«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
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Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica
Prefazione di Gherardo Ugolini: L‘Anassagora di Diego Lanza.
ISBN 978-88-7588-343-0, 2022, pp. 368, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [142].
In copertina: Thanatos e Hypnos trasportano il corpo di Sarpedonte via dal campo di battaglia di Troia. L’autore, il cosiddetto Pittore di Thanatos, è vissuto nel V secolo a.C. ad Atene. Dettaglio da una lekythos attica a fondo bianco datata agli anni 440-430 a.C. circa. British Museum, Londra (Cat. Vases D56).
Il νοῦς (‘intelletto’, ‘mente’) è il principio che nel sistema cosmogonico di Anassagora dà origine al turbinoso movimento circolare da cui le sostanze si formano per separazione; θάνατος (‘morte’) è per Epicuro un semplice vuoto, mentre per Aristotele non era possibile intenderne il concetto altrimenti che in chiave biologica. Attorno a questi due temi ruota gran parte dell’analisi di Diego Lanza, presentata in alcuni saggi pubblicati tra il 1963 e il 2005 su riviste specializzate di studi classici e in miscellanee, ed ora raccolti nel presente volume. Nell’approccio al pensiero di Anassagora, come pure nell’indagine su concetti importanti della cultura greca antica quali σοφία, σωφροσύνη, ἀρετή etc., Lanza ricorre ad uno specifico approccio ermeneutico-filologico che muove dall’analisi linguistica e stilistica dei testi, e punta alla comprensione del contesto storico-culturale in cui inquadrare ogni singola testimonianza, con la finalità di smascherare e decostruire i modelli d’interpretazione che si sono costruiti e consolidati nel corso del tempo. Il tutto senza mai ostentare la presunzione di aver raggiunto un’interpretazione oggettivamente vera e definitiva, ma sempre nell’ottica di problematizzare le questioni illuminandole da molteplici punti di vista. Si tratta dello stesso metodo che Lanza ha utilizzato altrove per interpretare la tragedia greca, la figura del tiranno nel teatro, la Poetica e gli scritti biologici di Aristotele, gli snodi teorici della storia degli studi classici.
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Annie Lacroix-Riz, docente di storia contemporanea all’Università di Parigi VII-Denis Diderot, ha scritto diversi libri sulle due guerre mondiali e la dominazione politica ed economica. Guarda con attenzione la situazione in Ucraina ponendola in relazione alla storia dell’imperialismo di inizio XX secolo e la sua continuazione. Quello che ci viene raccontato troppo spesso dai media non ci permette di capire il conflitto, quindi di cercare una soluzione per la pace. In questa intervista, ci viene offerto uno sguardo retrospettivo utile per comprendere gli eventi e la storia recente della regione.
Intervista a Annie Lacroix-Riz
“C’è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all’angolo”
Questa guerra, per quanto deplorevole, è stata annunciata molto tempo fa, e le voci ragionevoli di militari, diplomatici e accademici in Occidente, che non hanno accesso a nessun grande organo di “informazione” privato o statale, sono categoriche sulle responsabilità esclusive e di lunga data degli Stati Uniti nello scoppio del conflitto che hanno reso inevitabile.
* * * *
Nei media, si ha l’impressione che la guerra in Ucraina sia scaturita dal nulla. Cosa può dirci del suo contesto storico?
Prima di tutto, gli elementi storici sono quasi assenti da quella che è difficile definire una “analisi” della situazione. Tuttavia, ci sono due aspetti importanti da prendere in considerazione negli eventi attuali. In primo luogo, c’è una situazione generale, cioè l’aggressione della Nato contro la Russia. In secondo luogo, c’è una sorta di ossessione contro la Russia – e anche contro la Cina. Questa ossessione non è nuova, quindi permette di relativizzare l’attuale frenesia anti-Putin. L’essenza della presunta “analisi occidentale” è che Putin sia un pazzo paranoico e (o) un nuovo Hitler. Ma l’odio per la Russia e il fatto di non sopportare che la Russia eserciti un ruolo mondiale è riconducibile all’imperialismo statunitense.
Come si spiega questa ossessione?
È un’ossessione caratteristica di un imperialismo dominante che è stato egemone per quasi tutto il XX secolo. Questo imperialismo non vuole perdere la propria egemonia, che però sta perdendo. In effetti, oggi non siamo più nella stessa situazione degli anni ‘50, quando gli Stati Uniti rappresentavano il 50% della produzione mondiale. La Cina si sta avvicinando alla posizione di primo produttore del mondo, e questo non piace agli Stati Uniti. Negli ultimi anni abbiamo raggiunto un momento particolarmente acuto del confronto, segnato da una serie di aggressioni sconcertanti.
Anche la Russia viene presa di mira. Si ha l’impressione che ci sia ancora una sorta di rancore contro i bolscevichi, ma è importante rendersi conto che questa russofobia dell’imperialismo statunitense è iniziata in epoca zarista ed è continuata in seguito, anche dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Gli impegni presi dagli Stati Uniti di non avanzare militarmente nella zona ex sovietica sono stati tutti violati. Dal 1991 al febbraio 2022, siamo così arrivati a un momento in cui la prospettiva per la Russia di vedere la Nato alle sue porte e di un’Ucraina nuclearizzata è divenuta una realtà immediata.
Qual è il posto dell’Ucraina nel confronto fra potenze imperialiste?
L’Ucraina è inseparabile dalla storia della Russia fin dall’alto Medioevo. La Russia con tutte le sue ricchezze naturali è una caverna di Alì Babà e l’Ucraina è stata il suo gioiello più grande: è una fonte straordinaria di carbone, ferro e tante altre risorse minerali, oltre che un formidabile deposito di grano e altri cereali. Cosa che ha attratto a lungo i desideri di molti.
Se ci atteniamo al periodo imperialista (dal 1880), possiamo dire che è stata la Germania a essere inizialmente interessata all’Ucraina. Prima della guerra del 1914, il Reich tedesco decise di controllare l’impero russo assicurandosi il controllo delle sue “marche” più sviluppate, l’Ucraina e gli Stati baltici. Durante il conflitto, la Germania trasformò questi Stati e l’Ucraina in una roccaforte militare, la base per il suo assalto all’Impero russo. Durante la Prima guerra mondiale, mentre la Germania fallì sul fronte occidentale già nel 1917, lo stesso non si può dire del fronte orientale, che dominò fino alla sua sconfitta. E anche se, dal gennaio 1918, la Russia da poco sovietica era sottoposta a ulteriori aggressioni da parte di tutte le altre potenze imperialiste (14 paesi la invasero senza dichiarazione di guerra), Berlino riuscì a imporle, nel marzo 1918, il trattato di Brest-Litovsk, che ne confiscò l’Ucraina. La sconfitta della Germania alla fine della Prima guerra mondiale non è valsa a restituirla, vista la guerra condotta sul suo suolo dagli “Alleati”, sostenuti da tutti gli elementi antibolscevichi, russi e ucraini.
L’Ucraina ha poi goduto di un breve periodo di indipendenza…
Dal 1918 al 1920, ci fu effettivamente un breve periodo di “indipendenza” folcloristica, sullo sfondo dell’aggressione delle armate bianche (pogromiste) di Denikin, e del pogromista Petliura, ufficialmente “indipendentista” e alleato della Polonia (che mirava a tutta l’Ucraina occidentale). L’Ucraina rimase l’obiettivo del Reich, che aveva preso il sopravvento sull’impero austriaco, poi gli “austro-ungarici” degli Asburgo, possessori della Galizia orientale, nell’ovest dell’Ucraina, dopo la spartizione della Polonia. Questa tutela germanica fornì una base preziosa per l’indebolimento della Russia e dello slavismo ortodosso, dal tempo degli Asburgo, con l’uniatismo come strumento principale, guidato dal Vaticano.
Che ruolo ha avuto il Vaticano?
