2002.
Al fantastico abisso, Nomos Edizioni, 2011
Il secondo volume dell’elegante collana che le edizioni Nomos dedicano alla poesia contemporanea propone ai lettori i versi classici e raffinati di Silvio Raffo. Secondo la prefatrice,Marisa Ferrario Denna, “l’uso colto e consapevole della rima,la sonorità calda e precisa dell’endecasillabo e dei settenari” evidenziano una dotta abilità di alternare con uno stile tradizionalmnete erudito e alto “testi di grazia quasi infantile a testi più marcatamente filosofici”. Il tono favoloso e sospeso di alcune composizioni riesce a rendere la particolare levità di un mondo innocente e perduto (lasciando che nel secondo capitolo irrompa la magia della fiaba con i suoi attori più consumati: il principe,il drago,la fanciulla,il bosco,il castello,lo specchio,”i luminosi paggi”), ma sono soprattutto due i temi che si stagliano prepotentemente dalle pagine di questo libro: l’abisso della solitudine e il corteggiamneto assiduo e per nulla tragico della morte. Un’accettazione tranquilla e saggiamente conscia della propria finitudine, quindi, e un accordo placido e rasserenante con il fluire magico e sacro della natura, insieme alla consapevolezza fiera della propria e vivida unicità di persona e di poeta, in un dialogo inesausto con un “tu” che è sì ricerca dell’altro, ma anche una ribadita sottolineatura della propria irriducibile grandezza. Ecco:la gioia, l’inscalfibile pietra preziosa che ogni poeta,interprete di una scintilla di assoluto, porta in sé, e che in Silvio Raffo è orgogliosamente declamata: “Era il mio personale paradiso./E dovevo tenerlo chiuso in me,/senza svelare del mio rango il segno?”. Queste poesie così parche di punteggiatura, quasi a voler esibire un’aperta continuità di pensiero e di collegamento al tutto, hanno sempre una loro leggiadra compiutezza, una loro generosa offerta di gratuita verità, che talvolta le apparenta al tono lieve di Sandro Penna:”Lieto poi,col mio dono/al cuore in subbuglio serrato/la soglia fumosa varcavo”.
Saffo. Antologia lirica, Nomos Edizioni, 2012
Il nome di Saffo, poetessa greca vissuta nel settimo secolo avanti Cristo, è sinonimodi “lirica” in senso universale ed eterno: le ragioni del cuore e il potere della parola”pura” si fondono nella sua produzione con mirabile armonia e risultati di altissimo livello. A distanza di tanti secoli, il suo messaggio si rivela ancora di una straordinaria forza e attualità. Silvio Raffo, alla sua decima prova di traduzione “al femminile”, ripropone i testi più significativi della musa di Lesbo mantenendo una pregevole fedeltà agli schemi metrici dell’originale. Questo libro vuole essere un dono agli estimatori della cultura classica e al tempo stesso un’occasione per ogni lettore di scoprire la “fiamma al calor bianco” del sacro fuoco della Bellezza.
Wendy Cope, Guarire dall’amore, a cura di Silvio Raffo, Crocetti editore, 2012
Lady Medusa. Vita, poesia e amori di Amalia Guglielminetti, Bietti, 2012
Uno dei più clamorosi casi di damnatio memoriae della letteratura novecentesca è costituito da Amalia Guglielminetti. Scrittrice, giornalista d’avanguardia e soprattutto brillante poetessa, godette di un successo effimero nell’Italietta dannunziana e liberty, per poi sprofondare ingiustamente nell’oblio. Ignorata anche dall’editoria per più di cinquant’anni, finalmente essa riemerge alla ribalta grazie a questo volume che si impone nel panorama culturale come l’opera più completa mai pubblicata sulla poetessa. Oltre a un articolato ed esaustivo apparato biografico e all’opera omnia di poesia, esso porta alla luce rarissimi documenti, illuminanti per un identikit finalmente attendibile di “Lady Medusa”.
La sposa della morte, Robin, 2013
Può un’opera d’arte, per quanto misteriosa e difficile da decifrare, attrarre con forza disorientante l’anima delle persone, travolgendola fino allo stordimento? Un dipinto che raffigura un cavaliere e una strana coppia di sposi sullo sfondo di una campagna minacciata dall’alta marea, esercita proprio questa inspiegabile attrazione sui personaggi che vi ruotano intorno. Di quest’opera alquanto singolare, il cui titolo – La Sposa della Morte – non aiuta a rivelare l’enigmatico significato, si conosce solo il nome dell’autore, un certo Markus Eberden, vissuto per qualche tempo in un convento a Lonely Island, nelle regioni delle maree, a sud della Gran Bretagna. La storia si svolge in un presente non definito poiché il passato torna a rivivere in esso, e i destini sembrano sovrapporsi come in un allucinato déjà vu. Le voci dei personaggi narranti – i cui nomi sono non a caso anagrammi l’uno dell’altro (Eros-Rose, Nevile-Evelyne, Delio-Odile) – si alternano nel tempo che passa, raccontando la loro esperienza, il proprio punto di vista, confondendosi con l’alzarsi e l’abbassarsi della marea, in un ritmo incessante, come quello della vita e della morte. A ricomporsi infine con implacabile simmetria nel vortice delle corrispondenze karmiche è un mosaico talmente perfetto da riproporre un nuovo insondabile enigma.
