Salvatore Bravo – Ricordare il futuro. Ricordare Costanzo Preve significa renderlo compagno di viaggio nel presente. La filosofia è radicale, poiché i suoi testimoni vivono – nel loro tempo storico – il futuro, e proprio così smentiscono l’ideologica affermazione secondo cui “non c’è alternativa”.


Salvatore Bravo

“Ricordare il futuro”.

Ricordare Costanzo Preve significa renderlo compagno di viaggio nel presente.

L’attività del pensiero è intenzionalità significante, pertanto i veri pensatori nascono a nuova vita nella razionalità che li accoglie.

Ogni vero filosofo è al servizio dell’umanità: rielabora il passato per comprendere il suo tempo e nel contempo vive con la sua opera le potenzialità che i più non scorgono.

Non siamo chiamati ad essere eroi del cambiamento e della trasformazione, ma ad essere gli umili lavoratori che assediano il dominio capitalistico dall’interno e che testimoniano con la loro vita e attività il “no” al valore di scambio. Non è soltanto un “no” teorico, ma è reale testimonianza nella comunità di un futuro possibile. La filosofia è radicale, poiché i suoi testimoni vivono – nel loro tempo storico – il futuro, e proprio così smentiscono l’ideologica affermazione secondo cui “non c’è alternativa”.

Costanzo Preve fu tutto questo.

Progetti che non siano già vissuti nel presente rischiano di essere percepiti come distanti. Testimoniare significa anticipare quello che potrebbe essere nel tempo che verrà. La responsabilità verso il futuro non può aspettare, per questo è indispensabile il pensiero complesso contro il tatticismo tecnocratico. La responsabilità è un atto razionale e immaginifico: si esplora il proprio tempo storico per guardare le potenzialità e pensarle con la forza del concetto.

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Ricordare un pensatore significa renderlo compagno di viaggio nel presente, solo in tal modo il suo pensiero può dispiegarsi verso ciò che verrà. Non si tratta di venerazione idolatrica, nulla è più distante dalla filosofia, ma di confronto dialettico e plastico. Pensare un autore non è solo condivisione di concetti e prassi, ma è, anche, confliggere, discorrere fino a prendere le distanze da errori e posture ideologiche.

Il nuovo ha il suo “humus” nell’incontro-scontro, si tratta di un urto fecondo dal quale possono emergere nuove prospettive. Nessun autore “resta nell’astratto” della mente: pensare, in filosofia, è prassi critica. I concetti si concretizzano nell’effettualità della storia ponendo un proficuo circolo dialettico nella pienezza della materialità storica.

L’attività del pensiero è intenzionalità significante, pertanto i veri pensatori nascono a nuova vita nella razionalità che li accoglie.

Il 23 novembre del 2013 Costanzo Preve ci ha lasciati. Ma la morte di un pensatore originale non conclude e chiude la sua fioritura concettuale, in quanto le sue idee possono germinare al sole della critica e della ricerca. I concetti sono rizoma da cui possono nascere possibilità inesplorate e sconosciute allo stesso autore. Vi sono inconsce possibilità nella teoretica di un autore che attendono “socratiche levatrici”. Ripensare un pensatore è un viaggio fenomenologico, in cui il passato e il presente si intrecciano con il futuro.

Nelle parole e nei concetti di Costanzo Preve vi è il nostro tempo storico pensato con la mediazione dialettica.

Non desidero qui soffermarmi sui testi pubblicati o solo sull’analisi critica del capitalismo, ma si vuole porre in atto un riorientamento gestaltico: cambiare prospettiva e palesare gli aspetti progettuali della riflessione di Costanzo Preve attraverso le sue interviste. Queste ultime si connotano per la spontaneità colloquiale non disgiunta dalla chiarezza concettuale. Le interviste consentono di cogliere nella concretezza della parola che prende forma l’autenticità del fare filosofico, il quale è logos, e quindi comunicazione che interroga il presente per delineare il futuro. La vita della coscienza si estende, attraversa la barriera del tempo e vive la vita che verrà. Il concetto diviene, in tal modo, responsabilità verso l’umanità del presente e del futuro. Ogni vero filosofo è al servizio dell’umanità: rielabora il passato per comprendere il suo tempo e nel contempo vive con la sua opera le potenzialità che i più non scorgono.

Filosofare è diventare i custodi dell’umanità, conservarne il nucleo creativo che emerge dall’agorà, senza pretese di esclusività proprietaria. Il logos è parola nella quale l’individualità cede il passo all’ascolto comunitario senza il quale il pensiero si desertifica nella malinconia della solitudine senza concetto.

La filosofia non è solo “domandare profondo”, ma è anche fatica della risposta.

La fatica del concetto è l’incontro tra domanda e risposta. I campi semantici del pensiero si aprono al tocco della domanda che cerca la risposta senza chiusure d’orizzonte.

Vi sono nel pensiero previano ipotesi e abbozzi progettuali, con essi ci si deve confrontare. Si possono dischiudere spazi di discussione e riflessione che mancano nel nostro quotidiano segnato dal capitalismo nella sua fase annichilente segnata dall’illimitato divorare-saccheggiare umanità e risorse. Il nichilismo crematistico è “non essere”, ovvero, sradicamento dal tempo storico e derealizzazione.

A tale esiziale assenza di senso dobbiamo rispondere con risposte che possano favorire la prassi della filosofia, la quale è prassi critica e processo di trasformazione individuale e storico e questo non può che rendersi reale nel connubio domanda-risposta.

Lavoro e guerra

Il punto imprescindibile per Costanzo Preve è il lavoro, il quale non è riducibile a semplice produzione o reddito, ma è espressione dell’identità olistica di ogni soggettività. Il lavoro è riconoscimento ed autoriconoscimento senza i quali non vi è dignità, ma solo una lenta discesa nella reificazione. L’hegelo-marxiano Costanzo Preve non può non mettere il dito-parola nella piaga del capitale. La svalutazione del lavoro a favore della finanza è giunta al punto che con l’euro nelle situazioni di crisi non si può svalutare la moneta per cui si deprezza il lavoro e con esso l’essere umano. I lavoratori sono merce di poco conto dinanzi al potere della finanza.

L’oligarchia ha svuotato la democrazia del suo senso, in quanto ha condotto una guerra contro il lavoro e i lavoratori. La svalutazione del lavoro coincide con lo stato di sussunzione dei lavoratori e delle classi medie da cui l’oligarchia astrae il lavoro vivo per renderlo astratto. I lavoratori sono i nuovi servi della “glebalizzazione” dominati nella mente e nel corpo:

«Ciò si presenta però in una situazione storica nuova, nella quale assistiamo al completo venir meno della sovranità monetaria dello stato nazionale e, pertanto, all’innesco di dinamiche finanziarie globalizzate non più controllabili. È una crisi di svalutazione del lavoro; essendosi l’Unione Europea basata sull’impossibilità di svalutare la moneta nazionale, in tempi di crisi si svaluta la moneta o il lavoro. O si svaluta la moneta, e questo rende possibile una maggiore concorrenzialità della moneta nazionale, come è stato per duecento anni in Europa, oppure si svaluta il lavoro. In questo momento si sta facendo questo. Ecco l’aspetto più noto della crisi per i lavoratori europei, particolarmente i giovani. Ma le cose che dico sono ben note a tutti. La causa strutturale è che con l’avvento della globalizzazione l’Europa non è in grado di sostenere il modello neo-liberale mantenendo le conquiste sociali del welfare state che hanno caratterizzato il Novecento europeo in tutte le sue varianti: comunista, fascista, socialdemocratica».1

 

La guerra è l’altro volto dell’euro. In un mondo multipolare, l’Europa unita in nome dell’euro e fedele suddita degli Stati Uniti – sono quasi 250 le basi NATO ufficiali sul territorio europeo – non può che cercare compulsivamente nuovi mercati e materie prime. Il primato nel controllo delle aree geopolitiche fondamentali non può che condurre al conflitto con la Russia, la Cina e le altre potenze emergenti. La globalizzazione ha reso il conflitto la normalità delle relazioni tra gli Stati e all’interno dei mercati. Il micro e il macro sono l’espressione della stessa bellicosa sostanza: sfruttamento e plusvalore.

Nella lotta geopolitica per un presente ed un futuro a misura di essere umano, Costanzo Preve distingue le oligarchie dai popoli. L’avversione politica non è mai contro i popoli, è la finanza il pericolo. I popoli sono pedine nei giochi di potere-dominio dei nuovi feudatari cosmopoliti. La chiarezza del nemico è la condizione per l’unità dei popoli nel comune obiettivo di abbattere i nuovi oligarchi globali. L’imperialismo della finanza è antiumanesimo militante, lo scopo è la colonizzazione dei popoli come dei singoli: occupazione violenza delle menti e dei territori per desertificare le differenze in nome dei diritti universali usati come arma contro i resistenti:

«L’euro è stata un’idea sbagliata, un azzardo. È un fallimento che non potrà trascinarsi a lungo e provocherà una divaricazione ancora più forte tra le due Europe, quella del centro-nord e quella del centro-sud. Altra conseguenza prevedibile è il peggioramento della situazione geopolitica in Medio Oriente, probabilmente con il tentativo di distruggere il governo della Siria di Assad e il governo dell’Iran. La tendenza alla guerra è evidente, ma questo non necessariamente comporta una vera e propria guerra come quella contro la Libia o la Serbia».2

Il disordine mondiale foriero di guerre e tensioni è guidato dalla furia iconoclasta statunitense; la quale, in nome della sua presunta superiorità etnico-culturale, vorrebbe guidare le sorti del pianeta. L’ideologia puritano-protestante spogliata di ogni valore trascendente è divenuta la religione mondana della globalizzazione a guida anglofona. L’economicismo crematistico è il cuore della nuova missione divina: bisogna modellare ogni popolo, farne un produttore-consumatore senza verità e bene. Ogni metafisica deve essere desacralizzata, deve restare solo la hybris del consumo. Nessuna identità deve sopravvivere alla furia omologante. La guerra neocoloniale e imperiale conduce dalla Terza guerra mondiale (guerra fredda) alla Quarta guerra mondiale (globalizzazione) come verifichiamo nei nostri tristi e concitati giorni:

«Gli USA hanno vinto due guerre mondiali e la Guerra Fredda, o Terza Guerra Mondiale. Questa vittoria ha permesso di estendere il dominio sui Paesi dell’Europa dell’Est e adesso, con la cosiddetta Primavera Araba, fenomeno completamente occidentalizzante, anche in Medio Oriente. Queste sono due gigantesche vittorie geopolitiche. Non vi sono potenze avversarie e quelle emergenti (Brasile, Russia Cina e India) non hanno intenzione di opporsi in modo strategico. Molto pericolosa è l’ideologia che gli USA portano con sé, un’ideologia puritano-protestante, di origine veterotestamentaria, che li spinge a ritenersi il popolo eletto. Persino i non credenti si considerano parte di questo popolo, eletto dalla Storia e da Dio. È una concezione che si arroga il diritto di portare il bene del mondo attraverso gli interventi militari».3

La missione degli Stati Uniti, incarnazione del capitalismo assoluto, è annientare ogni comunità dalla famiglia alla patria, alla fine di questo processo di distruzione in nome dei soli diritti individuali non deve restare che l’individuo liquido senza legami comunitari, identitari e affettivi. L’opposizione attuale è comunità-individuo, da questa verità si deve partire per ipotizzare un’alternativa storicamente fondata alla bellicosa deriva nichilistica attuale.