L’uniatismo cattolico, supporto ideologico della conquista germanica, aveva sedotto una parte della popolazione ucraina occidentale, grazie al suo aspetto formale molto vicino all’ortodossia. Questo strumento di conquista austriaco fu ripreso dalla Germania in epoca imperialista: il Vaticano, capendo che non poteva più contare sul moribondo impero cattolico, si sottomise definitivamente al potente Reich protestante all’inizio del XX secolo, anche in Ucraina.
Nel periodo tra le due guerre, l’Ucraina giocò quindi un ruolo decisivo nell’alleanza tra la Germania e il Vaticano, al quale Berlino affidò lo spionaggio militare attraverso i chierici uniati. Possiamo vedere come fu organizzato allora il tentativo di conquistare l’Ucraina, consacrato dalla firma del Concordato del Reich del luglio 1933. Uno dei suoi due articoli segreti stabiliva che la Germania e il Vaticano si sarebbero alleati nella presa dell’Ucraina, che era uno dei principali obiettivi di guerra della Germania, sia nella Prima guerra mondiale che nella Seconda. L’assalto militare, l’occupazione e lo sfruttamento economico sarebbero spettati alla Germania, la “ricristianizzazione” cattolica al Vaticano.
Anche gli Stati Uniti erano interessati…
L’Ucraina è una questione importante in sé, ma è anche la porta d’accesso al Caucaso ricco di petrolio. Gli Stati Uniti si sono uniti all’imperialismo tedesco per entrare in Russia e specialmente in Ucraina dopo la fine della Prima guerra mondiale. Nel 1930, tutti gli imperialismi sognavano di abbuffarsi nella ricca Ucraina. Nel mio libro Aux origines du carcan européen, ho mostrato come Roman Dmovski, uomo politico polacco di estrema destra, aveva analizzato perfettamente la “questione ucraina” nel 1930. Scrisse che i grandi imperialismi volevano tutti mangiarsi l’Ucraina, con in testa i due più febbrilmente impegnati nel compito: il tedesco e l’americano. Diceva anche che se l’Ucraina fosse strappata dalla Russia, questa sarebbe diventata un paese puramente “consumatore”, costretta a comprare i suoi prodotti industriali altrove. Non avrebbe mai potuto sostenere una tale perdita, aggiungeva.
Non ha funzionato, l’Ucraina è rimasta nell’Unione Sovietica. Ma c’era ancora il nazionalismo ucraino, giusto?
Il nazionalismo ucraino è stato prima tedesco e poi statunitense (o meglio entrambi), perché non aveva una reale capacità di indipendenza: il Reich lo ha finanziato prima del 1914, e da allora non ha mai smesso. Infatti, coloro che sostenevano di volere l’Ucraina “indipendente” (Bandera più di alcuni dei suoi, che non pretendevano nemmeno di rivendicarla “immediatamente”) appartenevano tutti all’uniatismo, che nel periodo tra le due guerre, e per tutta la Seconda guerra mondiale, fu confuso con il nazismo.
È difficile non fare il collegamento con i movimenti che troviamo oggi: il battaglione Azov, Pravy Sektor, ecc., sono gli eredi diretti e rivendicati del movimento autonomista ucraino del periodo tra le due guerre, che vide la creazione, già nel 1929, del movimento banderista. Chiamata “Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini” (OUN), fu interamente finanziata dal Reich di Weimar e poi di Hitler (dopo che l’“autonomismo” era stato sovvenzionato dal Reich guglielmino).
Come si è sviluppato questo movimento?
Il movimento di Stepan Bandera, ora “eroe nazionale” ufficiale dell’Ucraina statale, e al quale il battaglione Azov e altri raggruppamenti filonazisti rendono costantemente omaggio, si diffuse a partire dal 1929 nell’Ucraina polacca e slovacca. Non era presente nell’Ucraina sovietica e ortodossa. I “banderisti”, come altre correnti del “nazionalismo ucraino”, erano anti-ebraici, anti-russi e anche violentemente anti-polacchi. Hanno anche attaccato radicalmente gli ucraini non autonomisti e gli ucraini che erano rimasti vicini alla Russia.
Queste bande di ausiliari della polizia tedesca, dal 1939 nella Polonia occupata, poi dal 22 giugno 1941 nell’URSS occupata, formarono un “esercito [cosiddetto] insurrezionale”, l’UPA. Questi 150-200.000 criminali di guerra massacrarono indiscriminatamente centinaia di migliaia di loro “nemici”: ebrei, ucraini fedeli al regime sovietico, russi e polacchi, che odiavano come gli altri. Per prendere solo l’esempio dei polacchi, tra 70.000 e 100.000 civili furono uccisi dalle milizie banderiste durante la guerra. L’argomento propagandistico in voga secondo cui lo Stato polacco ha accolto calorosamente gli ucraini “vicini” sentimentalmente è, alla luce di questa lunga storia criminale (che inizia prima della guerra), assurdo.
Nel 1944, quando l’Unione Sovietica riprese il controllo di tutta l’Ucraina, compresa Lvov (in luglio), 120.000 di questi criminali di guerra fuggirono in Germania. Gli Stati Uniti li hanno usati quando sono arrivati nella primavera del 1945.
Un libro sull’argomento, Hitler’s Shadow, è stato pubblicato da due storici americani ed è disponibile online in inglese. È tanto più interessante perché i suoi due autori sono storici approvati dal Dipartimento di Stato, con il quale lavorano ufficialmente sulla storia dello sterminio degli ebrei: Richard Breitman e Norman J.W. Goda. Mostravano come gli americani, appena arrivati in Germania nella primavera del 1945, avevano rintracciato tutti i criminali di guerra, tedeschi e non. Una parte dei banderisti rimase in Germania, nelle zone occidentali, soprattutto nella zona americana, con un grande raggruppamento a Monaco. Un altro è stato accolto a braccia aperte negli Stati Uniti, tramite la Cia, in barba alle leggi sull’immigrazione, e un altro ancora è rimasto nell’Ucraina occidentale.
Quest’ultimo gruppo, forte di decine di migliaia di persone, ha condotto una guerra inespicabile contro l’Unione Sovietica: tra l’estate del 1944 e l’inizio degli anni ‘50, ha assassinato 35.000 funzionari civili e militari, con il sostegno finanziario tedesco e americano, in particolare dal 1947-48. Un eccellente storico tedesco-polacco che ha avuto grossi problemi di censura dopo la “rivoluzione arancione” del 2004, Grzegorz Rossolinski-Liebe, ha dimostrato che il banderismo rimane un inestinguibile terreno di coltura filonazista: i molti eredi di Bandera nutrono un odio uguale per polacchi, russi, ebrei e ucraini che non sono fascisti. Inutile dire che questo ricercatore ha avuto grossi problemi di censura dalla “rivoluzione arancione” del 2004, e ancora di più nell’era di Maidan, soprattutto perché la sua tesi studiava come, dal 1943, i banderisti avevano creato una propria leggenda di “resistenza ai nazisti” tanto quanto ai rossi che agli ebrei. Una leggenda che è stata molto utile per l’inclusione nella lista dei gruppi “democratici” sostenuti da Washington.
Quali sono state le conseguenze di questa collusione?
Tra i criminali di guerra accolti calorosamente negli Stati Uniti, gli intellettuali contavano molto. Dal 1948, sono stati reclutati in gran numero dalle università americane, quella dell’Ivy League in testa, tra cui Harvard e Columbia. Nei “centri di ricerca sulla Russia” che sono proliferati dal 1946-1947, hanno partecipato, insieme ai loro prestigiosi colleghi americani, a una frenetica guerra ideologica contro la Russia. Fu in questo contesto che si diffuse la leggenda del “l’Holodomor”, i cui eventi hanno poi segnato le tappe decisive della conquista dell’Ucraina. Questa “ricerca” e questo “insegnamento”, impiegati per più di 70 anni, e diffusi in massa, con l’aiuto dei grandi media, nel corso dei decenni nell’Europa americana, hanno letteralmente “imputridito” la conoscenza “occidentale” della storia dell’Ucraina (e, più in generale, dell’URSS).
