Cosimo Quarta (1941-2016) – Il bisogno di progettare, nell’uomo, non è un fatto accidentale, ma essenziale, in quanto corrisponde alla sua originaria natura. Il progettare è possibile ed ha senso solo in presenza e in vista del futuro. La “fame di futuro” è fame di progettualità, ossia bisogno forte e urgente di utopia, il cui strumento privilegiato è la progettualità.

Cosimo Quarta - Nuova Utopia
«Il bisogno di progettare, nell’uomo, non è un fatto accidentale, ma essenziale, in quanto corrisponde alla sua originaria natura. Il progettare è possibile ed ha senso solo in presenza e in vista del futuro. La “fame di futuro” è fame di progettualità […] L’uomo è un essere progettuale. Il progetto spinge a impegnarsi per cambiare lo stato di cose presente. La carenza di progettazione sociale è segno di fuga dalla vita, perché realizzare il fine richiede impegno, dedizione, pazienza, sofferenza, sacrificio. […] Non può costruirsi una società comunitaria senza un’azione parallela mirante a trasformare contemporaneamente le condizioni esterne e le coscienze. Perché vi sia autentica comunità occorre sviluppare una coscienza comunitaria. Il principio fondamentale che regge l’intero edificio comunitario […] è proprio l’humanitas, ossia la coscienza del valore e della dignità degli uomini, di tutti gli uomini, e del loro comune destino».
Cosimo Quarta
Quale progettualità. L’uomo è un essere progettuale.

indicepresentazioneautoresintesi

Cosimo Quarta, Tommaso Moro. Una reinterpretazione dell’«Utopia», Dedalo, 1991.