Ogni “ismo” dev’essere rigettato, in quanto è veicolo di misologia e violenza. La comunità è il luogo dove sviluppare forme di partecipazione democratica, il pubblico è il centro della comunità, i cittadini sono chiamati ad esercitare il logos e il metron che ne consegue. La salvezza non può che giungere dalla partecipazione democratica: il logos è parola che si moltiplica nella comunicazione. La solidarietà fondata sulla natura umana comunitaria da “definire nella storia” è l’orizzonte verso cui muoversi, è il katechon alla deriva dell’individualismo/capitalismo assoluto che reca la guerra dentro e fuori della comunità ridotta a immenso ipermercato dello spreco:

«Passando al cosiddetto “comunitarismo”, e ricordando ancora una volta che si tratta di un ismo di cui non faccio parte, bisogna distinguere storicamente il suo profilo vecchio ed il suo profilo nuovo. Il profilo vecchio, che ha contrapposto la comunità (Gemeinschaft) alla società (Gesellschaft), è ormai un pezzo archeologico da museo della storia delle ideologie in Europa, ed è legato al conflitto fra l’Inghilterra vittoriana e la Germania guglielmina, come Domenico Losurdo ha brillantemente mostrato in una serie di opere storiche. Il profilo nuovo, che non c’entra assolutamente più nulla con quello vecchio, ormai morto e sepolto, è legato alla dialettica fra individualismo e comunitarismo attuali, o più esattamente al tentativo dall’alto di imporre un individualismo anomico legato alle nuove modalità di consumo e di colonizzazione della vita quotidiana, ed alle resistenze dal basso contro queste strategie di imposizione. Dal momento che questo nuovo comunitarismo, che a differenza del vecchio non presenta più elementi apologetici della gerarchia e dell’organicismo, si struttura e si sviluppa sulla base di strategie e di tattiche di resistenza, inevitabilmente differenziate caso per caso, ne consegue che non c’è nessun bisogno che si cristallizzi un ismo dottrinario con annesse forme di copyright ideologico di identità e di appartenenza. È un’ennesima ragione per respingere, cortesemente ma con decisione, ogni etichettatura dottrinaria di “comunitarismo”. Ma questo non dovrei più ripeterlo, perché mi sembra ormai chiaro, almeno per chi vuole confrontarsi con me in modo non pregiudiziale o polemico a priori. Per quanto riguarda la presunta opposizione fra un essere sociale (società) ed un dover essere sociale (futura comunità solidale senza classi), dichiaro solennemente, da filosofo professionale, di respingerne la formulazione di tipo neokantiano (o se si vuole, bobbiano). È vero che Marx concepisce il comunismo in termini al 100% comunitari, o più esattamente comunitario-solidali, ma è anche vero che Marx, che si richiamava filosoficamente a Hegel e non certo a Kant (più esattamente alla dialettica hegeliana e non certo alle antinomie di Kant o alle dicotomie di Bobbio), riteneva che a questa comunità ideale del futuro non si sarebbe mai arrivati se non esistessero già qui ed ora, nel presente storico in cui viviamo, delle comunità di resistenza e di progetto».4

Pensare per progettare

Non siamo chiamati ad essere eroi del cambiamento e della trasformazione, ma ad essere gli umili lavoratori che assediano il dominio capitalistico dall’interno e che testimoniano con la loro vita e attività il “no” al valore di scambio. Non è soltanto un “no” teorico, ma è reale testimonianza nella comunità di un futuro possibile. La filosofia è radicale, poiché i suoi testimoni vivono – nel loro tempo storico – il futuro, e proprio così smentiscono l’ideologica affermazione secondo cui “non c’è alternativa”.

Costanzo Preve fu tutto questo.

Progetti che non siano già vissuti nel presente rischiano di essere percepiti come distanti. Testimoniare significa anticipare quello che potrebbe essere nel tempo che verrà. La responsabilità verso il futuro non può aspettare, per questo è indispensabile il pensiero complesso contro il tatticismo tecnocratico. La responsabilità è un atto razionale e immaginifico: si esplora il proprio tempo storico per guardare le potenzialità e pensarle con la forza del concetto. Guardare con gli occhi della mente non è sufficiente, è necessario che il logos sia tensione dialettica di ogni sua capacità cognitiva. La totalità è la condizione per rappresentarsi il futuro. La responsabilità è lotta per tenere vivi i legami che dal passato conducono al futuro. Nella storia non vi sono leggi ferree e bronzee, pertanto il futuro è una scommessa aperta, questa è la nostra lucida speranza: lo fu anche per Costanzo Preve.

Elaborare un progetto politico che possa dar conto delle derive in atto non può che fare appello a un diverso modo di testimoniare la filosofia, la quale deve uscire dal politicamente corretto delle accademie per denunciare conflitti e le contraddizioni che inquinano l’ambiente e le menti con le tossine del feticismo delle merci, dei big data e del plusvalore. In questo ambiente alienante i lavoratori sono ridotti all’infimo rango di esercito di riserva: si incentiva la migrazione per poter tener basso il costo del lavoro e organizzare il conflitto orizzontale tra migranti e lavoratori precarizzati. La filosofia deve contribuire a neutralizzare l’ideologia guerrafondaia facendo cadere il velo dell’ignoranza, in modo che i lavoratori tutti possano sviluppare la coscienza di classe.

Non bisogna cadere nell’inganno del biopotere, filosofia popolare e organica al sistema, poiché affermando la circolarità del potere non distingue tra carnefici e vittime. Si rischia di porre sullo stesso piano la “manovalanza costretta all’esecuzione di mansioni di controllo sui lavoratori” e gli oligarchi. La filosofia deve emancipare dalla fascinazione delle filosofie organiche al capitalismo, perché filosofare è campo di battaglia fra le idee:

«Gli ultimi venti anni io li vedo come una specie di orgia del capitale finanziario mondiale, liberato dalla presenza del comunismo novecentesco e dallo stato keynesiano. Questo ha portato a una finanziarizzazione dell’economia incredibile, il cui effetto principale è il lavoro flessibile e precario normale, la vera novità, perché non tocca più solo i vecchi artigiani, ma riguarda tutti; tutti sono esercito industriale di riserva. Naturalmente la corporazione universitaria non si è affatto occupata di questo, si è inventata la biopolitica, come se il problema non fosse il lavoro precario, ma il controllo poliziesco, alla Foucault. Si tratta di un pensiero alla fine del quale risulta che un maestro elementare e una guardia carceraria sono entrambi agenti della repressione: un altro tradimento dei chierici».5

L’ontologia dell’essere sociale è il fondamento metafisico della natura umana. L’alternativa elaborata da Costanzo Preve ha quale punto nodale l’ontologia dell’essere sociale. L’essere umano per sua natura è autocoscienza, è relazione comunitaria con la quale diviene consapevole della sua singolarità concreta, poiché ogni singolarità presuppone la relazione con altre coscienze per definirsi. Riconoscersi significa creare legami: senza di essi gli esseri umani non hanno un volto, non hanno una storia e non possono tradurre in prassi le loro potenzialità. Solo in tale cornice la crescita umana dei singoli, delle comunità e della storia possono essere attualizzate. L’umanità intera è portatrice di possibilità, ma solo ciò che forma alla cura, all’attenzione solidale e al bene sviluppa ciò che è precipuamente umano. Costanzo Preve ha testimoniato l’essenziale in una realtà connotata dalla βρις, l’ontologia dell’essere sociale è umanesimo che si svela e si materializza nella storia:

«Nel mio libro Marx inattuale quando si parla di ontologia dell’essere sociale ci si riferisce alle caratteristiche strutturali dell’essere sociale, indipendentemente dal fatto che sia schiavistico, feudale o capitalistico. Significa considerarlo distinto dall’essere naturale. Quest’ultimo viene indagato dalle scienze della natura, ma cosa li distingue? L’autocoscienza. Mentre l’essere naturale ha una sua storia evolutiva ma non è caratterizzato dal passaggio dall’essere in sé all’essere per sé, l’essere sociale è caratterizzato dal passaggio dalla coscienza all’autocoscienza e questo deve essere messo al centro della filosofia. Ora, nella misura in cui il marxismo a partire da Engels fu fuorviato come Naturprozess e Naturgeschichte, era necessario restaurare l’ontologia dell’essere sociale come centro del marxismo stesso. Accettare tale ontologia significa rifiutare l’inevitabilità del passaggio al socialismo o al comunismo in quanto l’essere sociale, a differenza della natura, ha la possibilità di scegliere e quindi non ci può essere alcuna ineluttabilità nelle trasformazioni sociali, la scelta è sempre fondamentalmente non deterministica».6

L’ontologia dell’essere sociale deve tradursi in prassi politica. Costanzo lo ha dimostrato nella sua Una nuova storia alternativa della filosofia: la filosofia non può astrarsi dalla realtà politica e storica, ma deve cambiare il mondo, deve contribuire alla sua trasformazione senza titanismo. Il filosofo ha indicato tre principi, non contrattabili, su cui stabilire un progetto politico rispettoso dell’universale concreto che coniuga identità e comunità, uguaglianza e differenza, comunità e democrazia:

«La mia bussola di orientamento oggi si basa su tre parametri interconnessi:

  1. a) il principio di eguaglianza massima possibile all’interno di un popolo su diritti, consumi, redditi, partecipazione alle decisioni. Centralità del tema dell’occupazione. Posto fisso preferibile al lavoro temporaneo, flessibile e precario. Diritti eguali agli immigrati (che non significa immigrazione incontrollata). Messa sotto controllo del capitale finanziario speculativo di ogni tipo. Preferenza del lavoro rispetto al capitale. Difesa della famiglia e della scuola pubblica;

  2. b) il rifiuto del colonialismo e dell’imperialismo, che oggi hanno come aspetto principale l’impero USA ed in Medio Oriente il suo sacerdozio sionista, che utilizza per i suoi crimini il senso di colpa dell’Europa e dei suoi intellettuali rispetto al genocidio effettuato da Hitler, che ovviamente non mi sogno affatto di negare. Diritto assoluto alla lotta per la liberazione patriottica (lo stato nazionale esiste, eccome, ed è un bene e non un male, come dicono i seguaci di Negri e del Manifesto) per l’Iraq, l’Afghanistan e la Palestina. Appoggio a tutti i governi “sovranisti” indipendenti (Venezuela, Iran, Birmania, Corea del Nord, Bolivia, eccetera), il che non implica necessariamente l’approvazione di tutti i loro profili interni ed esteri;

  3. c) considerazione dell’elemento geopolitico e rifiuto della sua virtuosa ed infantile rimozione. A differenza di Losurdo, non penso affatto che la Cina abbia una natura sociale “socialista”. Ma la appoggio egualmente, perché un equilibrio multipolare è preferibile ad un unico impero mondiale USA con vari vassalli (fra cui l’Italia è la più servile, con possibile eccezione di Panama e delle Isole Tonga,). Chi appoggia questa cose è per me dalla parte giusta. Se poi si dichiara di destra o di sinistra, questo è affare suo, della sua biografia politica e della sua privata percezione valoriale. Ma la percezione valoriale è un affare privato, come i gusti sessuali e letterari e la credenza o meno in un Dio creatore».7”.

Per realizzare il programma comunitarista è necessaria la logica del movimento e non del partito. Il movimento si distingue dal partito, in quanto si caratterizza per l’osmosi vertice-base. Il movimento deve strutturarsi per la sua organizzazione sul territorio, non dev’essere segnato dalle chiusure lobbistiche dei partiti. I movimenti sono organismi vivi, sono forme di democrazia radicale in cui si impara la libertà e la socratica pratica del logos:

«“Movimento” e non Partito, anche se ovviamente un movimento organizzato funziona poi come un partito, in quanto deve avere strutture di direzione chiare, riconoscibili, democraticamente elette e democraticamente revocabili. Questo non implica assolutamente “movimentismo”. L’opposizione astratta fra movimentismo e partitismo è pura metafisica scolastica. Tuttavia, linguisticamente, il termine “partito” indica maggiormente una “rappresentanza”, o di interessi economici o di missione storica (anzi, sovrastorica), mentre il termine “movimento” indica maggiormente una “attivazione” che intende favorire aggregazioni».8

Preve filosofo della prassi

La partecipazione comunitaria dev’essere finalizzata a trascendere la “democrazia oligarchica” per concretizzare il comunitarismo democratico, a tal fine è bisogna imparare l’arte della resistenza. Non si impara a resistere e a pensare nell’individualismo spregiudicato del mercato. La possibilità c’è, ma è estremamente rara e difficile. L’essere umano necessita di relazioni positive e di comunità nelle quali sia riconosciuto nella propria differenza sul sostrato dell’universale comune.

Si impara a non sentirsi stranieri e monadi, ma a sentirsi razionalmente parte dell’universale mediante la famiglia, le istituzioni, la patria e l’umanità in un positivo crescendo dialettico. La consapevolezza della comune umanità motiva alla lotta: non ci si percepisce più come atomi impotenti, ma come umanità in cammino.

La resistenza si impara praticando il logos e ponendo all’esame della pubblica discussione l’atomismo nichilistico del capitalismo assoluto. Il comunitarismo è dialettica democratica, la quale non può che essere perennemente minacciata dagli oligarchi e dalle loro manipolazioni artatamente organizzate:

«(I) Resistenza alla dittatura oligarchica dell’economia capitalistica, senza un’imposizione contestuale di un solo profilo ideologico che dovrebbe fare da unico fondamento legittimo di questa resistenza. (II) Resistenza all’attuale struttura imperialistica del mondo, di cui l’impero militare americano non è che l’odierno aspetto dominante, ma che certamente non è l’unico o quello cui bisogna ricondurre tutto. (III) La scelta di tenersi integralmente fuori dal bipolarismo, non per ragioni di principio astoriche eterne, ma sulla base di un giudizio politico determinato, che potrebbe anche essere modificato in futuro se cambiasse il panorama politico europeo e mondiale».9



La resistenza è il concetto incarnato dalla storia dal cui rizoma germinano le potenzialità occultate dall’individualismo assoluto.

Lo scopo della filosofia nell’attuale congiuntura storica è l’elaborazione di un progetto anticapitalistico.

Il capitalismo è negazione della natura umana e del logos.

Il logos è la materializzazione della natura umana, esso è misura del necessario, esodo dalla distruttività dell’illimitato.

Il capitalismo assoluto – espressione utilizzata da Costanzo Preve per indicare l’attuale fase del neoliberismo – non implica l’ipostatizzazione del capitale e il trionfo del valore di scambio. La definizione di capitalismo assoluto denota il tentativo del capitale di eternizzarsi con la cultura dell’astratto e con l’assimilazione di ogni forma di vita e cultura all’interno del solo valore di scambio, al punto che il capitale non vede che se stesso, fino alla fanatica illusione di essere il punto finale della storia. Il capitalismo è inclusivo, non lascia nulla fuori di sé, vorrebbe essere l’ultima parola, è il nulla che avanza nel consumo dell’umanità e del pianeta: alla fine del suo percorso ogni traccia di umanità e storia sarà cancellata per sempre.

