Salvatore Bravo – Ricordare il futuro. Ricordare Costanzo Preve significa renderlo compagno di viaggio nel presente. La filosofia è radicale, poiché i suoi testimoni vivono – nel loro tempo storico – il futuro, e proprio così smentiscono l’ideologica affermazione secondo cui “non c’è alternativa”.


Salvatore Bravo

“Ricordare il futuro”.

Ricordare Costanzo Preve significa renderlo compagno di viaggio nel presente.

L’attività del pensiero è intenzionalità significante, pertanto i veri pensatori nascono a nuova vita nella razionalità che li accoglie.

Ogni vero filosofo è al servizio dell’umanità: rielabora il passato per comprendere il suo tempo e nel contempo vive con la sua opera le potenzialità che i più non scorgono.

Non siamo chiamati ad essere eroi del cambiamento e della trasformazione, ma ad essere gli umili lavoratori che assediano il dominio capitalistico dall’interno e che testimoniano con la loro vita e attività il “no” al valore di scambio. Non è soltanto un “no” teorico, ma è reale testimonianza nella comunità di un futuro possibile. La filosofia è radicale, poiché i suoi testimoni vivono – nel loro tempo storico – il futuro, e proprio così smentiscono l’ideologica affermazione secondo cui “non c’è alternativa”.

Costanzo Preve fu tutto questo.

Progetti che non siano già vissuti nel presente rischiano di essere percepiti come distanti. Testimoniare significa anticipare quello che potrebbe essere nel tempo che verrà. La responsabilità verso il futuro non può aspettare, per questo è indispensabile il pensiero complesso contro il tatticismo tecnocratico. La responsabilità è un atto razionale e immaginifico: si esplora il proprio tempo storico per guardare le potenzialità e pensarle con la forza del concetto.

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Ricordare un pensatore significa renderlo compagno di viaggio nel presente, solo in tal modo il suo pensiero può dispiegarsi verso ciò che verrà. Non si tratta di venerazione idolatrica, nulla è più distante dalla filosofia, ma di confronto dialettico e plastico. Pensare un autore non è solo condivisione di concetti e prassi, ma è, anche, confliggere, discorrere fino a prendere le distanze da errori e posture ideologiche.

Il nuovo ha il suo “humus” nell’incontro-scontro, si tratta di un urto fecondo dal quale possono emergere nuove prospettive. Nessun autore “resta nell’astratto” della mente: pensare, in filosofia, è prassi critica. I concetti si concretizzano nell’effettualità della storia ponendo un proficuo circolo dialettico nella pienezza della materialità storica.

L’attività del pensiero è intenzionalità significante, pertanto i veri pensatori nascono a nuova vita nella razionalità che li accoglie.

Il 23 novembre del 2013 Costanzo Preve ci ha lasciati. Ma la morte di un pensatore originale non conclude e chiude la sua fioritura concettuale, in quanto le sue idee possono germinare al sole della critica e della ricerca. I concetti sono rizoma da cui possono nascere possibilità inesplorate e sconosciute allo stesso autore. Vi sono inconsce possibilità nella teoretica di un autore che attendono “socratiche levatrici”. Ripensare un pensatore è un viaggio fenomenologico, in cui il passato e il presente si intrecciano con il futuro.

Nelle parole e nei concetti di Costanzo Preve vi è il nostro tempo storico pensato con la mediazione dialettica.

Non desidero qui soffermarmi sui testi pubblicati o solo sull’analisi critica del capitalismo, ma si vuole porre in atto un riorientamento gestaltico: cambiare prospettiva e palesare gli aspetti progettuali della riflessione di Costanzo Preve attraverso le sue interviste. Queste ultime si connotano per la spontaneità colloquiale non disgiunta dalla chiarezza concettuale. Le interviste consentono di cogliere nella concretezza della parola che prende forma l’autenticità del fare filosofico, il quale è logos, e quindi comunicazione che interroga il presente per delineare il futuro. La vita della coscienza si estende, attraversa la barriera del tempo e vive la vita che verrà. Il concetto diviene, in tal modo, responsabilità verso l’umanità del presente e del futuro. Ogni vero filosofo è al servizio dell’umanità: rielabora il passato per comprendere il suo tempo e nel contempo vive con la sua opera le potenzialità che i più non scorgono.

Filosofare è diventare i custodi dell’umanità, conservarne il nucleo creativo che emerge dall’agorà, senza pretese di esclusività proprietaria. Il logos è parola nella quale l’individualità cede il passo all’ascolto comunitario senza il quale il pensiero si desertifica nella malinconia della solitudine senza concetto.

La filosofia non è solo “domandare profondo”, ma è anche fatica della risposta.

La fatica del concetto è l’incontro tra domanda e risposta. I campi semantici del pensiero si aprono al tocco della domanda che cerca la risposta senza chiusure d’orizzonte.

Vi sono nel pensiero previano ipotesi e abbozzi progettuali, con essi ci si deve confrontare. Si possono dischiudere spazi di discussione e riflessione che mancano nel nostro quotidiano segnato dal capitalismo nella sua fase annichilente segnata dall’illimitato divorare-saccheggiare umanità e risorse. Il nichilismo crematistico è “non essere”, ovvero, sradicamento dal tempo storico e derealizzazione.

A tale esiziale assenza di senso dobbiamo rispondere con risposte che possano favorire la prassi della filosofia, la quale è prassi critica e processo di trasformazione individuale e storico e questo non può che rendersi reale nel connubio domanda-risposta.

Lavoro e guerra

Il punto imprescindibile per Costanzo Preve è il lavoro, il quale non è riducibile a semplice produzione o reddito, ma è espressione dell’identità olistica di ogni soggettività. Il lavoro è riconoscimento ed autoriconoscimento senza i quali non vi è dignità, ma solo una lenta discesa nella reificazione. L’hegelo-marxiano Costanzo Preve non può non mettere il dito-parola nella piaga del capitale. La svalutazione del lavoro a favore della finanza è giunta al punto che con l’euro nelle situazioni di crisi non si può svalutare la moneta per cui si deprezza il lavoro e con esso l’essere umano. I lavoratori sono merce di poco conto dinanzi al potere della finanza.

L’oligarchia ha svuotato la democrazia del suo senso, in quanto ha condotto una guerra contro il lavoro e i lavoratori. La svalutazione del lavoro coincide con lo stato di sussunzione dei lavoratori e delle classi medie da cui l’oligarchia astrae il lavoro vivo per renderlo astratto. I lavoratori sono i nuovi servi della “glebalizzazione” dominati nella mente e nel corpo:

«Ciò si presenta però in una situazione storica nuova, nella quale assistiamo al completo venir meno della sovranità monetaria dello stato nazionale e, pertanto, all’innesco di dinamiche finanziarie globalizzate non più controllabili. È una crisi di svalutazione del lavoro; essendosi l’Unione Europea basata sull’impossibilità di svalutare la moneta nazionale, in tempi di crisi si svaluta la moneta o il lavoro. O si svaluta la moneta, e questo rende possibile una maggiore concorrenzialità della moneta nazionale, come è stato per duecento anni in Europa, oppure si svaluta il lavoro. In questo momento si sta facendo questo. Ecco l’aspetto più noto della crisi per i lavoratori europei, particolarmente i giovani. Ma le cose che dico sono ben note a tutti. La causa strutturale è che con l’avvento della globalizzazione l’Europa non è in grado di sostenere il modello neo-liberale mantenendo le conquiste sociali del welfare state che hanno caratterizzato il Novecento europeo in tutte le sue varianti: comunista, fascista, socialdemocratica».1

 

La guerra è l’altro volto dell’euro. In un mondo multipolare, l’Europa unita in nome dell’euro e fedele suddita degli Stati Uniti – sono quasi 250 le basi NATO ufficiali sul territorio europeo – non può che cercare compulsivamente nuovi mercati e materie prime. Il primato nel controllo delle aree geopolitiche fondamentali non può che condurre al conflitto con la Russia, la Cina e le altre potenze emergenti. La globalizzazione ha reso il conflitto la normalità delle relazioni tra gli Stati e all’interno dei mercati. Il micro e il macro sono l’espressione della stessa bellicosa sostanza: sfruttamento e plusvalore.

Nella lotta geopolitica per un presente ed un futuro a misura di essere umano, Costanzo Preve distingue le oligarchie dai popoli. L’avversione politica non è mai contro i popoli, è la finanza il pericolo. I popoli sono pedine nei giochi di potere-dominio dei nuovi feudatari cosmopoliti. La chiarezza del nemico è la condizione per l’unità dei popoli nel comune obiettivo di abbattere i nuovi oligarchi globali. L’imperialismo della finanza è antiumanesimo militante, lo scopo è la colonizzazione dei popoli come dei singoli: occupazione violenza delle menti e dei territori per desertificare le differenze in nome dei diritti universali usati come arma contro i resistenti:

«L’euro è stata un’idea sbagliata, un azzardo. È un fallimento che non potrà trascinarsi a lungo e provocherà una divaricazione ancora più forte tra le due Europe, quella del centro-nord e quella del centro-sud. Altra conseguenza prevedibile è il peggioramento della situazione geopolitica in Medio Oriente, probabilmente con il tentativo di distruggere il governo della Siria di Assad e il governo dell’Iran. La tendenza alla guerra è evidente, ma questo non necessariamente comporta una vera e propria guerra come quella contro la Libia o la Serbia».2

Il disordine mondiale foriero di guerre e tensioni è guidato dalla furia iconoclasta statunitense; la quale, in nome della sua presunta superiorità etnico-culturale, vorrebbe guidare le sorti del pianeta. L’ideologia puritano-protestante spogliata di ogni valore trascendente è divenuta la religione mondana della globalizzazione a guida anglofona. L’economicismo crematistico è il cuore della nuova missione divina: bisogna modellare ogni popolo, farne un produttore-consumatore senza verità e bene. Ogni metafisica deve essere desacralizzata, deve restare solo la hybris del consumo. Nessuna identità deve sopravvivere alla furia omologante. La guerra neocoloniale e imperiale conduce dalla Terza guerra mondiale (guerra fredda) alla Quarta guerra mondiale (globalizzazione) come verifichiamo nei nostri tristi e concitati giorni:

«Gli USA hanno vinto due guerre mondiali e la Guerra Fredda, o Terza Guerra Mondiale. Questa vittoria ha permesso di estendere il dominio sui Paesi dell’Europa dell’Est e adesso, con la cosiddetta Primavera Araba, fenomeno completamente occidentalizzante, anche in Medio Oriente. Queste sono due gigantesche vittorie geopolitiche. Non vi sono potenze avversarie e quelle emergenti (Brasile, Russia Cina e India) non hanno intenzione di opporsi in modo strategico. Molto pericolosa è l’ideologia che gli USA portano con sé, un’ideologia puritano-protestante, di origine veterotestamentaria, che li spinge a ritenersi il popolo eletto. Persino i non credenti si considerano parte di questo popolo, eletto dalla Storia e da Dio. È una concezione che si arroga il diritto di portare il bene del mondo attraverso gli interventi militari».3

La missione degli Stati Uniti, incarnazione del capitalismo assoluto, è annientare ogni comunità dalla famiglia alla patria, alla fine di questo processo di distruzione in nome dei soli diritti individuali non deve restare che l’individuo liquido senza legami comunitari, identitari e affettivi. L’opposizione attuale è comunità-individuo, da questa verità si deve partire per ipotizzare un’alternativa storicamente fondata alla bellicosa deriva nichilistica attuale.