«L’uomo, […] in quanto dotato di libertà, per costruire quel se stesso che ancora non è e un ambiente di vita adeguato a tale scopo, ha bisogno di progettare. Ed è davvero sorprendente che ancora oggi […] vi sia chi […] addirittura arriva a contrapporre, in nome dell’idolatria del mercato e dell'”intelligenza del denaro”, la libertà al bisogno umano di progettazione, allorché si affenna che è possibile conquistare nuovi spazi di libertà, se si rinuncia “al divorante bisogno di un oretine sovrimposto che abbia il pregio di risultarci immediatamente chiaro sulla carta”, dal momento che nessun “progetto”, per quanto chiaro e rigoroso si presenti, sarebbe in grado di garantire “la bellezza dell’esito” (A. Mignardi, L’intelligenza del denaro, Venezia, 2013).
È davvero strano che non si riesca ancora a comprendere che quel “divorante bisogno di un ordine sovrimposto”, ossia il bisogno di progettare, nell’uomo, non è un fatto accidentale, ma essenziale, in quanto corrisponde alla sua originaria natura.
In realtà, la nostra specie, stando anche a quanto lasciano supporre recenti studi di paleoantropologia, dovrebbe essere in certo modo ridefinita, riconoscendo che l’uomo è non solo sapiens, ma anche utopicus, in quanto si presenta originariamente come progettante, ossia come un essere che è strutturalmente proteso a diventare quel che ancora non è. E l’uomo, oltre a progettare e riprogettare se stesso, sente anche contestualmente il bisogno di progettare e ri progettare, di generazione in generazione, anche il proprio ambiente di vita, cioè la società, per meglio adeguarla ai suoi bisogni che, essendo dinamici e non statici, mutano nello spazio e nel tempo.
E progettando e riprogettando se stesso e la società, l’uomo costruisce la storia. Ecco perché l’utopia, se considerata dal punto di vista sociale, si configura come il progetto della storia, ossia come l’insieme dei progetti che le generazioni umane hanno elaborato e rielaborato lungo i millenni, al fine di migliorare le loro condizioni di vita.
Ma l’uomo, per svolgere la sua peculiare ed essenziale funzione di progettare deve anzitutto avere una corretta percezione della temporalità, riconoscendo a ciascuna delle dimensioni del tempo (passato, presente e futuro) il valore che le è proprio: il passato è importante perché la sua conoscenza ci arricchisce delle esperienze fatte dalle generazioni che ci hanno preceduto e ci aiuta, se letto con attenzione, a non ri petere gl i stessi errori; il presente è il tempo prezioso, in cui ciascuno di noi, da un lato, raccoglie ciò che le generazioni precedenti con tanta fatica hanno seminato, mentre, dall’altro, si sforza di correggere gli errori compiuti e di elaborare nuovi progetti per migliorare l’attuale stato di cose, della cui realizzazione godranno soprattutto le generazioni future. Infine, il futuro è il tempo da cui prende senso la funzione stessa del progettare. Senza futuro, infatti, non ci sarebbe progettazione, dal momento che quest’ultima ha bisogno di un orizzonte dinamico, che può essere dato solo dal futuro. Il progettare è possibile ed ha senso solo in presenza e in vista del futuro. Se il futuro scompare dali’orizzonte temporale umano, ciò significa che l’uomo è stato deprivato del desiderio, della speranza, della creatività [Cfr. E. Minkowski, Il tempo vissuto. Fenomenologiaa e psicopatologia, Einaudi, 1971, pp. 61, 89, e passim] e, quindi, anche della capacità di progettare, che è poi la conditio sine qua non per vivere il proprio tempo in modo attivo, senza lasciarsi travolgere dalla passività, che spesso conduce alla malinconia, alla depressione e alla disperazione […].
L’utopia, proprio per il suo legame indissolubile con l’uomo e con la storia, costituisce, in certo modo, la via maestra per far recuperare ali’uomo di oggi i valori fondamentali della speranza, del desiderio, della creatività, della progettualità e, quindi del senso del futuro, di cui egli, in questi ultimi decenni, è stato fortemente deprivato. Solo se recupera tali valori, l’uomo è in grado di impegnarsi attivamente e creativamente a divenire quel che ancora non è, ossia a dispiegare le sue potenzialità per costruire non solo se stesso, ma anche una società migliore e un futuro positivo, che torni ad essere portatore del meglio. La “fame di futuro”, di cui tanto oggi si parla, in realtà è una fame di speranza e, quindi, una fame di progettualità, ossia un bisogno forte e urgente di utopia. […]
Lo strumento privilegiato per raggiungere tali obiettivi è la progettualità […]. È quasi superfluo ricordare che un progetto è veramente utopico se si fonda su principi etici universalmente riconosciuti, come la giustizia, la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, la solidarietà, la pace, l’amore. Ciò significa che educare ali ‘utopia implica, contestualmente,
l’impegno a formare cittadini dotati di una profonda coscienza morale e civile, capaci cioè di operare sempre responsabilmente, in vista del bene comune. Ma perché questo avvenga, è necessario che l’educazione all’utopia si diffonda in modo capillare, poiché grazie ad essa è possibile superare il mito dell’ individualismo, ossia di quel tarlo sociale che, dilagando in questi ultimi tempi in molti paesi e, soprattutto, in Occidente, spesso nelle forme patologiche dell’egotismo e del narcisismo, costituisce una delle cause principali dell’attuale crisi, in cui i rapporti umani hanno finito con l’assumere “la forma fredda dell’incuria e dell’indifferenza” che, non raramente e, in particolare, in tempi di ristrettezze economiche, si acuisce, determinando “lo spettro della perdita di futuro”, il quale, a sua volta, “alimenta potenzialmente la competizione e la guerra di tutti contro tutti”.
Solo attraverso l’educazione all’utopia si può invertire tale processo degenerativo, formando cittadini realmente “forti” […].  Tale progetto educativo, come tutti i progetti autenticamente utopici, è certamente difficile da realizzare, ma non è impossibile, come vorrebbero farci credere gli ideologi della crisi senza fine. In realtà, le vie d’uscita dalla crisi che oggi attanaglia l’umanità sono già fin d’ora percorribili, se si ha la volontà di farlo».

Cosimo Quarta, L’utopia nell’età dell’incertezza,
in Per un Manifesto della «Nuova Utopia»,
a cura di Cosimo Quarta, Mimesis, 2013, pp. 34-37.


