Eugène Minkowski (1885-1972) – È lo slancio vitale che dà un senso alla vita e costituisce quanto vi è in essa di più essenziale. Questo slancio sempre vivo crea l’avvenire e non può essere racchiuso in una sezione trasversale della coscienza, e si tende, come un arco, oltre tutte le sezioni di questo genere.

Eugène Minkowski 03
Il tempo vissuto

Il tempo vissuto

«È lo slancio vitale che dà un senso alla vita e […] costituisce quanto vi è in essa di più essenziale» (p. 42).

«La psicologia sarebbe tentata di ricondurre il fenomeno […] a una rappresentazione dello scopo da raggiungere, a un sentimento positivo che rende questo scopo desiderabile[…]; questo insieme di elementi darebbe luogo, in tempi più o meno brevi e dopo aver attraversato stadi intermedi, a un altro insieme, composto, questo, dalla constatazione – sia mediante la percezione sia in altro modo – della presenza dello scopo ricercato e da un senso particolare di sollievo che ci annuncia il completamento della nostra azione.

Direi che in queste costruzioni c’è tutto, tranne l’essenziale. Manca lo slancio personale, questo slancio sempre vivo che crea l’avvenire e che non potrebbe essere racchiuso, senza costrizione, in una sezione trasversale della coscienza; questo slancio che si tende, come un arco, oltre tutte le sezioni di questo genere che il pensiero spaziale tenta di sostituirgli, le unisce, le anima, le organizza in un tutto indivisibile, fa sì che tutte insieme esse costituiscano la tendenza dell’io completo verso la realizzazione di uno scopo» (p. 43).

«Il conosci te stesso, dal momento in cui è stato formulato per la prima volta dal genio umano, è sempre parso all’umanità pieno di senso. Purtuttavia, se quelli che ci vengono rappresentati come elementi coscienti, e più particolarmente i motivi dei nostri atti, venissero ad allinearsi gli uni accanto agli altri nella nostra coscienza, il conosci te stesso non sarebbe che un’illusione, poiché ciò che la nostra coscienza ci farebbe in tal modo conoscere dovrebbe possedere per sua stessa natura il carattere dell’indiscutibile, oppure, cosa quasi inconcepibile, se non avesse questo carattere, sprofonderemmo fatalmente in uno scetticismo dissociante, non avendo ragione di considerare come più validi i moventi sostituiti a quelli riconosciuti come falsi. E solo perché esiste una dimensione in profondità che ogni movente isolato ci appare subito come qualcosa di relativo e poco attendibile, e che affondare il nostro sguardo in fondo al nostro essere, per tentare di scoprirvi la verità, ha un senso, e un senso molto profondo per noi.

Nello stesso tempo vediamo che se il conosci te stesso ci prescrive di diffidare di quanto vi può essere di convenzionale, di meschino, di falso in noi, esso non ci invita a scoprire dietro questa facciata altri motivi che, rimasti inconsci, sarebbero i veri motivi delle nostre azioni; esso cerca solo di rimetterci in contatto con l’inconscio, con la sorgente stessa della nostra vita, da cui non può non scaturire il nostro vero slancio, cioè la nostra tendenza verso il bene. In fondo, ogni motivo che è conscio e come tale si afferma, è per questo stesso fatto un movente ingannevole, poiché il motivo vero non può che confondersi con l’inconscio. La virtù riconosciuta e affermata cessa di esserlo e la maschera della falsa modestia non riesce a salvare colui il quale, dietro questa maschera, nasconde il suo orgoglio di uomo virtuoso. Poiché dirigere lo sguardo verso il proprio intimo non vuoi dire scoprire e affermare ciò che vi è rimosso, ma farne scaturire il nostro slancio in tutta la sua purezza» (pp. 51-52).

«Quando, mediante il mio slancio personale, realizzo qualche cosa, la situazione che così si è creata non si esaurisce affatto nella constatazione: “ho raggiunto ciò che mi proponevo di raggiungere” o anche “ho fatto qualcosa, ho compiuto un’azione”. Questa è solo una parte e la parte meno importante di ciò che ho davanti a me. Nello stesso tempo vedo che la cosa fatta è un’opera, ovviamente nel senso più ampio del termine, opera che, pur restando mia, va a integrarsi in un insieme completamente diverso da quello dal quale sembra essere uscita in quanto opera mia, e ben più possente, ben più grande di essa. L’opera ha sempre una portata, un carattere oggettivo, o meglio trans-soggettivo, ed è questo il senso stesso di un’opera personale» (pp. 54-55).

Eugène Minkowski, Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, 2004.

Eugène Minkowski – Il tempo vissuto – L’azione etica apre l’avvenire davanti a noi perché resiste al divenire: è la realizzazione di quanto vi è di più elevato in noi
Eugène Minkowski (1885-1972)  – La morte, mettendo fine alla vita, la inquadra interamente, in tutto il suo percorso. È la morte che trasforma il succedersi o la trama degli avvenimenti della vita in “una” vita. Non è nel nascere ma è col morire che si diventa un’unità, “un uomo”.
 


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