Nicolò Cusano (1401–1464) – Umanesimo è non tanto la centralità dell’uomo nel pensiero, quanto la sua ricerca di compiutezza. L’accrescimento dell’apprendimento del vero non si esaurisce mai. Se la nostra mente è principio di distinzione, proporzione e composizione, l’intelletto ricorda alla ragione che l’esattezza ha il suo senso, ma non è tutto e non può tutto, ma deve confrontarsi con la verità.

Nicola Cusano
Salvatore Bravo
Umanesimo è non tanto la centralità dell’uomo nel pensiero, quanto la sua ricerca di compiutezza. L’accrescimento dell’apprendimento del vero non si esaurisce mai. Se la nostra mente è principio di distinzione, proporzione e composizione, l’intelletto ricorda alla ragione che l’esattezza ha il suo senso,
ma non è tutto e non può tutto, ma deve confrontarsi con la verità.

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Umanesimo filosofico
L’umanesimo filosofico si connota per la pluralità dei metodi di indagine e specialmente ha lo scopo di favorire la messa in atto della natura umana, la quale – nella comunità – concretizza la fioritura di ogni singola personalità nella sua specificità irripetibile. L’universale ed il concreto sono, in tal modo, in feconda tensione. Solo il vivere comunitario, la relazione dialogica, socraticamente intesa, può umanizzare nella consapevolezza della relazione dialettica tra finito ed infinito. L’accrescimento dei saperi, nell’umanesimo filosofico, è sottratto al mero utilitarismo per essere invece parte del percorso di autocoscienza collettiva del limite. La filosofia è un viaggio nell’umano. Non a caso sin dal suo esordio in Parmenide, nel proemio della sua opera Περί Φύσεως (Sulla natura), si ritrova l’immagine della “via” quale metafora del percorso filosofico. Filosofare è vivere il percorso, incontrare faglie non oltrepassabili, e sperimentare modalità non empiriche per capire ed intuire la verità. È solo nella filosofia che il finito incontra l’infinito, la verità l’esattezza, ed il limite è pensato come una conquista, in quanto traccia nuovi campi di esperienza e definisce ciò che è umano dall’inumano.
In questi decenni in cui l’umano è esposto alla sua negazione, la filosofia ci conduce verso la consapevolezza del limite come possibilità plurale di vivere la nostra umanità.
Nicolò Cusano, cardinale e filosofo, il cui nome non latinizzato è Nikolaus Krebs von Kues o Nikolaus Chrypffs (Kues, 1401 –  Todi, 11 agosto 1464) è pensatore che ha vissuto la sua parabola filosofica tra Medioevo e Rinascimento. È stato protagonista del passaggio non facile tra due epoche con enfasi creativa, ha guardato il mondo in modo nuovo, ma nel solco dell’umanesimo greco, ha conciliato senza forzature fede e razionalità, finito ed infinito.

Il mito ideologico del progresso pone la storia secondo un facile schema di progresso fatale, e, dunque giudica più evoluto ciò che viene dopo rispetto a ciò che è stato pensato e teorizzato prima. Cusano smentisce il facile dogma della contemporaneità, che può essere valido per le scienze esatte, ma non per ogni campo del sapere. Il filosofo della “Dotta ignoranza” dimostra che il pensiero umano deve accettare che può conoscere l’empirico, misurarlo, ma la realtà empirica quantificata resiste al suo mistero, e dunque finito ed infinito convivono. Ogni ente raggiunge il massimo nel minimo, ovvero porta a compimento dalla potenza (minimo) l’atto (massimo). Ma benché si possa misurare con una comparazione il noto allo sconosciuto, l’ente resta a noi un mistero, perché ogni massimo conserva il suo segreto, la sua meraviglia dinanzi alla quale è necessario sospendere le categorie usuali. La dotta ignoranza di socratica memoria è nella consapevolezza del limite che apre all’infinito.