La natura umana non può essere annientata, ciò è reso palese dai resistenti come dal malessere psicologico diffuso; quest’ultimo è il sintomo che l’attuale sistema economico non è a misura di essere umano, ma lo nega con la sua violenza crematistica e narcisistica.

Progettare è conoscere filosoficamente il capitale, è organizzare la resistenza. Costanzo Preve è nel nostro presente, le sue analisi attendono le nostre risposte e il nostro impegno. I filosofi sono scomodi ed inquietano, in quanto ci rammentano il dovere di agire anche ad un passo dall’abisso: si è umani per questo.

Non fu oratore al capezzale del potere

Non fu un oratores al capezzale del potere, non raccolse le briciole che cadevano dalla tavola del dominio. Ha portato nel presente la filosofia quale attività politica autonoma. L’indipendenza del pensiero l’ha pagata con un volontario isolamento. Ha dimostrato che la possibilità di deviare dal politicamente corretto è realtà, se ci assume la responsabilità di testimoniare nel presente una tradizione millenaria senza mummificarla.

La filosofia del futuro, coerentemente con la sua storia migliore, dev’essere autonoma pur partecipando alla prassi del mondo, non può appiattirsi all’interno di una cornice ideologica. L’intellettuale organico non è mai libero, ma è al servizio dell’istituzione – o del partito nei migliore dei casi –, ma facilmente “il servizio ad una causa” può diventare “servitù volontaria o involontaria”.

Il filosofo deve conservare una carsica anarchia creativa che lo induce ad una distanza critica e costruttiva dalle trappole del potere. La filosofia deve denunciare le derive ideologiche e condurre verso la fatica del concetto con la sua inesauribile dialettica. Non fu un intellettuale secondo i canoni attuali, ed è l’eredità più rilevante che il filosofo ci consegna per il futuro:

 

«Con tutti i miei difetti soggettivi, psicologici e caratteriali, e con tutte le mie insufficienze oggettive, scientifiche e filosofiche, rivendico però a mio onore l’avere capito fino in fondo che l’autoidentificazione illusoria e fantasmatica con il gruppo sociale degli “intellettuali”, impegnati e/o organici che siano, non poteva che svilupparsi dialetticamente verso la rovina e l’autodissoluzione, che sono comunque sotto i nostri occhi (Veltroni, Sarkozy, eccetera). Gli intellettuali sono una forma moderna e postmoderna di clero, sia pure un clero non tenuto al celibato ma anzi invitato alla libera scopata postfamiliare. Eretico o ortodosso, giornalistico o universitario, celibe o scopatore, un clero rimane clero. Non dico che un clero non sia talvolta necessario. A volte lo è. Ma oggi il problema non è quello di aggregarsi per produrre collettivamente (inesistenti) profili ideologici articolati e sistematizzati per uso politico, ma di differenziarsi dai greggi esistenti per tentare di avanzare ipotesi teoriche radicalmente nuove. Questo è impossibile se si intende compatibilizzare l’avanzamento di questa ipotesi con l’appartenenza a gruppi intellettuali oggi esistenti, il cui conservatorismo è tale da produrre automaticamente l’esclusione del reo. Termino allora qui questa modesta autocertificazione. Il signor Costanzo Preve è stato a lungo un “intellettuale”, sia pure di seconda fila e non di prima. Ma oggi non lo è più, e chiede di essere giudicato non più sulla base di illusorie appartenenze di gruppo, ma sulla base esclusiva delle sue acquisizioni teoriche. E di queste cominceremo finalmente a parlare».10



Il filosofo vive la pienezza della “dynamei on”, testimonia che la possibilità del logos e della buona vita è di tutti, ma nel filosofo è realtà vivente nel presente. Non detiene verità indiscutibili, ma è la consapevolezza che il presente non è tutto. Il capitalismo e l’individualismo assoluto sono forme storiche nelle cui pieghe e contraddizioni dolorose vi è il mondo che verrà, ma per poterlo scorgere è necessario confrontarsi con i filosofi e con gli uomini e le donne che vivono nel presente la concretezza di un’esistenza nella quale la parola è dono, cura e riconoscimento dell’altro.

Questo è stato Costanzo Preve con le sua umane imperfezioni e il coraggio di divertere dalla dittatura del politicamente corretto.

Il futuro non vive nella cancellazione del passato, ma nella continuità-discontinuità: bisogna discernere ciò che dobbiamo portare nel futuro da ciò che bisogna abbandonare. Costanzo Preve è punto di riferimento per questa operazione complessa e problematica di continuità-discontinuità.

Fondamentale, perché vi sia un futuro, è non segare l’albero su cui siamo seduti:



«Ragioniamo piuttosto sulla metafora del “ramo”, che solo uno sciocco segherebbe se c’è ancora seduto sopra. Ma siamo proprio sicuri che ci siamo ancora seduti sopra, o piuttosto siamo doloranti da tempo con il culo per terra? E poi, per continuare con la metafora del ramo, tenersi stretti ad un ramo che la corrente impetuosa trascina verso una cascata non è altrettanto stupido?

Io non penso che siamo seduti su di un ramo chiamato “marxismo”. Io penso invece che siamo bensì seduti, ma seduti su di un grande albero frondoso con profonde radici, che è l’albero della tradizione filosofica razionalistica e dialettica, che c’era prima di Marx e ci sarà dopo Marx, e di cui Marx è ancora un ramo fiorito mentre nell’essenziale il marxismo è già da tempo un ramo spezzato, e spezzato dalla storia, non da uno sciocco che ha deciso di segarlo. Le metafore non sono mai innocenti».11

Sta a noi fare in modo che la fioritura e i rami continuino ad esserci: Costanzo Preve è ora uno dei rami su cui poggia il nostro futuro e da cui possiamo intravedere il futuro. La speranza razionale da coltivare nel presente è l’orizzonte in cui dialettizzare le contraddizioni del nostro tempo storico per formare i nuovi soggetti della prassi. La filosofia è speranza razionale, è sguardo della civetta che attraversa il mondo, non è attesa messianica nell’ottica di Costanzo Preve, ma è etica della partecipazione responsabile:

«In quanto alla speranza ne distinguerei due tipi: quella cieca, della possibilità dell’inserzione messianica nella storia di un meteorite comunista (un po’ alla Benjamin) che cade sulla terra (che per me è anche un alibi ipocrita per giustificare la propria mancanza di prassi), e poi c’è la speranza aristotelico-marxiana e cioè che all’interno della vita che stiamo già vivendo si inseriscano degli elementi alternativi che si sviluppano dentro di essa: questa è la speranza razionale».12

Dove vi è filosofia, vi è la Bestimmung, la passione durevole, per la prassi nella quale il presente apre al futuro. Costanzo Preve ha vissuto la filosofia non come esperienza accademica, ma come prassi che orienta al futuro da progettare e costruire nel presente, sta anche a noi ringiovanire il mondo continuando il suo cammino.

1 Intervista a Costanzo Preve: «Filosofia della crisi» Emanuele Guarnieri L’altra faccia della moneta – Per una filosofia della sovranità politica e finanziaria n. 4/2013.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Intervista a cura di «Indipendenza», agosto 2007.

5 Intervista a Costanzo Preve, a cura di Franco Romanò, in «Comunismo e Comunità», 2020.

6 Ibidem.

7 Alessandro Monchietto: Intervista a Costanzo Preve (Estate 2010, «SOCIALISMO XXI»), Petite Plaisance blog, 24 ottobre 2015.

8 In «Sollevazione», Di che movimento politico abbiamo bisogno? (inedito) di Costanzo Preve, DIC 27, 2014.

9 Ibidem

10 Costanzo Preve, Autopresentazione di Costanzo Preve [Scritta da lui medesimo] da https://www.filosofico.net/prevesipresenta.htm

11 Intervista a Costanzo Preve di Gianni Petrosillo; Gianluca Amodio; Elianna Zirpoli – 27/11/2006, Arianna editrice

12 Intervista a Costanzo Preve a cura di Franco Romanò, in Comunismo e Comunità pubblicata il 17 dicembre 2020.

Giangiacomo Schiavi – Le lettere dei familiari ci invitano a ragionare per costruire una nuova cultura della vecchiaia che non deve cancellare una storia e una vita. Bisogna per questo nutrire la memoria e farla diventare un atto culturale.




Familiari dei “condannati a morte nelle Rsa italiane”

e contributi di

Laura Campanello, Alessandra Filannino Indelicato, Fabio Galimberti,
Franca Maino, Lorena Mariani, Linda M. Napolitano Valditara,
Gianni
Tognoni, Silvia Vegetti Finzi

La tragedia di essere fragili

Filosofia biografica per una nuova cultura della vecchiaia

a cura di Alessandra Filannino Indelicato

ISBN 978-88-7588-367-6, 2022, pp. 208, Euro 15.

In copertina: Alfredo Pirri, Facce di gomma, latice in gomma, cotone, tempera, 1992.

indicepresentazioneautoresintesi





Mamma,

ho sognato che non avevi perso la memoria e ti ricordavi chi ero.

Oggi lo sai cosa è successo e speravo di sentirti ma ti sogno solo.

In questi giorni sognavo te nell’ospedale nella RSA che non stavi bene e mi svegliavo male la mattina. Non volevo scriverti perché mi viene da piangere. Oggi ho ritirato la notifica dal tribunale, c’è scritto che l’Rsa non ti ha ucciso e io sto male e sono sola. […]

Una pubblicazione che prende una netta posizione rispetto alle ingiustizie subite dai familiari di molti ricoverati durante la pandemia, condannati a morte in alcune, moltissime, Rsa italiane. Incapacità di affrontare una crisi che ci ha coinvolti tutti, per ragioni storico-culturali molto complesse, ragioni a cui si tenta di dare voce in chiave filosofico-biografica, per spiegare (senza esaurire o ridurre) la più grande tragedia della nostra società contemporanea: quella di essere fragili, e anche quella di essere vecchi. Dando voce a chi ha subito ingiustizia e si trova ancora costretto all’anonimato, ancora costretto in una posizione di estrema impotenza, questa pub­blicazione è anche una raccolta di lettere-testimonianze dei familiari e vuole essere un monito. Un monito di speranza e di luminosa instancabile indomabile presenza e anelito alla lotta per la verità di chi la sua verità non può ancora dirla, nel compito della memoria di chi è morto nel silenzio generale. Un monito verso la non indifferenza individuale e collettiva che scuota le coscienze affinché si costruisca un sistema migliore di quello di cui tutti siamo stati inermi e terribili testimoni





Le lettere

Sono quasi due anni che te ne sei andata

La prima cosa che vorrei sapere

Eri tu quella farfalla arancione

“Mammina” – come ti chiamavo …

Ho sognato che non avevi perso la memoria

Sono due anni che siamo lontane

Come stai? Non è facile scriverti una lettera

Ti ricordi mamma?

Anche febbraio sta volgendo al termine

Proprio l’altro giorno, per Natale

Sei sempre stato un uomo forte

Così sei stata accolta

Scrivo a ruota libera

Quanto mi sei mancato

Quando finalmente

Tra te e me si è imposta la malattia

Una eccezione. L. se n’è andata



Gli autori dei contributi

Gianni Tognoni, vecchio (1941) ricercatore, con un retroterra di teologia e filosofia, e laurea in medicina, pensionato sempre attivo, dopo più di 40 anni di attività nell’Istituto Mario Negri (di Milano, e per 12 anni nella sede ora chiusa in Abruzzo), con contributi anche internazionalmente riconosciuti come innovativi nel campo della metodologia e dell’etica della sperimentazione clinica e della epidemiologia comunitaria. Ha pubblicato fin troppo , in campo strettamente scientifico e non, in inglese, spagnolo, italiano, con tracce facilmente ritrovabili anche recentemente su siti come Volere la Luna ed Altreconomia.
Dal 1979, nella sua vita parallela e assolutamente di riferimento, è Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.

Fabio Galimberti, laureato in Scienze Pedagogiche, è analista filosofo. Prima falegname, da vent’anni lavora come operatore di base in una Rsa. Si interessa di lingua locale, cultura tradizionale e botanica popolare della Brianza e della Lombardia alpina, con la pubblicazione di articoli, saggi e organizzando corsi, cammini e visite guidate.

Silvia Vegetti Finzi è psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia, della famiglia e della scuola. Ha condiviso per molti anni il lavoro intellettuale e l’impegno sociale con il marito Mario Vegetti, storico della filosofia antica. Dal 1968 al 1971 ha partecipato alla vasta ricerca sulle cause del disadattamento scolastico, promossa dall’Istituto IARD (F. Brambilla) e dalla Fondazione Bernard Van Leer di Milano. I suoi maggiori contributi hanno riguardato la storia della psicoanalisi, nonché lo studio delle problematiche pedagogiche da un punto di vista interdisciplinare, facendo rife­rimento soprattutto alla psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza ed alla psicoanalisi. I suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo, greco e albanese. Dal 1975 al 2005 è stata docente di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Pavia. Nel 1990 è stata tra le fondatrici della Consulta di bioetica. Ha fatto parte del Comitato Nazio­nale di Bioetica, dell’Osservatorio Permanente sull’Infanzia e l’adolescenza di Firenze, della Consulta Nazionale per la Sanità. È membro onorario della Casa delle donne di Milano e vice-presidente della Casa della Cultura di Milano. Nel 1998 ha ricevuto, per le sue opere sulla psicoanalisi, il premio nazionale “Cesare Musatti” e per quelle di bioetica il premio nazionale “Giuseppina Teodori”.