Angelici delitti. Incubi in azzurro e nero, La Vita Felice, 2013
Se è vero che il delitto è la più raffinata delle arti, difficilmente si potranno trovare nella letteratura contemporanea resoconti di delitti più sofisticati e aristocratici di quelli illustrati nelle short stories degli “Angelici delitti” di Silvio Raffio. Il filo rosso che unisce questi racconti è la totale assenza di responsabilità o senso di colpa degli assassini: che si tratti di bambini prodigio abbandonati dalle madri, di artisti o attori del cinema, zitelle sessuofobe o giovani aspiranti vedove, tutti sono determinati nel portare a termine i loro piani criminosi come un’opera d’arte ma ancor di più di risanamento, compensazione di una qualche nefanda iniquità per cui non sono previste punizioni nel codice penale. L’altra assenza che si riscontra è quella dell’istituzione: non troverete mai un’uniforme di poliziotto o un pedante commissario. I conti si regolano tutti ‘en famille’, quanto più cruenta la modalità dell’esecuzione, tanto più beve il tocco della scrittura, anche per conferire alle vicende quel senso di straniamento dalla realtà che manca alla produzione letteraria odierna. Todorov, nel saggio La ‘letteratura fantastica’, esalta il particolare status dell'”esitazione” in cui un certo genere di scrittori pone il lettore, inducendolo a chiedersi in quale specie di anomalo universo è stato trasportato: è questo che si prova leggendo Silvio Raffio, e alla fine della lettura la realtà sembra un susseguirsi di banali nessi pretestuosamente logici.
Daria Menicanti, Il concerto del grillo. L’opera poetica completa con tutte le poesie inedite, a cura di F. Minazzi, B. Bonghi, S. Raffo,, Mimesis, 2013
In questo volume si raccoglie l’opera poetica completa di Daria Menicanti, unitamente ad alcuni suoi importanti testi in prosa. “La poesia di Daria Menicanti, priva degli strombazzamenti critici di cui godono normalmente i poeti (alla moda), pare a me, nella sua nuda semplicità e sincerità, una delle più vive e schiette dei nostri giorni”. Così scriveva Sergio Solmi, nel 1978, suggerendo di inserire l’opera poetica di questa poetessa nella tradizione della “poesia d’ogni tempo, dai primi lirici greci fino a Leopardi”, che si articola sempre “nei suoi poli fondamentali di amore-morte”. Per la medesima ragione Vittorio Sereni individuava “nella poesia della Menicanti, un credito d’amarezza del quale la buona creanza, il ragionevole notare delle sue scelte sintattiche e metriche costituisce la voce a pareggio, l’attento contrappeso e, insieme, il paradossale equivalente linguistico”. In questa scelta lirica, culturale e filosofica la Menicanti riesce “a dar voce persuasiva e struggente al suo atroce innamoramento di una vita che sfugge e le si nega, a una sua sommessa, ma precisa e ostinata, rivolta esistenziale”, riportandoci ai temi classici della poesia d’ogni tempo.
Antonia Pozzi, Lieve offerta. Poesie e prose, a cura di Silvio Raffo e Alessandra Cenni, Bietti, 2013
Saffo, Antologia lirica, a cura di Silvio Raffo, Nomos Edizioni, 2013
La pupilla della tigre, Robin, 2014
Consuelo Bannister, diciassettenne cieca dalla nascita, è la figlia del console inglese a San Sebastian. Nonostante viva nelle tenebre, la ragazza ha la possibilità di percepire il mondo grazie all’aiuto del fedele servitore Manolito. Alla morte dei genitori Consuelo viene affidata alla tutela di Iris Regueiro, amica della madre ed ex suora laica appartenente a una setta di fanatiche religiose che ha la sua sede segreta in un villaggio vicino a Glendalough, in Irlanda. Sfigurata in gioventù dall’artiglio di una tigre, Iris le propone un viaggio alla volta di una fontana miracolosa, dove le promette che potrà riacquistare la vista. La ragazza, colma di speranza, accetta l’invito; ma forse dietro quel gesto all’apparenza generoso si cela una sinistra macchinazione della setta… Il racconto si dirama in un’ambigua contraddanza tra realtà e visione; ambiguità che suggella inesorabilmente anche l’inatteso finale.