Ogni “ismo” dev’essere rigettato, in quanto è veicolo di misologia e violenza. La comunità è il luogo dove sviluppare forme di partecipazione democratica, il pubblico è il centro della comunità, i cittadini sono chiamati ad esercitare il logos e il metron che ne consegue. La salvezza non può che giungere dalla partecipazione democratica: il logos è parola che si moltiplica nella comunicazione. La solidarietà fondata sulla natura umana comunitaria da “definire nella storia” è l’orizzonte verso cui muoversi, è il katechon alla deriva dell’individualismo/capitalismo assoluto che reca la guerra dentro e fuori della comunità ridotta a immenso ipermercato dello spreco:

«Passando al cosiddetto “comunitarismo”, e ricordando ancora una volta che si tratta di un ismo di cui non faccio parte, bisogna distinguere storicamente il suo profilo vecchio ed il suo profilo nuovo. Il profilo vecchio, che ha contrapposto la comunità (Gemeinschaft) alla società (Gesellschaft), è ormai un pezzo archeologico da museo della storia delle ideologie in Europa, ed è legato al conflitto fra l’Inghilterra vittoriana e la Germania guglielmina, come Domenico Losurdo ha brillantemente mostrato in una serie di opere storiche. Il profilo nuovo, che non c’entra assolutamente più nulla con quello vecchio, ormai morto e sepolto, è legato alla dialettica fra individualismo e comunitarismo attuali, o più esattamente al tentativo dall’alto di imporre un individualismo anomico legato alle nuove modalità di consumo e di colonizzazione della vita quotidiana, ed alle resistenze dal basso contro queste strategie di imposizione. Dal momento che questo nuovo comunitarismo, che a differenza del vecchio non presenta più elementi apologetici della gerarchia e dell’organicismo, si struttura e si sviluppa sulla base di strategie e di tattiche di resistenza, inevitabilmente differenziate caso per caso, ne consegue che non c’è nessun bisogno che si cristallizzi un ismo dottrinario con annesse forme di copyright ideologico di identità e di appartenenza. È un’ennesima ragione per respingere, cortesemente ma con decisione, ogni etichettatura dottrinaria di “comunitarismo”. Ma questo non dovrei più ripeterlo, perché mi sembra ormai chiaro, almeno per chi vuole confrontarsi con me in modo non pregiudiziale o polemico a priori. Per quanto riguarda la presunta opposizione fra un essere sociale (società) ed un dover essere sociale (futura comunità solidale senza classi), dichiaro solennemente, da filosofo professionale, di respingerne la formulazione di tipo neokantiano (o se si vuole, bobbiano). È vero che Marx concepisce il comunismo in termini al 100% comunitari, o più esattamente comunitario-solidali, ma è anche vero che Marx, che si richiamava filosoficamente a Hegel e non certo a Kant (più esattamente alla dialettica hegeliana e non certo alle antinomie di Kant o alle dicotomie di Bobbio), riteneva che a questa comunità ideale del futuro non si sarebbe mai arrivati se non esistessero già qui ed ora, nel presente storico in cui viviamo, delle comunità di resistenza e di progetto».4

Pensare per progettare

Non siamo chiamati ad essere eroi del cambiamento e della trasformazione, ma ad essere gli umili lavoratori che assediano il dominio capitalistico dall’interno e che testimoniano con la loro vita e attività il “no” al valore di scambio. Non è soltanto un “no” teorico, ma è reale testimonianza nella comunità di un futuro possibile. La filosofia è radicale, poiché i suoi testimoni vivono – nel loro tempo storico – il futuro, e proprio così smentiscono l’ideologica affermazione secondo cui “non c’è alternativa”.

Costanzo Preve fu tutto questo.

Progetti che non siano già vissuti nel presente rischiano di essere percepiti come distanti. Testimoniare significa anticipare quello che potrebbe essere nel tempo che verrà. La responsabilità verso il futuro non può aspettare, per questo è indispensabile il pensiero complesso contro il tatticismo tecnocratico. La responsabilità è un atto razionale e immaginifico: si esplora il proprio tempo storico per guardare le potenzialità e pensarle con la forza del concetto. Guardare con gli occhi della mente non è sufficiente, è necessario che il logos sia tensione dialettica di ogni sua capacità cognitiva. La totalità è la condizione per rappresentarsi il futuro. La responsabilità è lotta per tenere vivi i legami che dal passato conducono al futuro. Nella storia non vi sono leggi ferree e bronzee, pertanto il futuro è una scommessa aperta, questa è la nostra lucida speranza: lo fu anche per Costanzo Preve.

Elaborare un progetto politico che possa dar conto delle derive in atto non può che fare appello a un diverso modo di testimoniare la filosofia, la quale deve uscire dal politicamente corretto delle accademie per denunciare conflitti e le contraddizioni che inquinano l’ambiente e le menti con le tossine del feticismo delle merci, dei big data e del plusvalore. In questo ambiente alienante i lavoratori sono ridotti all’infimo rango di esercito di riserva: si incentiva la migrazione per poter tener basso il costo del lavoro e organizzare il conflitto orizzontale tra migranti e lavoratori precarizzati. La filosofia deve contribuire a neutralizzare l’ideologia guerrafondaia facendo cadere il velo dell’ignoranza, in modo che i lavoratori tutti possano sviluppare la coscienza di classe.

Non bisogna cadere nell’inganno del biopotere, filosofia popolare e organica al sistema, poiché affermando la circolarità del potere non distingue tra carnefici e vittime. Si rischia di porre sullo stesso piano la “manovalanza costretta all’esecuzione di mansioni di controllo sui lavoratori” e gli oligarchi. La filosofia deve emancipare dalla fascinazione delle filosofie organiche al capitalismo, perché filosofare è campo di battaglia fra le idee:

«Gli ultimi venti anni io li vedo come una specie di orgia del capitale finanziario mondiale, liberato dalla presenza del comunismo novecentesco e dallo stato keynesiano. Questo ha portato a una finanziarizzazione dell’economia incredibile, il cui effetto principale è il lavoro flessibile e precario normale, la vera novità, perché non tocca più solo i vecchi artigiani, ma riguarda tutti; tutti sono esercito industriale di riserva. Naturalmente la corporazione universitaria non si è affatto occupata di questo, si è inventata la biopolitica, come se il problema non fosse il lavoro precario, ma il controllo poliziesco, alla Foucault. Si tratta di un pensiero alla fine del quale risulta che un maestro elementare e una guardia carceraria sono entrambi agenti della repressione: un altro tradimento dei chierici».5

L’ontologia dell’essere sociale è il fondamento metafisico della natura umana. L’alternativa elaborata da Costanzo Preve ha quale punto nodale l’ontologia dell’essere sociale. L’essere umano per sua natura è autocoscienza, è relazione comunitaria con la quale diviene consapevole della sua singolarità concreta, poiché ogni singolarità presuppone la relazione con altre coscienze per definirsi. Riconoscersi significa creare legami: senza di essi gli esseri umani non hanno un volto, non hanno una storia e non possono tradurre in prassi le loro potenzialità. Solo in tale cornice la crescita umana dei singoli, delle comunità e della storia possono essere attualizzate. L’umanità intera è portatrice di possibilità, ma solo ciò che forma alla cura, all’attenzione solidale e al bene sviluppa ciò che è precipuamente umano. Costanzo Preve ha testimoniato l’essenziale in una realtà connotata dalla βρις, l’ontologia dell’essere sociale è umanesimo che si svela e si materializza nella storia:

«Nel mio libro Marx inattuale quando si parla di ontologia dell’essere sociale ci si riferisce alle caratteristiche strutturali dell’essere sociale, indipendentemente dal fatto che sia schiavistico, feudale o capitalistico. Significa considerarlo distinto dall’essere naturale. Quest’ultimo viene indagato dalle scienze della natura, ma cosa li distingue? L’autocoscienza. Mentre l’essere naturale ha una sua storia evolutiva ma non è caratterizzato dal passaggio dall’essere in sé all’essere per sé, l’essere sociale è caratterizzato dal passaggio dalla coscienza all’autocoscienza e questo deve essere messo al centro della filosofia. Ora, nella misura in cui il marxismo a partire da Engels fu fuorviato come Naturprozess e Naturgeschichte, era necessario restaurare l’ontologia dell’essere sociale come centro del marxismo stesso. Accettare tale ontologia significa rifiutare l’inevitabilità del passaggio al socialismo o al comunismo in quanto l’essere sociale, a differenza della natura, ha la possibilità di scegliere e quindi non ci può essere alcuna ineluttabilità nelle trasformazioni sociali, la scelta è sempre fondamentalmente non deterministica».6

L’ontologia dell’essere sociale deve tradursi in prassi politica. Costanzo lo ha dimostrato nella sua Una nuova storia alternativa della filosofia: la filosofia non può astrarsi dalla realtà politica e storica, ma deve cambiare il mondo, deve contribuire alla sua trasformazione senza titanismo. Il filosofo ha indicato tre principi, non contrattabili, su cui stabilire un progetto politico rispettoso dell’universale concreto che coniuga identità e comunità, uguaglianza e differenza, comunità e democrazia:

«La mia bussola di orientamento oggi si basa su tre parametri interconnessi:

  1. a) il principio di eguaglianza massima possibile all’interno di un popolo su diritti, consumi, redditi, partecipazione alle decisioni. Centralità del tema dell’occupazione. Posto fisso preferibile al lavoro temporaneo, flessibile e precario. Diritti eguali agli immigrati (che non significa immigrazione incontrollata). Messa sotto controllo del capitale finanziario speculativo di ogni tipo. Preferenza del lavoro rispetto al capitale. Difesa della famiglia e della scuola pubblica;

  2. b) il rifiuto del colonialismo e dell’imperialismo, che oggi hanno come aspetto principale l’impero USA ed in Medio Oriente il suo sacerdozio sionista, che utilizza per i suoi crimini il senso di colpa dell’Europa e dei suoi intellettuali rispetto al genocidio effettuato da Hitler, che ovviamente non mi sogno affatto di negare. Diritto assoluto alla lotta per la liberazione patriottica (lo stato nazionale esiste, eccome, ed è un bene e non un male, come dicono i seguaci di Negri e del Manifesto) per l’Iraq, l’Afghanistan e la Palestina. Appoggio a tutti i governi “sovranisti” indipendenti (Venezuela, Iran, Birmania, Corea del Nord, Bolivia, eccetera), il che non implica necessariamente l’approvazione di tutti i loro profili interni ed esteri;

  3. c) considerazione dell’elemento geopolitico e rifiuto della sua virtuosa ed infantile rimozione. A differenza di Losurdo, non penso affatto che la Cina abbia una natura sociale “socialista”. Ma la appoggio egualmente, perché un equilibrio multipolare è preferibile ad un unico impero mondiale USA con vari vassalli (fra cui l’Italia è la più servile, con possibile eccezione di Panama e delle Isole Tonga,). Chi appoggia questa cose è per me dalla parte giusta. Se poi si dichiara di destra o di sinistra, questo è affare suo, della sua biografia politica e della sua privata percezione valoriale. Ma la percezione valoriale è un affare privato, come i gusti sessuali e letterari e la credenza o meno in un Dio creatore».7”.

Per realizzare il programma comunitarista è necessaria la logica del movimento e non del partito. Il movimento si distingue dal partito, in quanto si caratterizza per l’osmosi vertice-base. Il movimento deve strutturarsi per la sua organizzazione sul territorio, non dev’essere segnato dalle chiusure lobbistiche dei partiti. I movimenti sono organismi vivi, sono forme di democrazia radicale in cui si impara la libertà e la socratica pratica del logos:

«“Movimento” e non Partito, anche se ovviamente un movimento organizzato funziona poi come un partito, in quanto deve avere strutture di direzione chiare, riconoscibili, democraticamente elette e democraticamente revocabili. Questo non implica assolutamente “movimentismo”. L’opposizione astratta fra movimentismo e partitismo è pura metafisica scolastica. Tuttavia, linguisticamente, il termine “partito” indica maggiormente una “rappresentanza”, o di interessi economici o di missione storica (anzi, sovrastorica), mentre il termine “movimento” indica maggiormente una “attivazione” che intende favorire aggregazioni».8

Preve filosofo della prassi

La partecipazione comunitaria dev’essere finalizzata a trascendere la “democrazia oligarchica” per concretizzare il comunitarismo democratico, a tal fine è bisogna imparare l’arte della resistenza. Non si impara a resistere e a pensare nell’individualismo spregiudicato del mercato. La possibilità c’è, ma è estremamente rara e difficile. L’essere umano necessita di relazioni positive e di comunità nelle quali sia riconosciuto nella propria differenza sul sostrato dell’universale comune.

Si impara a non sentirsi stranieri e monadi, ma a sentirsi razionalmente parte dell’universale mediante la famiglia, le istituzioni, la patria e l’umanità in un positivo crescendo dialettico. La consapevolezza della comune umanità motiva alla lotta: non ci si percepisce più come atomi impotenti, ma come umanità in cammino.