Linda M. Napolitano Valditara è professoressa ordinaria di Storia della filosofia antica (in pensione dal 2021). Ha insegnato negli Atenei di Padova, Trieste e Verona. Studia soprattutto Platone, la letteratura greca, i modi del formarsi del sapere-comunicare nel mondo antico e la loro ripresa odierna (filosofia della cura, dialogo socratico). A Verona, quale responsabile, tuttora, del Centro Dipartimentale di Ricerca “Asklepios. Filosofia della salute”, studia le forme di teoria e pratica della cura (Medicina Narrativa e Terapia della Dignità), interagendo con strutture e figure sanitarie del territorio. Studi: Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i Dialoghi di Platone, 2010; Pietra filosofale della salute. Filosofia antica e formazione in medicina, 2012; Prospettive del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, 20132; Virtù, felicità e piacere nell’etica dei Greci, 2014; Il dialogo socratico. Fra tradizione storica e pratica filosofica per la cura di sé, 2018; Filosofi sempre. Immagini dalla filosofia antica, 2021; con C. Chiurco: Senza corona. A più voci sulla pandemia (2020). Ha curato il volume collettaneo Curare le emozioni, curare con le emozioni (2020).

Lorena Mariani, Direttrice dell’Area Infermieristico – Assistenziale della Rsa Convento di S. Francesco della Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano. Esperta della cura della persona in età senile e appassionata di socio sanitario, crede nella potenzialità dei sistemi di cura integrati e nei risultati che tali atteggiamenti virtuosi producono. Si occupa di formazione, collaborando con le principali agenzie formative del territorio della Provincia di Lucca e della Toscana, svolgendo docenze nell’area sanitaria, tecnico assistenziale e sociale, come esperto di settore. Sovrintende a tutte le questioni socio sanitarie e di prevenzione che riguardano i servizi sanitari e sociali svolti dalla Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano ed è il punto di riferimento della stessa Misericordia per tutte le problematiche igienico sanitarie e di sicurezza riguardanti la pandemia Covid-19. Ha pubblicato il libro Il manuale: buone pratiche in Rsa, ed. Spazio Spadoni, 2021.

Laura Campanello, laureata in filosofia e specializzata in pratiche filosofiche e consulenza pedagogica. Collabora con la Scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano “Philo” ed è consulente etica nelle cure palliative e nell’ambito della malattia e del lutto. Nel corso della sua carriera ha studiato e approfondito il tema della felicità attraverso la pratica filosofica e la psicologia analitica e scrive di questi temi per il “Corriere della Sera”. È inoltre Presidente dell’Associazione di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (Sabof). Tra le varie pubblicazioni, si ricorda: Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita, Mondadori, 2020; Leggerezza. Esercizi filosofici per togliere peso e vivere in pace, Bur Rizzoli, 2021; Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte, Mursia, 2013.

Franca Maino dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare ed è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”, “Politiche Sanitarie e Socio-sanitarie”, “Welfare State and Social Innovation”.

Alessandra Filannino Indelicato è una ricercatrice in generale, nella vita, attualmente impiegata presso l’Università di Milano-Bicocca. Esperta di Pratiche Filosofiche e Gestalt counselor, lavora per vocazione nel campo dell’ermeneutica delle tragedie greche e della filosofia del tragico, offrendo corsi, seminari e consulenze individuali e di gruppo. Nel 2022 ha contribuito con “Pace gattesca” alla raccolta Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo Vademecum per la pace, Anima Mundi Edizioni. Per l’Editrice Petite Plaisance è anche Direttrice della collana “Coralli di vita”. Nel 2019, per Mimesis, ha pubblicato Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco, e nel 2022, per Petite Plaisance, Apologia per Scamandrio o dell’abbandono. Contributi di Iliade VI a una filosofia del tragico.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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La società di Ernesto Balducci. L’uomo nuovo è l’uomo conviviale, che non domina il mondo. Il suo sapere non è potere che stupra e saccheggia il mondo, ma è ascolto. La libertà non è nell’accumulo crematistico. L’essere umano è relazione d’ascolto. Chi non concepisce che l’utilizzo porta il silenzio nella sua esistenza. La libertà è polifonica. Nella profondità dell’anima vi è il “dono”, trasgressione massima al capitalismo. La scelta è tra società del dono o società dell’utile. Senza il dono non vi è futuro per nessuno.


Salvatore Bravo

Ernesto Balducci: società religiosa e cristica

La distinzione tra società religiosa e società cristica è una categoria interpretativa con la quale Ernesto Balducci distingue il dominio puntellato dalla religione “mezzo” per giustificare la gerarchia e la reificazione e la figura di Cristo, il quale è stato un rivoluzionario: ha scacciato i mercanti dal tempio e ha rovesciato – con la sua testimonianza – le gerarchie, indicando nella fraterna convivialità l’unico percorso per realizzare e vivere in pienezza la propria e l’altrui umanità. Le gerarchie e la logica acquisitiva/proprietaria estraniano, rendono le soggettività nemiche, veicolano il conflitto quale malinconica normalità dell’infelice convivenza tra gli uomini. Senza indagine critica e razionale non vi può essere l’esodo dalla distruttività del capitalismo.

L’intelligenza competitiva ha realizzato la “società religiosa”: si è in competizione con l’alterità e con se stessi, si è perennemente sotto il giogo dell’illimitato.

La nuova cattiva religione dell’economicismo è lo sgabello del dominio. Il dramma è che non vi è alcun paradigma alternativo nel tempo attuale che possa svelare il carattere clericale del potere della finanza. Si procede a smantellare la cultura critica in modo da omologare l’orizzonte linguistico: tutto dev’essere come la notte in cui le vacche sono tutte nere. L’indistinguibile consente all’ideologia della finanza di rappresentarsi come l’unica verità possibile. Ci si inchina all’altare del valore di scambio: oltre la finanza che si è impiantata nel cuore e nella mente non vi è altro. In tempi in cui l’antiumanesimo è prassi ordinaria, la rilettura dei testi di Ernesto Balducci può riattivare le energie sopite dalla plumbea condizione storica attuale. Francesco d’Assisi, nell’opera di E. Balducci, è l’uomo nuovo:

«Ma nel concedere a Francesco quanto chiedeva, Onorio non intese affatto annullare l’‘indulgenza d’oltremare’, che anzi, tornato a Roma con la sua curia, rimise in moto la macchina organizzativa e propagandistica delle crociate. Il 23 gennaio 1217 scrisse ai fedeli della Lombardia e della Toscana una lettera nella quale la sconcertante teologia del suo predecessore è condotta al limite: il sangue di Cristo vi appare ridotto a un titolo catastale».[1]

Francesco d’Assisi ha insegnato una eterna verità: l’uomo nuovo è l’uomo conviviale, non domina il mondo, il suo sapere non è potere che trasforma, stupra e saccheggia il creato, ma è ascolto, “creatura tra le creature”, vive una razionalità oceanica in cui la vita ritrova la parola. La libertà non è nell’accumulo crematistico, ma nell’uscire dal mondo per testimoniare la convivialità cosmica.

Francesco d’Assisi di E. Balducci non è una biografia, ma in controluce è una radicale critica alla società contemporanea e alla chiesa cattolica che ha posto la conservazione al centro e non certo Cristo. La Chiesa ha utilizzato Cristo come “un titolo catastale”, un mezzo per giustificare “equilibri sociali” e riscuotere interessi sul titolo “Cristo” quotato nel borsino del mondo. Problema annoso, vi è un chiesa invisibile e una chiesa pronta a schierarsi con i poteri forti.

La libertà in Francesco d’Assisi

Francesco d’Assisi è l’uomo nuovo di ogni epoca, figura carsica pronta a materializzarsi in ogni tempo, è l’uomo nella sua purezza etica che spezza la violenza del valore di scambio.

Ernesto Balducci lo spoglia del titolo di “Santo”: non è l’uomo di una religione o di un’epoca, ma è l’uomo profondo e universale, travalica i confini e le categorie religiose e ideologiche per essere “semplicemente un uomo”:

«La “libertà della gloria” non è una semplice condizione di libertà psicologica, quella, ad esempio, concessa ai poeti, che anche loro rendono accessibili i segreti delle cose (ma si tratta di segreti, per così dire, sul nostro versante, che dilatano l’orizzonte del sentimento senza sradicarlo dal suo centro), è un abitare nel mondo ma dal lato di Dio, e cioè dal lato da cui le cose si vedono prima che entrino dentro la parabola entropica che le porta alla consunzione. Ecco perché Francesco aveva riguardo per le cose inanimate, e parlava con loro ottenendone obbedienza per via di persuasione e non con l’imperio del taumaturgo».[2]

La libertà è relazione con gli esseri animati e inanimati, è lasciare che essi vivano e muoiano nella loro pienezza ontologica. Ritrarsi dall’uso, perché il mondo sia è la legge della libertà. Se non si rende l’altro libero non si è liberi. La libertà rompe il circuito entropico delle dipendenze: usare l’altro come mezzo significa dipendere e nello stesso tempo negarsi. L’essere umano è relazione d’ascolto. Chi non concepisce che l’utilizzo porta il silenzio nella sua esistenza. La violenza germina nel silenzio dell’altro. La libertà è polifonica, si spengono in essa la tracotanza degli oratores, e al suo posto gemmano le parole e le voci nell’incontro, si è umili nella libertà della convivialità:

 «La vera radice di questa filosofia è la “libertà”. “Il sommo studio di Francesco era l’esistere libero da tutte le cose di questo mondo” (1 Cel, 71). In quanto è una forma di possesso, la scienza, al pari di ogni altra ricchezza, imprigiona lo spirito in uno stato di dipendenza dalle cose che si sanno, e cioè da quel patrimonio di cognizioni e di abilità che accomuna nel medesimo privilegio il ceto dei dotti, chierici o laici, e apre nella società la discriminazione fra i letterati e gli ‘idioti’».[3]

La libertà è concreta, poiché Francesco d’Assisi è egli stesso “porziuncola”, si rende “piccolo”, affinché il creato possa svelarsi nel suo volto: nulla è separato, ma tutto è in relazione. La condivisione comunitaria non è solo una prospettiva, un “sentire misticheggiante”, ma è l’adesione alla verità della natura, in essa tutto è relazione, nulla è separato. L’essere umano è parte viva dell’unità, la felicità è nel vivere la totalità dinamica:

«Nel far uso di questa sua capacità di stringere accordi con le creature, l’intento di Francesco era di riconciliare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, quelle animate e quelle inanimate, spezzando le pareti di separazione, anche quelle create dall’istinto sacrale. La nascita di Gesù gli sembrava, nell’ottica della fede, il vero momento della festa cosmica. Come alla Verna l’umanità del Cristo crocifisso, sciogliendosi dalle regali raffigurazioni bizantine, si impresse in modo misterioso nella stessa carne di Francesco e tornò ad essere, anche nella tradizione devota, l’emblema dell’umanità sofferente, così a Greccio per volontà di Francesco, una volta tanto, la liturgia clericale del Natale ritrovò la verità umana, sociale e fisica della nascita di Gesù».[4]

La festa cosmica non è arretramento nell’arcaico o nell’animismo, ma è la comunione del sentire soffocata e vilipesa dalla sovrastruttura acquisitiva.