Lo schermo oscuro. Cinema noir e dintorni, Bietti, 2014
Il noir non è solamente un “genere” cinematografico, è anche e soprattutto uno stile, una dimensione psicologica, un modo di sentire la vita (oltre che il cinema): è il trionfo del chiaroscuro, dell’ambiguità, la percezione di un destino tanto crudele quanto ineluttabile. Silvio Raffo, cultore del giallo e del fantastico-visionario, propone in questo singolare libro una cronistoria “affettiva” ed estetica dell’universo noir, senza perdere mai di vista i riferimenti letterari e di costume, nella convinzione squisitamente “antimoderna” che un certo gusto e una certa bellezza abbiano davvero e definitivamente lasciato l’Olimpo.
La Milano dei poeti. Ventisette autori cantano Milano, La Vita Felice, 2015
O. Wilde, Tutti i racconti. Ediz. integrale, a cura di Silvio Raffo e Lucio Chiavarelli, Newton Copton Editori, 2015
Nei racconti Oscar Wilde si rivela grande narratore non meno che nel “Ritratto di Dorian Gray”. Autentici pezzi di bravura come “Il delitto di Lord Arthur Savile” o “Il fantasma di Canterville” – brillante canzonatura della “imperturbabile” classe dirigente inglese il primo, elegante parodia della letteratura gotica il secondo – hanno conosciuto innumerevoli adattamenti per il teatro, il cinema e la televisione. Le fiabe delle raccolte “Il Principe Felice” e “Una Casa di Melograni” racchiudono tutte, dal canto loro, un ammaestramento morale che non oscura mai la limpidezza e la raffinatezza dello stile. Le fantasticherie fiabesche non sono destinate soltanto all’infanzia giacché, come dichiarò lo stesso autore, esse sono state inventate “in parte per i bambini e in parte per coloro che hanno mantenuto la capacità fanciullesca della gioia e dello stupore”. Introduzione di Masolino d’Amico.
Patrick Branwell Brontë, Poesie. Testo inglese a fronte, a cura di Silvio Raffo, La Vita Felice,2015
Il fratello minore delle celeberrime sorelle Brontë, Branwell, costituisce uno dei casi letterari più ingiustamente segnati da una assurda damnatio memoriae: autore, oltre che di pregevoli prose, di un cospicuo numero di liriche profondamente ispirate, intrise di sensibilità romantica, ma disciplinate da un gusto severo della forma, si è dovuto rassegnare a costituire anche dopo la morte una figura “in ombra” rispetto a un trio d’eccezione, perdipiù al femminile. È l’unico caso in cui, nell’Ottocento, un intellettuale viene sopraffatto da esponenti del gentil sesso. Le parole con cui il giovane, in punto di morte, riassume la sua vita sono: “Non ho fatto nulla di bello né di buono”, e del resto di lui si era sempre detto senza pietà: “Branwell is a failure”. Questo volume di Silvio Raffo, poeta legato alla “tradizione” più di ogni altro infaticabile traduttore di poetesse anglo-americane, da Emily Dickinson a Sara Teasdale, restituisce finalmente allo sfortunato ‘Brontë boy’ il credito che gli spetta: in Italia le sue opere non sono mai state tradotte, e questo libro viene a colmare una grave lacuna.
Maria Luisa Spaziani. La divina differenza, LietoColle, 2015
“Se è vero, come continuiamo a credere (forse in pochi) che la grande poesia si accompagna naturalmente a questo sentire ‘sublime’ e che almeno in arte esiste, deve esistere, la perfezione, perché la poesia delle ultime generazioni sembra aver perso la speranza e la voglia di scalare quelle vette? […] Maria Luisa Spaziani sembra testimoniare in modi convincenti e ‘moderni’ la sopravvivenza della musa lirica, la sua legittimità e autorità indiscutibili. La sua opera, di recente consacrata dal Meridiano Mondadori, è la prova più lampante della possibilità di coesistenza di registro alto e leggibilità, dunque di ‘tradizione’ e comunicazione.”
Le insidie celesti. Otto racconti neogotici italiani, Robin, 2015
Otto racconti fantastici in cui le categorie di spazio e di tempo travalicano i confini del reale per condurci nel regno del perturbante e nella dimensione della sincronicità junghiana.
Mio padre Renè, Robin, 2015
La vita irreale. Poesia su due toni, Robin, 2015
Silvio Raffo, cultore di una musa che coniuga modernità e lirismo in un felice binomio. Una poesia intensa, leggibile, comunicativa e insieme di “alto sentire”, in cui il sublime “melodico” e l’ironico quotidiano sono le voci – i toni – della duplicità di un sentire profondo. Vita vissuta e vita sognata si rispecchiano in un aereo gioco di canto e controcanto potenziandosi a vicenda nell’unica dimensione congenita all’autore, la dimensione estetica.