Risvolto di copertina

I saggi che compongono questo volume, scritto a più mani, costituiscono un prezIoso contributo in ordine all’elaborazione di un Manifesto della “nuova utopia”, ossia di un documento a carattere interdlsclplinare, che ha tra i suoi fini anzitutto quello di ridare all’utopia il suo senso autentico, liberandola dai fraintendimenti che per secoli l’hanno banalizzata, deturpata e falsata. L’espresslone “nuova utopia” si è resa necessaria proprio per fare emergere la complessità e la rlccheua del fenomeno utopia, che non riguarda solo il fatto letterario, come da secoli si è creduto, ma abbraccia l’intera sfera dello scibile e della prassi umana, in quanto tale fenomeno si configura non come qualcosa di meramente “fantastico” e, meno che mai, di “bello ma impossibile”, bensì come il progetto della storia. E ciò perché l’uomo, fin dal suoi primordi, si caratterizza come un essere progettante, proteso cioè, sul piano personale, a diventare, attraverso l’educazione, quel che ancora non è, mentre, sul piano sociale, attraverso l’impegno etico-politico, si sforza di progettare e realizzare un ambiente di vita in cui possa vivere bene, ossia una società in cui regni la libertà, la giustizia, l’uguaglianza, la solidarietà, la pace, il benessere, l’amore. Un altro fine del Manifesto – e di questo volume che lo prepara – è quello di proporre l’utopia, intesa in senso nuovo, come antidoto alle paure e alle angosce che affliggono l’uomo del nostro tempo. In un contesto di perdurante crisi ed incertezza, che spesso sfocia nella disperazione, l’utopia, infondendo nell’animo umano la straordinaria e positiva forza emotiva della speranza, lo spinge ad uscire dalla mortificante condizione di passività e lo impegna a progettare e costruire una società più giusta e fraterna.

Scritti di: Lidia Caputo, Roberto Cipriani, Arrigo Colombo, Marina D’Amato, Carla Danani, Marianna Forleo, Vita Fortunati, Daniela Martina, Luigi Punzo, Gianpasquale Preite, Cosimo Quarta, Jean-Michel Racault, Christian Rivoletti, Giuseppe Schiavone, Eleonora Sparano, Laura Tundo Ferente, Francesco Totaro, Paul-André Turcotle.

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Cosimo Quarta – L’uomo è un essere progettuale. Il progetto spinge a impegnarsi per cambiare lo stato di cose presente. La carenza di progettazione sociale è segno di fuga dalla vita, perché realizzare il fine richiede impegno, dedizione, pazienza, sofferenza, sacrificio.
Cosimo Quarta – Se manca solo uno di questi momenti (critico, progettuale, realizzativo), non si dà coscienza utopica, e anzi, non si dà coscienza autenticamente umana.
Cosimo Quarta – Il bisogno di progettare, nell’uomo, non è un fatto accidentale, ma essenziale, in quanto corrisponde alla sua originaria natura. Il progettare è possibile ed ha senso solo in presenza e in vista del futuro. La “fame di futuro” è fame di progettualità, ossia bisogno forte e urgente di utopia, il cui strumento privilegiato è la progettualità.
Cosimo Quarta – Non può costruirsi una società comunitaria senza un’azione parallela mirante a trasformare contemporaneamente le condizioni esterne e le coscienze. Perché vi sia autentica comunità occorre sviluppare una coscienza comunitaria. Il principio fondamentale che regge l’intero edificio comunitario di Utopia è proprio l’humanitas, ossia la coscienza del valore e della dignità degli uomini, di tutti gli uomini, e del loro comune destino.
Cosimo Quarta (1941-2016) – Nell’utopia si esprime la coscienza critica per la carenza d’essere, per l’insufficienza fattuale del reale, per la sua non rispondenza ai bisogni umani.
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Eugène Minkowski – Il tempo vissuto – L’azione etica apre l’avvenire davanti a noi perché resiste al divenire: è la realizzazione di quanto vi è di più elevato in noi
Eugène Minkowski (1885-1972) – La ricchezza dell’avvenire che libera dalla morsa dell’attesa

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Arrigo Colombo – L’utopia è un progetto che ha la sua base nella stessa natura d’uomo. Le linee fondamentali del progetto stanno dunque già nella stessa natura d’uomo.