La resistenza si impara praticando il logos e ponendo all’esame della pubblica discussione l’atomismo nichilistico del capitalismo assoluto. Il comunitarismo è dialettica democratica, la quale non può che essere perennemente minacciata dagli oligarchi e dalle loro manipolazioni artatamente organizzate:

«(I) Resistenza alla dittatura oligarchica dell’economia capitalistica, senza un’imposizione contestuale di un solo profilo ideologico che dovrebbe fare da unico fondamento legittimo di questa resistenza. (II) Resistenza all’attuale struttura imperialistica del mondo, di cui l’impero militare americano non è che l’odierno aspetto dominante, ma che certamente non è l’unico o quello cui bisogna ricondurre tutto. (III) La scelta di tenersi integralmente fuori dal bipolarismo, non per ragioni di principio astoriche eterne, ma sulla base di un giudizio politico determinato, che potrebbe anche essere modificato in futuro se cambiasse il panorama politico europeo e mondiale».9



La resistenza è il concetto incarnato dalla storia dal cui rizoma germinano le potenzialità occultate dall’individualismo assoluto.

Lo scopo della filosofia nell’attuale congiuntura storica è l’elaborazione di un progetto anticapitalistico.

Il capitalismo è negazione della natura umana e del logos.

Il logos è la materializzazione della natura umana, esso è misura del necessario, esodo dalla distruttività dell’illimitato.

Il capitalismo assoluto – espressione utilizzata da Costanzo Preve per indicare l’attuale fase del neoliberismo – non implica l’ipostatizzazione del capitale e il trionfo del valore di scambio. La definizione di capitalismo assoluto denota il tentativo del capitale di eternizzarsi con la cultura dell’astratto e con l’assimilazione di ogni forma di vita e cultura all’interno del solo valore di scambio, al punto che il capitale non vede che se stesso, fino alla fanatica illusione di essere il punto finale della storia. Il capitalismo è inclusivo, non lascia nulla fuori di sé, vorrebbe essere l’ultima parola, è il nulla che avanza nel consumo dell’umanità e del pianeta: alla fine del suo percorso ogni traccia di umanità e storia sarà cancellata per sempre.

La natura umana non può essere annientata, ciò è reso palese dai resistenti come dal malessere psicologico diffuso; quest’ultimo è il sintomo che l’attuale sistema economico non è a misura di essere umano, ma lo nega con la sua violenza crematistica e narcisistica.

Progettare è conoscere filosoficamente il capitale, è organizzare la resistenza. Costanzo Preve è nel nostro presente, le sue analisi attendono le nostre risposte e il nostro impegno. I filosofi sono scomodi ed inquietano, in quanto ci rammentano il dovere di agire anche ad un passo dall’abisso: si è umani per questo.

Non fu oratore al capezzale del potere

Non fu un oratores al capezzale del potere, non raccolse le briciole che cadevano dalla tavola del dominio. Ha portato nel presente la filosofia quale attività politica autonoma. L’indipendenza del pensiero l’ha pagata con un volontario isolamento. Ha dimostrato che la possibilità di deviare dal politicamente corretto è realtà, se ci assume la responsabilità di testimoniare nel presente una tradizione millenaria senza mummificarla.

La filosofia del futuro, coerentemente con la sua storia migliore, dev’essere autonoma pur partecipando alla prassi del mondo, non può appiattirsi all’interno di una cornice ideologica. L’intellettuale organico non è mai libero, ma è al servizio dell’istituzione – o del partito nei migliore dei casi –, ma facilmente “il servizio ad una causa” può diventare “servitù volontaria o involontaria”.

Il filosofo deve conservare una carsica anarchia creativa che lo induce ad una distanza critica e costruttiva dalle trappole del potere. La filosofia deve denunciare le derive ideologiche e condurre verso la fatica del concetto con la sua inesauribile dialettica. Non fu un intellettuale secondo i canoni attuali, ed è l’eredità più rilevante che il filosofo ci consegna per il futuro:

 

«Con tutti i miei difetti soggettivi, psicologici e caratteriali, e con tutte le mie insufficienze oggettive, scientifiche e filosofiche, rivendico però a mio onore l’avere capito fino in fondo che l’autoidentificazione illusoria e fantasmatica con il gruppo sociale degli “intellettuali”, impegnati e/o organici che siano, non poteva che svilupparsi dialetticamente verso la rovina e l’autodissoluzione, che sono comunque sotto i nostri occhi (Veltroni, Sarkozy, eccetera). Gli intellettuali sono una forma moderna e postmoderna di clero, sia pure un clero non tenuto al celibato ma anzi invitato alla libera scopata postfamiliare. Eretico o ortodosso, giornalistico o universitario, celibe o scopatore, un clero rimane clero. Non dico che un clero non sia talvolta necessario. A volte lo è. Ma oggi il problema non è quello di aggregarsi per produrre collettivamente (inesistenti) profili ideologici articolati e sistematizzati per uso politico, ma di differenziarsi dai greggi esistenti per tentare di avanzare ipotesi teoriche radicalmente nuove. Questo è impossibile se si intende compatibilizzare l’avanzamento di questa ipotesi con l’appartenenza a gruppi intellettuali oggi esistenti, il cui conservatorismo è tale da produrre automaticamente l’esclusione del reo. Termino allora qui questa modesta autocertificazione. Il signor Costanzo Preve è stato a lungo un “intellettuale”, sia pure di seconda fila e non di prima. Ma oggi non lo è più, e chiede di essere giudicato non più sulla base di illusorie appartenenze di gruppo, ma sulla base esclusiva delle sue acquisizioni teoriche. E di queste cominceremo finalmente a parlare».10



Il filosofo vive la pienezza della “dynamei on”, testimonia che la possibilità del logos e della buona vita è di tutti, ma nel filosofo è realtà vivente nel presente. Non detiene verità indiscutibili, ma è la consapevolezza che il presente non è tutto. Il capitalismo e l’individualismo assoluto sono forme storiche nelle cui pieghe e contraddizioni dolorose vi è il mondo che verrà, ma per poterlo scorgere è necessario confrontarsi con i filosofi e con gli uomini e le donne che vivono nel presente la concretezza di un’esistenza nella quale la parola è dono, cura e riconoscimento dell’altro.

Questo è stato Costanzo Preve con le sua umane imperfezioni e il coraggio di divertere dalla dittatura del politicamente corretto.

Il futuro non vive nella cancellazione del passato, ma nella continuità-discontinuità: bisogna discernere ciò che dobbiamo portare nel futuro da ciò che bisogna abbandonare. Costanzo Preve è punto di riferimento per questa operazione complessa e problematica di continuità-discontinuità.

Fondamentale, perché vi sia un futuro, è non segare l’albero su cui siamo seduti:



«Ragioniamo piuttosto sulla metafora del “ramo”, che solo uno sciocco segherebbe se c’è ancora seduto sopra. Ma siamo proprio sicuri che ci siamo ancora seduti sopra, o piuttosto siamo doloranti da tempo con il culo per terra? E poi, per continuare con la metafora del ramo, tenersi stretti ad un ramo che la corrente impetuosa trascina verso una cascata non è altrettanto stupido?

Io non penso che siamo seduti su di un ramo chiamato “marxismo”. Io penso invece che siamo bensì seduti, ma seduti su di un grande albero frondoso con profonde radici, che è l’albero della tradizione filosofica razionalistica e dialettica, che c’era prima di Marx e ci sarà dopo Marx, e di cui Marx è ancora un ramo fiorito mentre nell’essenziale il marxismo è già da tempo un ramo spezzato, e spezzato dalla storia, non da uno sciocco che ha deciso di segarlo. Le metafore non sono mai innocenti».11

Sta a noi fare in modo che la fioritura e i rami continuino ad esserci: Costanzo Preve è ora uno dei rami su cui poggia il nostro futuro e da cui possiamo intravedere il futuro. La speranza razionale da coltivare nel presente è l’orizzonte in cui dialettizzare le contraddizioni del nostro tempo storico per formare i nuovi soggetti della prassi. La filosofia è speranza razionale, è sguardo della civetta che attraversa il mondo, non è attesa messianica nell’ottica di Costanzo Preve, ma è etica della partecipazione responsabile:

«In quanto alla speranza ne distinguerei due tipi: quella cieca, della possibilità dell’inserzione messianica nella storia di un meteorite comunista (un po’ alla Benjamin) che cade sulla terra (che per me è anche un alibi ipocrita per giustificare la propria mancanza di prassi), e poi c’è la speranza aristotelico-marxiana e cioè che all’interno della vita che stiamo già vivendo si inseriscano degli elementi alternativi che si sviluppano dentro di essa: questa è la speranza razionale».12

Dove vi è filosofia, vi è la Bestimmung, la passione durevole, per la prassi nella quale il presente apre al futuro. Costanzo Preve ha vissuto la filosofia non come esperienza accademica, ma come prassi che orienta al futuro da progettare e costruire nel presente, sta anche a noi ringiovanire il mondo continuando il suo cammino.

1 Intervista a Costanzo Preve: «Filosofia della crisi» Emanuele Guarnieri L’altra faccia della moneta – Per una filosofia della sovranità politica e finanziaria n. 4/2013.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Intervista a cura di «Indipendenza», agosto 2007.

5 Intervista a Costanzo Preve, a cura di Franco Romanò, in «Comunismo e Comunità», 2020.

6 Ibidem.

7 Alessandro Monchietto: Intervista a Costanzo Preve (Estate 2010, «SOCIALISMO XXI»), Petite Plaisance blog, 24 ottobre 2015.

8 In «Sollevazione», Di che movimento politico abbiamo bisogno? (inedito) di Costanzo Preve, DIC 27, 2014.

9 Ibidem

10 Costanzo Preve, Autopresentazione di Costanzo Preve [Scritta da lui medesimo] da https://www.filosofico.net/prevesipresenta.htm

11 Intervista a Costanzo Preve di Gianni Petrosillo; Gianluca Amodio; Elianna Zirpoli – 27/11/2006, Arianna editrice

12 Intervista a Costanzo Preve a cura di Franco Romanò, in Comunismo e Comunità pubblicata il 17 dicembre 2020.

Leggere la giustizia, vivere la giustizia. Pratiche filosofiche e formazione dell’umano. A cura di Andrea I. Daddi. Prefazione di Romano Màdera. Contributi di: Didier A. Contadini, Andrea I. Daddi, Carla Di Quinzio, Susanna Fresko, Luca Grecchi, Monica Marinoni, Chiara Mirabelli, Stefano Pippa

Didier A. Contadini, Andrea I. Daddi, Carla Di Quinzio,
Susanna Fresko, Luca Grecchi, Monica Marinoni,
Chiara Mirabelli, Stefano Pippa,

Leggere la giustizia, vivere la giustizia. Pratiche filosofiche e formazione dell’umano

A cura di Andrea I. Daddi.