I sostenitori politici di Euromaidan, avatar delle innumerevoli “rivoluzioni arancioni” degli ultimi vent’anni, hanno formato la spina dorsale del 2014, alleandosi con gli oligarchi che, dal 1991, avevano monopolizzato tutta la ricchezza dell’Ucraina. Va notato che questo tipo di saccheggio non è proprio della Russia di Putin; può essere osservato in quasi tutti i paesi usciti dall’Unione Sovietica. In Ucraina, gli oligarchi hanno fatto affidamento su questi elementi banderisti. Lo Stato ucraino di Poroshenko e dei suoi successori dal 2014 si appoggia apertamente su questi movimenti nazisti che gli Stati Uniti hanno pasciuto al loro seno, senza tregua dal 1944-1945.
Gli Stati Uniti avevano infatti un programma esplicito, codificato nel giugno 1948 nel quadro della Cia, per liquidare puramente e semplicemente non solo la zona di influenza sovietica ma lo stesso Stato sovietico. Fu sotto l’amministrazione democratica che venne messa in atto la politica del “rollback” [annullamento] per schiacciare il comunismo dovunque si fosse stabilito (e per impedire che si stabilisse ovunque nella zona d’influenza americana). Come tutta una serie di lavori storici hanno dimostrato, compresi lavori di ricercatori americani con forti legami con l’apparato statale e robusti sentimenti antisovietici, questo programma è stato sicuramente attuato con la Cia fin dalla sua nascita, nel luglio 1947.
Possiamo cogliere tutta la portata del programma nel testo del febbraio 1952 di Armand Bérard, diplomatico francese distaccato a Bonn, che cito per esteso in Aux origines du Carcan européen. Bérard profetizzava che la Russia, così indebolita dalla guerra di logoramento tedesca condotta contro di lei dal 1941 al 1945 (27-30 milioni di morti, l’URSS europea devastata) avrebbe capitolato sotto i colpi degli Stati Uniti e della Germania di Adenauer, ufficialmente perdonata per i suoi crimini e riarmata fino ai denti: Mosca avrebbe finito per cedere tutta l’Europa centrale e orientale, che costituiva la sua “zona d’influenza” e che era stata oggetto “dei cambiamenti fondamentali, in particolare di natura democratica, che, dal 1940, hanno avuto luogo nell’Europa orientale”, nelle parole di questo diplomatico molto “occidentale”. E la data del 1940 si riferisce alla sovietizzazione degli Stati baltici e di parti della Romania e della Polonia, gli uni più fascisti degli altri.
Ma ci sono voluti alcuni anni.
Dopo il 1945, questo tipo di progetto ha richiesto tempo, poiché il governo sovietico era meno indifferente al proprio popolo e ai popoli circostanti di quanto la storia della propaganda “occidentale” sostenga. Ma è stato portato avanti con notevole continuità e con enormi risorse finanziarie. L’intera popolazione fu presa di mira, ma un’attenzione particolare fu dedicata alle élite statali e intellettuali del paese, che, come priorità, dovevano essere distaccate dallo Stato sovietico. Lo sforzo è accelerato considerevolmente dopo la vittoria degli Stati Uniti nel 1989, e con maggiore efficienza, mentre la Russia attraversava un decennio di completa decadenza. Bisogna ricordare che sotto Eltsin, le potenze straniere, in primo luogo gli Stati Uniti, hanno governato il paese, l’economia venduta all’asta è crollata, la popolazione diminuita dello 0,5% all’anno (drammaticamente in Siberia e nell’Estremo Oriente), e l’aspettativa di vita della popolazione russa era scesa drasticamente nel 1994 (di quasi dieci anni per gli uomini).
Durante questi anni, il lavoro delle termiti tedesco-americane che Breitman e Goda hanno descritto per gli anni 1945-1990 (perché i tedeschi erano strettamente coinvolti) si è ovviamente intensificato. È vero che il National Endowment for Democracy (NED), caro a Patricia Nuland, un’eminenza delle amministrazioni Bush e poi di tutti i suoi successori democratici, Biden compreso, ha appena cancellato dal proprio sito i suoi dossier sul finanziamento, che fino ad allora erano stati pubblici, almeno in parte, della secessione dell’Ucraina, e poi del suo inserimento nell’apparato di aggressione alla Russia. Ma il sito del Dipartimento di Stato non ha censurato l’ammissione del 13 dicembre 2013 del sottosegretario Nuland, la signora delle opere buone di Maidan, così presente a Kiev nel febbraio 2014, davanti al Congresso: lì ha dichiarato con orgoglio che dalla caduta dell’URSS (1991), “gli Stati Uniti” hanno “investito più di 5 miliardi di dollari per assistere l’Ucraina”. Lo scopo era certamente quello di assicurarsi una presa definitiva sulla miniera d’oro agricola e industriale ucraina, obiettivo finale di questa lunga crociata. Ma era anche per portare l’Ucraina nella Nato, di cui quasi tutti i paesi dell’ex zona di influenza sovietica e molte delle ex repubbliche sovietiche sono già membri. Questo è stato riconosciuto da molti anni. È stato chiaramente riaffermato dalla “carta di partenariato strategico Stati Uniti-Ucraina firmata il 10 novembre 2021 dal segretario di Stato americano Antony Blinken e dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba”: questa è la dicitura orgogliosamente esibita dal Parlamento europeo di Strasburgo nella sua “Risoluzione del 16 dicembre 2021 sulla situazione alla frontiera ucraina e nei territori occupati dell’Ucraina occupati dalla Russia”.
Da quel momento in poi, Mosca doveva essere portata a cinque minuti dalle bombe atomiche che erano state conservate nei paesi membri della Nato fin dalle origini del Patto atlantico (in alcuni casi fin dai primi anni ‘50). C’era da esacerbare il contenzioso delle miserie inflitte dall’Ucraina di Maidan alle popolazioni del Donbass, in chiara violazione degli accordi di Minsk. La propaganda occidentale ha taciuto dal 2014 al febbraio 2022 su queste miserie e su questa violazione degli accordi di cui Parigi e Berlino erano “garanti”.
La lunga congiuntura storica e gli sviluppi dal 1989, seriamente aggravati dal 2014, hanno messo all’angolo la Russia. Tutti gli osservatori ragionevoli sottolineano che ha lanciato la guerra contro l’Ucraina il 24 febbraio 2022, spinta ai suoi limiti estremi. Questo passo ricorda quello fatto dall’Unione Sovietica alla fine del 1939.
Che cosa intende con questo?
Questo è un elemento essenziale. Alla fine del 1939, l’Unione Sovietica fece un sincero tentativo di negoziare con la Finlandia, presentata negli archivi storici e militari come un puro e semplice alleato della Germania nazista. Dal 1935, la Germania aveva installato una serie di campi d’aviazione militare in Finlandia, che erano basi d’attacco dell’URSS cedute de facto alla Germania, e che furono effettivamente utilizzate durante la guerra per l’aggressione tedesca contro l’URSS. Per settimane, Mosca ha discusso invano con la Finlandia, che una volta era stata parte dell’Impero russo ma che era diventata un paese chiave del “cordone sanitario” antibolscevico nel 1918-1919. I sovietici chiesero alla Finlandia di scambiare parte del suo territorio per creare una forte zona cuscinetto difensiva intorno a Leningrado con un territorio (sovietico) più vasto. Le trattative fallirono, sotto la pressione della Germania e di tutti i paesi “democratici” che, come dichiarò all’epoca un diplomatico fascista italiano, sognavano una generale “Santa Alleanza” contro i sovietici.
L’URSS invase la Finlandia il 30 novembre 1939. Ha dovuto affrontare una propaganda del tipo di quella diffusa ora e delle sanzioni (compresa l’espulsione dalla Società delle Nazioni, ottenuta all’unanimità il 14 dicembre). Si trattava solo del mostro sovietico contro la povera piccola Finlandia, e il Vaticano del filo-nazista Pio XII era sbilanciato come il Papa attuale sui “fiumi di sangue” ucraini. La “guerra d’inverno”, in un paese chiave del “cordone sanitario” dove la popolazione era stata “scaldata” contro il comunismo e l’URSS per oltre vent’anni, fu terribile.