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Utopia e distopia

Utopia e distopia

Si comprende allora il senso nuovo dell’utopia come progetto della storia. In questa fase moderna il progetto che intenziona la storia occidentale, poi la storia universale; nell’universalizzarsi del prrocesso. Intenziona la prassi storica, umana, la società umana, l’«umanità» nel suo farsi, nel suo costruirsi; tesa ormai, impegnata sull’obiettivo della società giusta e fraterna.
Un progetto che si elabora e rielabora, si rifà sempre; che perciò può dirsi storico-metastorico, nel senso che trascende sempre il presente, e il futuro nella prospettiva del presente; è sempre al di là, ogni volta al di là non solo della società realizzata, ma di quella stessa progettata, della stessa possibilità progettuale del momento. Quelli che hanno identificato l’utopia con la categoria della «perfezione», perché ne hanno trovato il germe o l’idea in certi progetti letterari; e vi hanno discusso a non finire, si ritrovano spiazzati perché l’idea di perfezione è incongrua all’utopia: contrasta da un lato con la finitudine umana, dall’altro con la creatività in cui si essenzia lo spirito. Perciò le è incongrua l’idea di compimento, di stadio finale o supremo: una concezione del tipo hegeliano, chiusa nella ragione (nell’Idea) e nel suo manifestarsi […].
L’utopia è un progetto che ha la sua base nella stessa natura d’uomo, la quale però – lo si è visto – è potenzialità pura o quasipura, perché creatività. Perciò comincia dal nulla o quasi-nulla, dalla preistoria animale; poi dalla base animale e insieme spirituale. Che deve però realizzare, costruire creativamente. Il discorso già impostato
all’inizio. «Uomo sii uomo», sei uomo ma lo devi essere; lo sei potenzialmente, lo devi realizzare in libertà e creatività. Sei un essere di specie, un coessere; sei un’armonia di soma-psiche-pneuma; sei dotato di ragione e di volontà-amore: devi essere tutto questo, costruire il tuo essere-coessere, la tua persona-società; costruire una società nell’uguaglianza e nel vincolo della comune natura, il vincolo fraterno.
Le linee fondamentali del progetto stanno dunque già nella stessa natura d’uomo. Né può essere altrimenti; se appunto si tratta dell’uomo e non di un altro, non di un antropoide o di un «alieno». E però queste linee fondamentali son nulla o quasi-nulla in conseguenza della potenzialità pura o quasi-pura in cui giacciono, e in rapporto alla creatività che le dovrà realizzare. «Uomo sii uomo», ma lo sii autocostruendoti (Selbsterzeugung, la parola hegeliana, poi marxiana), lo sii nel modo più fortemente creativo; mentre sai che potresti essere anche un uomo-non-uomo, uomo-bestia; lo sei stato, lo sei ancora.
Senza questa riflessione sulla natura non si può capire la valenza etica dell’utopia, il suo imperativo, lo stretto dovere che la impone. o altrimenti giustizia e ingiustizia, amore e odio sarebbero indifferenti, il prevalere dell’uno o dell’altro affidato alla casualità, alla forza, o al calcolo per una società che funzioni. Non all’insuperabilità del vincolo etico, del dovere, del diritto. Né si potrebbe capire l’eutopia, il suo fondamentale e globale precomprendersi nel disegno della società buona, società giusta e fraterna. […]
L’utopia, il progetto della società giusta e fraterna, è dunque un progetto storico.

Arrigo Colombo, L’utopia, il suo senso, la sua genesi come progetto storico,
in Utopia e distopia,
a cura di A. Colombo, Edizioni Dedalo, 1993, pp. 158-160.

 

Scritti di:
E. Baldini, L. Bertelli, G. Bof, G.C. Calcagno, G. Capone, A. Colombo, V. Fortunati, H. Hudde, S. Manferlotti, M. Moneti, G. Pirola, C. Quarta, A. Rizzi, G. Schiavone, G. Seclì, R. Trousson, L. Tundo, G. Zucchini

Risvolto di copertina

Il libro è mosso da un duplice intento, ch’è anche il nodo della discussione e del dibattito che lo anima. Anzitutto la rifondazione dell’utopia come progetto della storia, il progetto della società giusta e fraterna che muove la storia intera. Di contro al concetto usuale che ne fa un vagheggiamento irreale e fantastico, o un ideale comunque impossibile; ma anche contro la corrente che lo risolve nel fatto letterario, nel viaggio e nel romanzo. In secondo luogo la sceverazione dell’utopia dalla distopia ch’è il suo opposto, la società perversa; mentre l’utopia-eutopia e la società buona, la società di giustizia. Non si può dire che il comunismo sovietico fosse un’utopia: era il suo opposto, una distopia.

Arrigo Colombo, filosofo, responsabile del Gruppo di ricerca sull’utopia dell’Università di Lecce. Lavora sui problemi della società del nostro tempo e sul progetto utopico che la va trasformando: Martin Heidegger. Il ritorno dell’essere, Il Mulino, Bologna 1964; Il destino del filosofo, Lacaita, Manduria 1971; Le società del futuro. Saggio utopico sulle società postindustriali, Dedalo, Bari 1978; Fourier. La passione dell’utopia (ed. con L. Tundo), Angeli, Milano 1988.