Prefazione di Romano Màdera

ISBN 978-88-7588-344-7, 2022, pp. 152, Euro 15

In copertina: Allegoria della giustizia, di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino

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Autori


DIDIER A. CONTADINI è ricercatore in Storia della filosofia presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca. Insegna Teoria dello spazio urbano nel Corso di perfezionamento in Teoria critica della società, per cui è anche membro del comitato organizzatore e scientifico. È segretario di redazione della rivista Quaderni materialisti e della collana Quaderni di teoria critica della società. È membro della redazione della rivista Scienza e filosofia. Si occupa degli autori che si iscrivono nella cosiddetta teoria critica, da Th. W. Adorno, S. Kracauer e W. Benjamin a J. Butler, a cui ha dedicato diversi articoli e due volumi. Si occupa altresì del pensiero marxiano e della tradizione marxista, in particolare francese. Si dedica anche a tematiche di filosofia morale, disciplina per la quale ha ottenuto l’ASN nel 2014, quali la violenza, la menzogna e la costruzione del senso comune a partire dalla riflessione della filosofia kantiana e post-kantiana


ANDREA IGNAZIO DADDI è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e collabora con le Cattedre di Filosofia morale e Pratiche filosofiche all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Docente di scuola secondaria di secondo grado, pedagogista e analista filosofo in formazione, è particolarmente interessato ai rapporti tra formazione, vita filosofica e psicologie del profondo e ha al suo attivo svariate pubblicazioni tra cui la monografia Filosofia del profondo, formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta (Ipoc, 2016) e la traduzione italiana del volume a cura di Alan Bainbridge e Linden West, Educazione e psicoanalisi. Un dialogo da riavviare (Ipoc, 2017). Fondatore di Philo Liguria, ha scritto in Aprire mondi. Un percorso nella pedagogia di Riccardo Massa (a cura del Centro Studi Riccardo Massa, FrancoAngeli, 2020) ed è tra i curatori del volume collettaneo Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo (Petite Plaisance, 2020)


CARLA DI QUINZIO, pedagogista e analista filosofa, svolge privatamente attività di analisi biografica a orientamento filosofico ed è consulente educatrice professionale presso un SerD di Milano. Svolge attività di formazione rivolta a educatori e docenti e conduce laboratori di pratiche filosofiche e di scrittura autobiografica nella cura delle dipendenze. Collabora con il centro culturale di Philo – Pratiche filosofiche e con l’associazione Smallfamilies per la quale ha ideato, insieme a Benedetta Silj, lo sportello di analisi biografica a orientamento filosofico per madri sole e padri soli. Ha inoltre scritto un saggio nel libro collettivo L’analisi filosofica. Avventure del senso e ricerca mito-biografica (a cura di P. Bartolini e C. Mirabelli), Mimesis, Milano-Udine, 2019


SUSANNA FRESKO è analista filosofa e lavora in ambito formativo su autobiografia e mitobiografia, in particolare attraverso il ricorso alla parola, scritta e orale, come strumento conoscitivo di sé e del mondo attorno a sé. Per Philo – Pratiche filosofiche è docente e responsabile del coordinamento didattico di Mitobiografica – Percorsi per il mestiere di vivere. Dal 2013 si occupa inoltre della gestione organizzativa delle attività di Philo nel suo insieme. Tra le sue pubblicazioni la monografia Dall’intimità del roveto. Verso la terra del dono (Ipoc, 2014). Ha inoltre scritto un saggio nel libro collettivo Qual è il tuo mito? Mappe per il mestiere di vivere (a cura sua e di Chiara Mirabelli, Mimesis, 2016). Un suo contributo è presente anche nel volume collettaneo L’analisi filosofica. Cura del senso e ricerca mito-biografica (a cura di P. Bartolini e C. Mirabelli, Mimesis, 2019) e nel più recente Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo vademecum per la pace (a cura di M. Montanari e S. Oliva Boch, AnimaMundi, 2022).


LUCA GRECCHI collabora con le Cattedre di Filosofia morale e Storia della filosofia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. È direttore dal 2003 della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia. Ha pubblicato recentemente, nella collana Questioni di filosofia antica delle Edizioni Unicopli, i volumi Natura (2018) e Uomo (2019), e, per Morcelliana, Leggere i Presocratici (2020). Ha curato inoltre tre volumi aristotelici: Sistema e sistematicità in Aristotele, Immanenza e trascendenza in Aristotele, Teoria e prassi in Aristotele (Petite Plaisance, rispettivamente 2016, 2017, 2018).


ROMANO MÀDERA è filosofo e psicoanalista. Ha insegnato presso le Università della Calabria, Ca’ Foscari di Venezia e Milano-Bicocca. Ha ideato e sviluppato la proposta nel campo della ricerca e della cura del senso denominata «analisi biografica a orientamento filosofico», fondando nel 2007 SABOF Società degli Analisti Filosofi a Orientamento Filosofico. Tra le sue opere più recenti ricordiamo: Il nudo piacere di vivere (Mondadori, 2006); La carta del senso. Psicologia del profondo e vita filosofica (Cortina, 2012); Una filosofia per l’anima. All’incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche, a cura di C. Mirabelli (Ipoc, 2013); Carl Gustav Jung. L’opera al rosso (Feltrinelli, 2016); Sconfitta e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche (Mimesis, 2018); Il caos del mondo e il caos degli affetti (con G. Cappelletty, Claudiana, 2020); Il metodo biografico come formazione, cura, filosofia (Cortina, 2022).


MONICA MARINONI è pedagogista e Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione. Dal 2013 al 2016 è stata Cultrice della materia per le cattedre di Filosofia morale e Pratiche filosofiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e ha collaborato alla realizzazione dei Seminari Aperti di Pratiche Filosofiche. Si occupa di temi ambientali, relazioni tra umano e natura e intercultura ed è attivamente impegnata in campo politico per promuovere un nuovo immaginario ecosostenibile. Dal 2017 presenta contributi al Convegno Internazionale ‘Educazione Terra Natura’ presso la Libera Università di Bolzano. Tra le sue pubblicazioni: Dalla parte del Mondo. Per una cura della sua Anima attraverso il pensiero di James Hillman (Feltrinelli, 2014); Ambiente e educazione all’ecosostenibilità: alcune indicazioni da una ricerca, in M. Giusti (a cura di), Pratiche didattiche di partecipazione e inclusione (Universitas Studiorum, 2018); Abitare la terra difen­dendone la bellezza: la prospettiva di James Hillman, in M. Gallerani, C. Birbes(a cura di), L’abitare come progetto, cura e responsabilità (Zeroseiup, 2019).


CHIARA MIRABELLI è analista biografica a orientamento filosofico e formatrice. Lavora da diversi anni nell’ambito della formazione degli adulti – sui temi dell’autobiografia, della cura attraverso la narrazione e della mitobiografia – per associazioni, scuole ed enti. A Philo è docente della Scuola in Abof e di Mitobiografica, responsabile organizzativa della Scuola in Abof, del Centro culturale e curatrice del sito. Con Ivano Gamelli è autrice di Non solo a parole. Corpo e narrazione nell’educazione e nella cura (Cortina, 2019). Ha scritto in Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo vademecum per la pace (a cura di M. Montanari e S. Oliva Boch, AnimaMundi, 2022), I gesti di Eros. L’amore e le sue parole (a cura sua e di P. Bartolini, Mursia, 2020), L’analisi filosofica. Avventure del senso e ricerca mito-biografica (a cura sua e di P. Bartolini, Mimesis, 2019), Qual è il tuo mito? Mappe per il mestiere di vivere (a cura sua e di S. Fresko, Mimesis, 2016) e Philo. Una nuova formazione alla cura (a cura sua e di A. Prandin, Ipoc, 2015). Ha inoltre curato il libro di Romano Màdera, Una filosofia per l’anima. All’incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche (Ipoc, 2013). È autrice di articoli sulla Rivista di psicologia analitica


STEFANO PIPPA ha conseguito un PhD in Philosophy presso il Centre for Research in Modern and Contemporary Philosophy della Kingston University, Londra. È stato Lecturer in Philosophy all’università di Wolverhampton dal 2016 al 2018 ed è attualmente ricercatore in Filosofia politica presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca, dove ha fatto parte del progetto dipartimentale Education for Social Justice. I suoi interessi di ricerca si collocano nell’ambito della teoria critica contemporanea e delle teorie della giustizia. Dal 2020 tiene un corso di Filosofia politica all’interno del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società (Università di Milano-Bicocca). Ha pubblicato due monografie sul pensiero di Louis Althusser (Althusser and Contingency, Mimesis, 2019; Il soggetto surinterpellato. Ideologia, resistenza e conflitto in Althusser e Pêcheux, Mimesis, 2022) e numerosi articoli su riviste italiane e internazionali (Radical Philosophy, Rethinking Marxism, Quaderni materialisti, Soft Power, Stasis, MeTis). Fa parte del comitato editoriale della rivista Quaderni materialisti e della collana Quaderni di Teoria Critica.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Giangiacomo Schiavi – Le lettere dei familiari ci invitano a ragionare per costruire una nuova cultura della vecchiaia che non deve cancellare una storia e una vita. Bisogna per questo nutrire la memoria e farla diventare un atto culturale.




Familiari dei “condannati a morte nelle Rsa italiane”

e contributi di

Laura Campanello, Alessandra Filannino Indelicato, Fabio Galimberti,
Franca Maino, Lorena Mariani, Linda M. Napolitano Valditara,
Gianni
Tognoni, Silvia Vegetti Finzi

La tragedia di essere fragili

Filosofia biografica per una nuova cultura della vecchiaia

a cura di Alessandra Filannino Indelicato

ISBN 978-88-7588-367-6, 2022, pp. 208, Euro 15.

In copertina: Alfredo Pirri, Facce di gomma, latice in gomma, cotone, tempera, 1992.

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Mamma,

ho sognato che non avevi perso la memoria e ti ricordavi chi ero.

Oggi lo sai cosa è successo e speravo di sentirti ma ti sogno solo.

In questi giorni sognavo te nell’ospedale nella RSA che non stavi bene e mi svegliavo male la mattina. Non volevo scriverti perché mi viene da piangere. Oggi ho ritirato la notifica dal tribunale, c’è scritto che l’Rsa non ti ha ucciso e io sto male e sono sola. […]

Una pubblicazione che prende una netta posizione rispetto alle ingiustizie subite dai familiari di molti ricoverati durante la pandemia, condannati a morte in alcune, moltissime, Rsa italiane. Incapacità di affrontare una crisi che ci ha coinvolti tutti, per ragioni storico-culturali molto complesse, ragioni a cui si tenta di dare voce in chiave filosofico-biografica, per spiegare (senza esaurire o ridurre) la più grande tragedia della nostra società contemporanea: quella di essere fragili, e anche quella di essere vecchi. Dando voce a chi ha subito ingiustizia e si trova ancora costretto all’anonimato, ancora costretto in una posizione di estrema impotenza, questa pub­blicazione è anche una raccolta di lettere-testimonianze dei familiari e vuole essere un monito. Un monito di speranza e di luminosa instancabile indomabile presenza e anelito alla lotta per la verità di chi la sua verità non può ancora dirla, nel compito della memoria di chi è morto nel silenzio generale. Un monito verso la non indifferenza individuale e collettiva che scuota le coscienze affinché si costruisca un sistema migliore di quello di cui tutti siamo stati inermi e terribili testimoni





Le lettere

Sono quasi due anni che te ne sei andata

La prima cosa che vorrei sapere

Eri tu quella farfalla arancione

“Mammina” – come ti chiamavo …

Ho sognato che non avevi perso la memoria

Sono due anni che siamo lontane

Come stai? Non è facile scriverti una lettera

Ti ricordi mamma?

Anche febbraio sta volgendo al termine

Proprio l’altro giorno, per Natale

Sei sempre stato un uomo forte

Così sei stata accolta

Scrivo a ruota libera

Quanto mi sei mancato

Quando finalmente

Tra te e me si è imposta la malattia

Una eccezione. L. se n’è andata



Gli autori dei contributi

Gianni Tognoni, vecchio (1941) ricercatore, con un retroterra di teologia e filosofia, e laurea in medicina, pensionato sempre attivo, dopo più di 40 anni di attività nell’Istituto Mario Negri (di Milano, e per 12 anni nella sede ora chiusa in Abruzzo), con contributi anche internazionalmente riconosciuti come innovativi nel campo della metodologia e dell’etica della sperimentazione clinica e della epidemiologia comunitaria. Ha pubblicato fin troppo , in campo strettamente scientifico e non, in inglese, spagnolo, italiano, con tracce facilmente ritrovabili anche recentemente su siti come Volere la Luna ed Altreconomia.
Dal 1979, nella sua vita parallela e assolutamente di riferimento, è Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.

Fabio Galimberti, laureato in Scienze Pedagogiche, è analista filosofo. Prima falegname, da vent’anni lavora come operatore di base in una Rsa. Si interessa di lingua locale, cultura tradizionale e botanica popolare della Brianza e della Lombardia alpina, con la pubblicazione di articoli, saggi e organizzando corsi, cammini e visite guidate.