Veglia d’autunno, New Press, 2016
Corpo segreto, LietoColle, 2017
Emily Dickinson, Il giardino della mente. Testo inglese a fronte, a cura di Silvio Raffo, La Vita Felice, 2017
“In Emily Dickinson, la più pura vestale della lirica metafisica d’Occidente, la vocazione alla poesia e la vocazione alla morte procedono su canali paralleli che spesso sembrano sovrapporsi e unificarsi coincidendo. Per intendere la vera e peculiare natura di tale connubio occorre partire da una premessa fondamentale di ordine biografico: un avvenimento, una situazione o una serie di situazioni dovette mettere Emily ‘in guardia’, o meglio dovette infonderle la precisa convinzione dell’Aldilà, che governa l’intero suo poema, anche se in un senso del tutto particolare e personale. È importante chiarire subito che in Emily Dickinson la poesia è appunto voce anteriore dell’Immortalità, vale a dire esercizio ascetico, preparazione al momento decisivo, finale-iniziale, all’ingresso umile e insieme sfarzoso dell’anima nel Reame del Cielo dopo il ‘soggiorno nel Possibile'” (dall’Introduzione di Silvio Raffo).
La voce della pietra, Elliot, 2018
Nella lugubre solitudine di un’antica dimora di campagna il giovane Jakob, che dalla morte della madre si rifiuta di parlare e affida a un diario i suoi tenebrosi pensieri, ascolta una voce ultraterrena che sussurra arcani messaggi dal grembo della pietra. Verena, l’indifesa infermiera sensitiva che arriva alla villa per prendersi cura di lui, orfana anch’essa e anch’essa priva di una sicura identità, cade vittima dello stesso incantesimo maligno. Che cosa vogliono i morti dai vivi? Qual è la vera misura del loro potere?
William Luce, La bella di Amherst. Il racconto della vita di Emily Dickinson, a cura di Silvio Raffo, La Vita Felice, 2018
Basata sulla vita della poetessa Emily Dickinson dal 1830 al 1886 e ambientata nella sua casa di Amherst, nel Massachusetts, l’opera si avvale del suo lavoro, dei diari e delle lettere per ricordare i suoi incontri con le persone significative della sua vita – famiglia, vicini, amici e conoscenti. Riequilibra l’agonia della sua reclusione con gli intensi luminosi momenti di una ispirazione estatica e trascendentale. Il libro spinge il lettore a varcare la soglia delle mura domestiche di Emily Dickinson, la “Bella di Amherst”, per addentrarsi nel nodo della sua vita familiare, nel quale individua una magmatica fonte della sua opera letteraria. La pièce di William Luce, tradotta da Silvio Raffo, ci racconta la storia di una figura femminile sensibile e innovativa nel suo modo di agire e pensare, un carattere umano che trovò nella poesia lo strumento più adeguato per esprimere il suo profondo sentire.
Alfred Douglas, L’ amore che non osa. Poesie per Oscar Wilde. Testo inglese a fronte, a cura di Silvio Raffo, Elliot, 2019
Pochi sanno, e pochissimi vogliono ricordare, che Lord Alfred Bruce Douglas, ovvero Bosie, il ragazzo «troppo amato» a cui Oscar Wilde dedicò la più straziante lettera d’amore di fine Ottocento – il De profundis -, fu poeta se non di eccelso livello sicuramente di apprezzabile talento e ispirazione autentica. La cortina d’oblio discesa sul suo nome dopo il clamoroso processo che decretò la rovina del mitico dandy generò anche la damnatio memoriae di una produzione poetica che non ha molto da invidiare a quella del maestro. Silvio Baffo ci offre con preziosa fedeltà una versione italiana in grado di colmare una grave lacuna e di fornire altresì singolari rivelazioni sull’ambigua natura di un rapporto che non fu solo sentimentale ma anche letterario, ricostruendone le fasi con filologica accuratezza e precisione di cronologia.
Il segreto di Marie-Belle. Diario di un’ombra, Elliot, 2019
Un nodo indissolubile lega l’istitutrice Aurelia e la sua pupilla Marie-Belle, la cui complicità quotidiana origina una spirituale quanto morbosa liaison dangereuse, costellata da una catena di morti apparentemente naturali. Un ricordo dietro l’altro, Aurelia ci rivela il susseguirsi degli eventi, talvolta drammatici, che hanno segnato le loro esistenze, ma le lacune del suo racconto ci portano a chiederci se possiamo credere davvero alle sue parole e se riusciremo infine a conoscere Il segreto di Marie-Belle.