Dono e profondità

Nulla fa più paura all’essere umano che la sua profondità. In quell’abisso vi è il male, ma vi sono le sorgenti della verità e del bene che abbattono l’utilitarismo mercantile che divora le vite e le curva al solo valore di scambio. Nella profondità dell’anima vi è “il dono”, trasgressione massima al capitalismo e inibita con la pervasiva logica del calcolo:

“I suoi rapporti di fraternità con le creature non sono da intendere come giochi poetici, ma come esperimenti vissuti di un possibile rapporto tra l’uomo e il suo ambiente vitale. Essi ci suggeriscono non un regresso verso l’arcaico, ma uno spostamento dell’esistenza in profondità, lungo l’asse ontologico. I rapporti economici della società di mercato, questo voglio dire, non vanno demonizzati come a volte sembrò fare lo stesso Francesco. In base alla divisione del lavoro lo scambio dei prodotti mira a realizzare l’utile per il maggior numero di persone possibile, come è nelle esigenze dell’uomo in quanto essere sociale. Ma nel regime reale dell’economia, che cosa avviene? Avviene che le cose si allontanano sempre di più dal loro valore di uso, di oggetti di bisogno, e acquistano il valore di scambio, nel quale la cosa, diventata merce, non è più l’equivalente di se stessa, ma tanto vale quanto è stabilito dalla misura di scambio che è il denaro. Questa mercificazione esce di controllo e assume per suo conto il controllo di tutto, arrivando ad incidere nella stessa modalità percettiva con cui l’uomo si mette in diretto rapporto con le cose, le quali perdono ai suoi occhi la loro nativa consistenza e la loro possibilità di rispondere al suo bisogno».[5]

Nel dono si rivela “Dio nell’uomo” e “l’uomo in Dio”: concetti che si sottraggono ad ogni sterile e vacua categorizzazione. La definizione geometrica è una forma di dominio a cui bisogna rinunciare, perché dio e l’uomo possano essere nella parola, ma nel contempo il disvelamento è inesauribile, non è contenibile in formule da usare per una “società religiosa”. Ernesto Balducci ricorda in L’uomo planetario nel 1943 in Groenlandia[6] la nave Dorchester colpita da un siluro tedesco, quattro cappellani militari: un rabbino, un sacerdote cattolico e due pastori evangelici avevano ceduto la loro cintura di salvezza ad altri. Decisero di legarsi l’un l’altro e di lasciarsi cadere nell’abisso insieme, mentre pregavano. Questa immagine non ha mai abbandonato Ernesto Balducci. Il dio del dono è nella testimonianza vivente dei quattro cappellani che si donano per vivere l’eternità e l’abbondanza della vita. Senza il dono non vi è salvezza, ma solo il contrarsi del tempo nella violenza dell’isolamento e dell’astratto nel quale tutto muore. Il bivio a cui siamo giunti è la scelta tra società del dono o dell’utile, senza il dono non vi è futuro per nessuno.

Salvatore Bravo

[1] Ernesto Balducci, Francesco d’Assisi, Giunti Editore, 2014, p. 96.

[2] Ibidem, p. 136

[3] Ibidem, p. 107

[4] Ibidem, p. 142

[5] Ibidem, p. 135

[6] Ernesto Balducci, L’uomo planetario, Giunti Editore, 2005, p. 64.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti
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Federica Piangerelli – Rodolfo Mondolfo, Conoscenza e sentimento in J.-J. Rousseau. Libera personalità, principio di libertà e spirito comunitario

Rodolfo Mondolfo,

Conoscenza e sentimento in J.-J. Rousseau. Libera personalità, principio di libertà e spirito comunitario

ISBN 978-88-7588-325-6, 2022, pp. 88,  Euro 10 – Collana “Il giogo” [146].

indicepresentazioneautoresintesi


https://www.unimc.it/filosoficamente/libri-approfondimenti/mondolfo-conoscenza-e-sentimento-in-j-j-rousseau
https://www.unimc.it/it/unimc-comunica/news/uninova

Federica Piangerelli

 

Rodolfo Mondolfo,
Conoscenza e sentimento in J.-J. Rousseau.
Libera personalità, principio di libertà e spirito comunitario

 

Nel 1924, un anno prima di firmare il Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce, Rodolfo Mondolfo pubblica, per la Casa Editrice Cappelli, Introduzione a Rousseau, preposta al testo di Jean-Jacques Rousseau, Discorsi e contratto sociale. Nel 1972, quattro anni prima della morte di Mondolfo, l’Editore propone una nuova ristampa del testo, comprensiva anche della “Nota bibliografica”, della “Premessa alla seconda edizione” del 1931, della curatela e della traduzione dei testi roussoviani (Discorso sulle scienze e le arti, Discorso sulla disuguaglianza, Contratto sociale), tutti a cura dello studioso originario di Senigallia. Il merito dell’Editrice Petite Plaisance è avere ridato alle stampe, a cinquant’anni di distanza dall’ultima edizione, le preziose pagine scritte da Mondolfo, nelle quali il lettore può cogliere tanto lo spirito essenziale quanto la posizione storica dell’intera opera di Rousseau, per riconoscere ciò che ancora vi è di “vivo e immortale” nella sua dottrina.

La riflessione di Mondolfo inizia con il sottolineare quanto l’“indomabile fierezza” del filosofo di Ginevra sia stata forgiata anche e soprattutto dalle sue vicende biografiche. Nel primo capitolo, infatti, La vita e l’indole di Rousseau, lo studioso insiste sull’importanza degli anni errabondi della giovinezza, dirimenti per la formazione culturale roussoviana. Di particolare rilevanza è l’incontro, nel marzo del 1728, con Madame de Warens, in seguito al quale, oltre ad abiurare il protestantesimo per convertirsi al cattolicesimo, Rousseau si dedica allo studio intenso della musica e della filosofia. Mondolfo, infatti, nota che proprio in questi anni prendono forma alcuni dei pilastri teorici del suo sistema di sapere, nonché del suo orientamento spirituale: il sentimento vivo e profondo della natura, presentato come una stabile conquista dello spirito, che si declina in una antitesi netta e strutturale tra la natura e l’opera degli uomini.

Il significato del “richiamo alla natura”, che costituisce uno dei motivi fondamentali dell’opera roussoviana, è indagato da Mondolfo nel secondo capitolo (Il richiamo alla natura). In queste pagine, infatti, lo studioso insiste sulla lotta intrapresa da Rousseau contro una cultura ingombrante, che non resta solo esteriore allo spirito, ma, in modo più incisivo, lo soffoca: proprio allo spirito, quindi, il filosofo ginevrino vuole restituire libertà e dignità. A questo proposito, inoltre, Mondolfo mostra, con chiarezza, che l’intento di Rousseau non è la negazione dell’humanitas, ma la rivendicazione dell’interiorità, ovvero della dignità della natura umana. A fronte di tali riflessioni, però, lo studioso si pone anche un interrogativo dirimente: l’uomo che Rousseau esalta è “l’uomo della natura” o “l’uomo della civiltà sociale”? Attraverso l’esame di opere centrali, quali il Discorso sulla diseguaglianza, l’Emilio e il Contratto sociale, Mondolfo delinea una risposta brillante nella sua profondità teorica: la rivendicazione della propria interiorità non implica un rifiuto della stessa, ma si traduce in una dura critica contro una cultura corrotta e superficiale, che sacrifica la sostanza alle apparenze, la grandezza intellettuale e morale alla moda e ai successi. Per il ginevrino, infatti, la vera natura umana non si rigenera distruggendo la società e tornando a vivere nei boschi – questa, piuttosto, è la posizione dei suoi avversari –, ma seguendo quella “voce divina” che evoca l’intero genere umano alla “luce e alla felicità delle intelligenze celesti”. In altre parole, secondo Rousseau, lo stato sociale è una conquista che non può essere messa in discussione, perché il nemico da combattere è la perdita della consapevolezza di sé.

Nel terzo capitolo (La rivendicazione dell’interiorità: il sentimento), infatti, Mondolfo riflette sul nucleo concettuale della filosofia roussoviana: la rivendicazione dell’interiorità, intesa come l’origine dell’amore per la natura. Sulla base di tale convinzione, il ginevrino fonda un “nuovo soggettivismo”, che non è più uno “spiccato intellettualismo”, alla stregua di tutta la filosofia moderna, ma proclama la superiorità del sentimento sulla ragione. In tal senso, dunque, lo studioso mostra come il monito “conosci te stesso”, di socratica memoria, acquisti un rinnovato valore nel pensiero di Rousseau, perché da critica dell’intelletto si fa sicurezza e genuinità dell’istinto, che, per l’individuo, comporta un “tuffo nell’infinito, con uno slancio mistico nella propria interiorità”. Su questo terreno, quindi, si innesta un significativo slittamento teorico: mentre per gli Enciclopedisti l’unità si guadagna inquadrando lo spirito nella concezione del mondo esteriore, per Rousseau, tale unità si afferma in quanto la natura stessa palpita dentro di noi, nell’intimo sentimento della nostra vita. Mondolfo, allora, comprende che questo riorientamento dell’angolo visuale, dall’esterno all’interno del soggetto, equipara il “richiamo alla natura” con il “richiamo al sentimento della propria interiorità e personalità”: tornare in sé stessi per sentire l’unità dell’intero universo.

Secondo il Filosofo, infatti, tale aspirazione all’interiorità, per quanto sia un conato verso la libertà, non esprime affatto una tendenza individualistica, come è chiaramente indicato nel quarto capitolo, La coscienza e l’amor di sé: moralità e personalità. Qui, Mondolfo rimarca la fondamentale distinzione proposta da Rousseau tra l’egoistico amor proprio, che è l’artificioso prodotto delle relazioni sociali, e l’amor di sé, ovvero la tendenza naturale e spontanea all’affermazione e allo sviluppo della propria personalità, che implica lo strutturale nesso dialettico tra sé e gli altri: al di sopra di ogni lotta e contrasto, questo si dà nei “rapimenti mistici” in cui il singolo si fonde nel “sistema degli esseri” e sente palpitare in sé l’umanità.

 

Rimane, tuttavia, una importante questione da spiegare, vale a dire la dinamica che regola i nessi tra la rivendicazione della libertà individuale e le condizioni della vita associata civile. In breve, si tratta di capire se e come sanare l’urto tra la natura e la cultura. In questo senso, Mondolfo mostra che tale “scontro” presenta, per Rousseau, una duplice declinazione risolutiva: nell’Emilio, per quanto concerne l’educazione del singolo, nel Contratto sociale, per quanto riguarda la costituzione della società politica. In entrambe, trova posto la concezione dello “sviluppo integrale” dell’umano, che poggia sul costante equilibrio tra la sfera individuale e la dimensione collettiva e, soprattutto, presuppone una pedagogia distante da una “educazione negativa” e da un “metodo inattivo”. Per il Filosofo, infatti, ogni processo di formazione, per essere efficace, deve fare proprio il principio socratico della maieutica: la conoscenza non è una pura ricezione passiva, ma una creazione attiva, perché “conoscere è fare”.

Negli ultimi due capitoli del libro, Mondolfo valorizza l’originalità del pensiero di Rousseau rispetto all’intera storia della filosofia. Per esempio, in La libertà e il diritto naturale. I precedenti storici e la teoria di Rousseau, lo studioso insiste sul fatto che nessuno filosofo, dall’Antichità alla Modernità, passando per il Medioevo, è stato capace di raggiungere la profondità della riflessione roussoviana intorno alla libertà, ma, come nota anche Hegel, solo con Rousseau il principio della libertà ha trovato “la sua aurora”. In queste pagine, quindi, lo studioso di Senigallia, oltre a riprende la nozione di libertà come “esigenza dell’interiorità”, rimarca la portata morale della stessa. Stante la priorità del sentimento sulla ragione, della valutazione sulla conoscenza, Mondolfo, infatti, ribadisce quanto la libertà rappresenti l’esigenza etica fondamentale della vita dello spirito, senza tralucere nel sentimento particolaristico dell’amor proprio, ma in quello universalistico dell’amor di sé. Per Rousseau, la scoperta della libertà interiore è il ponte dall’io individuale all’io comune, dalla volontà di ognuno alla volontà generale.

Da tale assunto muove la riflessione proposta nel sesto e ultimo capitolo, La volontà generale e il contratto sociale. Lo sviluppo del contrattualismo sino a Rousseau e la posizione di lui nella storia moderna, in cui Mondolfo ragiona intorno ai meccanismi sottesi alla costruzione della “volontà generale”. Questa, infatti, non si ottiene per la semplice mancanza di contrasti tra le volontà dei singoli, ma, in modo più impegnativo, per la loro fusione e nel trasferimento in una “persona comune ideale” delle esigenze, delle norme e dei poteri che, per natura, ineriscono ad ogni singola persona: questo è l’atto di nascita del “contratto sociale”, che il filosofo di Ginevra teorizza per rispondere ad una profonda esigenza della collettività. A questo proposito, con un ulteriore excursus nella storia del pensiero, dall’età antica a quella moderna, lo studioso sottolinea la novità di tale dinamica e nota, soprattutto, che non sempre appare nei precedenti teorici del contrattualismo.

A conclusione di questo cursorio attraversamento del testo Conoscenza e sentimento in J.-J. Rousseau. Libera personalità, principio di libertà e spirito comunitario, è legittimo ribadire, con maggiore consapevolezza teorica, il merito dell’Editrice Petite Plaisance per offrire al lettore l’occasione di conoscere, approfondire e apprezzare la grandezza e la potenza del sistema di sapere roussoviano, per tramite della rigorosa rielaborazione non di un semplice studioso di filosofia, ma di un autentico filosofo esso stesso, quale è Rodolfo Mondolfo.

Federica PIANGERELLI


Rodolfo Mondolfo è stato uno dei maggiori studiosi di filosofia antica. Ha insegnato nelle Università di Torino e di Bologna. Nel 1925 è tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Nel 1939, a seguito delle leggi razziali promulgate dal fascismo, si trasferisce in Argentina, dove ha insegnato nelle Università di Córdoba e di Tucumán. In Argentina è morto a Buenos Aires. Tra le sue opere: Il materialismo storico in F. Engels (1912); Sulle orme di Marx (1919); L’infinito nel pensiero dei Greci (1934); Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia (1935); La comprensione del soggetto umano nella cultura antica (1955); Il pensiero politico nel Risorgimento italiano (1959); Cesare Beccaria (1960); Da Ardigò a Gramsci (1962); Il concetto dell’uomo in Marx (1962); Umanismo di Marx. Studi filosofici (1908-1966); Il contributo di Spinoza alla concezione storicistica (1970); Polis, lavoro e tecnica (1982). Nel 2010 Petite Plaisance ha pubblicato, con introduzione di Giovanni Casertano, Gli albori della filosofia in Grecia, e nel 2020 Alle origini della filosofia della cultura e Moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro.