Silvia Vegetti Finzi è psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia, della famiglia e della scuola. Ha condiviso per molti anni il lavoro intellettuale e l’impegno sociale con il marito Mario Vegetti, storico della filosofia antica. Dal 1968 al 1971 ha partecipato alla vasta ricerca sulle cause del disadattamento scolastico, promossa dall’Istituto IARD (F. Brambilla) e dalla Fondazione Bernard Van Leer di Milano. I suoi maggiori contributi hanno riguardato la storia della psicoanalisi, nonché lo studio delle problematiche pedagogiche da un punto di vista interdisciplinare, facendo rife­rimento soprattutto alla psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza ed alla psicoanalisi. I suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo, greco e albanese. Dal 1975 al 2005 è stata docente di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Pavia. Nel 1990 è stata tra le fondatrici della Consulta di bioetica. Ha fatto parte del Comitato Nazio­nale di Bioetica, dell’Osservatorio Permanente sull’Infanzia e l’adolescenza di Firenze, della Consulta Nazionale per la Sanità. È membro onorario della Casa delle donne di Milano e vice-presidente della Casa della Cultura di Milano. Nel 1998 ha ricevuto, per le sue opere sulla psicoanalisi, il premio nazionale “Cesare Musatti” e per quelle di bioetica il premio nazionale “Giuseppina Teodori”.

Linda M. Napolitano Valditara è professoressa ordinaria di Storia della filosofia antica (in pensione dal 2021). Ha insegnato negli Atenei di Padova, Trieste e Verona. Studia soprattutto Platone, la letteratura greca, i modi del formarsi del sapere-comunicare nel mondo antico e la loro ripresa odierna (filosofia della cura, dialogo socratico). A Verona, quale responsabile, tuttora, del Centro Dipartimentale di Ricerca “Asklepios. Filosofia della salute”, studia le forme di teoria e pratica della cura (Medicina Narrativa e Terapia della Dignità), interagendo con strutture e figure sanitarie del territorio. Studi: Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i Dialoghi di Platone, 2010; Pietra filosofale della salute. Filosofia antica e formazione in medicina, 2012; Prospettive del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, 20132; Virtù, felicità e piacere nell’etica dei Greci, 2014; Il dialogo socratico. Fra tradizione storica e pratica filosofica per la cura di sé, 2018; Filosofi sempre. Immagini dalla filosofia antica, 2021; con C. Chiurco: Senza corona. A più voci sulla pandemia (2020). Ha curato il volume collettaneo Curare le emozioni, curare con le emozioni (2020).

Lorena Mariani, Direttrice dell’Area Infermieristico – Assistenziale della Rsa Convento di S. Francesco della Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano. Esperta della cura della persona in età senile e appassionata di socio sanitario, crede nella potenzialità dei sistemi di cura integrati e nei risultati che tali atteggiamenti virtuosi producono. Si occupa di formazione, collaborando con le principali agenzie formative del territorio della Provincia di Lucca e della Toscana, svolgendo docenze nell’area sanitaria, tecnico assistenziale e sociale, come esperto di settore. Sovrintende a tutte le questioni socio sanitarie e di prevenzione che riguardano i servizi sanitari e sociali svolti dalla Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano ed è il punto di riferimento della stessa Misericordia per tutte le problematiche igienico sanitarie e di sicurezza riguardanti la pandemia Covid-19. Ha pubblicato il libro Il manuale: buone pratiche in Rsa, ed. Spazio Spadoni, 2021.

Laura Campanello, laureata in filosofia e specializzata in pratiche filosofiche e consulenza pedagogica. Collabora con la Scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano “Philo” ed è consulente etica nelle cure palliative e nell’ambito della malattia e del lutto. Nel corso della sua carriera ha studiato e approfondito il tema della felicità attraverso la pratica filosofica e la psicologia analitica e scrive di questi temi per il “Corriere della Sera”. È inoltre Presidente dell’Associazione di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (Sabof). Tra le varie pubblicazioni, si ricorda: Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita, Mondadori, 2020; Leggerezza. Esercizi filosofici per togliere peso e vivere in pace, Bur Rizzoli, 2021; Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte, Mursia, 2013.

Franca Maino dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare ed è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”, “Politiche Sanitarie e Socio-sanitarie”, “Welfare State and Social Innovation”.

Alessandra Filannino Indelicato è una ricercatrice in generale, nella vita, attualmente impiegata presso l’Università di Milano-Bicocca. Esperta di Pratiche Filosofiche e Gestalt counselor, lavora per vocazione nel campo dell’ermeneutica delle tragedie greche e della filosofia del tragico, offrendo corsi, seminari e consulenze individuali e di gruppo. Nel 2022 ha contribuito con “Pace gattesca” alla raccolta Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo Vademecum per la pace, Anima Mundi Edizioni. Per l’Editrice Petite Plaisance è anche Direttrice della collana “Coralli di vita”. Nel 2019, per Mimesis, ha pubblicato Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco, e nel 2022, per Petite Plaisance, Apologia per Scamandrio o dell’abbandono. Contributi di Iliade VI a una filosofia del tragico.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Mario Vegetti è con Ippocrate: «Descrivere il passato, comprendere il presente, prevedere il futuro: questo è il compito». «L’arte [medica] ha tre momenti: la malattia e il malato e il medico. Il medico è ministro dell’arte: si opponga al male il malato insieme con il medico».



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Arianna Fermani – «Ricette di vita riuscita»: Felicità è la vita stessa quando viene vissuta al meglio, è pienezza di vita lungo tutto il suo tragitto. Domenica 23 ottobre 2022, dalle ore 19 … : «LA TAVERNA», Loro Piceno, Macerata.


felici perché si vive bene, perché la vita ha acquisito un peso,
una direzione, un orientamento, perché la vita si è affrancata
dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice
e anonima sussistenza, trasformandosi in una vita dotata
di senso, in una individuale e particolarissima consistenza […]
felicità intesa come pienezza di vita lungo tutto il suo tragitto.
Arianna Fermani, Vita felice umana.


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In copertina:
Cornice lignea contenente come iscrizione le prime parole
del libro di Aristotele, Metafisica, I, 980 a 21:
«Πάντες ἄνθρωποι τοῦ
εἰδέναι ὀρέγονται φύσει»,
«Tutti gli esseri umani per natura desiderano
sapere»

Arianna Fermani

Il concetto di limite nella filosofia antica

ISBN 978-88-7588-355-3, 2022, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Il giogo” [151].

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«Non si deve, in quanto esseri umani, limitarsi a pensare cose umane né, essendo mortali, limitarsi a pensare cose mortali, come si consiglia, ma, per quanto è possibile, ci si deve immortalare [ἀθανατίζειν] e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi [καὶ πάντα ποιεῖν πρὸς τὸ ζῆν κατὰ τὸ κράτιστον τῶν ἐν αὑτῷ]».

Aristotele, Etica Nicomachea, X, 7, 1177 b 30-34

La filosofia nasce contrassegnata dal limite. Come testimonia Diogene Laerzio,1 infatti, Pitagora, che «per primo […] usò il termine “filosofia” e si chiamò filosofo», lo fece nella consapevolezza che «nessuno […] è saggio, eccetto la divinità».2 Si narra anche che, un paio di secoli dopo, Diogene il cinico «a chi gli disse: “Tu non sai nulla e pure fai il filosofo”, rispose: “Aspirare alla saggezza, anche questo è filosofia”».3

L’assunzione delle intrinseche limitazioni dell’essere umano costituisce, pertanto, l’atto di nascita di una forma di conoscenza che intende distanziarsi immediatamente dal sapere assoluto, ovvero da quel possesso conoscitivo pieno ed esclusivo che, in quanto tale, è proprio solo della divinità. Lo stesso nome filo-sofia si colloca, quindi, nello spazio di questo “distanziamento”, come testimonia ulteriormente la celeberrima icona, offerta dal Simposio platonico, del filosofo come «amante di sapienza» e, in quanto tale, situato a metà strada tra sapienza e ignoranza:

Diotima – desideroso di saggezza [φρονήσεως ἐπιθυμητὴς], pieno di risorse [καὶ πόριμος], amante di sapienza per tutta la vita [φιλοσοφῶν διὰ παντὸς τοῦ βίου] […] a metà strada tra sapienza e ignoranza [σοφίας … καὶ ἀμαθίας ἐν μέσῳ ἐστίν]. […] Nessuno degli dèi fa filosofia, né desidera diventare sapiente – infatti lo è già – né fa filosofia chiunque altro sia già sapiente. Ma neppure gli ignoranti fanno filosofia né desiderano diventare sapienti.

Socrate – Ma allora – dissi io – chi sono coloro che fanno filosofia, se non sono né i sapienti né gli ignoranti?

Diotima – Ormai – disse – dovrebbe essere chiaro perfino ad un bambino che sono coloro che stanno a metà strada fra gli uni e gli altri [οἱ μεταξὺ τούτων ἀμφοτέρων].4

L’intento di questo breve contributo consiste, allora, nel riattraversare alcune delle molteplici curvature che la nozione di limite riceve nel pensiero greco e le sue ricadute sul versante gnoseologico, etico e politico.

***

1 Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, I, 12; in Id., Vite dei Filosofi, a cura di M. Gigante, vol. I, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 6-7.

2 Ibidem.

3 Ibidem, VI, 64; vol. I, p. 226.

4 Platone, Simposio, 203 d 6 – 204 b 2; traduzione mia.




Arianna Fermani

L’errore, il falso e le scienze in Aristotele

ISBN 978-88-7588-351-5, 2022, pp. 96, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “Il giogo” [150]

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Arianna Fermani insegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: Vita felice umana: in dialogo con Platone e Aristotele (2006); L’etica di Aristotele, il mondo della vita umana (2012); By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach (2016). Ha tradotto, per Bompiani: Aristotele, Le tre Etiche (2008), Topici e Confutazioni Sofistiche (in Aristotele, Organon, 2016).

Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.
















Arianna Fermani – L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristotele
Arianna Fermani – La nostra vita prende forma mediante il processo educativo, con una paideia profondamente attenta alla formazione armonica dell’intera personalità umana per renderla libera e felice.
Arianna Fermani – L’armonia è il punto in cui si incontra e si realizza la meraviglia. Da sempre armonia e bellezza vanno insieme.
Arianna Fermani – VITA FELICE UMANA. In dialogo con Platone e Aristotele. il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permette di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana
Arianna Fermani – Divorati dal pentimento. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele
Arianna Fermani – Mino Ianne, Quando il vino e l’olio erano doni degli dèi. La filosofia della natura nel mondo antico
Arianna Fermani – Nel coraggio, nella capacità di vincere o di contenere il proprio dolore, l’uomo riacquisisce tutta la propria potenza, la propria forza, la propria dignità di uomo. Senza coraggio l’uomo non può salvarsi, non può garantirsi un’autentica salus.
Arianna Fermani – Fare di se stessi la propria opera significa realizzarsi, dar forma a ciò che si è solo in potenza. attraverso l’energeia, e nell’energeia, l’essere umano si realizza come ergon, si fa opera. Chi ama, nutrendosi di quell’energeia incessante che è l’amore, scrive la sua storia d’amore, realizza il suo ergon, la sua opera. È solo amando che un amore può essere realizzato, esattamente come è solo vivendo bene che la vita buona prende forma
Arianna Fermani – Recensione al volume di Enrico Berti, «Nuovi studi aristotelici. III – Filosofia pratica».
Arianna Fermani – «Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele». Si è felici perché la vita ha acquisito un orientamento, si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice sussistenza. Una vita dotata di senso. Felicità come pienezza, come attingimento pieno del ‘telos’ lungo tutto il tragitto della vita.
Arianna Fermani – «Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato». La speranza “antica”, tra páthos e areté.
Arianna Fermani – Aristotele e l’infinità del male. Patimenti, vizi e debolezze degli esseri umani
Arianna Fermani – Quando il rischio è bello. Strategie operative, gestione della complessità e “decision making” in dialogo con Aristotele. L’assunzione del rischio e la sua adeguata collocazione all’interno di una vita “riuscita” implica la continua individuazione di priorità in vista della costituzione il più possibile armonica dell’esistenza.
Arianna Fermani – «Il concetto di limite nella filosofia antica». L’uomo non è dio, ma la sua vita può essere divina. Divina è ogni vita buona, ogni vita che sia stata ben condotta. Ogni vita umana si costruisce entro lo scenario del quotidiano, è fatta delle piccole cose di ogni giorno e di questa quotidianità si nutre.
Maurizio Migliori e Arianna Fermani – «Filosofia antica. Una prospettyiva multifocale». Questo volume aiuta a tornare, con stupore e gratitudine, alle feconde origini del pensiero occidentale, per guardare finalmente, con occhi nuovi, il mondo e noi stessi.
Arianna Fermani – Il messaggio di Socrate è di una attualità straordinaria. La filosofia, con Socrate, si incarna in uno stile esistenziale, e si esplica in quella insaziabile – e, insieme, appagante – fame di vita e ricerca di senso, che accompagnano il filosofo fino all’ultimo istante dell’esistenza
Arianna Fermani, Giovanni Foresta – «Dalle sopracciglia folte al percorso inarcato dalla rotta superiore dello sguardo, il tempo esprime monumento del vissuto tingendolo di bianco». È un mirare avanti, un protendersi anima e corpo verso il futuro. Questo perché la vera vecchiaia, lungi dall’essere l’età anagrafica, è la mancanza di entusiasmo, è lo spegnersi dei sogni e dei desideri.
Arianna Fermani – La virtù rende buona la nostra vita e, insieme, la salva. Una vita felice, è, dunque, una vita che prospera, ma che pro­spera soprattutto grazie alla virtù, che sa produrre la bellezza e l’armonia. La virtù, in questo quadro, è e deve essere non solo qualcosa di teorizzato, ma qualcosa di “praticato”.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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La società di Ernesto Balducci. L’uomo nuovo è l’uomo conviviale, che non domina il mondo. Il suo sapere non è potere che stupra e saccheggia il mondo, ma è ascolto. La libertà non è nell’accumulo crematistico. L’essere umano è relazione d’ascolto. Chi non concepisce che l’utilizzo porta il silenzio nella sua esistenza. La libertà è polifonica. Nella profondità dell’anima vi è il “dono”, trasgressione massima al capitalismo. La scelta è tra società del dono o società dell’utile. Senza il dono non vi è futuro per nessuno.