 

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Laura Tundo Ferente – Il pensiero utopicamente connotato ha saputo esercitare costantemente la critica e l’opzione etica per la società giusta.

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Per un Manifesto della «Nuova Utopia»,

Per un Manifesto della «Nuova Utopia»

«[…] l’utopia propone riflessioni, idee, forme istituzionali, modalità operative molto consapevoli, impegnate a ridisegnare il senso e perimetro storico del principio ideale di riferimento che resta la giustizia;  […] l’utopia non conosce se non questa via: rende più acuto lo sguardo sulla realtà, sulle sue mancanze, sulle inadempienze, sulle distorsioni e ineguaglianze, sulle contraddizioni; elabora un’idea di ciò che considera buono, giusto […]; progetta forme della prassi che traducono in modi di vivere e in istituti sociali e politici quelle idee e indicazioni; immagina, propone, sperimenta (anche con l’esperimento mentale) modalità operative corrispondenti al loro evolvere. In questo presentare soluzioni, che sono però soltanto tentativi, l’utopia ha svolto uno straordinario ruolo di anticipazione e prefigurazione. Ha saputo leggere i vizi del tempo presente e svelarne il vero aspetto fuori da qualsiasi ineluttabilità, ha individuato le responsabilità, ha riflettuto su cosa si dovesse intendere per società “buona” e “felice”. Rispetto alla generale riflessione filosofica, non di rado raffinata, ma attenta ad altre grandi questioni, o talvolta anche cointeressata alle medesime visioni dei poteri emergenti, il pensiero utopicamente connotato ha saputo esercitare costantemente la critica e l’opzione etica per la società giusta, ha coltivato il terreno dell’immaginario sociale; per questa via ha saputo cogliere il bisogno e il desiderio in relazione alla giustizia, ha saputo indicare vincoli etici e un orizzonte di senso obbligante diversi da quelli in atto».

Laura Tundo Ferente, Utopia ed etica. Il desiderio e il vincolo,
in Per un Manifesto della «Nuova Utopia»,
a cura di Cosimo Quarta, Mimesis,, 2013, p. 78.

 

 

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I saggi che compongono questo volume, scritto a più mani, costituiscono un prezIoso contributo in ordine all’elaborazione di un Manifesto della “nuova utopia”, ossia di un documento a carattere interdlsclplinare, che ha tra i suoi fini anzitutto quello di ridare all’utopia il suo senso autentico, liberandola dai fraintendimenti che per secoli l’hanno banalizzata, deturpata e falsata. L’espresslone “nuova utopia” si è resa necessaria proprio per fare emergere la complessità e la rlccheua del fenomeno utopia, che non riguarda solo il fatto letterario, come da secoli si è creduto, ma abbraccia l’intera sfera dello scibile e della prassi umana, in quanto tale fenomeno si configura non come qualcosa di meramente “fantastico” e, meno che mai, di “bello ma impossibile”, bensì come il progetto della storia. E ciò perché l’uomo, fin dal suoi primordi, si caratterizza come un essere progettante, proteso cioè, sul piano personale, a diventare, attraverso l’educazione, quel che ancora non è, mentre, sul piano sociale, attraverso l’impegno etico-politico, si sforza di progettare e realizzare un ambiente di vita in cui possa vivere bene, ossia una società in cui regni la libertà, la giustizia, l’uguaglianza, la solidarietà, la pace, il benessere, l’amore. Un altro fine del Manifesto – e di questo volume che lo prepara – è quello di proporre l’utopia, intesa in senso nuovo, come antidoto alle paure e alle angosce che affliggono l’uomo del nostro tempo. In un contesto di perdurante crisi ed incertezza, che spesso sfocia nella disperazione, l’utopia, infondendo nell’animo umano la straordinaria e positiva forza emotiva della speranza, lo spinge ad uscire dalla mortificante condizione di passività e lo impegna a progettare e costruire una società più giusta e fraterna.

Scritti di: Lidia Caputo, Roberto Cipriani, Arrigo Colombo, Marina D’Amato, Carla Danani, Marianna Forleo, Vita Fortunati, Daniela Martina, Luigi Punzo, Gianpasquale Preite, Cosimo Quarta, Jean-Michel Racault, Christian Rivoletti, Giuseppe Schiavone, Eleonora Sparano, Laura Tundo Ferente, Francesco Totaro, Paul-André Turcotle.

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