 

Pensare per congetture
L’apprendimento non si esaurisce mai, ogni ipotesi è un congetturare che dimostra che l’umanità è interna ad un limite dinamico e mobile, il congetturare è conoscere per ipotesi argomentate e probanti, ma non definitive:

 

«L’accrescimento dell’apprendimento del vero, infatti, non si esaurisce mai. Donde, poiché la nostra scienza attuale non ha nessuna proporzione con la scienza massima, inattingibile per l’uomo, il procedere incerto del nostro debole apprendimento, lontano dalla verità pura, fa che le nostre affermazioni siano congetture. L’universo della verità inattingibile si conosce con l’alterità della congettura; e con la congettura stessa dell’alterità, nella unità semplicissima della verità, avremo l’intuizione più chiara della nozione di congettura».[1]

La mente umana dà ordine al mondo, è attività creatrice. Cusano la compara alla mente di Dio che crea in verità, mentre l’essere umano può creare solo congetture. Il sapere umano procede per ipotesi perfettibili, e dunque necessita del logos dialogante e significante e di raccordarsi all’alterità orizzontale e verticale. Il congetturare necessita della verità come meta ideale a cui approssimarsi senza la quale non vi sarebbe la consapevolezza che la conoscenza è un cammino irto di ostacoli e conquiste. A livello orizzontale si rafforzano le relazioni con gli altri esseri umani, poiché solo in tal maniera è possibile aumentare qualitativamente le conoscenze ed affinare i concetti. A livello verticale comparare l’Assoluto alla conoscenza umana dona il senso della misura e della verità all’umano congetturare. La “dotta ignoranza” è crescita per negazione; l’ampliamento delle conoscenze rileva la pochezza del sapere umano; si vive in un mondo di ombre da cui possono apparire sprazzi di luce:

 

«La mente umana è forma congetturale del mondo, come quella divina è forma reale. Come la divina entità assoluta è tutto ciò che è in ogni cosa che è, così l’unità della mente umana è l’entità delle congetture».[2]

Cusano riflette e codifica il modo in cui l’essere umano conosce. Comincia con lui l’avventura filosofica che porterà a Kant, poiché l’essere umano è posto al centro della sua indagine con l’analisi sulle modalità con cui può conoscere:

 

«La nostra mente, dunque, è principio di distinzione, proporzione e composizione».[3]

 

Intelletto e ragione
Cusano distingue la ragione dall’intelletto. La prima opera aristotelicamente nell’empirico, utilizza il principio di non contraddizione per paragonare il noto allo sconosciuto. La ragione resta impigliata nell’empirico, accumula conoscenze, non le connette tra di loro, resta all’interno dello spazio e del tempo ed ha una sua nobile funzione. La ragione è l’umana misura di tutte le cose:

 

«La ragione sola, infatti, è la misura della molteplicità, della grandezza e della composizione, sicché, se fosse tolta, non potrebbe sussistere nulla di questo; come, negata l’entità infinita, sono negate anche le entità di tutte le cose. L’unità della mente complica, pertanto, in sé ogni molteplicità e la sua uguaglianza ogni grandezza, come la connessione complica la composizione».[4]

La ragione non usa la categoria della totalità, le è estranea la verità, si limita a registrare e misurare l’empirico con metri da essa stabiliti. L’umano, per portare a compimento la sua natura, deve utilizzare anche l’intelletto, ovvero l’intelligenza con cui cogliere la verità, il fondamento di ogni ente che pur essendo indefinibile, c’è, e va ricercato. L’umanità della sola ragione è un’umanità ad una dimensione, che nega la sua aspirazione alla verità e con essa la sua natura che prevede la ricerca nell’empirico, ma anche il fondamento dello stesso con metodi di indagine e capacità differenti. Ragione ed intelletto si completano, non sono tra di loro in antitesi aggressiva. L’essere umano è tale, se le due modalità sono compresenti:

 