Salvatore Bravo

Ernesto Balducci: società religiosa e cristica

La distinzione tra società religiosa e società cristica è una categoria interpretativa con la quale Ernesto Balducci distingue il dominio puntellato dalla religione “mezzo” per giustificare la gerarchia e la reificazione e la figura di Cristo, il quale è stato un rivoluzionario: ha scacciato i mercanti dal tempio e ha rovesciato – con la sua testimonianza – le gerarchie, indicando nella fraterna convivialità l’unico percorso per realizzare e vivere in pienezza la propria e l’altrui umanità. Le gerarchie e la logica acquisitiva/proprietaria estraniano, rendono le soggettività nemiche, veicolano il conflitto quale malinconica normalità dell’infelice convivenza tra gli uomini. Senza indagine critica e razionale non vi può essere l’esodo dalla distruttività del capitalismo.

L’intelligenza competitiva ha realizzato la “società religiosa”: si è in competizione con l’alterità e con se stessi, si è perennemente sotto il giogo dell’illimitato.

La nuova cattiva religione dell’economicismo è lo sgabello del dominio. Il dramma è che non vi è alcun paradigma alternativo nel tempo attuale che possa svelare il carattere clericale del potere della finanza. Si procede a smantellare la cultura critica in modo da omologare l’orizzonte linguistico: tutto dev’essere come la notte in cui le vacche sono tutte nere. L’indistinguibile consente all’ideologia della finanza di rappresentarsi come l’unica verità possibile. Ci si inchina all’altare del valore di scambio: oltre la finanza che si è impiantata nel cuore e nella mente non vi è altro. In tempi in cui l’antiumanesimo è prassi ordinaria, la rilettura dei testi di Ernesto Balducci può riattivare le energie sopite dalla plumbea condizione storica attuale. Francesco d’Assisi, nell’opera di E. Balducci, è l’uomo nuovo:

«Ma nel concedere a Francesco quanto chiedeva, Onorio non intese affatto annullare l’‘indulgenza d’oltremare’, che anzi, tornato a Roma con la sua curia, rimise in moto la macchina organizzativa e propagandistica delle crociate. Il 23 gennaio 1217 scrisse ai fedeli della Lombardia e della Toscana una lettera nella quale la sconcertante teologia del suo predecessore è condotta al limite: il sangue di Cristo vi appare ridotto a un titolo catastale».[1]

Francesco d’Assisi ha insegnato una eterna verità: l’uomo nuovo è l’uomo conviviale, non domina il mondo, il suo sapere non è potere che trasforma, stupra e saccheggia il creato, ma è ascolto, “creatura tra le creature”, vive una razionalità oceanica in cui la vita ritrova la parola. La libertà non è nell’accumulo crematistico, ma nell’uscire dal mondo per testimoniare la convivialità cosmica.

Francesco d’Assisi di E. Balducci non è una biografia, ma in controluce è una radicale critica alla società contemporanea e alla chiesa cattolica che ha posto la conservazione al centro e non certo Cristo. La Chiesa ha utilizzato Cristo come “un titolo catastale”, un mezzo per giustificare “equilibri sociali” e riscuotere interessi sul titolo “Cristo” quotato nel borsino del mondo. Problema annoso, vi è un chiesa invisibile e una chiesa pronta a schierarsi con i poteri forti.

La libertà in Francesco d’Assisi

Francesco d’Assisi è l’uomo nuovo di ogni epoca, figura carsica pronta a materializzarsi in ogni tempo, è l’uomo nella sua purezza etica che spezza la violenza del valore di scambio.

Ernesto Balducci lo spoglia del titolo di “Santo”: non è l’uomo di una religione o di un’epoca, ma è l’uomo profondo e universale, travalica i confini e le categorie religiose e ideologiche per essere “semplicemente un uomo”:

«La “libertà della gloria” non è una semplice condizione di libertà psicologica, quella, ad esempio, concessa ai poeti, che anche loro rendono accessibili i segreti delle cose (ma si tratta di segreti, per così dire, sul nostro versante, che dilatano l’orizzonte del sentimento senza sradicarlo dal suo centro), è un abitare nel mondo ma dal lato di Dio, e cioè dal lato da cui le cose si vedono prima che entrino dentro la parabola entropica che le porta alla consunzione. Ecco perché Francesco aveva riguardo per le cose inanimate, e parlava con loro ottenendone obbedienza per via di persuasione e non con l’imperio del taumaturgo».[2]

La libertà è relazione con gli esseri animati e inanimati, è lasciare che essi vivano e muoiano nella loro pienezza ontologica. Ritrarsi dall’uso, perché il mondo sia è la legge della libertà. Se non si rende l’altro libero non si è liberi. La libertà rompe il circuito entropico delle dipendenze: usare l’altro come mezzo significa dipendere e nello stesso tempo negarsi. L’essere umano è relazione d’ascolto. Chi non concepisce che l’utilizzo porta il silenzio nella sua esistenza. La violenza germina nel silenzio dell’altro. La libertà è polifonica, si spengono in essa la tracotanza degli oratores, e al suo posto gemmano le parole e le voci nell’incontro, si è umili nella libertà della convivialità:

 «La vera radice di questa filosofia è la “libertà”. “Il sommo studio di Francesco era l’esistere libero da tutte le cose di questo mondo” (1 Cel, 71). In quanto è una forma di possesso, la scienza, al pari di ogni altra ricchezza, imprigiona lo spirito in uno stato di dipendenza dalle cose che si sanno, e cioè da quel patrimonio di cognizioni e di abilità che accomuna nel medesimo privilegio il ceto dei dotti, chierici o laici, e apre nella società la discriminazione fra i letterati e gli ‘idioti’».[3]

La libertà è concreta, poiché Francesco d’Assisi è egli stesso “porziuncola”, si rende “piccolo”, affinché il creato possa svelarsi nel suo volto: nulla è separato, ma tutto è in relazione. La condivisione comunitaria non è solo una prospettiva, un “sentire misticheggiante”, ma è l’adesione alla verità della natura, in essa tutto è relazione, nulla è separato. L’essere umano è parte viva dell’unità, la felicità è nel vivere la totalità dinamica:

«Nel far uso di questa sua capacità di stringere accordi con le creature, l’intento di Francesco era di riconciliare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, quelle animate e quelle inanimate, spezzando le pareti di separazione, anche quelle create dall’istinto sacrale. La nascita di Gesù gli sembrava, nell’ottica della fede, il vero momento della festa cosmica. Come alla Verna l’umanità del Cristo crocifisso, sciogliendosi dalle regali raffigurazioni bizantine, si impresse in modo misterioso nella stessa carne di Francesco e tornò ad essere, anche nella tradizione devota, l’emblema dell’umanità sofferente, così a Greccio per volontà di Francesco, una volta tanto, la liturgia clericale del Natale ritrovò la verità umana, sociale e fisica della nascita di Gesù».[4]

La festa cosmica non è arretramento nell’arcaico o nell’animismo, ma è la comunione del sentire soffocata e vilipesa dalla sovrastruttura acquisitiva.

Dono e profondità

Nulla fa più paura all’essere umano che la sua profondità. In quell’abisso vi è il male, ma vi sono le sorgenti della verità e del bene che abbattono l’utilitarismo mercantile che divora le vite e le curva al solo valore di scambio. Nella profondità dell’anima vi è “il dono”, trasgressione massima al capitalismo e inibita con la pervasiva logica del calcolo:

“I suoi rapporti di fraternità con le creature non sono da intendere come giochi poetici, ma come esperimenti vissuti di un possibile rapporto tra l’uomo e il suo ambiente vitale. Essi ci suggeriscono non un regresso verso l’arcaico, ma uno spostamento dell’esistenza in profondità, lungo l’asse ontologico. I rapporti economici della società di mercato, questo voglio dire, non vanno demonizzati come a volte sembrò fare lo stesso Francesco. In base alla divisione del lavoro lo scambio dei prodotti mira a realizzare l’utile per il maggior numero di persone possibile, come è nelle esigenze dell’uomo in quanto essere sociale. Ma nel regime reale dell’economia, che cosa avviene? Avviene che le cose si allontanano sempre di più dal loro valore di uso, di oggetti di bisogno, e acquistano il valore di scambio, nel quale la cosa, diventata merce, non è più l’equivalente di se stessa, ma tanto vale quanto è stabilito dalla misura di scambio che è il denaro. Questa mercificazione esce di controllo e assume per suo conto il controllo di tutto, arrivando ad incidere nella stessa modalità percettiva con cui l’uomo si mette in diretto rapporto con le cose, le quali perdono ai suoi occhi la loro nativa consistenza e la loro possibilità di rispondere al suo bisogno».[5]

Nel dono si rivela “Dio nell’uomo” e “l’uomo in Dio”: concetti che si sottraggono ad ogni sterile e vacua categorizzazione. La definizione geometrica è una forma di dominio a cui bisogna rinunciare, perché dio e l’uomo possano essere nella parola, ma nel contempo il disvelamento è inesauribile, non è contenibile in formule da usare per una “società religiosa”. Ernesto Balducci ricorda in L’uomo planetario nel 1943 in Groenlandia[6] la nave Dorchester colpita da un siluro tedesco, quattro cappellani militari: un rabbino, un sacerdote cattolico e due pastori evangelici avevano ceduto la loro cintura di salvezza ad altri. Decisero di legarsi l’un l’altro e di lasciarsi cadere nell’abisso insieme, mentre pregavano. Questa immagine non ha mai abbandonato Ernesto Balducci. Il dio del dono è nella testimonianza vivente dei quattro cappellani che si donano per vivere l’eternità e l’abbondanza della vita. Senza il dono non vi è salvezza, ma solo il contrarsi del tempo nella violenza dell’isolamento e dell’astratto nel quale tutto muore. Il bivio a cui siamo giunti è la scelta tra società del dono o dell’utile, senza il dono non vi è futuro per nessuno.

Salvatore Bravo

[1] Ernesto Balducci, Francesco d’Assisi, Giunti Editore, 2014, p. 96.