Sommario

Nota editoriale

Prefazione alla prima edizione

Nota bibliografica

Premessa alla seconda edizione

La vita e l’indole di Rousseau

Il richiamo alla natura

La rivendicazione dell’interiorità: il sentimento

La coscienza e l’amor di sé: moralità e personalità

La libertà e il diritto naturale.

I precedenti storici e la teoria di Rousseau

La volontà generale e il contratto sociale.

Lo sviluppo del contrattualismo sino a Rousseau e la posizione di lui nella storia moderna


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Bell Hooks – Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza». L’educazione come pratica della libertà ci insegna a fare comunità perché insegniamo e viviamo immersi nella vitalità trasformativa che scaturisce dalle diverse comunità di resistenza.

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Familiari dei “condannati a morte nelle Rsa italiane”, e contributi di Laura Campanello, Alessandra Filannino Indelicato, Fabio Galimberti, Franca Maino, Lorena Mariani, Linda M. Napolitano Valditara, Gianni Tognoni, Silvia Vegetti Finzi, La tragedia di essere fragili. Filosofia biografica per una nuova cultura della vecchiaia, a cura di Alessandra Filannino Indelicato


Familiari dei “condannati a morte nelle Rsa italiane”

e contributi di

Laura Campanello, Alessandra Filannino Indelicato, Fabio Galimberti,
Franca Maino, Lorena Mariani, Linda M. Napolitano Valditara,
Gianni
Tognoni, Silvia Vegetti Finzi

La tragedia di essere fragili

Filosofia biografica per una nuova cultura della vecchiaia

a cura di Alessandra Filannino Indelicato

ISBN 978-88-7588-367-6, 2022, pp. 208, Euro 15.

In copertina: Alfredo Pirri, Facce di gomma, latice in gomma, cotone, tempera, 1992.

indicepresentazioneautoresintesi





Mamma,

ho sognato che non avevi perso la memoria e ti ricordavi chi ero.

Oggi lo sai cosa è successo e speravo di sentirti ma ti sogno solo.

In questi giorni sognavo te nell’ospedale nella RSA che non stavi bene e mi svegliavo male la mattina. Non volevo scriverti perché mi viene da piangere. Oggi ho ritirato la notifica dal tribunale, c’è scritto che l’Rsa non ti ha ucciso e io sto male e sono sola. […]

Una pubblicazione che prende una netta posizione rispetto alle ingiustizie subite dai familiari di molti ricoverati durante la pandemia, condannati a morte in alcune, moltissime, Rsa italiane. Incapacità di affrontare una crisi che ci ha coinvolti tutti, per ragioni storico-culturali molto complesse, ragioni a cui si tenta di dare voce in chiave filosofico-biografica, per spiegare (senza esaurire o ridurre) la più grande tragedia della nostra società contemporanea: quella di essere fragili, e anche quella di essere vecchi. Dando voce a chi ha subito ingiustizia e si trova ancora costretto all’anonimato, ancora costretto in una posizione di estrema impotenza, questa pub­blicazione è anche una raccolta di lettere-testimonianze dei familiari e vuole essere un monito. Un monito di speranza e di luminosa instancabile indomabile presenza e anelito alla lotta per la verità di chi la sua verità non può ancora dirla, nel compito della memoria di chi è morto nel silenzio generale. Un monito verso la non indifferenza individuale e collettiva che scuota le coscienze affinché si costruisca un sistema migliore di quello di cui tutti siamo stati inermi e terribili testimoni





Le lettere

Sono quasi due anni che te ne sei andata

La prima cosa che vorrei sapere

Eri tu quella farfalla arancione

“Mammina” – come ti chiamavo …

Ho sognato che non avevi perso la memoria

Sono due anni che siamo lontane

Come stai? Non è facile scriverti una lettera

Ti ricordi mamma?

Anche febbraio sta volgendo al termine

Proprio l’altro giorno, per Natale

Sei sempre stato un uomo forte

Così sei stata accolta

Scrivo a ruota libera

Quanto mi sei mancato

Quando finalmente

Tra te e me si è imposta la malattia

Una eccezione. L. se n’è andata



Gli autori dei contributi

Gianni Tognoni, vecchio (1941) ricercatore, con un retroterra di teologia e filosofia, e laurea in medicina, pensionato sempre attivo, dopo più di 40 anni di attività nell’Istituto Mario Negri (di Milano, e per 12 anni nella sede ora chiusa in Abruzzo), con contributi anche internazionalmente riconosciuti come innovativi nel campo della metodologia e dell’etica della sperimentazione clinica e della epidemiologia comunitaria. Ha pubblicato fin troppo , in campo strettamente scientifico e non, in inglese, spagnolo, italiano, con tracce facilmente ritrovabili anche recentemente su siti come Volere la Luna ed Altreconomia.
Dal 1979, nella sua vita parallela e assolutamente di riferimento, è Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.

Fabio Galimberti, laureato in Scienze Pedagogiche, è analista filosofo. Prima falegname, da vent’anni lavora come operatore di base in una Rsa. Si interessa di lingua locale, cultura tradizionale e botanica popolare della Brianza e della Lombardia alpina, con la pubblicazione di articoli, saggi e organizzando corsi, cammini e visite guidate.

Silvia Vegetti Finzi è psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia, della famiglia e della scuola. Ha condiviso per molti anni il lavoro intellettuale e l’impegno sociale con il marito Mario Vegetti, storico della filosofia antica. Dal 1968 al 1971 ha partecipato alla vasta ricerca sulle cause del disadattamento scolastico, promossa dall’Istituto IARD (F. Brambilla) e dalla Fondazione Bernard Van Leer di Milano. I suoi maggiori contributi hanno riguardato la storia della psicoanalisi, nonché lo studio delle problematiche pedagogiche da un punto di vista interdisciplinare, facendo rife­rimento soprattutto alla psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza ed alla psicoanalisi. I suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo, greco e albanese. Dal 1975 al 2005 è stata docente di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Pavia. Nel 1990 è stata tra le fondatrici della Consulta di bioetica. Ha fatto parte del Comitato Nazio­nale di Bioetica, dell’Osservatorio Permanente sull’Infanzia e l’adolescenza di Firenze, della Consulta Nazionale per la Sanità. È membro onorario della Casa delle donne di Milano e vice-presidente della Casa della Cultura di Milano. Nel 1998 ha ricevuto, per le sue opere sulla psicoanalisi, il premio nazionale “Cesare Musatti” e per quelle di bioetica il premio nazionale “Giuseppina Teodori”.

Linda M. Napolitano Valditara è professoressa ordinaria di Storia della filosofia antica (in pensione dal 2021). Ha insegnato negli Atenei di Padova, Trieste e Verona. Studia soprattutto Platone, la letteratura greca, i modi del formarsi del sapere-comunicare nel mondo antico e la loro ripresa odierna (filosofia della cura, dialogo socratico). A Verona, quale responsabile, tuttora, del Centro Dipartimentale di Ricerca “Asklepios. Filosofia della salute”, studia le forme di teoria e pratica della cura (Medicina Narrativa e Terapia della Dignità), interagendo con strutture e figure sanitarie del territorio. Studi: Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i Dialoghi di Platone, 2010; Pietra filosofale della salute. Filosofia antica e formazione in medicina, 2012; Prospettive del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, 20132; Virtù, felicità e piacere nell’etica dei Greci, 2014; Il dialogo socratico. Fra tradizione storica e pratica filosofica per la cura di sé, 2018; Filosofi sempre. Immagini dalla filosofia antica, 2021; con C. Chiurco: Senza corona. A più voci sulla pandemia (2020). Ha curato il volume collettaneo Curare le emozioni, curare con le emozioni (2020).

Lorena Mariani, Direttrice dell’Area Infermieristico – Assistenziale della Rsa Convento di S. Francesco della Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano. Esperta della cura della persona in età senile e appassionata di socio sanitario, crede nella potenzialità dei sistemi di cura integrati e nei risultati che tali atteggiamenti virtuosi producono. Si occupa di formazione, collaborando con le principali agenzie formative del territorio della Provincia di Lucca e della Toscana, svolgendo docenze nell’area sanitaria, tecnico assistenziale e sociale, come esperto di settore. Sovrintende a tutte le questioni socio sanitarie e di prevenzione che riguardano i servizi sanitari e sociali svolti dalla Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano ed è il punto di riferimento della stessa Misericordia per tutte le problematiche igienico sanitarie e di sicurezza riguardanti la pandemia Covid-19. Ha pubblicato il libro Il manuale: buone pratiche in Rsa, ed. Spazio Spadoni, 2021.

Laura Campanello, laureata in filosofia e specializzata in pratiche filosofiche e consulenza pedagogica. Collabora con la Scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano “Philo” ed è consulente etica nelle cure palliative e nell’ambito della malattia e del lutto. Nel corso della sua carriera ha studiato e approfondito il tema della felicità attraverso la pratica filosofica e la psicologia analitica e scrive di questi temi per il “Corriere della Sera”. È inoltre Presidente dell’Associazione di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (Sabof). Tra le varie pubblicazioni, si ricorda: Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita, Mondadori, 2020; Leggerezza. Esercizi filosofici per togliere peso e vivere in pace, Bur Rizzoli, 2021; Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte, Mursia, 2013.

Franca Maino dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare ed è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”, “Politiche Sanitarie e Socio-sanitarie”, “Welfare State and Social Innovation”.

Alessandra Filannino Indelicato è una ricercatrice in generale, nella vita, attualmente impiegata presso l’Università di Milano-Bicocca. Esperta di Pratiche Filosofiche e Gestalt counselor, lavora per vocazione nel campo dell’ermeneutica delle tragedie greche e della filosofia del tragico, offrendo corsi, seminari e consulenze individuali e di gruppo. Nel 2022 ha contribuito con “Pace gattesca” alla raccolta Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo Vademecum per la pace, Anima Mundi Edizioni. Per l’Editrice Petite Plaisance è anche Direttrice della collana “Coralli di vita”. Nel 2019, per Mimesis, ha pubblicato Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco, e nel 2022, per Petite Plaisance, Apologia per Scamandrio o dell’abbandono. Contributi di Iliade VI a una filosofia del tragico.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Come alberi, è necessario attingere alle sorgenti di linfa rimaste vive; un nuovo germoglio, più basso, un nuovo germoglio sordamente perfora la dura scorza, un germoglio venuto dall’interno e dal profondo, dall’interno durevole dell’albero, emissario segreto.

Le immagini e le metafore della filosofia ci accompagnano nel nostro cammino accidentato nel quale la speranza è la prassi da cui germogliano la resistenza e le idee per un nuovo mondo che potrebbe venire a noi, se distogliamo l’attenzione dall’indifferenza dei nostri giorni e dalle macchinazioni delle logiche di dominio.

Il potere, nella forma del dominio produce servi; questi ultimi affinano la loro azione nella ricerca di schiavi da sottomettere. I servi sono alla ricerca di schiavi per sopportare la condizione di sterili adulatori. La mortificazione che ne consegue, per tutti a tale vista, è uno scoramento che si infrange contro la dura realtà del niente. In un periodo storico in cui i giochi del dominio sembrano prevalere sulla speranza e sul logos, le immagini e le metafore possono indicarci il movimento razionale ed emotivo da tenere, mentre tutto sembra accadere fatalmente, al punto da sembrarci che non vi è bivio alcuno.

Dove vi è speranza vi è scelta, si è sempre ad un bivio, il quale non è semplice condizione spaziale, ma postura della coscienza che si spazializza in agire e prassi. L’agire, nel rispetto etimologico del termine “agere”, è libertà, è un nuovo inizio. Il novus che si presenta a noi non è mai senza storia, ma è la linfa dell’esperienza storica divenuta concetto. La forza plastica e creatrice del logos ripensano il già stato, per portarlo a noi in forma di concetto. Non si tratta di semplice attività finalizzata a duplicare il già stato, ma dalla profondità della linfa storica il discernimento consente di abbandonare possibilità regressive per ricreare in forme nuove il già stato, in tal modo si è ad un bivio: è necessario scegliere tra forme regressive che inducono e conducono all’indifferenza e la responsabilità del nuovo che si associa al timore del rischio. Non vi sono percorsi posti per sempre in sicurezza, ma solo il cammino responsabile può evitare tragedie e sclerotizzazioni nefaste.

Il percorso è arduo, l’attimo più difficile ed esteso consta della capacità di scendere nella profondità della storia dello spirito per ritrovare il senso smarrito. Sono processi in cui il singolo non riscopre semplicemente la sua storia, ma sente il suo esserci al mondo come “comunitario”, in lui vive e germina una storia più grande che spontaneamente dona ed indica la scelta, sta a lui ascoltarla. Nulla è più difficile e grande che l’ascolto. L’Umanesimo è pensiero che si riorienta nell’ascolto che trascende i limitati orizzonti individualistici per nuove prospettive comunitarie.

Charles Péguy ci dona una metafora eterna, oggi più vera che mai, poiché nei periodi storici in cui il tatticismo becero e l’adulazione più volgare sembrano prevalere sulla verità e l’ateismo sembra trionfare, tale metafora è più fortemente vera. L’ateismo è disperazione che si ribalta in indifferenza, se non vi è verità, tutte le prospettive sembrano eguali e non si può che naufragare nell’indifferenza e nella violenza del politicamente corretto con i suoi applausi bugiardi. Dinanzi all’ateismo che mostra ancora una volta il suo volto nichilistico nel quale le parole e i volti sembrano oscurarsi nell’omologazione per lasciarci in una cupa disperazione limitrofa all’indifferenza Charles Péguy ci offre una metafora su cui meditare e che ci può essere di ausilio per far emergere la speranza quale prassi viva del pensiero:

 “Quando in un albero, generalmente in un vegetale arbusto o arborescente, per una ragione qualunque, gelata, colpo di gelo, colpo di vento, colpo di sole, trauma, siccità, un germoglio abortisce, […] essa abbandona al suo destino di sterilità la cima agonizzante; essa fa una sussunzione, una profonda esaltazione, una assunzione, una ripresa; essa riprende più in profondità: un nuovo germoglio nasce sotto il primo, spesso molto più sotto, spesso tanto sotto al primo quanto gli è necessario per attingere alle sorgenti di linfa rimaste vive; un nuovo germoglio, più basso, un nuovo germoglio sordamente perfora la dura scorza, un germoglio venuto dall’interno e dal profondo, dall’interno durevole dell’albero, emissario segreto[1]”.

Come alberi nella tempesta dobbiamo scendere nella profondità di noi stessi e ritrovare la linfa duratura con la quale creare il nuovo. Senza fondamenta profonde non vi è comunità, ma non vi è neanche l’individuo il quale si disperde nelle contingenze e nelle funzioni burocratiche.

 

Prospettive

Viviamo in pieno nichilismo e dimenticanza. Ma malgrado la desertificazione della vita e delle idee, come in un deserto che attende pioggia per germogliare sotto lo strato di sabbia del presente, radici profonde continuano a vivere e ad attendere ascolto e parole. Il chiasso dell’adulazione rende sterili, in quanto l’ascolto si oscura per la sola parola servile disponibile a vivere in superficie e a lasciarsi esiccare dalle contingenze. La profondità è olistica, insegna a mirare il mondo nello stupore delle prospettive che si completano. Fuori della caverna muschiosa le prospettive sono l’humus per il pensiero libero da clericalismi di ogni genere. Alla disperazione della prospettiva unica che diviene caverna e tomba a camera senza uscita, bisogna opporre la profondità che tocca la terra per innalzarsi al cielo delle possibilità malgrado resistenze e ramificate sconfitte, solo nella pluralità delle prospettive capaci di ritrovare il comune fondamento è possibile uscire dalle prigioni del politicamente corretto e dalla ridda degli opportunismi senza futuro e pensiero:

 

“La realtà non è proprio fatta in prospettiva né esaurita da una prospettiva, tanto quanto un paesaggio non è fatto in prospettiva né esaurito da una prospettiva. Qui come là, e giustamente perché il paesaggio stesso è una realtà, un frammento della realtà, una sorta di realtà, una parte integrante della realtà, qui come là è necessaria almeno, in prima battuta, un’infinità di prospettive; e è necessario inoltre uscire da là, è necessario in seconda battuta uscire da tutta(e) la(e) prospettiva(e), uscire dall’ordine stesso della prospettiva e delle prospettive, provare a contemplare con un tutt’altro sguardo[2]”.

 

Prima di riprendere la lotta impariamo a vivere l’ispirazione di paesaggi che abbiamo smesso di guardare per la cappa depressiva della logica crematistica dei banchieri che infettano i pensieri comunitari e l’impegno oblativo, cioè (come si può anche semplicemente leggere in un vocabolario della lingua italiana) del livello più alto dello sviluppo affettivo, contraddistinto dalla capacità di amare e di offrire liberamente senza contropartite.

[1] Ch. Péguy, Brunetière, Edizioni Milella, Lecce 1988,in OPC II, pag. 583

[2] Ch. Péguy, À nos amis, à nos abbonés, in OPC II, p. 1294


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Julian Assange – «La domanda che dobbiamo porci è quale tipo di informazione sia importante nel mondo, quale tipo di informazione può realizzare le riforme». Cerimonia di consegna tessera onoraria al giornalista Julian Assange, perseguitato politico, rinchiuso in carcere di massima sicurezza a Londra.

La domanda che dobbiamo porci è quale tipo di informazione sia importante nel mondo, quale tipo di informazione può realizzare le riforme. Esiste una montagna di informazioni. Le informazioni che le organizzazioni con un grosso sforzo economico stanno cercando di occultare, è un segnale molto positivo che dice che quando l’informazione viene a galla, c’è una speranza di fare qualcosa di buono.

J. Assange


Julian Assange è il fondatore di Wikileaks, il sito giornalistico che riceve da fonti anonime e rende disponibili al pubblico documenti catalogati come confidenziali o segreti da governi, organizzazioni internazionali, imprese multinazionali. Ha ricevuto il premio Amnesty International per i Nuovi Media nel 2009, la medaglia d’oro della Sydney Peace Foundation, il premio Walkley per il Giornalismo e il Premio Martha Gellhorn nel 2011. Internet è il nemico. Conversazione con Jacob Appelbaum, Andy Müller-Maguhn e Jérémie Zimmermann (Feltrinelli, 2013) è il suo primo libro, a cui ha consegnato la sua radicale, visionaria lettura del nostro tempo.



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Arianna Fermani – L’eleganza del bene e le seduzioni del male: in dialogo con Aristotele.


Arianna Fermani

L’eleganza del bene e le seduzioni del male: in dialogo con Aristotele

ISBN 978-88-7588-349-2, 2022, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Il giogo” [148]

indicepresentazioneautoresintesi



Arianna Fermani insegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: Vita felice umana: in dialogo con Platone e Aristotele (2006); L’etica di Aristotele, il mondo della vita umana (2012); By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach (2016). Ha tradotto, per Bompiani: Aristotele, Le tre Etiche (2008), Topici e Confutazioni Sofistiche (in Aristotele, Organon, 2016).

Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.
















Arianna Fermani – L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristotele
Arianna Fermani – La nostra vita prende forma mediante il processo educativo, con una paideia profondamente attenta alla formazione armonica dell’intera personalità umana per renderla libera e felice.
Arianna Fermani – L’armonia è il punto in cui si incontra e si realizza la meraviglia. Da sempre armonia e bellezza vanno insieme.
Arianna Fermani – VITA FELICE UMANA. In dialogo con Platone e Aristotele. il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permette di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana
Arianna Fermani – Divorati dal pentimento. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele
Arianna Fermani – Mino Ianne, Quando il vino e l’olio erano doni degli dèi. La filosofia della natura nel mondo antico
Arianna Fermani – Nel coraggio, nella capacità di vincere o di contenere il proprio dolore, l’uomo riacquisisce tutta la propria potenza, la propria forza, la propria dignità di uomo. Senza coraggio l’uomo non può salvarsi, non può garantirsi un’autentica salus.
Arianna Fermani – Fare di se stessi la propria opera significa realizzarsi, dar forma a ciò che si è solo in potenza. attraverso l’energeia, e nell’energeia, l’essere umano si realizza come ergon, si fa opera. Chi ama, nutrendosi di quell’energeia incessante che è l’amore, scrive la sua storia d’amore, realizza il suo ergon, la sua opera. È solo amando che un amore può essere realizzato, esattamente come è solo vivendo bene che la vita buona prende forma
Arianna Fermani – Recensione al volume di Enrico Berti, «Nuovi studi aristotelici. III – Filosofia pratica».
Arianna Fermani – «Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele». Si è felici perché la vita ha acquisito un orientamento, si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice sussistenza. Una vita dotata di senso. Felicità come pienezza, come attingimento pieno del ‘telos’ lungo tutto il tragitto della vita.
Arianna Fermani – «Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato». La speranza “antica”, tra páthos e areté.
Arianna Fermani – Aristotele e l’infinità del male. Patimenti, vizi e debolezze degli esseri umani
Arianna Fermani – Quando il rischio è bello. Strategie operative, gestione della complessità e “decision making” in dialogo con Aristotele. L’assunzione del rischio e la sua adeguata collocazione all’interno di una vita “riuscita” implica la continua individuazione di priorità in vista della costituzione il più possibile armonica dell’esistenza.
Arianna Fermani – «Il concetto di limite nella filosofia antica». L’uomo non è dio, ma la sua vita può essere divina. Divina è ogni vita buona, ogni vita che sia stata ben condotta. Ogni vita umana si costruisce entro lo scenario del quotidiano, è fatta delle piccole cose di ogni giorno e di questa quotidianità si nutre.
Maurizio Migliori e Arianna Fermani – «Filosofia antica. Una prospettyiva multifocale». Questo volume aiuta a tornare, con stupore e gratitudine, alle feconde origini del pensiero occidentale, per guardare finalmente, con occhi nuovi, il mondo e noi stessi.
Arianna Fermani – Il messaggio di Socrate è di una attualità straordinaria. La filosofia, con Socrate, si incarna in uno stile esistenziale, e si esplica in quella insaziabile – e, insieme, appagante – fame di vita e ricerca di senso, che accompagnano il filosofo fino all’ultimo istante dell’esistenza
Arianna Fermani, Giovanni Foresta – «Dalle sopracciglia folte al percorso inarcato dalla rotta superiore dello sguardo, il tempo esprime monumento del vissuto tingendolo di bianco». È un mirare avanti, un protendersi anima e corpo verso il futuro. Questo perché la vera vecchiaia, lungi dall’essere l’età anagrafica, è la mancanza di entusiasmo, è lo spegnersi dei sogni e dei desideri.
Arianna Fermani – La virtù rende buona la nostra vita e, insieme, la salva. Una vita felice, è, dunque, una vita che prospera, ma che pro­spera soprattutto grazie alla virtù, che sa produrre la bellezza e l’armonia. La virtù, in questo quadro, è e deve essere non solo qualcosa di teorizzato, ma qualcosa di “praticato”.


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Paul Gille – L’uomo è un essere pensante, dotato di coscienza e di ragione, capace di concepire e di volere il giusto. Avere un ideale, un’idea sintetica di giustezza e di giustizia, ecco quel che costituisce la nobiltà e la superiorità umana. Vivere solo per se stessi è contro natura, l’indipendenza cinica è un’aberrazione. Tutto si sorregge a vicenda in questo grande organismo che è l’universo; e la solidarietà è un fatto prima d’essere un principio.

Salvatore Bravo

A proposito di Paul Gille

 

Sì, l’uomo è un animale, e, come tale, sottomesso, lo sappiamo anche troppo, a tutte le esigenze, a tutte le necessità fisiologiche della vita animale; ma è anche un essere pensante, un essere dotato di coscienza e di ragione, capace di concepire e di volere Il giusto, in tutti i campi, in tutta l’estensione del termine. Avere un ideale — un’idea astratta, un’idea sintetica di giustezza e di giustizia – ecco quel che costituisce la nobiltà e la superiorità umana.

Vivere solo per se stessi è contro natura, una chimera irrealizzabile e malsana; l’indipendenza cinica è un’aberrazione. È tanto impossibile vivere solo per sé, quanto il vivere soltanto da sé; poiché mille legami visibili e invisibili ci riattaccano al di fuori, irradiano attorno a noi e vanno dall’ambiente a noi e da noi all’ambiente. Tutto si sorregge a vicenda in questo grande organismo che è l’universo; e la solidarietà è un fatto prima d’essere un principio.