«La ragione risolve tutto in molteplicità e in grandezza. L’unità è il principio della molteplicità, la trinità della grandezza, come il triangolo lo è dei poligoni. Secondo l’indirizzo della ragione, dunque, il principio di tutto è uno e trino, anche se non nel modo in cui l’unità e la trinità sono una pluralità (perché l’unità è il principio della pluralità), ma nel modo in cui esse sono l’unità che è la trinità. L’intelligenza, accorgendosi della inadeguatezza dei termini della ragione, si sbarazza di questi termini e concepisce Dio al di sopra dei loro significati come il principio che li complica».[5]

L’intelletto ricorda alla ragione che l’esattezza ha il suo senso, ma non è tutto e non può tutto, ma deve confrontarsi con la verità, senza la quale l’essere umano è solo una creatura parziale, rinchiusa in se stessa e che coltiva una patologica ipertrofia dell’ego:

 

«La ragione, che non comprende il numero senza la proporzione e ammette il massimo in atto, suppone di avere un metodo per procedere da ciò che conosce a ciò che non conosce. L’intelletto, che è consapevole della debolezza della ragione, disprezza le sue congetture affermando che esse sono numeri proporzionali e insieme non proporzionali, perché la precisione delle cose nella loro totalità e singolarità rimane nascosta, essendo essa Dio benedetto. La ragione è, tuttavia, una certa precisione del senso».[6]

 

Titanismo dell’essere umano ad una dimensione
Cusano rammenta a noi contemporanei che limitare la conoscenza al solo empirico significa non solo negare la natura umana, ma specialmente incorrere in pericoli che la contemporaneità sta vivendo nella sua drammaticità, poiché ha mitizzato la sola ragione. Se si smette di ascoltare la voce interiore degli enti, l’essere umano si trasforma in un essere privo della capacità di ascolto e partecipazione per divenire ente tra gli enti. Solo la chiarezza sulla natura umana può emancipare da chiusure e titanismi:

 

«L’intendere è la vita dell’intelletto, e questo è ciò che egli desidera. Con il suo solo lume l’ignorante non può ascendere all’apprendimento della sapienza. Chi è nel bisogno, ha bisogno di ciò di cui è privo. È necessario, dunque, che chi è nel bisogno sappia di esserlo e si rivolga con ardore a chi può soddisfare il suo bisogno».[7]

 

Umanesimo greco
La ricerca della verità è un bisogno insopprimibile della natura umana, l’essere umano può anche decidere di non ascoltare questo bisogno, ma resta un essere incompleto, pericoloso e manipolabile. Un essere umano che non dà risposte autonome, libere e consapevoli rispondenti alla sua natura complessa, in quanto creatura dimezzata è facilmente manipolabile e controllabile. Pertanto il laicismo attuale risponde ai bisogni del sistema e non della persona. Vi è umanità dove vi è compimento della sua natura come ha insegnato l’umanesimo greco. Scrive in proposito Luca Grecchi:

 

 

«Sul piano teoretico, dunque, per umanesimo si intenderà qui non tanto la centralità dell’uomo nel pensiero, quanto la sua ricerca di compiutezza. In questo modo sarà facile mostrare come alle radici della Grecità vi sia proprio l’umanesimo. Non è infatti possibile negare che la Grecità sia stata la patria originaria della educazione dell’uomo verso la ricerca della propria perfezione razionale, morale e simbolica. Proprio tale ricerca ha dato luogo in Grecia alla nascita delle strutture onto-assiologiche della filosofia, che raggiunsero il loro apice con la metafisica di Platone».[8]

 

L’uomo ad una dimensione è la verità della nostra epoca.
Occorre saper rispondere con un diverso modello culturale nel quale scienza ed economia sono messe al servizio dell’umanità. Solo trascendendo il totalitarismo dell’economicismo l’umanità può riprendere il suo cammino.

Salvatore Bravo

 

 

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[1] N. Cusano, Le congetture, in N. Cusano, Opere filosofiche, a c. di G. Federici Vescovini. Scritti filosofici, testo latino e trad. it., a c. di G. Santinello, Utet, Torino 1972, pag. 206.