Dolorosamente, l’Armata Rossa ha infine sconfitto la Finlandia. E il 12 marzo 1940, l’accordo raggiunto diede a Helsinki ciò che Mosca aveva già offerto nel 1939, né più né meno, e senza dubbio protesse Leningrado dall’invasione. È significativo che l’attuale campagna di propaganda vilipenda il lungo periodo di neutralità che la Finlandia del dopoguerra ha osservato, dopo che la Finlandia filonazista era passata, come previsto, in guerra dalla parte della Germania.
Quindi questo le ricorda l’attuale situazione in Ucraina?
Sì, se ci si attiene ai fatti storici e non ci si limita a dire che siamo di fronte a un mostro squilibrato. Leggo oggi in petizioni o giornali di riferimento che “Putin” sta incendiando un’Europa finora calma e pacifica. Ma non abbiamo sentito questi intellettuali, reclutati in massa dalla grande stampa e scatenati contro il “nuovo Hitler”, protestare e manifestare contro le centinaia di migliaia di morti causati dai bombardamenti americani ed “europei” in Iraq, Libia, Afghanistan e Siria. Le stesse persone che maledicono “Putin” hanno trovato eccellenti i 78 giorni di bombardamenti contro Belgrado e il “nuovo Hitler” Milosevic. Il paragone, va notato, è stato applicato a tutti i “nemici” che l’Occidente si è creato da quando Nasser nazionalizzò il canale di Suez.
Né ricordo la forte indignazione di questi nuovi antinazisti per i 500.000 bambini morti in Iraq per mancanza di cibo e cure mediche come conseguenza immediata del blocco anglo-americano, bambini il cui sacrificio “valeva la pena” secondo l’ex segretario di Stato democratico Madeleine Albright, recentemente scomparsa. Cos’è questo sistematico doppio standard, applicato anche alle popolazioni martirizzate del Donbass, che Putin è accusato di aver strumentalizzato per otto anni contro la tanto simpatica Ucraina?
Questa guerra, per quanto deplorevole, è stata annunciata molto tempo fa, e le voci ragionevoli di militari, diplomatici e accademici in Occidente, che non hanno accesso a nessun grande organo di “informazione” privato o statale, sono categoriche sulle responsabilità esclusive e di lunga data degli Stati Uniti nello scoppio del conflitto che hanno reso inevitabile.
Come si svilupperanno le cose?
Non faccio commenti sul futuro, perché gli storici non dovrebbero fare previsioni, soprattutto data l’informazione, esecrabile, attualmente disponibile. Ma mi sento in diritto di affermare che gli Stati Uniti sono la potenza imperialista le cui guerre di aggressione hanno, dalla fine della Seconda guerra mondiale, accumulato milioni di morti. Raccomando il libro tradotto di William Blum, un ex funzionario della Cia (sono i migliori analisti), che ha stabilito una rigorosa cronologia dei crimini degli Stati Uniti contro una serie di stati cosiddetti “canaglia”.
La Russia non è sempre stata vista come tale da “l’Occidente”, dai tempi della “Grande alleanza” e dello “zio Joe” (Josif Stalin). Fino agli ultimi decenni di propaganda unilaterale “occidentale” sulla liberazione dell’Europa attraverso il solo sbarco americano nel giugno 1944, era ampiamente riconosciuto che solo l’Armata Rossa aveva sconfitto la Wehrmacht, e a quale prezzo! Secondo stime recenti, gli Stati Uniti hanno subito meno di 300.000 morti totali nella Seconda guerra mondiale sui fronti di Pacifico ed Europa, tutti morti militari. Ho ricordato prima il mostruoso bilancio di morti di parte sovietica: dieci milioni di vittime militari, da 17 a 20 milioni le vittime civili.
Finora la Russia, sovietica o no, non ha seminato rovine in guerre straniere. È stata oggetto di aggressioni ininterrotte da parte delle grandi potenze imperialiste dal gennaio 1918. Non lo dico perché sono una sostenitrice di Putin. Tutti i documenti d’archivio vanno in questa direzione, i diplomatici e i militari occidentali sono i primi a saperlo e ad ammetterlo nella loro corrispondenza non destinata alla pubblicazione. Questo è il tipo di documentazione che ho scavato per più di cinquant’anni. Non faccio, attraverso il mio lavoro e nel giudicare l’attuale congiuntura, che il mio mestiere di storico.
Saggio già pubblicato su sinistra in rete del 9 aprile 2022.
L’histoire contemporaine toujours sous influence, LE TEMPS DES CERISES, 2012
En 2004, dans un pamphlet intitulé ‘L’histoire contemporaine sous influence’, Annie Lacroix-Riz s’inquiétait d’une certaine dérive de la recherche historique depuis les années 1980. Le climat idéologique s’est alourdi avec la généralisation d’un certain révisionnisme historique pour lequel toute révolution serait liberticide. Ces nouveaux dogmes conduisent aussi à censurer où à mettre à l’index les travaux des historiens qui continuent à penser hors des sentiers battus. Depuis, de « réforme » de l’université en nouvelles lois sur les archives, la situation s’est aggravée. S’est banalisée l’histoire d’entreprise, l’histoire de connivence, qui fait l’impasse sur les épisodes les moins glorieux de la vie des entreprises ou de leurs dirigeants. En témoigne l’affaire Louis Renault qui a défrayé la chronique au début de cette année : afin d’obtenir la réhabilitation de leur ancêtre, les héritiers Renault et certains « historiens » avec eux ont réécrit sa biographie. Dans un contexte ou le statut de fonctionnaire est menacé, dans quelles conditions la recherche historique peut-elle être indépendante des pressions financières ?
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Comprendere Marx significa spostarsi in modo sincronico nella sua complessiva impostazione teorica. Vi sono cesure, ma specialmente linee di continuità che vanno rintracciate per ricostruire il senso dell’opera marxiana nella sua ispirazione umanistica. Il comunismo abbozzato nel cantiere Marx ipotizza il soggetto emancipato dalle strutture di sussunzione materiale e formale, non più né obbediente né disobbediente, in quanto vive la pienezza delle sue possibilità e del suo conatus in un quadro politico senza le forme gerarchiche dell’obbedienza nella forma dello Stato, della proprietà capitalistica e della religione. La trinità dell’obbedienza non può che produrre negazione e alienazione.
Marx lettore spinoziano, dunque, in quanto il soggetto può relazionarsi al mondo in modo fecondo per ricrearlo soltanto se perviene a se stesso dopo un lungo processo dialettico nel quale ha vissuto, pensato e razionalizzato la liberazione dalle mordacchie delle superstizioni e della naturalizzazione del sistema capitale. Ogni feticismo è una forma di religione irriflessa e dunque non riconosciuta.
Nella formazione di Marx il Quaderno Spinoza del 1841 è rilevante non solo per comprendere la genealogia delle opere della maturità, ma l’opera giovanile può essere d’ausilio per capire il comunismo marxiano, nel quale importante – quanto e anche più dell’abolizione della proprietà privata – è il soggetto liberato dall’obbedienza che diviene soggetto attivo della storia. La proprietà privata è il ceppo che gerarchizza e ordina l’obbedienza associata e rafforzata dalla sovrastruttura con le sue manifestazioni culturali e sociali. La religione è il mezzo più potente con cui insegnare ideologicamente l’obbedienza e proiettare la speranza in un tempo sovrastorico.