[2] Ibidem, p. 136

[3] Ibidem, p. 107

[4] Ibidem, p. 142

[5] Ibidem, p. 135

[6] Ernesto Balducci, L’uomo planetario, Giunti Editore, 2005, p. 64.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Federica Piangerelli – Rodolfo Mondolfo, Conoscenza e sentimento in J.-J. Rousseau. Libera personalità, principio di libertà e spirito comunitario

Rodolfo Mondolfo,

Conoscenza e sentimento in J.-J. Rousseau. Libera personalità, principio di libertà e spirito comunitario

ISBN 978-88-7588-325-6, 2022, pp. 88,  Euro 10 – Collana “Il giogo” [146].

indicepresentazioneautoresintesi


https://www.unimc.it/filosoficamente/libri-approfondimenti/mondolfo-conoscenza-e-sentimento-in-j-j-rousseau
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Federica Piangerelli

 

Rodolfo Mondolfo,
Conoscenza e sentimento in J.-J. Rousseau.
Libera personalità, principio di libertà e spirito comunitario

 

Nel 1924, un anno prima di firmare il Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce, Rodolfo Mondolfo pubblica, per la Casa Editrice Cappelli, Introduzione a Rousseau, preposta al testo di Jean-Jacques Rousseau, Discorsi e contratto sociale. Nel 1972, quattro anni prima della morte di Mondolfo, l’Editore propone una nuova ristampa del testo, comprensiva anche della “Nota bibliografica”, della “Premessa alla seconda edizione” del 1931, della curatela e della traduzione dei testi roussoviani (Discorso sulle scienze e le arti, Discorso sulla disuguaglianza, Contratto sociale), tutti a cura dello studioso originario di Senigallia. Il merito dell’Editrice Petite Plaisance è avere ridato alle stampe, a cinquant’anni di distanza dall’ultima edizione, le preziose pagine scritte da Mondolfo, nelle quali il lettore può cogliere tanto lo spirito essenziale quanto la posizione storica dell’intera opera di Rousseau, per riconoscere ciò che ancora vi è di “vivo e immortale” nella sua dottrina.

La riflessione di Mondolfo inizia con il sottolineare quanto l’“indomabile fierezza” del filosofo di Ginevra sia stata forgiata anche e soprattutto dalle sue vicende biografiche. Nel primo capitolo, infatti, La vita e l’indole di Rousseau, lo studioso insiste sull’importanza degli anni errabondi della giovinezza, dirimenti per la formazione culturale roussoviana. Di particolare rilevanza è l’incontro, nel marzo del 1728, con Madame de Warens, in seguito al quale, oltre ad abiurare il protestantesimo per convertirsi al cattolicesimo, Rousseau si dedica allo studio intenso della musica e della filosofia. Mondolfo, infatti, nota che proprio in questi anni prendono forma alcuni dei pilastri teorici del suo sistema di sapere, nonché del suo orientamento spirituale: il sentimento vivo e profondo della natura, presentato come una stabile conquista dello spirito, che si declina in una antitesi netta e strutturale tra la natura e l’opera degli uomini.

Il significato del “richiamo alla natura”, che costituisce uno dei motivi fondamentali dell’opera roussoviana, è indagato da Mondolfo nel secondo capitolo (Il richiamo alla natura). In queste pagine, infatti, lo studioso insiste sulla lotta intrapresa da Rousseau contro una cultura ingombrante, che non resta solo esteriore allo spirito, ma, in modo più incisivo, lo soffoca: proprio allo spirito, quindi, il filosofo ginevrino vuole restituire libertà e dignità. A questo proposito, inoltre, Mondolfo mostra, con chiarezza, che l’intento di Rousseau non è la negazione dell’humanitas, ma la rivendicazione dell’interiorità, ovvero della dignità della natura umana. A fronte di tali riflessioni, però, lo studioso si pone anche un interrogativo dirimente: l’uomo che Rousseau esalta è “l’uomo della natura” o “l’uomo della civiltà sociale”? Attraverso l’esame di opere centrali, quali il Discorso sulla diseguaglianza, l’Emilio e il Contratto sociale, Mondolfo delinea una risposta brillante nella sua profondità teorica: la rivendicazione della propria interiorità non implica un rifiuto della stessa, ma si traduce in una dura critica contro una cultura corrotta e superficiale, che sacrifica la sostanza alle apparenze, la grandezza intellettuale e morale alla moda e ai successi. Per il ginevrino, infatti, la vera natura umana non si rigenera distruggendo la società e tornando a vivere nei boschi – questa, piuttosto, è la posizione dei suoi avversari –, ma seguendo quella “voce divina” che evoca l’intero genere umano alla “luce e alla felicità delle intelligenze celesti”. In altre parole, secondo Rousseau, lo stato sociale è una conquista che non può essere messa in discussione, perché il nemico da combattere è la perdita della consapevolezza di sé.

Nel terzo capitolo (La rivendicazione dell’interiorità: il sentimento), infatti, Mondolfo riflette sul nucleo concettuale della filosofia roussoviana: la rivendicazione dell’interiorità, intesa come l’origine dell’amore per la natura. Sulla base di tale convinzione, il ginevrino fonda un “nuovo soggettivismo”, che non è più uno “spiccato intellettualismo”, alla stregua di tutta la filosofia moderna, ma proclama la superiorità del sentimento sulla ragione. In tal senso, dunque, lo studioso mostra come il monito “conosci te stesso”, di socratica memoria, acquisti un rinnovato valore nel pensiero di Rousseau, perché da critica dell’intelletto si fa sicurezza e genuinità dell’istinto, che, per l’individuo, comporta un “tuffo nell’infinito, con uno slancio mistico nella propria interiorità”. Su questo terreno, quindi, si innesta un significativo slittamento teorico: mentre per gli Enciclopedisti l’unità si guadagna inquadrando lo spirito nella concezione del mondo esteriore, per Rousseau, tale unità si afferma in quanto la natura stessa palpita dentro di noi, nell’intimo sentimento della nostra vita. Mondolfo, allora, comprende che questo riorientamento dell’angolo visuale, dall’esterno all’interno del soggetto, equipara il “richiamo alla natura” con il “richiamo al sentimento della propria interiorità e personalità”: tornare in sé stessi per sentire l’unità dell’intero universo.

Secondo il Filosofo, infatti, tale aspirazione all’interiorità, per quanto sia un conato verso la libertà, non esprime affatto una tendenza individualistica, come è chiaramente indicato nel quarto capitolo, La coscienza e l’amor di sé: moralità e personalità. Qui, Mondolfo rimarca la fondamentale distinzione proposta da Rousseau tra l’egoistico amor proprio, che è l’artificioso prodotto delle relazioni sociali, e l’amor di sé, ovvero la tendenza naturale e spontanea all’affermazione e allo sviluppo della propria personalità, che implica lo strutturale nesso dialettico tra sé e gli altri: al di sopra di ogni lotta e contrasto, questo si dà nei “rapimenti mistici” in cui il singolo si fonde nel “sistema degli esseri” e sente palpitare in sé l’umanità.

 

Rimane, tuttavia, una importante questione da spiegare, vale a dire la dinamica che regola i nessi tra la rivendicazione della libertà individuale e le condizioni della vita associata civile. In breve, si tratta di capire se e come sanare l’urto tra la natura e la cultura. In questo senso, Mondolfo mostra che tale “scontro” presenta, per Rousseau, una duplice declinazione risolutiva: nell’Emilio, per quanto concerne l’educazione del singolo, nel Contratto sociale, per quanto riguarda la costituzione della società politica. In entrambe, trova posto la concezione dello “sviluppo integrale” dell’umano, che poggia sul costante equilibrio tra la sfera individuale e la dimensione collettiva e, soprattutto, presuppone una pedagogia distante da una “educazione negativa” e da un “metodo inattivo”. Per il Filosofo, infatti, ogni processo di formazione, per essere efficace, deve fare proprio il principio socratico della maieutica: la conoscenza non è una pura ricezione passiva, ma una creazione attiva, perché “conoscere è fare”.

Negli ultimi due capitoli del libro, Mondolfo valorizza l’originalità del pensiero di Rousseau rispetto all’intera storia della filosofia. Per esempio, in La libertà e il diritto naturale. I precedenti storici e la teoria di Rousseau, lo studioso insiste sul fatto che nessuno filosofo, dall’Antichità alla Modernità, passando per il Medioevo, è stato capace di raggiungere la profondità della riflessione roussoviana intorno alla libertà, ma, come nota anche Hegel, solo con Rousseau il principio della libertà ha trovato “la sua aurora”. In queste pagine, quindi, lo studioso di Senigallia, oltre a riprende la nozione di libertà come “esigenza dell’interiorità”, rimarca la portata morale della stessa. Stante la priorità del sentimento sulla ragione, della valutazione sulla conoscenza, Mondolfo, infatti, ribadisce quanto la libertà rappresenti l’esigenza etica fondamentale della vita dello spirito, senza tralucere nel sentimento particolaristico dell’amor proprio, ma in quello universalistico dell’amor di sé. Per Rousseau, la scoperta della libertà interiore è il ponte dall’io individuale all’io comune, dalla volontà di ognuno alla volontà generale.

Da tale assunto muove la riflessione proposta nel sesto e ultimo capitolo, La volontà generale e il contratto sociale. Lo sviluppo del contrattualismo sino a Rousseau e la posizione di lui nella storia moderna, in cui Mondolfo ragiona intorno ai meccanismi sottesi alla costruzione della “volontà generale”. Questa, infatti, non si ottiene per la semplice mancanza di contrasti tra le volontà dei singoli, ma, in modo più impegnativo, per la loro fusione e nel trasferimento in una “persona comune ideale” delle esigenze, delle norme e dei poteri che, per natura, ineriscono ad ogni singola persona: questo è l’atto di nascita del “contratto sociale”, che il filosofo di Ginevra teorizza per rispondere ad una profonda esigenza della collettività. A questo proposito, con un ulteriore excursus nella storia del pensiero, dall’età antica a quella moderna, lo studioso sottolinea la novità di tale dinamica e nota, soprattutto, che non sempre appare nei precedenti teorici del contrattualismo.

A conclusione di questo cursorio attraversamento del testo Conoscenza e sentimento in J.-J. Rousseau. Libera personalità, principio di libertà e spirito comunitario, è legittimo ribadire, con maggiore consapevolezza teorica, il merito dell’Editrice Petite Plaisance per offrire al lettore l’occasione di conoscere, approfondire e apprezzare la grandezza e la potenza del sistema di sapere roussoviano, per tramite della rigorosa rielaborazione non di un semplice studioso di filosofia, ma di un autentico filosofo esso stesso, quale è Rodolfo Mondolfo.

Federica PIANGERELLI


Rodolfo Mondolfo è stato uno dei maggiori studiosi di filosofia antica. Ha insegnato nelle Università di Torino e di Bologna. Nel 1925 è tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Nel 1939, a seguito delle leggi razziali promulgate dal fascismo, si trasferisce in Argentina, dove ha insegnato nelle Università di Córdoba e di Tucumán. In Argentina è morto a Buenos Aires. Tra le sue opere: Il materialismo storico in F. Engels (1912); Sulle orme di Marx (1919); L’infinito nel pensiero dei Greci (1934); Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia (1935); La comprensione del soggetto umano nella cultura antica (1955); Il pensiero politico nel Risorgimento italiano (1959); Cesare Beccaria (1960); Da Ardigò a Gramsci (1962); Il concetto dell’uomo in Marx (1962); Umanismo di Marx. Studi filosofici (1908-1966); Il contributo di Spinoza alla concezione storicistica (1970); Polis, lavoro e tecnica (1982). Nel 2010 Petite Plaisance ha pubblicato, con introduzione di Giovanni Casertano, Gli albori della filosofia in Grecia, e nel 2020 Alle origini della filosofia della cultura e Moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro.


Sommario

Nota editoriale

Prefazione alla prima edizione

Nota bibliografica

Premessa alla seconda edizione

La vita e l’indole di Rousseau

Il richiamo alla natura

La rivendicazione dell’interiorità: il sentimento

La coscienza e l’amor di sé: moralità e personalità

La libertà e il diritto naturale.

I precedenti storici e la teoria di Rousseau

La volontà generale e il contratto sociale.

Lo sviluppo del contrattualismo sino a Rousseau e la posizione di lui nella storia moderna


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Bell Hooks – Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza». L’educazione come pratica della libertà ci insegna a fare comunità perché insegniamo e viviamo immersi nella vitalità trasformativa che scaturisce dalle diverse comunità di resistenza.

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Franco Toscani – “Ripensare l’abitare. Feuerbach, Heidegger e il problema del rapporto uomo-natura”. In : «Cambiamento o catastrofe? La specie umana al bivio», a cura di Tiziana Drago e Enzo Scandurra, Prefazione di Piero Bevilacqua e Postfazione di Laura Marchetti

Edizioni Castelvecchi, 2022.