[2] Ibidem, pag. 208.

[3] Ibidem, pag. 209.

[4] Ibidem, pag. 208.

[5] Ibidem, pag. 223.

[6] Ibidem, pag. 231.

[7] N. Cusano, Il Dono del Padre dei lumi, in N. Cusano, Opere filosofiche, op. cit., pag. 356.

[8] L. Grecchi, L’umanesimo dell’antica filosofia greca, Petite Plaisance, Pistoia 2007, pag. 10.

 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Vincent Van Gogh (1853-1890) – Ho una passione irresistibile per i libri e sento continuamente il bisogno di istruirmi, così come ho bisogno di mangiare il pane. Se non studio, se non cerco più, allora sono perduto

Vincent Van Gogh - Mariella Guzzoni
Mariella Guzzoni, I libri di Vincent. Van Gogh e gli scrittori che lo hanno ispirato, Johan & Levi, 2020


«Ho una passione pressoché irresistibile per i libri e sento continuamente il bisogno di istruirmi, così come ho bisogno di mangiare il pane. […] Se non studio, se non cerco più, allora sono perduto. […] Tutto è cambiato per me e ora sono in cammino e la mia matita è diventata un poco più docile e sembra diventarlo ogni giorno di più […]. Zola e Balzac, come pittori di una società, di una realtà nel suo insieme, suscitano in chi li ama rare emozioni artistiche, per il fatto che abbracciano tutta l’epoca che dipingono. Quando Delacroix dipinge l’umanità, la vita in generale al posto di un’epoca, appartiene nondimeno alla stessa famiglia di geni universali. [,,,] Ho anche dipinto una lettrice di romanzi. Folti capelli nerissimi, una blusa verde, le maniche color vinaccia, la gonna nera, lo sfondo tutto giallo, gli scaffali della biblioteca con dei libri. Ha in mano un libro giallo».

Vincent Van Gogh, in Mariella Guzzoni, I libri di Vincent. Van Gogh e gli scrittori che lo hanno ispirato, Johan & Levi, Monza 2020.


Quarta di copertina
Lettore insaziabile, Vincent van Gogh trascorre la sua breve vita divorando centinaia di libri, che sono per lui ricerca, fonte d’ispirazione, ma anche porti sicuri in acque tempestose. Tra le pagine che più lo catturano ci sono quelle di Dickens, Zola, dei fratelli Goncourt e di Maupassant, che legge e rilegge con furore e commozione e di cui medita ogni riga, fino a intessere un dialogo interiore costante con gli autori. Parte dell’energia e della tensione creativa che anima la sua pittura trae linfa proprio da questa irresistibile passione. D’altra parte per Vincent dipingere con le parole o con il pennello non fa differenza, poiché con la grande famiglia dei suoi prediletti condivide un preciso ideale: l’arte dev’essere per tutti, e tutti devono poterla comprendere. Esplorare la vita di Van Gogh attraverso la lente dei libri che amava è la grande intuizione di Mariella Guzzoni che, con fine animus narrativo, ci svela dettagli inediti nascosti tra le pieghe della sua arte: da Natura morta con Bibbia a Lettrice di romanzi, le tante opere che il genio olandese ha dedicato al tema dei libri e della lettura vengono così esaminate sotto una nuova luce. Nel ricorrere alle lettere di Vincent – qui presentate in una nuova traduzione – come principale strumento d’indagine, l’autrice lascia emergere lo spessore di un artista affascinato non solo da alcuni temi ricorrenti ma soprattutto dalla statura morale e intellettuale degli scrittori a lui più cari. Tradotto in cinque lingue e riccamente illustrato, questo saggio spazia dai grandi capolavori alle opere minori di Van Gogh e mostra come i libri, l’uomo e l’opera siano intrecciati in modo indissolubile, dando corpo e voce alla sua frase: «I libri la realtà e l’arte sono una cosa sola per me».

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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