Nel Quaderno Spinoza il commento marxiano al Trattato teologico-politico e alle lettere di Spinoza destruttura la religione, rendendola intellegibile, smascherando la sua essenza ideologica e il suo essere funzione del potere. Nei rapidi passaggi dell’opera, Marx (che pur avrà comunque un rapporto lui stesso controverso con la filosofia), specifica che la filosofia è radicale nella sua essenza, perché cerca, vuole e dimostra la verità. La filosofia non scende a compromessi, perché la verità non la si può accogliere parzialmente: in tal caso è già menzogna. La religione è obbedienza e pratica della pietà che non trasforma il mondo, ma lo conserva con le sue piaghe dolenti e le sue contraddizioni:
«[25] Resta infine da dimostrare come tra la fede, o teologia, e la filosofia non esista alcun rapporto né alcuna affinità, cosa che non può fingere di non sapere nessuno che conosca il fondamento e lo scopo di queste due discipline, le quali sono tra loro totalmente diverse. Lo scopo della filosofia, infatti, non è altro che la verità; mentre quello della fede [come abbiamo diffusamente dimostrato] è solamente l’obbedienza e la pietà. I fondamenti della filosofia, per di più, sono le nozioni comuni, sicché essa deve essere ricavata dalla sola natura; mentre i fondamenti della fede sono i racconti e la lingua, ed essa deve essere tratta soltanto dalla Scrittura e dalla rivelazione (§ 348)».1
Disobbedire per esserci
La disobbedienza non è un atto di protesta: con essa piuttosto l’essere umano riconquista la sua natura e la sua dignità. La libertà è prassi non scissa dalla teoria, il pensiero è potenza creatrice incoercibile e non in toto controllabile: il potere dunque non può cancellare definitivamente la libertà. Si può fingere di obbedire per calcolo opportunismo o vigliaccheria, si possono ripetere le parole del potere, riprodurre atti e comportamenti, ma nessun potere può impedire il pensiero, vero baluardo della “naturale libertà” dell’essere umano che attende di venire al mondo non per semplice stimolazione delle circostanze storiche, ma per l’interazione tra condizioni storiche ed azione-reazione del soggetto. Dove vi è l’umanità l’impossibile è possibile:
«[36] Se, dunque, nessuno può rinunciare alla propria libertà di giudicare e di pensare quello che vuole, ma ciascuno è, per diritto incontestabile della natura, padrone dei suoi pensieri, da ciò deriva che in un ordinamento politico non è mai possibile, se non con tentativi destinati a fallire miseramente, voler imporre a uomini di diverse e opposte opinioni l’obbligo di parlar e esclusivamente in conformità alle prescrizioni emanate dal sommo potere (§ 420).2
Il potere può costringere alla temporanea obbedienza, ma non può conquistare interamente l’essere umano, il quale con il pensiero resiste al controllo. Da un punto di vista fenomenico può obbedire, ma l’atto di obbedire, l’obbedienza carpita o concessa non significa che sia stato sconfitto e conquistato.
Potere e pensiero
Il potere nella nostra contemporaneità quantifica il numero degli ubbidienti per poter usare la quantificazione quale mezzo di persuasione coercitiva verso gli indecisi. Ma in realtà il potere, anche quando trionfa con i grandi numeri è più fragile di quanto si possa ipotizzare. Tra gli ubbidienti vi è un grande numero di persone già propense alla disobbedienza non appena il dominio allenti la sua morsa. I dubbi serpeggiano anche tra i più disponibili all’obbedienza. Non è possibile trasformare l’essere umano in automa meccanicamente passivo. La psiche e l’intelligenza restano potenzialmente libere, anche se si obbedisce per costrizione, disperazione o indifferenza. Marx sembra dirci che non dobbiamo disperare. Oltre l’omologazione c’è vita, e più vita di quanto le nostre singole e fragili intelligenze possano immaginare.
La libertà – conformemente al pensiero spinoziano – è un processo nel quale si incontrano stratificazioni di libertà e qualità diverse di libertà. Certo, si deve ammettere l’esistenza di gruppi umani che “pensano” – erroneamente ritengono – di agire autonomamente, ma in realtà sono parlati e agiti dal potere, è una possibilità dell’umano; ma non è l’unica e la coscienza, comunque, è sempre una variabile dinamica pronta a evolversi e/o ad involversi. Il rivoluzionario non deve arretrare dinanzi all’obbedienza gregaria, ma deve agire più fortemente per l’emancipazione, perché l’obbedienza è un dato storico e culturale:
«[53] Dal fatto che l’uomo agisca secondo la sua deliberazione, non si deve dunque concludere che egli operi secondo il proprio diritto, anziché secondo quello dello Stato (§ 374)».3
Marx attraversa i secoli per parlarci e suggerirci che la storia non è chiusa e l’omologazione è solo apparente. La potenza del pensiero lavora per la storia e per un nuovo inizio anche quando la storia sembra una palude la cui acqua appaia immobile, senza alcuna crespatura. Il pensiero è discrepante e divergente, accumula e si carica di onde di esperienze; può temporaneamente rimuoverle, ma esse si riattivano in circostanze storiche favorite da innumerevoli atti di disobbedienza, apparentemente innocui e di poco conto, i quali preparano la “grande storia”. Le tempeste della storia possono essere precedute da decenni intrisi di un apparente generale insensibile distacco, in cui i piccoli gesti di una quotidianità pur desiderosa di cambiamento rimangono silenti, ma preparano il vento della storia. Le storie dei singoli possono passare e cadere nella transitoria dimenticanza del tempo, ma i gesti e le parole restano, si moltiplicano, prendono forma nelle circostanze preparate da un silenzio carico di esperienze e linguaggi insopprimibili. Nessuna forma di alienazione, quindi, potrà mai cancellare il pensiero dei popoli che si vorrebbero tenere alla catena:
«La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l’operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci».4
Se il potere avesse la possibilità di trasformarsi in dominio assoluto, la storia e il mondo già sarebbero diventati immense macchine di sfruttamento per produrre profitto. Tra i meccanismi della macchina, invece, sopravvive l’essere umano, che può pensare ed ascoltare l’alienazione che lo costringe ad una esistenza disumana.
Il dolore vissuto è già individualità potenzialmente pronta all’esodo.
Pertanto il pensiero è fonte di resistenza collettiva inesauribile che apporta il nuovo nelle acque apparentemente stagnanti dell’omologazione.
Salvatore Bravo
1 K. Marx, Quaderno Spinoza, Bompiani 2022, Capitolo XIV: Che cosa sia la fede e …
2Ibidem, Capitolo XX: Della libertà di insegnamento.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Il dialogo che trasforma. Per una filosofia appassionatache dischiuda comuni orizzonti di libertà.
ISBN 978-88-7588-295-2, 2022, pp. 360, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [147].
In copertina: Dame de Brassempouy (28.000-22.000 anni fa). Saint-Germain-en-Lay (Francia), Musée d’Archéologie Nationale, dalla Grotte du Pape di Brassempouy.
Perché è necessario il dialogo? Partendo da Socrate e Platone e arrivando al dibattito contemporaneo sull’epistemologia delle virtù, passando per Giordano Bruno, Minna Specht e Luce Irigaray, Laura Candiotto sostiene che senza il dialogo non si possa cambiare, né a livello individuale, né collettivo. Affinché il cambiamento sia positivo, il dialogo mette in atto una trasformazione che purifica non solo gli errori di giudizio ma anche lo stile di vita. Il dialogo tende così alla creazione di spazi per una relazione con la differenza dove l’intreccio continuo di gesti, emozioni e parole si coniuga con la fiducia nelle capacità di miglioramento di sé stessi, degli interlocutori e del contesto che si abita. Ma come è possibile trasformarsi grazie al dialogo? Attraverso lo studio di una dialettica incarnata e situata nel contesto relazionale, Candiotto offre strumenti concettuali ed esempi concreti che spingono il lettore a sperimentare una dialogica appassionata in prima persona plurale.