Emilio Bortoluzzi. Il viaggio della vita, Macchione Editore, 2019
Questo libro non è semplicemente un omaggio alla memoria di un uomo esemplare, ma anche il doveroso tributo a un poeta di valore, che si è mantenuto con discrezione e coerenza ammirevoli sempre fuori dal coro, riluttante a qualsiasi appartenenza a conventicole letterarie o modaiole e immune dalle smanie di protagonismo tristemente in voga tra i poeti dei nostri tempi. L’esercizio della scrittura è stato per Emilio Bortoluzzi umile strumento di espressione del suo io più segreto e magico elisir apportatore di conforto spirituale, nella precisa consapevolezza che solo la poesia può tesaurizzare i momenti più preziosi di una vita e sottrarli alla nullificazione dell’oblio.
La ferita celeste 2017-2018, La Vita Felice, 2019
“Con ‘La ferita celeste’, Silvio Raffo rielabora alcuni motivi delle sue precedenti raccolte: la vanitatis vanitatum del biblico Qohelet e le mutazioni causate dal tempo (presto il mio volto non sarà più il mio) tema costante di molta poesia – ma con che tono? Spesso con la levità della sua amata Emily Dickinson, enunciando sconfitte e meraviglie come li possiamo cogliere in Annuncio di nozze della raccolta Stanchezza di Mnemosyne: «Io/ e Madamigella Poesia/ ci siamo sposati/ stasera/ alla Casina Valadier/ senza grandi cerimonie/ proprio all’ora del tè». Matrimonio ideale e senza testimoni, perché il poeta e la sua Damigella – a dispetto dei pronostici novalisiani – sono rimasti soli in un mondo spoetizzato. Come si vede, a preservarlo relativamente dai disagi della vita è la facoltà di rendere bello il dolore e la caducità attraverso la fiaba, la sublimazione e l’arabesco sonoro i cui versi, nella loro circolare bellezza, si snodano in base al principio di costanza tipico delle decorazioni. Proprio per questo il lettore non mancherà di notarne il flusso indefinito, sia per l’assenza di vere figure – noi abbiamo, semmai, delle parvenze – sia per la costante ripresa delle stigmate esistenziali venate da continui riflessi musicali.” (Dalla Postfazione di Silvio Aman: Le ondose malie del poeta-sirenide).
Oscar Wilde, Il principe felice e altri racconti. Ediz. italiana e inglese, a cura di Silvio Raffo, Jules Férat. Émile Bayard illustratori, La Vita Felice, 2019
«Accade non di rado che in opere cosiddette minori si esprimano, più o meno consciamente, velati da una sorta di discreto pudore o magari lasciati affiorare per stanchezza delle solite “maschere”, certi segreti umori della sensibilità di un autore, certe sfumature del suo essere che a un’analisi appena un po’ attenta si rivelano poi tutt’altro che casuali e irrilevanti, anzi al contrario essenziali per la comprensione di una poetica e, ancor di più, di un’anima. È il caso delle novelle di Oscar Wilde contenute nella raccolta Il Principe Felice, novelle che per molti aspetti possono essere considerate favole, anche se di un genere speciale: favole per adulti più che per bambini. È Wilde stesso a dichiarare – in una lettera a un amico, proprio come Dante a Cangrande della Scala a proposito della Divina Commedia – che scrive queste storie con un intento preciso, quello di proporre “uno specchio della vita moderna in forme lontane dalla realtà, di trattare problemi contemporanei in modi ideali, metaforici e non direttamente rappresentativi”: l’intento di comunicare delle verità, anche e soprattutto tristi, e di proporre degli “esempi” di comportamento morale.» (Dall’introduzione di Silvio Raffo)
Muse del disincanto. Poesia italiana del Novecento. Un’antologia critica, Castelvecchi, 2019
Nella storia della nostra poesia, il Novecento appare il secolo in cui sono state superate e infrante diverse frontiere; mai tante voci dispiegate in così evidente contrasto hanno fatto sentire il loro appello a Muse tanto inquietanti: progetti di destrutturazione e ricostruzione, accordi discordi, entusiastici fervori d’avanguardie e malinconiche nostalgie, proclami d’impegno e disimpegno, coscienza del vuoto esistenziale nell’«oblio dell’Essere» e più o meno consapevoli neoromanticismi. In quest’antologia, dove trovano spazio anche quei poeti ingiustamente considerati “minori” dalla critica, Silvio Raffo indaga tutte le aritmie del «pensiero poetante», tutte le correspondances e le dissonanze fra le varie tendenze. E lo fa con un’acribia filologica sempre accompagnata da un tono di affabile partecipazione: di poe-ta prima che di critico, convinto che sia necessaria la sopravvivenza di una poesia “alta”, equivalente a una scienza irrinunciabile di natura carsica, invisibile agli occhi dei poteri mondani eppure essenziale alla vita dell’anima; una poesia che possa ancora difendere nel «fuoco delle controversie» il valore di quella Bellezza che dovrebbe salvare il mondo.
