«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Inghiotti tutto in un boccone. Il tuo assolo. Non è grammatica il silenzio imperativo tuo. Ognuno ha la sua». (Vita?) «Non fiatare cospira, con il cortese senso comune. Se guaisci rompi i vetri della distanza giustiziera il freddo che ci vuole per appendere il tuo respiro all’ albero. E correre forte, Via».
Non volevo l’appello dell’amore volevo la conoscenza non volevo l’intesa volevo la verità nuda, la via d’uscita tremante. Volevo essere la tua camicia. La neve che veglia il pane. Questo sentimento buio è tutto quello che ho, ripiegato in tasca del mio grande cappotto come un fazzoletto di una volta.
La volta in cui si incontravano le domande e la loro sete.
Alberi acque respiri montagne esistono davvero, quando la narrazione tace. La punteggiatura vuole che dorma senza sillabe di sonno, gli animali della notte aspettano che spenga la discrezione per sussurrare la fame. Non spengono me. La sveglia del tuo silenzio dice che devo andare. Prima di allora il silenzio si chiamava musica. Un addio sta sconfinato sotto terra.
Chandra Livia Candiani, Ascoltando quello che tu non dici, in Id., La domanda della sete (2016-2020), Einaudi, Torino 2020, pp. 51-52.
«Nella domanda che nasce, si alimenta e dimora la filosofia. Invece, soprattutto in ambito accademico, perplessità e domande sembrano essere diventate qualcosa da temere a fronte della minacciata ostracizzazione da parte della comunità scientifica, che pretende una produzione “in serie” della conoscenza, oltre alla coerenza, alla verificabilità, e alla ripetibilità di procedure calcolabili: operazioni senza resto. […] Io parlo di quel resto, e cioè di quanto del riferimento antico eccede l’utilità scientifica, anche solo su un piano intuitivo, abitando invece una dimensione più simbolica e sacra, più umana o, anche, spirituale. […] Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile […]. La filosofia del tragico riguarda una spinta tutta simbolica e mitologica di aderenza alla vita. […] Questo lavoro intende dimostrare come per praticare la filosofia sia assolutamente inevitabile e necessario sporcarsi le mani immergendole nella materia mitologica, rivelando uno sguardo diverso anche su materie settoriali e molto ben standardizzate, che non siamo soliti trattare con un orientamento filosofico. […] La filosofia del tragico ci costringerà inevitabilmente a mettere in discussione tutto ciò che viene avulso dal mondo, nel parlare del mondo, e cioè, avulso dal divenire».
INVITO ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO di Alessandra Filannino Indelicato Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita-filosofica e altre vocazioni al dionisiaco Mimesis, Collana Philo-Pratiche Filosofiche, 2019
«Pochi sanno che Dioniso, il nume tutelare del teatro antico, è padre tanto della tragedia quanto della commedia, e che nel teatro della vita, proprio come durante uno spettacolo, abbiamo il compito di guardare, capire e fare spazio a ciò che succede, nostro malgrado. […] Coprendo e ricoprendo l’autentica densità del mito in se stesso, ammutolendolo e assottigliandone la profondità, non facciamo che seguire una modalità consumistica, anche di ricercare e di studiare».
Ancora sentiamo levarsi dall’Antica Grecia il terribile pianto di un capro sacrificale. Alle urla strazianti di dolore si uniscono i canti commossi e le danze sfrenate in onore di Dioniso: la tragedia nasce come un sacro rituale di compartecipazione al ciclo di vita, morte e rinascita. Nell’epoca del consumismo e del “tutto subito”, abbiamo urgente bisogno di una filosofia del tragico, aperta alla complessità simbolica della vita. In questa direzione, l’Euripide di Baccanti ci consegna un Dioniso δαίμων (daimon), mediano, misterioso e contraddittorio; incarnazione dell’eccesso panico così come maestro di una puntuale presenza all’istante – l’autentico compito di ogni filosofia. Dioniso lo Straniero, ma secondo soltanto ad Atena nei festeggiamenti; Dioniso l’Androgino, l’irrazionale, l’addolorato: molteplici nomi tentano di definirlo, nessuno riesce mai a comprenderlo. Perché la filosofia dovrebbe dunque, e provocatoriamente, occuparsi del tragico? Cosa significa rispondere a una vocazione al dionisiaco? E perché questo ci riguarda?
Introduzione Filosofie del tragico, mitologie e scienze umane
Prima parte
Capitolo I
La filosofia del tragico: scenografie rapsodiche, panorami insoliti
Al cuore della filosofia del tragico: etica comefilosofia prima e vita filosofica
Il tragico dell’origine: spinte genealogiche e miti originari a partire da Esiodo
Appunti su μῦθος (mythos) e ἀλήθεια (alḕtheia) nellaRepubblica di Platone
Sulla μίμησις (mìmēsis), sulla vita: Aristotele e l’arte omeopatica delle passion
Cantando il capro, cantare la vita:Nietzsche e la tragedia come paesaggio d’anima
Per un tragico entelechiale: il contributo di Ernst Bernhard
Tracce e risonanze junghiane e kerenyane per una filosofia del tragico
Nicole Loraux e la voce addolorata della tragedia antica
Capitolo II
Introduzione a Dioniso, il nume tutelare del teatro antico
Dioniso il tragico, Dioniso il comico: una scelta di campo
Feste rituali e festeggiamenti in onore di Dioniso
Morte e rinascita come πολυμορφία (polymorphìa)
11.1 Il Polinomio: innumerevoli nomi, innumerevoli identità
11.2 L’animale, l’agreste e il vegetale: simboli sacri e rappresentazioni mondane
11.3 Δίγονος (Dìgonos) e Πενθεύς (Penthéus):il “nato-due-volte” e il “dio dalle insopportabili sofferenze”
11.4 Sussurri e segreti sui misteri dionisiaci: gli ἀπòῤῥητα (apòrrhēta)
Seconda Parte
Capitolo III
Ermeneutica simbolica e filosofia del tragico Dioniso nelle Baccanti di Euripide
L’esercizio e il suo contesto
Leggere il tragico
13.1 “Eccomi a Tebe”. Una divinità daimonica
13.2 “Dioniso, chiunque egli sia”. Un’identità inafferrabile
13.3 “Io lo vedevo e lui vedeva me” La disperante ambiguità dei dialoghi
13.4 “Un dio non dovrebbe assomigliare agli uomini nell’ira”. Dioniso, troppo umano
Conclusione. L’uscita danzante
Nel passaggio da εὐδαιμονία (eudaimonìa) a ἐνδαιμονία (endaimonìa)
Postfazione. La tragedia che siamo, la tragedia che dovremmo essere consapevoli di essere di Romano Màdera
Bibliografia
«[…] Alessandra Filannino Indelicato nella figura di Dioniso interroga la vita tragica, che è la vita in quanto tale, così come noi la conosciamo. Tragica perché sempre sul punto di andare in pezzi, tenuta insieme soltanto da uno sguardo che ne colga nessi e strutture là dove, nel fitto degli avvicendamenti e dei coinvolgimenti, ci adoperiamo ciecamente. Tenuta insieme da uno sguardo che ne colga l’unità narrativa, la sensatezza, la necessità. […] Ed è qui che la vita tragica, A. Filannino Indelicato ci mostra, si fa una con la vita filosofica, con l’impegno a una vita consapevole. E con la cura, l’accudimento. La vita tragica contemplata, attraversata con consapevolezza, è vita accompagnata, non lasciata allo stato brado ma coltivata, lavorata, esercitata: non lasciata sola ma seguìta, ricordata, riaccordata, raccontata, curata. […] La proposta di Alessandra Filannino Indelicato colpisce per audacia, urgenza e verità. Perché chiama a più livelli a un rinnovamento e a una serietà».
«Questo libro è un contributo serio e generoso alla rinascita e al rinnovamento della filosofia come modo di vivere e, quindi, come insieme di pratiche filosofiche. Un contributo che rinnova ritornando, secondo una lezione classica che riconosce la rivoluzione proprio mentre ne rintraccia la più oscura genealogia. Qui, a differenza del reperto archeologico, portare alla luce, esporre all’aria, non dissolve, ma fortifica e acuisce la capacità di vedere».
Un ringraziamento speciale va a tutti gli amici che mi hanno incoraggiato a portare a termine questo lungo lavoro, durato quasi sei anni. In particolare, a chi mi ha aiutato nella revisione del testo: Marina Barioglio, Elena Bartolini, Andrea I. Daddi, Donata Feroldi, Luca Grecchi. Grazie a Claudia Baracchi e Romano Màdera, maestri dalla grande anima e insostituibili, ai quali sarò grata per tutta la vita. Agli amici immensi: Amos Badalin, Carmen Cocco, Gloria Diffidenti, Fabio Galimberti, Tommaso Giovenzana, Giusi Negroni. E a tutti gli amici di Philo. Grazie della philia. Un anemone e una viola a D., e un grazie per accompagnarmi alla scoperta di Dioniso, grazie per essere rimasta. Anche a te, Chandra, donna sangue-carezza, alla tasca di cangura, perché le tue poesie salvano me e molte altre, anche se, forse, tu continui a non saperlo davvero. Ermione, quanto ti devo? Mi hai adottato, piccola e selvaggia felina, maestra d’altrove, famiglia. Fabrizio, grande anima, la tua umiltà e il tuo cuore mi hanno insegnato a temere meno l’esposizione, e a legittimarmi l’arrivederci: e ora guarda, guarda tutto questo e il nuovo e l’America e tu, la tua America e le nostre gatte. Alle Filannino, donne che corrono coi lupi, in special modo alle mie sorelle Michela e Manuela, a mia cugina Marilena e, ovviamente, alla grande Lena, mia madre, che avrebbe voluto studiare psicologia e greco antico. Ai miei nipoti, tutti quanti, con la preghiera che si involino all’ascolto appassionato del loro daimōn. In ultimo, un grazie a chi, pur non conoscendomi, deciderà di spendere un po’ del suo tempo per leggermi.
Sono assegnista di ricerca in Filosofia Morale (M-FIL/03) e consulente pedagogica a orientamento filosofico. Faccio parte del Gruppo di Filosofia Morale, nello specifico collaboro con le cattedre di Filosofia Morale, Filosofia della relazione e del dialogo, Pratiche Filosofiche (Prof.ssa Claudia Baracchi). Alle favole ho da sempre preferito le epopee, i racconti epici, le mitologie e le cosmogonie di tutti i tempi. Fin dalla più tenera età, queste passioni non mi hanno abbandonata e in maniera del tutto naturale ho finito per intraprendere una vita di ricerca personale e professionale tra la psicologia del profondo junghiana, la mitologia e la tragedia greca, le pratiche filosofiche e le culture simboliche e l’utilità che il sapere filosofico-antico in genere ha nella contemporaneità, specie per le professioni di cura. Insieme al mio Gruppo di Ricerca , partecipo e conduco i Seminari Aperti di Pratiche Filosofiche di Milano-Bicocca, dove approfondisco il tema della spiritualità laica e dell’importanza della filosofia praticata in gruppo. Collaboro con ScuolaPhilo, di cui sono socia. Sono docente di materie pedagogiche, filosofiche e psicologiche nei centri di formazione per figure professionali socio-sanitarie, ASA e OSS. Ho lavorato come coordinatrice di un servizio socio-assistenziale domiciliare rivolto all’anzianità. Oggi collaboro come consulente con i pazienti affetti da Alzheimer e demenze e i loro familiari con interventi al domicilio e in consulenze private.
Dunque, per ascoltare avvicina all’orecchio la conchiglia della mano che ti trasmetta le linee sonore del passato, le morbide voci e quelle ghiacciate, e la colonna audace del futuro, fino alla sabbia lenta del presente, allora prediligi il silenzio che segue la nota e la rende sconosciuta e lesta nello sfuggire ogni via domestica del senso.
Accosta all’orecchio il vuoto fecondo della mano, vuoto con vuoto.
Ripiega i pensieri fino a ricevele in pieno petto risonante le parole in boccio.
Per ascoltare bisogna aver fame e anche sete, sete che sia tutt’uno col deserto, fame che è pezzetto di pane in tasca e briciole per chiamare i voli, perché è in volo che arriva il senso e non rifacendo il cammino a ritroso, visto che il sentiero, anche quando è il medesimo, non è mai lo stesso dell’andata.
Dunque, abbraccia le parole come fanno le rondini col cielo, tuffandosi, aperte all’infinito, abisso del senso.
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