Dialogare in prima persona plurale
L’individualismo epistemico è un’invenzione moderna. Prima non c’era forse un soggetto che rifletteva sul proprio agire, interpretava situazioni problematiche e cercava di comprendere cause ed effetti? La risposta è ovviamente affermativa, ma la questione cruciale è capire come si realizzasse il pensare. L’ipotesi di questo volume è che l’epistemologia antica fosse fatta di un pensiero incarnato e situato nel contesto dialogico relazionale. In particolare, la tipica assunzione moderna di un individuo che pensa, si pone domande e conosce in maniera solitaria trova una strabiliante alternativa nel pensare filosofico di tipo dialogico. Questa prospettiva che può sembrare molto contemporanea è invece molto antica, ma non moderna. Una buona parte dell’epistemologia contemporanea, sia continentale sia analitica, è tanto distante da un modello di conoscenza individualistica, quanto invece intimamente legata alla dialogica socratica.
In questo volume propongo uno studio della dialogica socratica come una delle migliori interlocutrici per la filosofia della conoscenza contemporanea. La dialogica socratica in quanto presentata da Platone mira a una trasformazione del soggetto e del contesto proprio attraverso una comunicazione fatta di domande e risposte, ma anche di esempi ed emozioni. È il dialogare ciò che trasforma il soggetto e lo rende filosofo. Questo perché la trasformazione messa in atto dal dialogo è una trasfigurazione del soggetto. La parola trasfigurazione deriva dal latino transfiguratio che richiama il greco metamorphosis. Queste parole sono centrali per il mito ma richiamano anche il contesto teatrale di cui il dialogo platonico è erede. In questo studio assumo la parola trasfigurazione nel contesto dialogico per evidenziare quel movimento della conoscenza in prima persona plurale che si oltrepassa trasformandosi, come una aleturgia, ovvero una manifestazione maieutica di una conoscenza libera dall’ignoranza. Ma è anche una trasformazione della mente che si incarna in nuovi stili di vita, una liberazione dall’individualismo in nome di una società dialogica e plurale. Questo ultimo aspetto non deve trarre in inganno. La trasfigurazione è anche portatrice di “salti” – non è un semplice accordo senza tensioni. L’inquietudine della confutazione è ciò che permette la purificazione dall’errore. I salti sono delle conversioni, dei capovolgimenti che direzionano lo sguardo verso ciò che va pensato. In queste trasformazioni epistemiche, il coinvolgimento di alcune passioni è fondamentale.
Come analizzerò in questo volume, vergogna, eros, e meraviglia sono i motori principali di una trasformazione non solo cognitiva, ma integrale. Ciò significa che il dialogare socratico va oltre la tipica settorializzazione che divide, per esempio, l’epistemologia dall’etica. Il dialogo che trasforma è quindi un dialogo che mette in discussione il soggetto nella sua interezza e che richiede una trasformazione non solo concettuale, ma anche del sentire e dell’agire. La trasformazione come trasfigurazione è quindi ciò che permette a un altrimenti di manifestarsi e farsi mondo.
La trasformazione del soggetto conoscente di cui parlo in questo libro deve quindi tenere conto della configurazione immediatamente sociale della dialogica platonica. La conoscenza non è semplicemente condivisa tra diversi soggetti: si nutre delle interazioni con un ambiente sociale nel quale e attraverso il quale il soggetto si trasforma e può mettere in atto una trasformazione del contesto stesso. L’anti-individualismo epistemico non è dunque solo ciò che caratterizza la modalità dialogica, ma anche la sua finalità. A questo riguardo, la dialogica di Minna Specht che tratto in questo volume è esemplare. Attraverso l’educazione al dialogo, Minna Specht promuoveva una resistenza al nazionalsocialismo di tipo propulsivo attraverso la creazione di scuole di vita dove bambini ebrei, tedeschi e rom imparavano a dialogare assieme e quindi ad avere fiducia nei confronti delle proprie e altrui capacità critiche.
L’esito del dialogare non è dunque un possesso individuale ma è una conoscenza che si rende viva e a servizio degli altri. La trasformazione che avviene con il dialogo tende quindi non solo alla trasformazione del soggetto ma anche e specialmente a quella dei mondi che il soggetto abita.
Lo sfondo teorico per questa indagine sulla dialogica è quindi una prospettiva relazionale nella quale la relazione è ciò che viene prima. La relazione non deve essere intesa in maniera quantitativa e sommativa, ma qualitativa e differenziale.1 Il dialogo come espressione della relazionalità è dunque ciò che fa la differenza, è il motore della trasfigurazione del soggetto e dei luoghi dove il soggetto si trova ad operare.
In questo volume analizzo alcune delle mosse attraverso cui questa trasformazione può realizzarsi. Ho raccolto qui alcuni lavori che ho scritto e pubblicato negli ultimi dieci anni. Alcuni hanno un’esplicita finalità concettuale, altri sono più di carattere storico ed ermeneutico, e altri ancora si rivolgono specialmente all’ambito delle pratiche filosofiche. Considerando il lasso di tempo intercorso si noteranno diversità di stile compositivo e argomentativo. Raccogliere questi contributi è stato un intenso esercizio autobiografico che mi ha permesso di cogliere la plasticità e l’articolazione di un pensiero in fieri e in dialogo con i gruppi di ricerca e i luoghi che ho abitato nel corso di questi anni. Nonostante questa diversità ritengo che questi studi si compongano armoniosamente in una visione della dialogica come trasformazione che è sempre stata al centro della mia prospettiva filosofica. Al contempo, reputo che essi possano stimolare non solo la ricerca di nuovi percorsi al di là dell’individualismo epistemico ma anche a sperimentare metodologie e contesti dialogici e partecipati. Ringrazio quindi Luca Grecchi per avermi spinto a raccogliere questi lavori e invitato a pubblicarli nella collana da lui diretta per Petite Plaisance, di cui Carmine Fiorillo è direttore e che a sua volta ringrazio per la gentilezza, competenza ed entusiasmo filosofico.
Il volume è composto da quattro sezioni. Nella prima, intitolata “La rilevanza etico-politica della dialogica socratica”, compaiono cinque contributi. I primi due, “Socrate: il dialogo come farmaco” e “Platone: la ricerca della verità nel dialogo”, presentano i tratti caratterizzanti la dialogica socratica. In questi due capitoli analizzo in particolare la funzione purificatrice del dialogo nel Carmide di Platone e il contesto amicale e comunitario alla base dell’impegno filosofico in quanto presentato da Platone nell’Epistola 7. Nel terzo capitolo intitolato “Incantamenti” studio la funzione retorica del dialogare socratico attraverso un’analisi dello Ione per chiarire la differenza tra la dimensione emotiva attivata dalla parola filosofica e da quella poetica.
Nel quarto e nel quinto capitolo mi concentro sul dialogo contemporaneo. Nel capitolo quarto, “La contemporaneità del dialogo socratico antico”, dopo aver evidenziato le differenze tra il dialogo socratico antico e contemporaneo, propongo alcune indicazioni per inserire la dimensione etico-politica, così centrale nel dialogo antico, nelle pratiche filosofiche contemporanee, specialmente focalizzandomi sulla funzione catartica della vergogna. Il capitolo quinto, “Promuovere la fiducia nell’umanità durante il massacro: la resistenza dialogica di Minna Specht” è un esempio della rilevanza etica e politica di un’azione dialogica nei tempi di maggiore crisi. In particolare sostengo come la tenacia del continuare a dialogare e di costruire contesti dialogici sia espressione di una fiducia nell’umanità anche quando una trasformazione sembra impossibile.
Nella seconda sezione, “La dialettica della trasformazione”, discuto il nucleo concettuale necessario per comprendere come il dialogo sia trasformativo. Nel capitolo sesto, “Da cacciator divenne preda”, studio la trasfigurazione del soggetto conoscente attraverso un’analisi degli Eroici Furori di Giordano Bruno in dialogo con altri autori del lignaggio platonico, specialmente Plotino. Da questo studio emerge con potenza la funzione trasformatrice di eros.