Edna St. Vincent Millay, Poesie, a cura di Silvio Raffo, Crocetti, 2020
Edna St. Vincent Millay è stata l’eroina dell’Età del Jazz, la poetessa più amata e più letta nell’America degli anni venti. Di una bellezza inquietante, il suo sex appeal senza rivali aveva “l’effetto di una droga sulle persone”. Thomas Hardy disse che c’erano soltanto due grandi cose negli Stati Uniti: i grattacieli e la poesia di Edna. Tra i letterati anglofoni non c’era nessuno che non conoscesse i suoi versi, i suoi libri vendevano più di tre milioni di copie, e i suoi appassionati sonetti d’amore, grondanti lirismo e sentimento – ma anche ironia e rivalsa femminista -, erano ammirati e imitati da tutti gli aspiranti poeti. Interpretò una femminilità libera e spregiudicata e diede vita al mito dell’eterna giovinezza, all’amore romantico ma privo di illusioni, alla precarietà della vita e alla tristezza, ma senza rassegnazione. La scelta di poesie tradotte da Silvio Raffo ne dimostra la forza, che il tempo non ha scalfito.
Lo specchio attento, Elliot, 2020
Giorgino ricostruisce con lucidità spietata una malattia dello spirito vissuta nella stagione più delicata dell’esistenza: un’infanzia e un’adolescenza irrigidite nel cerchio magico di un incantesimo, stregate da una figura materna immateriale e impenetrabile. Per il ragazzo, l’unica possibilità di sopravvivenza è la creazione di un’altra vita, una favola dell’immaginario, in cui l’io ribaltato e riflesso nel suo doppio femminile sembra poter interpretare un ruolo finalmente attivo e dinamico. Presto però il gioco degli equilibri si incrina, e la vicenda dell’alter ego si complica nelle reti dell’ambiguità e del delitto. Postfazione di Sacha Piersanti.
Io sono nessuno. Tu chi sei? I’m nobody. Who are you? Silvio Raffo recita Emily Dickinson. Audiolibro. CD Audio formato MP3, Kipple Officina Libraria, 2020
Emily Dickinson, Pochi amano veramente. Aforismi e versi in prosa, a cura di Silvio Raffo, De Piante Editore, 2021
Una inedita raccolta di aforismi di Emily Dickinson, illuminano le profondità dell’animo umano e comunicano le gioie e i dolori dell’amore e della vita.
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Cade la pioggia triste senza posa a stilla a stilla esi dissolve. Trema la luce d’ogni cosa. Ed ogni cosa sembra che debba nell’ombra densa dileguare e quasi nebbia bianchiccia perdersi e morire mentre filtri voluttuosamente oltre i diafani fili di pioggia come lame d’acciaio vibranti.
Così l’anima mia si discolora e si dissolve indefinitamente che fra le tenui spire l’universo volle abbracciare.
Ahi! che svanita come nebbia bianca nell’ombra folta della notte eterna è la natura e l’anima smarrita palpita e soffre orribilmente sola sola e cerca l’oblio.
Carlo Michelstaedter,Poesie, a cura di Sergio Campalla, Adelphi, Milano 2021.
Risvolto di copertina
Le poesie di Michelstaedter ci fanno sentire, in un’altra forma, la stessa vibrazione estrema di La persuasione e la rettorica. Composte fra il 1900 e il 1910, risentono solo superficialmente del clima letterario italiano di quegli anni. Mentre subito vi affiorano quei temi ultimi a cui Michelstaedter dedicò la sua riflessione filosofica: i temi di chi è mosso da un’invincibile vocazione a spingersi al di là del bordo della vita, «amore e morte, l’universo e ’l nulla». All’inizio con timbro adolescenziale, e ancora tenuto alla sudditanza verso temi obbligati, poi con un piglio sempre più sicuro, e distaccandosi rapidamente da ogni dipendenza, Michelstaedter svela anche qui il suo dono specifico, quello dell’immediatezza nel pensiero, e ci guida «onda per onda» attraverso un mare sempre più aperto e pericoloso, il vero «mare dove l’onda non arriva», un mare assente, rispetto al quale si può dire che «tutta è la vita arida e deserta, / finché in un punto si raccolga in porto, / di sé stessa in un punto faccia fiamma».