Paul Gille

 

L’introduzione di Saverio Francesco Merlino al testo di Paul Gille

Gli ultimi anni di Saverio Francesco Merlino sono poco conosciuti, non si hanno molte notizie in merito. Ciò malgrado, nel 1925 scrive la prefazione al testo dell’amico Paul Gille Abbozzo di una filosofia della dignità umana, edito in Italia nel 1926. La prefazione è doppiamente importante, in quanto è un omaggio ad un amico di lotta, di cui condivide concetti e plessi teorici quali: l’anti-economicismo, il capitalismo come monopolio e la libertà come potenzialità umana da concretizzare con la rivoluzione anarchica. Contro ogni pessimismo e nichilismo Merlino afferma nella prefazione che se l’essere umano fosse una creatura guidata da “sentimenti primitivi” la comunità non sarebbe possibile. Lo sarebbe a condizione di un apparato di difesa esteso che dovrebbe difendere ogni cittadino dall’aggressione altrui. Ma così non è: la comunità esiste malgrado le contraddizioni e testimonia che non è riducibile al pessimismo antropologico liberista. Vi è in ogni essere umano un embrione di dignità personale e rispetto dell’altro che si potenzia con l’educazione e con la prassi paideutica. L’essere umano è un essere sociale e politico, ma tali prerogative umane necessitano di condizioni politiche adeguate, affinché possano attuarsi. La libertà è autonomia e capacità di fondare la propria esistenza su comuni fondamenta comunitarie. La “libertà liberista” è, invece, sopraffazione, mentre la libertà socialista ed anarchica è il riconoscimento consapevole della pari dignità di ogni uomo. Nessuna esistenza può essere scissa dalla fratellanza riconosciuta e consapevole. Merlino riconosce un embrione di giustizia e comunità in ogni essere umano, la società è a misura di essere umano se pone le condizioni per la sua umanizzazione:

 

«Infine, se l’uomo non fosse dotato di questo sentimento primitivo di dignità a difesa personale, che è l’embrione della giustizia, la convivenza non sarebbe stata e non sarebbe possibile: ammenoché ogni individuo non fosse costantemente accompagnato passo per passo da un carabiniere, che lo proteggesse dalle altrui violenze, e da un giudice pronto a dirimere tutte le contese e beghe, in cui egli si può trovare impigliato col suo prossimo: nel qual caso, poi sorgerebbe più arduo e assillante che mai il problema: chi ci protegge da’ nostri protettori? come salvaguardare la nostra libertà, il nostro diritto, la nostra personalità, dagli abusi e dagli arbitrii dell’autorità, a cui ci troviamo sottomessi?».[1]

 

L’egoismo personale può essere sublimato in solidarietà con una attenta educazione. La dignità personale coesiste e trova il suo senso nella dignità collettiva. Non si tratta di solidarietà astratta, ma di prassi, e dunque la solidarietà diviene il fondamento metafisico che guida la vita sociale ed economica. Si impara ad essere solidali con l’affinamento della natura umana nella storia. Merlino, nell’opera di Gille, contempla se stesso e la sua azione politica mai scissa da un implicita metafisica. Aggiunge infatti nell’introduzione:

 

«I vincoli di parentela, i rapporti di amicizia e di vicinato, gli affetti vari e il sorgere d’interessi collettivi (comuni a un dato aggregato) producono la formazione di sentimenti, di costumi ecc., che mutano il sentimento primitivo di dignità individuale, che potrebbe essere anche puro egoismo, in un sentimento ego-altruistico di dignità collettiva (solidarietà nazionale, spirito di campanile ecc.), e contribuiscono anche essi a cementare la società, che può perciò reggersi in gran parte, come si regge, per il libero gioco delle volontà, delle energie, de’ bisogni degl’individui, e per virtù de’ sentimenti affettivi che mantengono uniti gli uomini più e meglio che non possano fare le leggi, la forza organizzata gerarchicamente e disciplinata, e le varie coazioni economiche, militari e poliziesche! Così il sentimento individuale della dignità personale si viene approfondendo e raffinando nell’animo umano, e si estende dall’individuo al gruppo e all’aggregato politico (nazione o Stato), da’ rapporti privati e rapporti tra le classi e tra governati e governanti, e tra popoli e popoli, e da ultimo da sentimento particolare (individuale, regionale o nazionale) si trasforma nel sentimento universale della dignità umana, ossia comune a tutti gli uomini, che ciascuno sente per sé e per gli altri, e che comprende in sé, e riassume, valorizzandoli, i sentimenti di libertà e di responsabilità, di reciprocanza, di solidarietà, di umanità e di giustizia. Questo, mi pare, il concetto fondamentale dell’opera del Gille, ricca di osservazioni acute e argute, e atta a sollevare gli animi dalla morta gora della società presente alla contemplazione di un avvenire migliore, che noi tutti dobbiamo affrettare coi voti e con le opere».

 

Paul Gille[2] e l’anarchia

Vi sono modelli di anarchia e libertà, il momento storico attuale utilizza il termine anarchia in modo improprio ed ideologico: l’anarchia sarebbe scissione da ogni vincolo etico e politico. La versione liberista dell’anarchia è usata per affermare l’individualismo astratto e tracotante, funzionale all’aggressività liberista. L’anarchia nel sistema liberista è il disconoscimento di ogni comune fondamento umano; si perseguirebbero solo interessi privati. Paul Gille nel 1926 guarda invece con gli occhi del pensatore l’anomia anarchica liberista e la distingue dalla anarchia autentica, la quale è solidale ed anti-individualista. L’anarchia, nell’ottica di Paul Gille, deve porre le condizioni per la prassi della libertà umana. Non vi può essere individualità che nella comunità liberata dall’autoritarismo verticistico :

 

«Ma questa an-archia razionale è l’antitesi dell’anarchia individualista e particolarista in seno alla quale viviamo. Tra l’una e l’altra c’è antinomia, c’è contrasto e opposizione di principio. Qui l’assolutismo, l’egoismo individuale e collettivo, e ipocrita o brutale, la violenza autoritaria sotto tutte le sue forme; là, la ragione impersonale, universale, e il diritto umano: la libertà nella giustizia. È una sofisticazione sacrilega, un sofisma verbale, un gioco di parole, quello con cui ci si presentano troppo spesso come atti innovatori, esemplari e “rivoluzionari”, dei gesti di pura violenza impulsiva e cieca, degli atti di autoritarismo brutale che non escono dalle consuetudini della vita attuale».[3]

L’età della sofisticazione assimila i concetti rivoluzionari per curvarli ai bisogni del capitale. La forza perversa del capitalismo è nel suo vuoto metafisico: non vi è fondazione veritativa, pertanto tutto si trasforma in un gioco verbale per la propaganda in funzione del valore di scambio e del dominio muscolare.

 

Oltre i semplicismi

Il semplicismo marxista è pensato e oggetto di critica radicale: l’essere umano non è passivamente in attesa delle leggi della storia, ne è condizionato, ma non determinato. Le circostanze economiche devono essere mediate dal soggetto mediante astrazione e concettualizzazione con cui ridisegnare le prospettive storiche future e trasformare in atto ciò che è in potenza:

 

«Il semplicismo economico, il semplicismo materialista di Marx, è tanto falso, tanto assurdo quanto il semplicismo degli idealisti puri. Negando la causalità della coscienza e della volontà, esso disconosce questa verità biologica elementare che l’uomo, essere vivente, non è puramente passivo, che è dotato d’attività, di movimento proprio, d’iniziativa; esso disconosce questa verità psicologica, che ogni azione cosciente è un fatto complesso, in cui interviene, come sorgente, come fattore efficiente, il fattore personale, il fattore psichico; esso disconosce infine questa verità sociologica, che la vita sociale riposa sulla psicologia collettiva, dalla quale emana, per così dire, come un fiore dal suo stelo».[4]

 

L’automatismo economicistico riduce l’essere umano a semplice animale sottoposto alle leggi fisiologiche. Un certo marxismo fa delle leggi economiche la struttura fisiologica che determina la storia. L’anti-umanesimo di tale economicismo è contestato dall’anarchico Paul Gille, in quanto l’essere umano ha coscienza di sé ed è un essere pensante. I condizionamenti non possono eliminare la natura solidale e pensante dell’essere umano, il pensiero è verticalità metafisica, poiché con esso il soggetto si eleva dai semplici calcoli egoistici per incontrare gli ideali di giustizia. Paul Gille interpreta la natura tutta come un movimento energetico che tende all’aggregazione, dall’atomo all’essere umano vi è una traiettoria che di grado in grado, di salto in salto, conduce alla libertà consapevole dell’essere umano che non nega il soggetto ma lo afferma. Si è liberi nel riconoscimento della reciproca condizione umana. Ogni individualismo autoritario nega la specificità umana e offende la dignità umana. La coscienza pensante è incontro con l’altro che lo eleva gradualmente dalla singolarità alla comunità solidale:

 

“Sì, l’uomo è un animale, e, come tale, sottomesso, lo sappiamo anche troppo, a tutte le esigenze, a tutte le necessità fisiologiche della vita animale; ma è anche un essere pensante, un essere dotato di coscienza e di ragione, capace di concepire e di volere Il giusto, in tutti i campi, in tutta l’estensione del termine. Avere un ideale — un’idea astratta, un’idea sintetica di giustezza e di giustizia – ecco quel che costituisce la nobiltà e la superiorità umana».[5]

 

L’egoismo e l’individualismo sono irrazionali, in quanto l’essere umano è intrinsecamente legato –mediante un’infinita serie di fili invisibili – alla comunità, la quale è il centro da cui emerge la singolarità nella relazione sincretica con l’ambiente, il quale non è un contenitore, ma realtà relazionale e plastica. Nell’ordito delle intenzionalità il soggetto si riconosce e si differenzia, ma non può prescindere da essi, altrimenti sarebbe un puro nulla. L’individualismo economicistico è irrazionalità mascherata dalla razionalità del calcolo:

«Vivere solo per se stessi è, quindi, un’utopia contro natura, una chimera irrealizzabile e malsana; l’indipendenza cinica è un’aberrazione. È tanto impossibile vivere solo per sé, quanto il vivere soltanto da sé; poiché mille legami visibili e invisibili ci riattaccano al di fuori, irradiano attorno a noi e vanno dall’ambiente a noi e da noi all’ambiente. Tutto si sorregge a vicenda in questo grande organismo che è l’universo; e la solidarietà è un fatto prima d’essere un principio».[6]

 

 Critica al concetto di causalità

Paul Gille utilizza la deduzione sociale delle categorie per smontare criticamente l’organicità dello scientismo e dell’economicismo al sistema liberista ed autoritario. Il concetto di causalità è la traduzione in campo economico e scientifico dell’autoritarismo agente, la causalità è in forma astratta ed impersonale l’autorità che guida e determina i destini del mondo. Tagliare la testa al re significa eliminare il semplicismo autoritario che si cela dietro il concetto di causalità lineare:

“Determinismo non vuol dire fatalismo, — ecco la conclusione a cui noi giungiamo. La vecchia concezione autoritaria della causalità cade, per far posto a un’eziologia dei fenomeni che non vede dappertutto che dei complessi di complessi, delle risultanti, delle interferenze di fattori intrecciati all’infinito, intus et extra. E se niente si crea e nihilo, è pur vero che non esiste alcuna equazione da causa ad effetto, che un effetto non si deduce da una causa, che ogni effetto ha molte cause, come ogni causa molti effetti, e che ciascuna componente, ciascun centro autonomo di forza, ha, secondo il principio di Galileo, la sua funzione indipendente e il suo potere d’azione, e serba, inalienabile, irriducibile, inesorabile, nel suo dinamismo intimo, la spontaneità della vita».[7]

 

Al semplicismo causale bisogna opporre la complessità delle cause che interagiscono, e mediate dal pensiero umano creano il nuovo. Non si tratta di una libertà assoluta, ma condizionata, l’essere umano crea la sua libertà con l’esercizio del pensiero complesso che si genera all’interno di condizionamenti, i quali non passivizzano il pensiero:

 

“È così che la coscienza, autonoma, crea progressivamente la libertà. Sperimentalmente, a poco a poco, essa accumula le astrazioni, i dati, le verità, sempre più sintetiche, sempre più generali, per elevarsi finalmente, nell’umanità, sino alle verità universali che danno all’uomo la chiave dei fenomeni e il potere scientifico».[8]

 

La libertà è comunitaria, le soggettività nello scambio pensato dei dati spingono spontaneamente la loro coscienza oltre i pregiudizi e le sudditanze preconcette per costruire collettivamente percorsi di consapevolezza sempre rivedibili:

«Evidentemente, lo sappiamo, nelle determinazioni più spontanee e più volontarie, c’è una parte di influenza esteriore, ma se l’azione dell’ambiente è certa (checché ne pensi l’Evoluzionismo mistico), l’ambiente non è tutto; l’energia increata dell’essere vivente — increata e, perciò, irreducibile all’ambiente — ha anch’essa la sua funzione; e l’autonomia che ne risulta va crescendo collo sviluppo della coscienza, della lucidità e del sapere, per giungere alla sua pienezza attraverso la conoscenza scientifica del mondo, fine di tutte le illusioni autoritarie e liberazione da ogni assolutismo».[9]

Paul Gille e Saverio Merlino condividono una visione moderatamente ottimista della natura umana, per entrambi la natura comunitaria è ciò che specificatamente connota l’essere umano. La natura umana può essere deviata e condizionata da vecchie e nuove forme di autoritarismo, ma essa è indistruttibile, perché senza di essa l’essere umano non sarebbe tale. Libertà è lavoro dello spirito, che si esplica nella storia e nelle istituzioni. Il pessimismo antropologico attuale è ideologico, in quanto vorrebbe tacitare il messaggio filosofico che giunge a noi, quale dono eterno che invita ad una razionale ribellione contro l’ordine liberista presente.

 

Salvatore Bravo

 

Note

[1] Paul Gille, Abbozzo di una filosofia della dignità umana, traduzione di L. Fabbri, prefazione di F.S. Merlino, Linotipia Ferruccio Ghidoni, Milano 1926.

[2] Paul Gille professore a l’Insitut des hautes études de Belgique.

[3] Paul Gille, Abbozzo di una filosofia della dignità umana, cit., pag. 37.

[4] Ibidem, p. 8.

[5] Ibidem, p. 9.

[6] Ibidem, p. 25.

[7] Ibidem, p. 19.

[8] Ibidem, pp. 21-22.

[9] Ibidem, p. 43.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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