Nei capitoli sette, otto, nove e dieci discuto la dimensione dialettica della trasformazione. Nel capitolo sette, presento un confronto tra Eraclito e Platone rispetto alla composizione degli elementi e la legge armonica. Nel capitolo otto, rilevo la capacità manifestativa della negazione secondo l’interpretazione di Heidegger del Sofista di Platone in confronto con la dialettica hegeliana. Nel capitolo nove, riporto questa concettualità nella dimensione della pratica dialogica applicata all’ambito della comunicazione tra medico e paziente come composizione dialettica di armonie. Per finire, nel capitolo dieci intitolato “Intreccio continuo”, considero la dimensione metafisica, etico-politica e spirituale della relazionalità attraverso un dialogo con la prospettiva filosofica di Luigi Vero Tarca.
Nella terza sezione, denominata “In prima persona”, sono raccolti studi sulla dimensione incarnata e situata della ricerca dialogica. Nel capitolo undici, “Nous e phren: conoscenza intellettuale, razionalità discorsiva e saggezza erotica in Socrate e Platone”, discuto la proceduralità dialogica attraverso lo studio della dimensione incarnata ed affettiva delle diverse funzioni dell’anima. Nel capitolo dodici, “Amore per il sapere”, argomento in favore del valore epistemico delle emozioni, intrecciando la dimensione aporetica dello thaumazein alla scoperta del valore della verità in Platone e Aristotele.
Il dialogo tra Platone e Aristotele continua nei capitoli tredici e quattordici, “La vita politica e la vita contemplativa nella concezione aristotelica della felicità” e “La maturità come akmé”. Qui la trasformazione epistemica viene analizzata secondo il paradigma dello sviluppo di virtù e del progresso epistemico e morale come perfezionamento e maturazione. Interpreto questa trasformazione nel suo carattere generativo, superando così anche un dualismo tra contemplazione filosofica e azione politica.
L’ultima sezione, intitolata “Liberi dal dualismo”, approfondisce uno dei fattori centrali che impediscono la trasformazione dialogica, il dualismo come ostacolo alla condivisione. Il dualismo inteso come separazione viene qui analizzato in alcune sue istanziazioni, ovvero in quelle forme di violenza strutturale che conducono all’oppressione delle donne (capitolo sedici, “Il dualismo strutturale e la natura-cultura della violenza contro le donne”) e allo sfruttamento degli animali (capitolo diciassette, “La violenza originaria. Il dualismo uomo-natura come radice della tortura sugli animali”). Come antidoto propongo una filosofia della differenza (capitolo quindici, “Filosofia della differenza”) e un impegno a cercare degli spiragli di trasformazione anche all’interno di scenari dove ciò sembra essere impossibile (capitolo diciotto, “La vulnerabilità dell’impossibile”). In questa ultima sezione la dialogica assume una valenza prettamente contemporanea e viene discussa con riferimenti ad altre tradizioni filosofiche, specialmente la filosofia francese, in particolare quella di Luce Irigaray e Gilles Deleuze.
Questo volume è dedicato a tutte le amiche e gli amici dei gruppi dialogici di cui ho fatto parte in questi anni. Li ringrazio per avermi permesso di sperimentare la realizzabilità e la generatività di una conoscenza in prima persona plurale. Possano anche i lettori godere della forza trasformatrice del dialogo.
L. C.
Pardubice, 29 gennaio 2022
1 Vedasi a questo proposito quanto ho sostenuto in Filosofia delle relazioni, il melangolo, Genova 2019, scritto a quattro mani con Giacomo Pezzano.
Indice del volume
Introduzione
Dialogare in prima persona plurale
I. La rilevanza etico-politica della dialogica socratica
Capitolo 1 : Socrate: il dialogo come farmaco
Introduzione
Commento
Invito alle pratiche filosofiche: l’Imitatio Socratis
Capitolo 2 : Platone: la ricerca della verità nel dialogo
Introduzione
Commento
Invito alle pratiche filosofiche: il dialogo socratico
Capitolo 3 : Il potere della parola in Socrate e i rapsodi e l’invenzione platonica della performance filosofica
Introduzione
Socrate e i rapsodi: la performance
Ispirazione improvvisa versus conoscenza stabile
Dynamis magnetica versus trasferibilità della conoscenza
Interpreti e strateghi
Conclusione
Capitolo 4 : La contemporaneità del dialogo socratico antico. Il ruolo delle emozioni
Introduzione
L’interpretazione maieutica
Emozioni e retorica
Le emozioni: una via di contatto con il pubblico
Il caso della vergogna: la purificazione elenctica
Le emozioni e la concezione dell’anima platonica
Il dialogo socratico integrale
Conclusione. Verso un’affettività condivisa
Capitolo 5 : Promuovere la fiducia nell’umanità durante il massacro. La resistenza dialogica di Minna Specht
Introduzione
L’etica della cura nell’esperienza politica di Minna Specht
Il genocidio: prevenzioni e risposte
La forza dell’evento: vulnerabilità e resistenza
La cura del nostro mondo: il ruolo delle emozioni
Conclusione: dialogo e diritti umani
II. La dialettica della trasformazione
Capitolo 6 : «Da cacciator divenne preda». La trasfigurazione delsoggetto conoscente, tra ricerca appassionata e coglimento estatico, nel lignaggio platonico
Introduzione
La trasfigurazione
La via della conoscenza e il fuoco della visione
Il rilucere della bellezza e la divina follia
La dimensione maschile e femminile della ricerca
Il cammino della trasfigurazione
Conclusione
Capitolo 7 : La legge dell’armonia nella composizione degli elementi. Tra immanenza e trascendenza. Platone interprete di Eraclito
Introduzione
Krasis e Armonia
Trascendenza della legge e presenza dell’invisibile
Il soggetto della tecnica
Conclusione
Capitolo 8 :Il negativo è insieme anche positivo.La trasfigurazione della negazionetra immediatezza e mediazione
Introduzione
Il laboratorio platonico della negazione
Heidegger: negazione e apparire
In che modo la negazione fa apparire?
Hegel: la mediatezza dialettica
La trasfigurazione tra mediazione e immediatezza
La natura trasfigurante dell’apparire
e la temporalità come suo carattere costitutivo
La relazione nella negazione
Pragmatica ed elenchos del negativo
Conclusione
Capitolo 9 : Comporre armonie. La cura delle relazioninelle pratiche filosofiche integrali
Introduzione
La promozione della relazionalità. Perché?
Medicina ed armonia. Alcune suggestioni platoniche
Il giusto equilibrio tra vicinanza e distanza
Come promuovere la relazionalità?
Il medico filosofo
Capitolo 10 : Intreccio continuo
Introduzione
Intreccio esteso e pura differenza
La via metafisica
La via etico-politica
La via mistico-spirituale
Conclusione: la via della pura differenza
III. In prima persona
Capitolo 11 : Nous e Phren. Conoscenza intellettuale, razionalità discorsiva e saggezza erotica in Socrate e Platone
Introduzione
Phronesis e nous
La modalità conoscitiva della phronesis socratica
La ricerca della definizione e la visione dell’aporia
In ascolto del phren
Phren e daimonion
La modalità conoscitiva del nous platonico
Dialettica e noein
Nous e eros
Eros e trasparenza
Conclusione
Capitolo 12 : Amore per il sapere. Le emozioni epistemiche e ilvalore della verità
Introduzione
Le emozioni epistemiche
Ma cosa significa riconoscere all’emozione
un carattere epistemico?
Emozioni, virtù e conoscenza
Divenire filosofo
L’etica della conoscenza
Conclusione: per una cura epistemica
Capitolo 13 : La vita politica e la vita contemplativa nella concezione aristotelica della felicità
Introduzione
La felicità, la forma di vita e l’attività specifica
Le due forme di vita principali
La felicità come azione virtuosa
La politica come attuazione della contemplazione
Vita contemplativa e vita politica:
due forme inconciliabili nella stessa persona?