Un saggio su Michelstaedter è un’impresa destinata inesorabilmente all’incompiutezza: scrivere di colui che con le parole volle fare guerra alle parole, alla ricerca di una pienezza di vita inattaccabile, da trovare, come fondamento stabile, socraticamente solo in se stessi – dando tutto e non chiedendo nulla per sé. Non si potrà mai dire compiutamente l’altezza vertiginosa raggiunta dal suo pensiero, che resta come una cifra inaudita dell’assolutezza dell’Essere e della giustizia da lui cercata. Eppure, col suo pensiero, questo giovane (ma saggio) solitario, che si richiama alla sapienza di Eraclito e di Parmenide e che troverà un’eco, e una parentela postuma, anche in Heidegger, vorrebbe unire il mondo in un unico afflato di fratellanza e d’amore, sull’esempio di Cristo e di Buddha: da lui presi come modello di vita persuasa, sul finire della sua breve esperienza terrena.
In Michelstaedter è risuonata la voce di qualcosa di sovrumano, così lontana dalla sua, e ancor più dalla nostra, epoca del compiuto nichilismo: del sapere scientifico ormai vittorioso e della tecnica dimentica dell’anima.
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«Antico, sono ubriacato dalla voce ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono come verdi campane e si ributtano indietro e si disciolgono.
[…]
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso e insieme fisso: e svuotarmi così d’ogni lordura come tu fai che sbatti sulle sponde tra sugheri alghe asterie le inutili macerie del tuo abisso».[1]
Antico è ciò che, come le “ombre”, si nasconde
«tra le parole imprevedibili, mai palesate, mai scritte, mai dette per intero,
[…]
non hanno né un prima né un dopo perché sono l’essenza della memoria. Hanno una forma di sopravvivenza che non interessa la storia».[2]
***
[1] Eugenio Montale, Ossi di seppia, Mediterraneo, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1984, p. 58.
[2] Eugenio Montale, Satura II, Botta e risposta III, in Tutte le poesie, op. cit., p. 370.
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Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. […] Il mondo ha bisogno di essere amato e accudito, prima di essere pianificato o portato chissà dove. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.
Franco Arminio, Per tornare assieme nella casa del mondo. Manifesto per il nuovo anno, Anima mundi edizioni, Otranto 2018, pp. 10-12.
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Ho inseguito la verità dell’intelletto nella curva veloce degli anni e ancora non so quale sia la lingua del cuore ancora mi è ignota a patria vera degli esuli.
Daniele Serafini, Heimat.
Vengono da vecchi album questi fremiti di vita virati seppia volti fieri di donne senza ansia di esistere – eleganti e silenziose ferme nella loro forza queste donne antiche dagli sguardi severi [. ..] tornano a salutarci queste donne antiche con la fragranza di un fiore che non si rassegna al tempo né al nostro troppo facile oblio.
Daniele Serafini, Antiche donne, in Tra le radici e l’altrove. Poesie 1986-2016, L’arcolaio, Forlinpopoli (FC) 2016, p. 184.
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La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta. In ogni caso molti anelli non tengono. La storia non contiene il prima e il dopo, nulla che in lei borbotti a lento fuoco. La storia non è prodotta da chi la pensa e neppure da chi l’ignora. La storia non si fa strada, si ostina, detesta il poco a poco, non procede né recede, si sposta di binario e la sua direzione non è nell’orario. La storia non giustifica e non deplora, la storia non è intrinseca perché è fuori. La storia non somministra carezze o colpi di frusta. La storia non è magistra di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve a farla più vera e più giusta. La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli. C’è chi sopravvive. La storia è anche benevola: distrugge quanto più può: se esagerasse, certo sarebbe meglio, ma la storia è a corto di notizie, non compie tutte le sue vendette. La storia gratta il fondo come una rete a strascico con qualche strappo e più di un pesce sfugge. Qualche volta s’incontra l’ectoplasma d’uno scampato e non sembra particolarmente felice. Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato. Gli altri, nel sacco, si credono più liberi di lui.
Il presente non è tutto Nei tempi bui in cui tutto sembra procedere nel rumore cadenzato e stridulo dei cingolati del , la poesia appare come libertà, breccia nella plumbea cappa dei nostri giorni senza speranza e senza prospettiva. Montale nella poesia La Storia ci induce a riflettere sull’andamento della storia per poter riprendere il cammino che pare già segnato, ma in realtà è un campo di possibilità che si snoda davanti a noi. Il capitalismo ha in odio la storia, poiché essa testimonia che ogni potere è nel tempo, vorrebbe dissolverla in modo che si pensasse che il presente ha in sé la pienezza senza trascendenza, che oltre il tempo presente con la sua visione unidirezionale non vi è nulla. Il capitale nella sua fase apicale ha divorato anche il nulla, non ammette antitesi di nessun genere, si presenta come l’essere univoco parmenideo, deve eliminare ogni orizzonte temporale per erigere prigioni globali. Montale ci rammenta che la storia non è prevedibile, è attività creatrice, ha improvvise deviazioni, nessuno la possiede, ma appartiene a tutti, e dunque con l’aiuto delle circostanze l’impossibile può diventare reale. La storia ideale costruisce eroi ed ipostasi quali artefici della storia, ma la verità è che la storia è il frutto di una pluralità di soggetti che muoiono anonimi, eppure partecipano vivamente al suo procedere, sono il sale della vita che crea nuove possibilità. La loro gioia è nella partecipazione silenziosa che non verrà segnalata da nessuno storico. Ciò malgrado, dietro i rumori dei grandi vi è la storia dei piccoli, dei resistenti, che con la loro piccola vita possono deviare il corso fatale della stessa. Coloro che vogliono ridurre la storia ad un teorema con definizioni e corollari predeterminati hanno già perso, perché si pongono fuori del cammino della storia vivente:
La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta. In ogni caso molti anelli non tengono. La storia non contiene il prima e il dopo, nulla che in lei borbotti a lento fuoco. La storia non è prodotta da chi la pensa e neppure da chi l’ignora. La storia non si fa strada, si ostina, detesta il poco a poco, non procede né recede, si sposta di binario e la sua direzione non è nell’orario.
Piani di passaggio La storia ci sembra, ora, in questi decenni omogenea: un piano liscio su cui scorrono merci e chiacchiere. L’impero del valore di scambio sembra non lasciare scampo, assimila ogni differenza, espelle dal suo grembo maligno ogni alterità. L’omogeneità si ripiega su se stessa, non lascia varchi, brecce da cui ri-dialetizzare il presente. Montale ci invoca a guardare fortemente la storia e a cogliere sul piano liscio improvvise “buche” che consentono il passaggio verso nuovi mondi. Il piano grigio e compatto della globalizzazione, apparentemente invincibile, è puntellato di resistenti che non si lasciano divorare dalla chiacchera, ma conservano la loro umanità, la loro razionalità critica che trasforma il presente in attività divergente. La storia non è conclusa, il potere vive l’illusione del controllo totale, si bea della sua tracotanza, ma la vita con le sue buche gli sfugge. Le buche possono trasformarsi in voragini tali da deviare il corso degli eventi, da mutare la geografia dei significati che il potere vorrebbe eternizzare:
La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli.
Fuori dalle reti Per poter comprendere la storia, se mai questo sia possibile, dobbiamo guardare fuori la rete che ci rassicura, distribuisce i ruoli, tira una linea tra vincitori e vinti. La storia vera e viva è fuori della rete. Solo chi è fuori della rete può comprendere la verità della storia. Chi è tagliato fuori dalla storia, svela le illusioni di coloro che sono nella rete, chi sfugge alla rete per volontà o per un caso trova un varco, è l’attore di un nuovo inizio. Gli infelici che sono “fuori” non sono da compiangere, perché in loro riposa la possibilità di un nuovo percorso, perché dal loro “fuori” vedono la verità della rete con i suoi disincanti. Il loro sguardo penetra nella notte oscura per incontrare l’inizio di un nuovo giorno, la tragedia si sposa con la speranza:
C’è chi sopravvive. La storia è anche benevola: distrugge quanto più può: se esagerasse, certo sarebbe meglio, ma la storia è a corto di notizie, non compie tutte le sue vendette. La storia gratta il fondo come una rete a strascico con qualche strappo e più di un pesce sfugge. Qualche volta s’incontra l’ectoplasma d’uno scampato e non sembra particolarmente felice. Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato. Gli altri, nel sacco, si credono più liberi di lui.
Non dobbiamo temere di essere degli invisibili, dei pesci piccoli che nuotano alla periferia della rete, coloro che non sono nella rete non appaiono, ma sono la sostanza del mondo, e la storia vive delle loro inconfessabili libertà. La teoria del caos (James Yorks) ci insegna che un battito d’ali può causare effetti che non possiamo prevedere. Dobbiamo continuare a battere le nostre ali. I nostri pensieri, il nostro impegno sono le ali della storia. La storia viva è indecifrabile, insondabile e non si ripete mai in modo eguale, pertanto anche nella disperazione può fiorire la speranza, perché la storia è molto più di ciò che appare, leggiamo e viviamo. La storia incombe, se ci arrestiamo davanti alla sua grandezza, ma se entriamo in essa e ci doniamo senza la presunzione del risultato tutto può ancora essere ed esserci. Non dobbiamo allevare barbari dal calcolo facile e dal cuore lento, ma guerrieri gentili dalle cui parole può rifiorire un mondo.
Salvatore Bravo
[1] Eugenio Montale, La Storia, in Satura, Mondadori, Milano 1971).
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