Ripensare l’abitare. Feuerbach, Heidegger
e il problema del rapporto uomo-natura

di Franco Toscani

 in: AA.VV., Cambiamento o catastrofe? La specie umana al bivio, a cura di Tiziana Drago e Enzo Scandurra, Prefazione di Piero Bevilacqua e Postfazione di Laura Marchetti, Castelvecchi 2022.

 

 

La minaccia che ci concerne

Nella sua etimologia il termine greco καταστροφή (catastrofe) esprime un rivolgimento, un rovesciamento, uno sconvolgimento e, nella tragedia greca antica, indica secondo Aristotele l’esito luttuoso del dramma. Oggi viene sovente chiamato catastrofista chi, con un pessimismo che si ritiene esagerato, tende a prevedere disastri e sciagure. Come si sa, le catastrofi possono verificarsi in natura indipendentemente dalle azioni e dai comportamenti umani e sembra certo che, probabilmente fra tempo immemorabile, cesserà ogni forma di vita sul nostro pianeta in conseguenza dell’esplosione del sole che, come tutte le stelle, prima o poi esploderà, ponendo fine agli umani sogni di immortalità e di eternità.

È un dato di fatto che, nella nostra epoca, la specie umana è in grado da sola di preparare le condizioni per l’estinzione di tutti gli esseri viventi. Ciò è diventato ancor più evidente dopo l’esplosione, nel 1945, delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, che sancirono la fine della Seconda guerra mondiale. Sembra incredibile, ma la follia umana del potere, davvero senza limiti, proprio in questo periodo storico, dopo l’invasione russa dell’Ucraina (cominciata il 24 febbraio 2022) e la guerra che ne è conseguita tra Russia e Ucraina, sta adombrando la possibilità di una terza guerra mondiale che, con l’impiego possibile delle armi nucleari, avrebbe un indubbio esito catastrofico.

Oggi è noto anche ai ragazzi che l’inquinamento ambientale globale e il riscaldamento climatico stanno avvicinando sempre più il pericolo estremo. La minaccia incombente della distruzione della Terra e dell’umanità non è un’invenzione di qualche catastrofista o menagramo, ma è ammessa quasi universalmente. Il grido d’allarme lanciato tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo da Pier Paolo Pasolini sulla “mutazione antropologica” allora in corso è più che mai attuale. Il “vaso di Pandora” contenente i mali che ci affliggono non è chiuso, è da molto tempo aperto e chiunque può rendersi conto di ciò che il vaso contiene, ma uno dei nostri massimi problemi è proprio quello della presa di coscienza, che non è affatto scontata e ovvia, perché molte e ingombranti cose la ostacolano, a cominciare dal sistema economico e sociale capitalistico imperante, dal feticismo delle merci e della tecnica, dal vero e proprio culto del denaro, del potere e del capitale, dall’edonismo e dal consumismo sfrenato che caratterizzano la nostra società sirenico-spettacolare, dal primato del profitto che pone sistematicamente in secondo piano la salvaguardia dell’ambiente, la dignità umana, la salute dei cittadini e dei lavoratori. Tutto ciò, nel mondo della tecnica e dell’economia globalizzata, mira sistematicamente a sviare, a manipolare e a stordire le coscienze.

Ci riguardano sfide che interrogano anche il pensiero. La terra in dis-grazia e in rovina richiede pure un nuovo pensiero filosofico capace, nel dialogo più stringente e fruttuoso con gli altri saperi e con le altre scienze, di riproporre il problema dell’abitare umano al di là di ogni illusoria volontà illimitata di dominio e di potenza sugli uomini, sulle cose, sulla natura. Nella direzione di un nuovo pensiero capace di ripensare e rifondare l’abitare, faremo qui rapidamente riferimento a due grandi filosofi come Feuerbach e Heidegger che, in epoche e in modi assai diversi fra loro, pongono in merito alcune questioni essenziali. Cercheremo quindi di ricavare qualche lume per il presente e per il futuro della civiltà planetaria, se un futuro per essa vi sarà.

 

[…]

 

La cura della terra e del mondo. E’ ancora possibile ripensare e rifondare l’abitare umano?

Seguendo una fertile e celebre indicazione hölderliniana (“pieno di merito, ma poeticamente abita/ l’uomo su questa terra”), Heidegger pone il tema dell’abitare dei mortali fra terra e cielo, nell’unità del Geviert. Molto forte è qui il nesso istituito tra Denken (pensare) e Wohnen (abitare). Abitare non vuol dire dominare il pianeta, ergersi illusoriamente a padroni degli enti e signori dell’universo, ma esistere nell’Aperto (das Offene) come mortali, ospiti, viandanti, via via soggiornanti. Significa  riscoprire la dignità dell’uomo come essere pensante e interrogante, deporre le armature e le illusioni umanistiche con cui ci poniamo come Fondamento assoluto del reale.

Mostrando la Heimatlosigkeit (spaesatezza) di ciascuno nel mondo in cui viviamo, riscoprire il senso autentico dell’abitare conduce soprattutto a essere, ad aver cura, a prendersi cura e non, innanzitutto, ad avere, a manipolare, a dominare. Ciò che di meglio vi è per noi è prendersi cura e aver cura di noi stessi, degli altri, di tutti gli esseri viventi, delle cose, del mondo, del pianeta malato, della verità. La cura e il riguardo della terra e del mondo possono forse ancora darsi a partire dalla coscienza della interconnessione, interrelazione e interdipendenza di tutti i fenomeni e le cose. E’ quella che il buddhismo chiama la “co-produzione condizionata” o “genesi interdipendente” di tutti i fenomeni e di tutte le cose, per cui nessuna cosa può essere considerata nella sua separazione da tutto il resto, non vi possono essere alcuno “splendido isolamento” e alcuna “anima bella”.

Si lamenta spesso il fatto che le nostre città e metropoli siano prive di “anima”. Ma hanno o ritroveranno esse ancora un’anima? E’ possibile una nuova etica del soggiorno, ritornare ad abitare, nel suo senso più pregnante, il pianeta? E’ ancora possibile imparare ad aver cura e a prendersi cura oppure siamo e saremo tutti sempre più irretiti nel meccanismo gigantesco del capitalismo edonistico-consumistico, dei nostri usi e costumi consueti di vita, delle nostre cattive abitudini? Possono ancora cambiare il nostro sguardo e il nostro stile di vita?

La vera crisi delle nostre città e metropoli, dell’intera civiltà planetaria è da mettere in relazione all’incapacità di abitare dell’uomo odierno, a causa della cieca furia prassistico-consumistica che lo caratterizza e che sta rendendo il nostro pianeta sempre più inabitabile. Riproporci il problema dell’abitare ci conduce a ritrovare la nostra peculiare essenza e dignità di mortali, la povertà e la ricchezza dell’essenza umana. Anche qui Heidegger non può fornirci tutte le indicazioni di cui abbiamo bisogno, ma la sua riflessione sull’abitare può servirci per cercare di arginare l’attuale inaridimento del senso e la crescente devastazione del pianeta, per riscoprire l’umanità e la meraviglia dell’uomo, l’essere-cosa delle cose, l’essere-mondo del mondo.

 


«IL CICLO STORICO DEL CAPITALISMO È A UN PUNTO IN CUI LO
SFRUTTAMENTO DELLA NATURA È UNA STRADA SENZA RITORNO. È
DIVENTATO IL CRINALE DIRIMENTE TRA FUTURO E INSENSATEZZA»

 

L’emergenza ambientale e sociale scatenata dallo sfruttamento dissoluto delle risorse naturali è giunta a uno stadio irreversibile che ammette, per il genere umano, soltanto due esiti.
Da un lato, l’uscita di sicurezza: il tentativo di contenere i danni di questa crisi operando un cambiamento radicale dei modelli economici che l’hanno provocata. Dall’altro, la catastrofe inevitabile – l’estinzione – se a persistere saranno l’indifferenza o le mezze misure. In una prospettiva che interseca una pluralità di discipline (dall’ingegneria all’economia, dall’architettura alla sociologia e ai saperi umanistici), studiosi e studiose denunciano qui i disastri causati all’ambiente dalle logiche distruttive che hanno portato l’essere umano a sentirsi padrone del mondo e a rincorrere il progresso ad ogni costo. E affermano l’assoluta urgenza di dare spazio a quell’«approdo straordinario, quanto necessario, del sapere umano» che è l’ecologia.
Con i testi di: Piero Bevilacqua, Romeo Bufalo, Amalia Collisani, Tiziana Drago, Mario Fiorentini, Maria Pia Guermandi, Pino Ippolito Armino, Ignazio Masulli, Francesco Novelli, Tonino Perna, Enzo Scandurra, Franco Toscani, Luigi Vavalà, Alberto Ziparo.

 

Tiziana Drago
Grecista presso l’Università di Bari, attivista, blogger. Studia la letteratura erotica antica, l’epistolografia, le strategie allusive e le dinamiche intertestuali nelle letterature classiche. Si interessa inoltre di conoscenza nella scuola e nell’università. È tra gli autori di Aprire le porte. Per una scuola democratica e cooperativa (Castelvecchi, 2018) e ha curato, insieme a Enzo Scandurra, Contronarrazioni. Per una critica sociale delle narrazioni tossiche (Castelvecchi, 2021). Collabora a blog e riviste quali «MicroMega», «il Tetto», «Meno di zero», «Inchiesta», «La città futura», «laletteraturaenoi». Scrive per «il manifesto» ed è collaboratrice di «la Repubblica».

 

Enzo Scandurra
Urbanista, saggista e narratore; già ordinario di Urbanistica presso l’Università Sapienza di Roma. Si occupa di problemi legati alle trasformazioni della città e a Roma in particolare, temi cui ha dedicato numerose pubblicazioni. Per Castelvecchi ha pubblicato i romanzi Fuori squadra (2017), Exit Roma (2019) e La disgrazia (2020) e curato, insieme a Tiziana Drago, Contronarrazioni. Per una critica sociale delle narrazioni tossiche (2021). Membro del comitato di redazione della rivista «Luoghi comuni» (Castelvecchi), collabora al quotidiano «il manifesto».

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Giornata di studi in onore di Anna Beltrametti – 3 Ottobre 2002 – Università di Pavia: «RIPENSARE LA TRAGEDIA GRECA. Tra storia, filosofia, emozioni, ricezione». Elisa Romano, Università di Pavia / Valeria Andò, Università di Palermo / Sotera Fornaro, Università della Campania / Martina Di Stefano, Università di Pavia / Maria Pia Pattoni, Università Cattolica di Brescia / Ester Cerbo, Università di Roma Tor Vergata / Maurizio Harari, Università di Pavia / Massimo Stella, Università Ca’ Foscari di Venezia / Gherardo Ugolini, Università di Verona / Martina Treu, Università IULM di Milano /Raffaella Viccei, Università Cattolica di Brescia.

Nancy Spero, Artemis, 1983, MOMA New York

COLLEGIO SANTA CATERINA DA SIENA
Aula conferenze (Via San Martino 17)

Ore 9: Saluti istituzionali
Ore 9.15: Elisa Romano, Università di Pavia
Introduzione ai lavori

Ore 9.30
Valeria Andò, Università di Palermo
Sotera Fornaro, Università della Campania
Francesco Massa, Université de Fribourg
Martina Di Stefano, Università di Pavia
Omaggio ad Anna Beltrametti

Pausa

Ore 11: Maria Pia Pattoni, Università Cattolica di Brescia
Alcesti nel Novecento, tra desiderio di emancipazione e spinte nichiliste
Ore 11.40: Ester Cerbo, Università di Roma Tor Vergata
Filottete e L’altra ferita: dopo Sofocle, Aldo Braibanti

***

UNIVERSITA’ DI PAVIA
Aula Volta (Palazzo Centrale, Strada Nuova 65)

Ore 14.30: Maurizio Harari, Università di Pavia
Un’ascia (anche) per Elettra
Ore 15.10: Massimo Stella, Università Ca’ Foscari di Venezia
L’Arcadia degli Spiriti: filologia e fantasmi dell’Antico
Ore 15.50: Gherardo Ugolini, Università di Verona
Berlino 1936: L’Orestea al tempo del nazismo

Pausa

Ore 16.45: Martina Treu, Università IULM di Milano
Emozione di moltitudine: il coro ritrovato
Ore 17.25: Raffaella Viccei, Università Cattolica di Brescia
Cassandra nel XXI secolo: teatro e arte

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