La politica «buona»
Capitolo 14 :La maturità intellettuale come ἀκμὴ
Introduzione
La παιδεία tradizionale e il modello educativo platonico
La pluralità dei culmini e lo sviluppo delle virtù
La maturità come virtù
Conclusione
IV. Liberi dal dualismo
Capitolo 15 :Filosofia della differenza
Il pensiero della differenza sessuale
Il magistero femminile
Il dualismo oggettivante
Differenza e pluralismo
Capitolo 16 : Il dualismo strutturale e la natura-cultura, della violenza contro le donne. Una lettura filosoficadel preambolo alla Convenzione di Istanbul
Introduzione
Definizione di violenza contro le donne
La violenza strutturale
Il dualismo è il fondamento
della violenza strutturale contro le donne
L’inglobamento come violenza simbolica
Uguaglianza, parità e differenza nella Convenzione di Istanbul
Alcune prospettive a mo’ di conclusione
Capitolo 17 : La violenza originaria. Il dualismo uomo-natura come radice della tortura sugli animali
Introduzione
Il dualismo e la violenza originaria
La tortura sugli animali come violenza strutturale
Il valore intrinseco della natura e il riconoscimento di principio dell’animale
La relazione uomo e animale all’interno del paradigma della differenza
Capitolo 18 : La vulnerabilità dell’impossibile
Resistenza e aspirazione
Nell’impossibile: sporgenze per la trasformazione
La resistenza appassionata
Conclusione
Bibliografia
Indice dei nomi
Laura Candiottoè Professore Associato in Filosofia Teoretica presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pardubice, Repubblica Ceca, dove contribuisce alle attività di ricerca del Centro di Etica con un progetto sul ruolo delle emozioni nella responsabilità epistemica. Precedentemente ha svolto attività di ricerca presso l’Università di Edimburgo (Marie Curie Individual Fellowship), la Libera Università di Berlino (Fondazione Alexander von Humboldt), l’Università d’Aix-Marseille (Centro di Studi Avanzati Iméra) e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Fa parte anche dell’Accademia Intercontinentale sull’Intelligenza Artificiale (ICA4) di UBIAS ed è docente di Etica dell’Intelligenza Artificiale presso il Master “IA, Mente e Impresa” dell’Università di Brescia.
Studiosa di Platone ed esperta di filosofia delle emozioni ha pubblicato Le vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone (2012) e Filosofia delle relazioni (2019, con G. Pezzano). Ha curato Senza dualismo. Nuovi percorsi nella filosofia di Platone (2015) e Filosofia delle emozioni (2020, con I. Adinolfi). Con Luigi Vero Tarca ha curato diversi volumi dedicati alle pratiche filosofiche, tra i quali Primum Philosophari. Verità di tutti i tempi per la vita di tutti i giorni (2013) e Le radici della scelta (2015). Ha un’ampia produzione in lingua inglese, tra cui i volumi The Value of Emotions for Knowledge (2019) ed Emotions in Plato (2020, con O. Renaut), ma anche francese, spagnola e portoghese. Alcuni dei suoi contributi sono disponibili online in academia.edu e www.emotionsfirst.org.
Un tuffo …
… tra alcuni dei libri di Laura Candiotto …
Essere in relazione. Verso l’unità di sensibile e intellegibile, di teoria e di pratica, Alpinia, 2007
Presentazione di due saggi: comparazione, dal punto di vista teoretico, della struttura dell’identità nel pensiero di Platone e di Emanuele Severino; possibili sinergie tra la Philosophy for Children e il Teatro dell’Oppresso. Entrambi i saggi presentano tematiche caratterizzati da un fondamento comune ovvero la relazionalità del reale e, soprattutto, la relazionalità tra piano intelligibile e piano sensibile, seguendo il lessico platonico; entrambi sono caratterizzati dalla convinzione della necessità di tenere in stretto dialogo reciproco il piano teoretico e quello pratico.
Vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone, Mimesis, 2012
Primum philosophari. Verità di tutti tempi per la vita di tutti i giorni, con Luigi Tarca, Mimesis, 2013
Il volume presenta una selezione di brani antologici, con relativi commenti, che possono esser d’ispirazione per le pratiche filosofiche contemporanee. Si passa da filosofi classici antichi (Socrate e Platone), a pensatori contemporanei (Bateson e Foucault), da mistici orientali (Krishnamurti) a santi occidentali (Francesco), da temi classici della filosofia (Severino) alla questione del pensiero delle donne (Irigaray) e così via. Il lettore potrà così, grazie alla panoramica proposta, scegliere di praticare e di approfondire le vie che sente più vicine alla propria esperienza e di mettersi in discussione grazie al riconoscimento di una prospettiva differente. “Primum philosophari” è quindi un esercizio di ascolto, di pensiero critico e di pratica filosofica. Il classico adagio per il quale “primum vivere, deinde philosophari” è qui rovesciato per esprimere nel titolo un invito a individuare nella filosofia una pratica per la vita quotidiana. Il pensiero, e in particolare quello filosofico, se autenticamente compreso, appartiene infatti alla dimensione di ciò che è primo all’interno dell’esperienza della vita vissuta nella sua pienezza.
Comunicare in medicina. L’arte della relazione, con Luigi Vero Tarce, Mimesis, 2014
La deumanizzazione in medicina, che regola le relazioni tra i medici, i pazienti e i familiari secondo i bisogni dell’apparato sanitario, spesso in contrasto con quelli degli umani, e la medicina difensiva, che crea un clima di sospetto reciproco tra il medico e il paziente, minano alle fondamenta ogni possibilità di costruire relazioni efficaci. Il volume ha l’ambizione di raccogliere riflessioni teoriche e prospettive pratiche che siano in grado di rispondere a tali problematiche sempre più urgenti, riconoscendo il valore centrale della comunicazione. La filosofia si configura quindi, nel suo connubio con la medicina, come un’arte della relazione. “Prendersi cura di chi cura” è quindi il motto che accompagna le pratiche filosofiche per la medicina.
Le radici della scelta. La vocazione per la professione medica, con Luigi Vero Tarca, Prefazione di Maurizio Scassola, Mimesis, 2015
Il problema che qui viene affrontato è quello relativo alla scelta professionale del medico che è indissolubilmente legata alla sua vocazione. La filosofIa va a toccare proprio le radici di tale vocazione, le quali si rivelano – forse un po’ sorprendentemente, ma non casualmente – vicine alle proprie. La vocazione comune è quella di aiutare gli umani a vivere bene; la scelta professionale è ciò che conferisce capacità operativa alla realizzazione di questo scopo. I contributi che compaiono in questo libro vogliono quindi fornire un aiuto alla migliore comprensione del rapporto tra la scelta professionale e la vocazione di fondo in campo medico. La prima sezione (Vocazione e professione) getta uno sguardo di carattere generale sulla vocazione riconducendola alle sue radici esistenziali e antropologiche, e il pensiero fi losofi co viene applicato ai fenomeni storici e istituzionali che investono oggi il mondo medico. La seconda sezione (Cura di sé e cura di noi) propone alcune possibili risposte fi losofi che alla domanda su come affrontare concretamente problemi così complessi. Il volume porta al centro dell’attenzione alcune testimonianze, narrate in prima persona dai medici, nelle quali vocazione e professione si intrecciano in maniera indissolubile. La vita reale è quindi il fil rouge che compone tra loro le diverse esperienze.
Laura Candiotto, Phd, è assegnista di ricerca in Filosofia teoretica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con un progetto sulla nozione di relazione. Vincitrice della borsa di ricerca Marie Curie IF 2014 per la realizzazione del progetto Emotions First presso l’Università di Edimburgo (UK).È Autrice di Le vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone (2012), curatrice con Luigi Vero Tarca di Primum Philosophari. Verità di tutti i tempi per la vita di tutti i giorni (2013) e di Comunicare in medicina. L’arte della relazione (2014).
Luigi Vero Tarca, già professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Allievo di Emanuele Severino, ha elaborato una originale prospettiva filosofica che ha implicazioni anche nel campo delle pratiche filosofiche. Tra le sue opere ricordiamo: Differenza e negazione. