Salvatore Bravo – Afghanistan della disinformazione. La guerra per l’oppio.

Salvatore Bravo

 

Afghanistan della disinformazione

 

 

L’infosfera dell’Occidente turbo-capitalista è finalizzata alla disinformazione manipolata. Il suddito-consumatore aggiogato al mainstream ha la percezione di essere informatissimo, in realtà il sistema mediatico ripete in modo ossessivo informazioni filtrate a priori. La decadenza della democrazia è nell’impossibilità di ricostruire eventi e circostanze in modo reale e razionale. Si vive, di conseguenza, in una realtà semi-onirica, in cui le parole e le immagini, in un numero volutamente ingestibile, sembrano farci vivere in una democrazia trasparente e realizzata. Siamo nella gabbia d’acciaio della disinformazione e non ne abbiamo, in genere, la consapevolezza. L’Italia nel 2024 risulta essere al 46 posto per la libertà d’informazione. Si finanziano le guerre per i diritti umani, ma in patria vi è un deficit notevole di diritti, di informazione e di cultura politica.

In questi decenni a liberismo integrale, in cui i diritti sociali sono stati tagliati e la formazione dei cittadini europei è drammaticamente curvata ai voleri della classe al potere, la vera protagonista è stata la guerra. Il neocolonialismo si è mascherato con la propaganda dei diritti umani, e in nome della democrazia e dei diritti umani propagandati dai trombettieri delle oligarchie si è proceduto a devastare intere aree geografiche e a massacrare i popoli indisponibili ad entrare nell’Eden occidentale. La religione unica del mercato e del denaro non tollera le differenze, esse sono vissute come una minaccia alla verità dell’economicismo. La superiore civiltà dell’Occidente ha divorato un numero non indifferente di popoli: Serbia, Libia, Iraq, Siria, Afghanistan ecc. La democrazia è arrivata a suon di bombe e ha lasciato paesi devastati e popoli nel dolore. In questo clima vi sono testi che possono esserci d’ausilio per comprendere la pericolosa direzione verso cui l’Occidente si sta posizionando. Il saggio di Filippo Rossi è una fonte di informazioni, spesso diretta, sul conflitto in Afghanistan. Ci svela la verità sull’operato NATO abilmente occultato dai mainstream, i quali si soffermano esclusivamente sulla condizione femminile, la quale è diventata lo strumento mediatico per strappare un facile e irriflesso consenso e per celare la realtà tragica di questi anni terribili di guerra. L’autore specifica nel testo che cosa intenda per Occidente. Non sono i popoli occidentali ad essere responsabili, ma le oligarchie anglofone, le quali occultano la verità in Occidente, rendendo i cittadini sudditi. Le plutocrazie sono le responsabili di una serie di guerre che non hanno eguali per la conduzione spregiudicata e per le tecnologie messe in campo:

 

«Bisogna, invece, intendere l’Occidente come sistema di governo, di controllo finanziario, come politica neocolonialista e imperialista che domina, invade e opprime chiunque non la pensi come desiderato dal potere, e cerca di imporre con mezzi subdoli e con tecniche avanzate la propria visione del mondo per cercare di modificarlo a piacimento e renderlo sempre più omologato, abbattendo frontiere culturali, barriere e usi sociali per arrivare a creare un essere umano ibrido (ciò che, nella sua accezione fenomenologica, può essere considerato transumanesimo). E l’opera è già in stato avanzato, anche se barcollante. Questo avviene senza tenere minimamente conto di ciò che la popolazione occidentale pensa di queste azioni e di questa espansione».[1]

 

Compelle intrare

Le guerre di rapina sono venate da un razzismo occultato dalla fumisteria dell’uguaglianza. La civiltà occidentale è la migliore possibile, pertanto bisogna radere al suolo le altrui civiltà per portare l’irenica pace dell’Occidente. L’Occidente è divenuto con la sua religione-missione della civilizzazione, ad ogni costo, la laica e pericolosa religione del nostro tempo. Si tratta di ideologia, in quanto la retorica della religione dei diritti cela l’occupazione e il saccheggio quali fini reali delle missioni di pace. Il capitalismo è il “bene assoluto” per cui va imposto ai popoli retrogradi che bisogna costringere ad entrare nel mondo della superiore civiltà del dollaro nella quale l’uguaglianza è divenuta eguagliamento:

 

«In Occidente si parte dal presupposto che almeno in Europa e negli Stati Uniti la struttura della propria società sia la migliore al mondo. Da qui il bisogno di doverla proporre con le “buone o le cattive” agli altri. La cosa più sconcertante è che spesso sono gli ambienti della cosiddetta “sinistra” a difendere questi diritti inalienabili imponendola a tutti senza accorgersene».[2]

 

“Compelle intrare” è il motto che distingue la democrazia occidentale, coloro che resistono devono essere indotti a suon di bombe ad entrare nel mercato e a “condividere le loro risorse con i liberatori”. Caduta l’unione Sovietica, la NATO ha cominciato ad estendersi sempre più ad Est. Il crollo delle torri gemelle ha decretato la contrazione della democrazia in Occidente in nome della sicurezza. Si esporta la democrazia dei diritti, mentre in Occidente la stessa si contrae:

 

«Oltre alla guerra, il progetto di creare più ostacoli ed erodere le libertà dei cittadini funzionò alla perfezione con l’introduzione del Patriot Act, firmato e introdotto i 26 ottobre del 2001. Si fece credere al cittadino comune che meno libertà garantiva più sicurezza. La dittatura nascosta raggiungeva un alto livello in tutto il mondo, essendo tutti gli Stati in un qualche modo soggiogati dallo strapotere della finanza USA».[3]

 

 

La realtà-verità della guerra

Le ragioni della guerra in Afghanistan e della sua democratica occupazione non sono da individuare nell’attacco alle Torre gemelle, ma nella sua posizione e nelle ingenti risorse minerarie. La democrazia è esportata solo dove vi sono risorse minerarie a cui le oligarchie occidentali sono particolarmente sensibili. Il capitalismo occidentale può sopravvivere solo mediante la predazione delle risorse minerarie che non possiede:

 

«L’Afghanistan non solo si trova in una posizione strategica molto importante per l’attraversamento di risorse come il gas e petrolio dalle vaste e ricche pianure centrasiatiche verso l’Oceano Indiano, ma possiede lui stesso ingenti risorse naturali sul suo territorio. Non solo petrolio e gas ma anche uranio e litio, per citarne alcune. Possiede però qualcosa di speciale e più allettante ancora: l’oppio, l’eroina, l’efedrina. Il narcotraffico, un mercato miliardario per chi lo controlla. Più di quanto sia stato rilevato».[4]

 

Il sangue dell’Occidente è il denaro. Il capitalismo si connota per il suo sviluppo ipertrofico, e a tal scopo necessita di denaro. Si forma un ciclo vertiginoso in cui si investe denaro per ottenerne altro ed espandersi senza limiti e confini. Il “deserto della crematistica” avanza ad un ritmo ingestibile, e specialmente, è occultato alla vista cognitiva e politica degli ordinari cittadini occidentali. L’Afghanistan è il più grande produttore d’oppio, pertanto l’Occidente ha gestito la produzione per ricavarne denaro da investire nelle guerre di “liberazione” prima dai sovietici e poi da Talebani:

 

«L’Afghanistan e il Pakistan però, sono passati da centri di piccola produzione locale a veri e propri centri di grande produzione, con l’inizio dell’invasione sovietica in Afghanistan alla fine degli anni Settanta. La CIA cominciò a sostenere la resistenza dei mujahidin, i quali necessitavano di supporto logistico e bellico fornito attraverso i canali pakistani e sauditi. L’oppio divenne perciò indispensabile per riciclare il denaro e fornire ancora più supporto alla continuazione della lotta fornendo armi senza essere tracciabili».[5]

 

L’oppio ha una doppia valenza produce denaro e distrugge i popoli che ne fanno largo uso. Le due Guerre dell’oppio dell’Inghilterra per conquistare la Cine nell’Ottocento (dal 1839 al 1842 e dal 1856 al 1860), sono un fulgido e tragico esempio. La storia si ripete in modo simile nei nostri anni. L’oppio è uno strumento per dominare i popoli e indebolirli politicamente e nel medesimo tempo si ottengono guadagni da investire nella politica di potenza e di dominio:

 

«La grande potenza distruttrice dell’oppio risiede nella dipendenza che ne consegue dopo il consumo (sia oppio che eroina raffinata ecc.). Difatti, secondo molti analisti, ancora oggi l’oppio commerciato dall’Afghanistan ed esportato con l’aiuto dell’occupazione NATO, è usato come arma appositamente per distruggere le popolazioni iraniche, russe e cinesi non solo con la dipendenza ma anche con l’aumento del crimine e delle malattie veneree come l’AIDS».[6]

 

La guerra alle piantagioni dell’oppio è stata propaganda, in quanto come si rileva nel saggio, la distruzione dei campi di oppio e dei laboratori ha avuto lo scopo di far lievitare il prezzo dell’oppio[7]. Il mercato ha le sue leggi.

 

 

Effetti collaterali

Il disprezzo degli occupanti ha portato a una serie incalcolabile di bombardamenti ed eventi luttuosi durante l’occupazione NATO. Gli afgani portano ancora oggi nella carne e nella psiche le tracce delle violenze dei “liberatori”. Per gli innocenti che hanno subito violenze inenarrabili, mentre la NATO era a caccia di Talebani, la guerra non è finita. I casi di innocenti ammazzati durante i bombardamenti sono innumerevoli. Ogni giorno essi rivivono in una nazione ridotta in macerie la guerra e questo impedisce loro di immaginare il futuro. Molti afgani sono prigionieri del tempo della guerra:

 

«Said Abdullah non riuscì più ad andare a scuola per i problemi di concentrazione e i forti mal di testa. Rimase analfabeta, ancora oggi, anche se lui vorrebbe uscirne e diventare dottore. Tuttavia, il suo futuro, per ora, è coltivare campi e il grano per sopravvivere. E tutti si sono dimenticati di lui, dei fatti di Granai e dei danni indelebili che le forze internazionali hanno fatto».[8]

 

La frettolosa ritirata dall’Afghanistan nel 2021 dopo vent’anni di guerra è sospetta. Si può ipotizzare che la ritirata sia stata concordata, ovvero che i Talebani al potere in qualche modo siano legati all’Occidente. Nulla è come appare, il semplicismo manicheo non è la categoria da utilizzare per comprendere eventi che ad uno sguardo cognitivo più attento appaiono stranamente sorprendenti. Tutti i popoli desiderano la pace e il rispetto della loro identità, solo su queste fondamenta si può elaborare una nuova fratellanza nel segno del concreto rispetto delle differenze. Siamo lontani dalla pace e dalla fratellanza che può esserci solo se impariamo a riconoscere l’altro e a non depredarlo. Nulla è impossibile, malgrado il periodo storico, la prassi della speranza è ciò che ci umanizza, pertanto informarsi per capire è passo fondamentale verso una prospettiva storica semplicemente umana. I versi di Alda Merini ci guidino verso la speranza, nessuno si salva da solo; la pace non si costruisce con le armi come ci raccontano i cinici cantori della guerra. Ognuno di noi può diventare una scialuppa di salvataggio verso l’esodo. Non bisogna rinunciare ad immaginare un mondo diverso che inizi nel presente:

 

 

Una volta sognai

 

Una volta sognai

di essere una tartaruga gigante

con scheletro d’avorio

che trascinava bimbi e piccini e alghe

e rifiuti e fiori

e tutti si aggrappavano a me,

sulla mia scorza dura.

Ero una tartaruga che barcollava

sotto il peso dell’amore

molto lenta a capire

e svelta a benedire.

Così, figli miei,

una volta vi hanno buttato nell’acqua

e voi vi siete aggrappati al mio guscio

e io vi ho portati in salvo

perché questa testuggine marina

è la terra che vi salva

dalla morte dell’acqua.

 

[1] Filippo Rossi, NATO per uccidere, Arianna editrice, Bologna 2024, pp. 56-57.

[2] Ibidem, pag. 40.

[3] Ibidem, pag. 68.

[4] Ibidem, pag. 71.

[5] Ibidem, pag. 92.

[6] Ibidem, pag. 99.

[7] Ibidem, pp. 117-120.

[8] Ibidem, pag. 179.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

“Produrre e lobotomizzare” sono gli attributi della sostanza (quantità) del capitalismo. Ad esso popoli e vite sono sacrificati con un olocausto quotidiano. La guerra, a cui stiamo assistendo, è un’estensione dei processi di valorizzazione a livello reale e simbolico. La produzione delle armi incorpora il lavoro vivo e lo traduce in morte. Tale produzione è anche una visione del mondo, è “antiumanesimo militante”.

Salvatore Bravo

Produrre e lobomotizzare

 

Il ciclo del capitale con i suoi processi di valorizzazione è trattato da Marx nel II Libro de Il Capitale. Nell’esposizione marxiana vi è la condanna etica ai processi di monetarizzazione del lavoro umano. La condanna assiologica è il fondamento della critica marxiana. Il capitale è ciclo improntato all’accrescimento illimitato del plusvalore nel quale gli esseri umani (i sussunti) sono cannibalizzati da tale processo e incorporati nel sistema produttivo. Il capitalismo è, quindi, una visione del mondo in cui si converte la vita in morte, è “antiumanesimo militante”.

Il lavoro vivo è trasformato in lavoro morto, ovvero in accrescimento del profitto e in allargamento delle spire del mercato. Su tutto campeggia la sola categoria di quantità: il totalitarismo della quantità condanna ogni essere umano a vendersi al capitalista; è il rapporto di forza a determinare le relazioni di dominio legalizzate dai diritti astratti che li “definiscono” eguali. La logica di dominio è inoculata nel sistema sociale fino alla sua naturalizzazione mediante l’addestramento all’astratto. Si educa a pensare senza valutare le condizioni materiali in cui il soggetto opera. La quantità è il fine che muove il capitalismo, esso deve spogliare ogni esperienza del suo contenuto soggettivo, creativo e assiologico per immetterla nel mercato e per convertirla in strumento-azione che sostiene il capitalismo. Le macchine con cui i capitalisti si pongono in competizione incorporano il lavoro muscolare e intellettuale, esse “non sono solo macchine”, perché sono l’effetto dell’incorporamento nell’acciaio dei subalterni. Sono vampiri animati dal sacrificio dei popoli. La schiavitù salariata dell’operaio come dei tecnici non è solo nel prodotto finale ma in tutto il sistema produttivo. Il capitalismo è divenuto “il sistema”, l’unico pensabile, ha lobomotizzato gli aggiogati alla macchina-sistema. “Produrre e lobomotizzare” sono gli attributi della sostanza (quantità) del capitalismo. Ad esso popoli e vite sono sacrificati con un olocausto quotidiano.

La guerra, a cui stiamo assistendo, è un’estensione dei processi di valorizzazione a livello reale e simbolico. La produzione delle armi incorpora il lavoro vivo e lo traduce in morte. Da tale processo le oligarchie traggono le eccedenze finanziarie per la competizione globale e per investire i proventi in scalate finanziarie e in nuovi prodotti da vendere sul mercato. Tutto è morte. La natura è l’immagine più vera e immediata della verità del ciclo di valorizzazione, essa è solo res extensa da riconvertire in denaro. Un intero pianeta è minacciato dalla monetarizzazione di ogni vita e di ogni elemento naturale.

Marx descrive l’incapsulamento della forza lavoro nel ciclo produttivo. Il lavoro, espressione della creatività umana e della produzione finalizzata alla soddisfazione dei bisogni primari, è reso esperienza di annullamento e di cosalizzazione del lavoratore. Il lavoratore è incastrato in automatismi che determinano la morte dell’uomo e la nascita di un ibrido: l’uomo-macchina. Il trasumanesimo non è che il punto finale di tale processo di disumanizazione, il salariato è valutato in rapporto alle macchine, è una macchina tra le macchine, in disperata competizione con esse:

«Dalla parte dell’operaio: la messa in opera produttiva della sua forza lavorativa non è possibile se non quando, dopo essere stata venduta, essa viene posta in rapporto con i mezzi di produzione. Essa esiste prima d’essere venduta distinta dai mezzi di produzione, dalle condizioni oggettive della sua messa in opera. Così isolata non può essere utilizzata direttamente nella produzione di valori d’uso per il suo proprietario, né nella produzione di merci, che gli darebbero di che campare con la loro vendita. Ma allorchè tramite la sua vendita essa è posta in rapporto con i mezzi di produzione, diviene, al pari dei mezzi di produzione, una parte costitutiva del capitale produttivo del suo acquirente».[1]

 

Il fuco del capitale

Il capitalista è anch’egli una funzione del sistema, che con le sue leggi e con il suo gigantismo globale diviene “assoluto”, ovvero si autonomizza con la smisurata espansione. In tale sistema, in cui tutto dev’essere convertito in produzione, il capitalista è improduttivo, è il fuco del sistema, egli prospera senza produrre, si è installato all’interno dell’alveare-industria. Egli è l’addetto-funzione alla compra-vendita delle anime vive per farne anime morte. Il capitalista è il Cerbero-fuco del modo di produzione capitalista, traghetta le vite dei lavoratori verso “la loro mortale usura”. Il capitalista è sterile, non produce e non crea concetti, è la tragica e pericolosa funzione che muove masse umane verso l’inferno della negazione di sé; gli aggiogati sono solo forza muscolare-intellettuale da vendere-comprare o da licenziare-distruggere:

«Per il capitalista il quale faccia lavorare altri al suo posto, la compra-vendita diviene una funzione fondamentale. Dato che egli si appropria il prodotto di molti in una misura sociale più grande, deve anche venderlo in tale misura e convertirlo poi di nuovo da denaro in elementi di produzione. In ogni caso il tempo di compra-vendita non dà luogo a valore alcuno. […] Tuttavia, senza approfondire, oltre, sin dall’inizio è evidente: qualora per mezzo della divisione del lavoro una funzione che è in se stessa improduttiva, ma è un momento necessario della riproduzione, viene trasformata da compito secondario di molti in compito esclusivo di pochi, viene trasformata nel loro affare particolare, non muta tuttavia il carattere della funzione stessa».[2]

 

I fuchi-padroni del capitale gestiscono il sistema produttivo e la politica. Gli improduttivi sono idrovore di plusvalore che come re Mida convertono ciò che toccano in oro, ma l’immensa ricchezza prodotta uccide la vita e affama corpi e spirito, perché il capitale nega la relazione comunitaria dell’economia, l’unica in grado di umanizzare, la vuota di ogni componente dell’umanità. I fuchi-padroni sono i vampiri dell’umanità. Per essi gli esseri umani sono solo numeri; si estraggono da essi numeri da vendere alle aziende per organizzare il consumo. Si è ad un un passo dalla riproduzione delle medesime logiche di funzionamento già sperimentate nei campi concentrazionari nel Novecento. Per i fuchi-padroni tutto è numero, niente è vivo.

 

Svelare il “feticcio capitale”

Il lavoratore è così cosalizzato, è solo quantità muscolare attraverso cui il processo di valorizazione si decuplica. Similmente al processo di trasustanzazione, dalla sostanza uomo – attraverso un processo apparentemente oscuro e velato da parole e pubbliche liturgie – si ottiene per “merito miracoloso” il prodigio (il profitto). Il processo va riportato alla sua verità storica e reale. Il capitalismo è un “feticcio”, non è la verità ultima, esso è esperienza storica posta dalle oligarchie, che i subalterni – caduti nella rete della propaganda e della violenza organizzata – hanno divinizzato. Marx, invece, dimostra che il dio capitale è umano troppo umano, e dunque, il divelamento dei meccanismi non può che liberare le vite intrappolate nell’ingannevole ordito. Il capitalismo con il salario schiavile paga al lavoratore il sufficiente per riprodurre la forza lavoro, ciò che non è pagato è il bottino del capitalista, è il “merito del Cerbero/fuco” che ha condotto le anime dei lavoratori nell’inferno del capitalismo. Il lavoratore è disumanizzato, è soltanto energia da usare secondo le leggi del mercato. L’essere umano è solo corpo, a cui si concede di usare le facoltà intellettuali che consentono al sistema di funzionare fatalmente. La morte è in questa negazione della natura sociale, creativa ed etica di ogni essere umano:

«Come abbiamo già osservato, il denaro che il capitalista paga all’operaio per l’uso della forza lavorativa non è in realtà che la forma generale di equivalente per i mezzi di sostentamento indispensabili all’operaio». [3]

 

Obbedienza

Il processo di valorizzazione non è controllato dai capitalisti, essi sono gli obbedienti esecutori delle leggi che hanno innescato e che si sono rese autonome. Il capitalismo – con suo accrescersi smisurato – imprigiona nelle sue maglie e nella sua gabbia d’acciaio gli stessi capitalisti. La rete del capitalismo per sopravvivere produce la guerra globale. Per il capitalismo e i capitalisti la guerra è un prodotto utile ad attrarre investimenti e a liberare energie monetarie accumulate. il capitale non può che volere nuove guerre di conquista dei popoli da sacrificare ai processi di accumulo. La globalizzazione del profitto è il fine aspansivo del capitalismo. Come il dio spinoziano il capitalismo non può non obbedire alle sue leggi. La libertà è solo un orpello giuridico per consentire al sistema di proliferare senza impedimenti.

Nulla deve sopravvivere, ogni sistema di produzione dev’essere annichilito, solo il capitalismo deve sopravvivere. A tale logica il capitalista deve attenersi: ecco che il Cerbero/fuco diventa il manager della vita e della morte, deve vendere il “progresso” che il capitalismo apporta con la menzogna, deve illudere per conquistare fette di mercato da cannibalizzare. Il processo non ha katechon, perché non ha fondamento metafisico e assiologico, deve mettere in atto solo la hybris:

«Quanto più acute e continue si fanno le rivoluzioni di valore, tanto più il movimento del valore resosi autonomo, automatico, agente con l’irruenza d’un processo elememtare della natura, si fa valere contro la previsione e il calcolo del singolo capitalista, tanto più l’andamento della produzione normale viene sottomesso alla speculazione anormale, tanto più grande si fa il rischio per i singoli capitali. Queste rivoluzioni di valore periodiche danno la riprova proprio di quello che, come si vorrebbe, dovrebbero confutare: il rendersi autonomo del valore in quanto capitale, condizione che esso conserva e rafferma attraverso il suo movimento». [4]

 

Qual è dunque l’essenza del capitale?

Marx è chiaro e inequivocabile nella risposta: il capitalismo è nel segno della morte. La mercificazione e la quantificazione sono gli unici processi pensabili e possibili, esse sono la morte in Terra.

Con il vivo lavoro scambiato con la morte il processo risorge, esso procede per salti quantitativi ed estensivi. Ad ogni salto l’esperienza della morte diviene sempre più incombente fino al punto, lo viviamo nel nostro tempo, da minacciare la vita nella sua interezza. La morte è parte del paradigma ideologico del capitalismo, per cui “l’uccidere” non reca scandalo, è la normalità della vita negata al tempo del capitale. L’automatismo non arretra neanche dinanzi al pericolo dell’autodistruzione del sistema-capitale. Il collasso di un pianeta non turba il capitalismo con i suoi fedeli sicari, anzi il pericolo diviene un affare potenziale da manovrare attentamente per estrarne plusvalore. Il tempo del capitalismo è inchiodato alla sola produzione di profitto:

«La materia reale del capitale investito in forza lavorativa è proprio il lavoro, la forza produttiva che si pone in movimento, che crea valore, il vivo lavoro che il capitalista ha scambiato con il lavoro morto, oggettivato, incorporandolo al proprio capitale, al quale soltanto è dovuta la trasformazione in valore autovalorizzantesi del valore che si trova nelle sue mani».[5]

La perversione del “senso” è il sostrato che dà il movimento al capitalismo. L’economia, come la sua etimologia indica (οἶκος “casa” e νόμος “legge”), è attività che consente la vita, è prassi che deve soddisfare i bisogni della comunità, in primis la famiglia. Il capitalismo muta la qualità dell’economia in crematistica (quantità senza misura) della morte. Sull’altare del profitto si sacrificano uomini e popoli. I subalterni sono sfruttati sul lavoro e nel tempo libero. La catena del capitale è invisibile, non molla mai le sue vittime, non dà loro mai pace, deve incutere inquietudine per dominare. I lavoratori sono chiamati al sacrificio perenne. A prescindere dalla classe sociale di origine tutti devono restituire al mercato ciò che “hanno guadagnato” nella forma del consumo per sopravvvire o per soddisfare desideri e voglie che il mercato ha indotto. Tutto ritorna al capitale; il saccheggio non conosce pause. I lavoratori nel tempo libero sono erosi dai desideri infiniti e dall’infelicità indotta. Essi sono macchine desideranti che con la loro abissale insoddisfazione nutrono la crematistica. Ancora una volta per poter riprendere le fila della storia è necessario smascherare il capitale nelle sue metamorfosi. La prassi non può che “passare” per la definizione del senso dell’economia e, quindi, del bene.

La politica di opposizione senza la chiarezza del fine dell’economia, non può inaugurare una “nuova stagione di lotta”. Senza il giudizio etico e la chiarezza del “senso” nulla può iniziare, si è condannati a subire il giogo del capitale.

L’economia capitalistica uccide “rubando” la gioia di vivere e il tempo di ogni singola vita, le divora mai sazio.

Nel tempo di Marx uomini, donne e bambini erano negati con lo sfruttamento lavorativo. Oggi prevalgono l’adattamento coercitivo ai desideri del mercato e l’addestramento al narcisismo che preparano ad un’esistenza di solitudine e di impotenza politica compensate dal consumo vorace. Il capitalismo somministra il consumismo alle sue vittime per “curare” il dolore, le avvelena con il male (consumismo) per destrutturarle e renderle obbedienti schiavi. La strumentalizzazione dell’essere umano assume nuove forme, ma in modo sempre eguale si scambia la vita con la morte:

«Le macchine, dando la possibilità di fare a meno della forza dei muscoli, divengono il mezzo per impiegare operai senza forza muscolare o dal fisico non ancora sviluppato, ma di membra maggiormente flessibili. Lavoro di donne e bambini, questo è stato il primo grido del capitale quando iniziò ad usare le macchine!».[6]

Il grido del capitale ha attraversato i secoli ed è giunto fino a noi. Quel grido attende una risposta che possa donare giustizia ai vivi e ai morti. Al linguaggio dell’impero grondante di fango, sudore e sangue, bisogna opporre un nuovo linguaggio, che possa aprire scenari e prospettive che riportino “l’anticapitalismo e la lotta agli sfruttamenti” nella progettualità politica. Solo in tal modo le grida di coloro che invocano giustizia saranno ascoltate. L’antiumanesimo dev’essere ribaltato in un nuovo Umanesimo, nel quale l’essere umano deve riportare la cura dove vige la violenza organizzata dell’incuria pianificata dal mercato.

[1] K. Marx, Il Capitale, Libro II, Newtin Compton Editori, Roma 2015, p. 583.

[2] Ibidem, pp. 647 648.

[3] Ibidem, p.671.

[4] Ibidem, p. 631.

[5] Ibidem, p. 709.

[6] Ibidem, Libro I, p. 293.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Fernanda Mazzoli – «Note sparse su un suicidio militarmente assistito». Non cerchiamo un’improbabile quiete in mezzo alla tempesta. Dobbiamo smascherare la pretesa universalità di interessi venduti come generali laddove non sono che espressione dei gruppi dominanti, e opporci al coinvolgimento sempre più massiccio dell’Europa nei principali conflitti in corso fatti per rinsaldare la vacillante egemonia degli USA. Gli interessi dei popoli non coincidono con questa operazione, né con quelli dei governi nazionali che la sostengono. Ogni ritardo in questa consapevolezza è un ulteriore opzione verso l’autodistruzione, una strada sulla quale già molti passi sono stati fatti in questi anni, sospinti da nichilismo, rassegnazione, abdicazione ad una piena ed effettiva cittadinanza in cambio di una promessa di sicurezza e benessere che proprio la spirale militare rende carta straccia.

Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Erasmo da Rotterdam – La guerra piace a chi non la conosce. L’uomo è il solo animale nato esclusivamente per l’amicizia. La natura ha voluto che l’uomo non le fosse debitore della vita: ha preferito che egli dovesse la vita alla benevolenza, affinché comprendesse di essere stato concepito per provare gratitudine e per sentirsi legato agli altri uomini con l’inclinazione all’amore e all’amicizia.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Salvatore Bravo – Metafisica e Guerra. Senza fondamento metafisico non vi è verità-bene.



Salvatore Bravo

Metafisica e guerra.
Senza fondamento metafisico non vi è verità-bene

La guerra di questi giorni necessita di una lettura storica e filosofica. La lettura storica ricostruisce gli eventi in modo olistico, mentre la filosofia deve svolgere un lavoro archeologico. La guerra non è uno stato di eccezione, è la normalità dell’Occidente capitalistico. Da Hobbes fino a giungere al tempo presente la guerra si svolge all’interno dei confini degli Stati o tra gli Stati. Ogni guerra è un episodio della storia della crematistica divenuta “la storia” dell’Occidente planetario. Lo scopo di ogni atto di guerra personale o collettivo è il perseguire interessi privati o lobbistici, è la potenza della dismisura che guida intenzioni, gesti, parole e armi. Bisogna far emergere il non detto, il paradigma all’interno del quale ci si muove, si pensa e si agisce. La ragione strumentale è ormai azione priva di limiti ed è supportata dal pensiero debole, che crede nel solo calcolo utilitaristico e nella logica computazionale.

La verità è dunque soltanto un accidente del passato: senza fondamento metafisico non vi è verità-bene, per cui la ragione strumentale da frammento dell’attività umana è divenuta totalità illimitata. La guerra tra Ucraina e Russia è un evento interno alla storia del nichilismo europeo e planetario che persegue l’onnipotenza economica. Senza fondamento veritativo (che dona concretezza alla vita dei singoli), si perseguono soltanto obiettivi sempre più astratti e onnipotenti per incidere nella realtà che sfugge tra i sogni di grandezza che si sviluppano nelle pieghe della disperazione. Le oligarchie, per toccare la vita e sentire di esistere, devono avere come obiettivo ambizioni sempre più elevate e onnipotenti. Si coniugano due livelli, che si intersecano: la crisi della metafisica ha comportato la rinuncia alla ragione oggettiva, tale condizione ha incentivato lo sviluppo della razionalità strumentale la quale ha comportato l’economicismo e l’accumulo smisurato. Le oligarchie internazionali esprimono massimamente i due piani, sono il punto apicale dell’eclisse della ragione oggettiva. La tragedia attuale è nella generalizzazione di tale cultura antimetafisica. I popoli sono addestrati a credere ciecamente nella ragione strumentale, guardano con ammirazione invidiosa la potenza delle oligarchie, non scorgono l’impotenza che li caratterizza, ma solo il farsi padroni e signori della vita dei popoli. I popoli sono ingannati e turlupinati della ragione metafisica. Le oligarchie negli ultimi decenni hanno agito neutralizzando il dibattito pubblico ed eliminando i corpi medi nei quali la dialettica costituiva il katechon all’onnipotenza distruttrice della razionalità strumentale. La condizione attuale è ulteriormente complicata dalla presenza pervasiva dei media in possesso degli oligarchi che sterilizzano il dibattito, e hanno sostituito la pluralità delle posizioni ideologiche e prospettiche, sostanza della democrazia, con la pluralità delle immagini ampiamente manipolate. Le immagini, con il loro silenzio, hanno sostituito il logos e il dialogo, per cui si ha la percezione di essere in democrazia, ma in realtà è solo il suo cavo esoscheletro. Dinanzi al nuovo episodio della storia del nichilismo tecnocratico in corso, vi è un’urgenza metafisica non colta e rimossa. Senza verità-bene nulla potrà cambiare, e qualora le circostanze portassero ad una rapida pace o al compromesso diplomatico, resterebbe irrisolto il fondamento metafisico del problema. Senza una rivoluzione culturale e metafisica continueremo ad essere all’interno di un percorso distruttivo planetario a livello biologico e culturale.

La razionalità strumentale non comprende e conosce che l’accumulo e l’utile, per cui è azione di devastazione antropologica e ambientale ordinaria con dei picchi di tensione nei quali si può scorgere la verità non detta della condizione storica attuale. Le guerre permettono di fessurare la realtà del potere e di guardare, all’interno, la verità in cui siamo implicati. La lettura storica delle ragioni delle parti in causa, se è scissa dall’ermeneutica filosofica, rischia di condurci ad un semplicismo che non individua la profondità del problema. Bisogna guardare la tempesta che muove l’intero bosco della vita e dei popoli e non solo i singoli alberi che cadono con il loro fragore.

Solo il frammento che rimanda alla totalità può liberarci dalla cecità della ragione strumentale. I suoi innumerevoli dati sono utili per comprendere la contingenza attuale, ma non sufficienti per cogliere il problema nella sua inquietante profondità.

Senza la verità e il bene nessuna alternativa è progettabile. Alla cultura del frammento che cela la ripetizione ossessiva dello stesso in forme nuove, dobbiamo opporre il frammento in relazione alla totalità per poterne svelare la verità e cambiare percorso che punta direttamente verso l’abisso. Necessitiamo di strumenti metafisici e di una nuova metodologia di indagine per comprendere che nel frammento di tale guerra è racchiusa la verità dell’intero. Far emergere tale verità è l’esodo che dobbiamo organizzare dalla cultura totalitaria delle oligarchie. La metafisica nella percezione della maggioranza e delle accademie è solo un residuo inutile del passato, invece, solo essa ci può restituire il riorientamento gestaltico per un nuovo inizio:

«L’Intero dell’essere, dunque, si trova come riprodotto nel frammento anche attraverso la predicazione dell’unità, così come il frammento ha proiettato la propria ombra sull’intero dell’essere attraverso la richiesta della determinatezza della predicazione. E infatti, come è impossibile, cioè autocontraddittorio, pensare al “fondo” dell’essere quale molteplice. Così è impossibile, cioè autocontraddittorio, porre qualcosa senza porla nella sua unità. Porre qualcosa vuol dire pensarla, pensare qualcosa vuol dire l’unità di un molteplice».1

La guerra ci restituisce il dramma metafisico in cui siamo. Il frammento non pensato nella sua unità e relazione diviene illimitato e, dunque, assimila e cancella la totalità per diventare la verità artificiale e relativistica senza fondamento. Senza la chiarezza del problema metafisico si rischia di non individuare il nemico sociale che tutto muove, il quale non è solo nemico di classe, ma è problema e dramma etico derivante dalla crisi dei fondamenti. Il nemico circola nei popoli con la cultura del frammento e con la ragione strumentale che conosce solo mezzi senza finalità onto-assiologiche. I popoli sono colonizzati dalle oligarchie, in quanto si nutrono dello stesso linguaggio bellicoso e proprietario.

Il vero lavoro metafisico deve partire dalla guerra che vive nei nostri comportamenti quotidiani per elevarsi ad un piano di consapevolezza comunitaria per trascenderla in una nuova progettualità metafisica. Le vie di uscita dalla crisi metafisica possono essere plurali, ma ciò che è irrinunciabile è riportare il frammento alla totalità nelle sue relazioni e rimandi, poiché la sola cultura analitica non può che portarci all’irrazionalità di uno stato di guerra perenne, in quanto le parti sono irrelate e dunque destinate al conflitto:

«In fondo, le vie d’accesso o di fuoriuscita di una città sono molteplici e l’importante è rappresentarne il senso interale, almeno nel nostro caso rispettandone la complessità di struttura».2

1 Carmelo Vigna, Il frammento e l’intero. Indagini sul senso dell’essere e sulla stabilità del sapere, Vita e Pensiero, Milano 2000, pag. 201.

2 Ibidem, pag. 426.


Picasso, Guernica, 1937

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

info@petiteplaisance.it,

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

e saranno immediatamente rimossi.

Giorgio Riolo – Contro la guerra, sempre. Contro l’egemonia Usa e Nato. Per un mondo multipolare


Nikolaj Aleksandrovič Jarošenko, Il prigioniero, 1878.

Contro la guerra, sempre. Contro l’egemonia Usa e Nato. Per un mondo multipolare

di Giorgio Riolo

 

La guerra è un tragico catalizzatore. È la più grande politica di destra. Spegne il pensiero, la ragione, lo spirito critico. Alimenta istinti primordiali di sopraffazione, il tribalismo, lo sciovinismo. Arruola, inquadra, schiera, arma. “Noi” contro “loro”.
Dall’altra parte, induce donne e uomini di buona volontà a combattere con le armi spirituali della scelta etica, della cultura e della politica i soliti malvagi poteri che traggono profitto dalla guerra. Contro chi vuole sempre dominare, egemonizzare, contro i mercanti d’armi, il sempre attivo e feroce complesso militare-industriale.
Donne e uomini, la migliore umanità. La pace è sempre “pane, pace, lavoro”. È sempre a difesa dei deboli, di chi subisce morti, patimenti, distruzioni, stupri.

I.

È in corso l’immane ipocrisia e la ributtante retorica dei sempiterni “valori occidentali”, della libertà e della democrazia, delle guerre umanitarie, della missione civilizzatrice dell’Europa, degli Usa e della Nato contro i barbari di sempre. Nell’Est e nel Sud del mondo. Prima contro i “comunisti” e poi semplicemente contro i “russi”.
La mente colonizzatrice agisce sempre, dalle Crociate alle nefandezze dell’olocausto IndoAfroAmericano, al colonialismo e all’imperialismo dell’epoca moderna.
I mass media si sono scatenati qui in Europa, in Occidente, con i giornalisti “democratici” in prima fila. A incitare, a disinformare, a reclutare. Un’impressionante manipolazione è dispiegata. L’impero del bene contro l’impero del male. Il baraccone massmediatico costituisce un braccio armato indispensabile.
Il barbaro, folle, ultracorrotto, despota, Hitler contemporaneo, Putin è il bersaglio. È la Russia che minaccia l’Occidente e non il contrario. La Nato essendo un pacifico consorzio di pacifici signori i quali, per esempio, ogni anno tengono manovre chiamate “Defender Europe”. Nell’ultima, maggio 2021, per due mesi, attorno alla Russia, 28.000 soldati e migliaia di mezzi, blindati, aerei, navi. La motivazione delle manovre  “contro una possibile aggressione in Europa da parte della Russia”.

II.

Un poco di storia come retroterra. La Nato e l’atlantismo non hanno alcuna ragione d’essere. Allora. Ancor più dopo la fine dell’Urss e del cosiddetto socialismo reale nel 1991. È organismo sovranazionale di offesa. Contro l’Est, allora e oggi, e contro il Sud del mondo oggi. A guida e controllo totale Usa. Ed è lo strumento degli Usa per tenere l’Europa sotto scacco e ben schierata dietro di essa.
Con la fine dell’Urss, gli Usa e l’Occidente hanno voluto stravincere. Con lo smembramento dell’Unione Sovietica e con l’incitamento nazionalistico (come avverrà poi in Jugoslavia). Con il corrotto Boris Eltsin, a loro asservito, e con le bande oligarchico-mafiose imperversanti nei tragici dieci anni 1991-2000. A causa del capitalismo selvaggio e della rovina di molta parte della popolazione russa. Umiliando letteralmente quella parte del mondo. Ha detto recentemente l’ammiraglio tedesco Kay-Achim Schönbach “Putin e la Russia chiedono rispetto”. Semplice. Lo stesso ammiraglio subito fatto dimettere.
Il nostro Draghi, l’Unione Europea e il baraccone massmediatico all’unisono “la prima guerra in Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Totalmente falso.
Nel 1999 la Nato a guida Usa, compresa l’Italia dell’allora governo D’Alema, aggredirono la Jugoslavia di Milosevič, ormai ridotta alla sola Serbia. La giustificazione fu la “guerra umanitaria” contro i serbi a difesa del Kosovo. 78 giorni di bombardamenti con 1.100 aerei, Usa e italiani in primo luogo. Bombardata Belgrado e nessuna immagine della popolazione terrorizzata nelle cantine. Come si fa oggi abbondantemente con gli ucraini. Ma i serbi erano “cattivi”, gli ucraini sono “europei” e buoni.
Nel tempo, la Nato si è allargata ai paesi ex Patto di Varsavia. Accerchiamento della Russia e grandi commesse militari da parte di questi paesi a vantaggio Usa. Mancava l’Ucraina.
Nel 2014 si inscena l’ennesimo “colpo di stato democratico” contro il presidente democraticamente eletto Janukovyč in Piazza Majdan a Kiev. Filorusso e quindi da eliminare. Con regia della Cia e con protagonisti i nazisti di Settore Destro e di Svoboda (dal nome di Stepan Svoboda, capo dei feroci collaborazionisti ucraini dei nazisti tedeschi nel 1941. Ogni anno nella innocente Ucraina si tengono sfilate per onorarlo).
Henry Kissinger dall’alto del suo sinistro realismo politico, in un articolo dello stesso 2014, metteva in guardia dal non portare la Nato sotto casa della Russia e di lasciare l’Ucraina come stato cuscinetto. Nel Donbass, la popolazione russofona nello stesso 2014 si ribella. La guerra nel Donbass ha fatto 14/15.000 morti e con protagonisti i nazisti del Battaglione Azov inquadrati nella Guardia Nazionale ucraina. Costoro hanno ammazzato vecchi inermi e hanno compiuto la strage di Odessa, dando fuoco alla sede del sindacato nella quale erano rinchiuse senza scampo 41 persone.

 

III.

Putin e la Russia agiscono da puro realismo politico. Da stato-nazione e da richiamo nazionale e nazionalistico del ruolo storico svolto nel passato, dall’impero zarista e dalla potenza dell’Urss, o da svolgersi oggi e domani. Molto revanscismo dell’umiliazione subita. Nessuna giustificazione della guerra. Ma almeno la comprensione dei processi storici che determinano questi esiti nefasti.

 

IV.

Occidente contro Oriente e contro Sud. Prima la Russia, poi verrà la Cina. Armi all’Ucraina. La Germania si riarma, l’Italia sempre obbediente manda armi.
Non arruoliamoci e adoperiamoci per un mondo multipolare antiegemonico. Dove ogni popolo e ogni stato-nazione possano contare.

 

Milano, 1 marzo 2022

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Dove porta la smodata ricerca di ricchezze, andando oltre i limiti dello stretto necessario, a “occidente” come a “oriente”?


Dove porta la smodata ricerca di ricchezze,

andando oltre i limiti dello stretto necessario,

a “occidente” come a “oriente”.

 

La smodata ricerca di ricchezze, andando oltre i limiti dello stretto necessario, in “occidente” come in “oriente”, porta alla guerra dei «vicini», come dei più lontani, contro vicini e lontani, ed alla guerra contro la cultura universale, perché la guerra «spegne il pensiero, la ragione, lo spirito critico».Certamente No alla guerra! di Putin.

Ma qualcuno onestamente può negare che l’Europa e il cosiddetto “occidente” non si siano «abbandonati ad una smodata ricerca di ricchezze» per il proprio esclusivo e prioritario benestare?

Ai politici europei e “usaoccidentali”, ai militari della NATO (dimentichi delle loro pur recenti  “guerre umanitarie”, dei “bombardamenti etici” in Jugoslavia come altrove), ai nostrani “progressiti” (novelli censori di Dostoevskij), gioverebbe meditare, oltre che sugli esiti perversi della smodata dimensione crematistica del modo di produzione capitalistico globalizzato, sulle parole del profeta Osea (v. 8, 7): «Quia ventum seminabunt, et turbinem metent» (“Chi semina vento, raccoglie tempesta”).

Accadeva già ai tempi di Platone.

 

Καὶ ἡ χώρα γέ που, ἡ τότε ἱκανὴ τρέφειν τοὺς τότε, σμικρὰ δὴ ἐξ ἱκανῆς ἔσται. ἢ πῶς λέγομεν; […] Οὐκοῦν τῆς τῶν πλησίον χώρας ἡμῖν ἀποτμητέον, εἰ μέλλομεν ἱκανὴν ἕξειν νέμειν τε καὶ ἀροῦν, καὶ ἐκείνοις αὖ τῆς ἡμετέρας, ἐὰν καὶ ἐκεῖνοι ἀφῶσιν αὑτοὺς ἐπὶ χρημάτων κτῆσιν ἄπειρον, ὑπερβάντες τὸν τῶν ἀναγκαίων ὅρον;

 

E così pure il territorio, quello che una volta bastava a nutrire i cittadini di prima, ora si è fatto insufficiente e non basta più, non è forse così? […]

Ecco quindi che saremo costretti a strappare una parte del territorio dei vicini, se vorremo avere abbastanza terreno da mettere a pascolo e a coltura? Ma non è forse vero che anche i confinanti avrebbero bisogno dei nostri territori, quando come noi si abbandonassero ad una smodata ricerca di ricchezze, andando oltre i limiti dello stretto necessario?

 

Platone, Repubblica, 373 d, trad. di R. Radice.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.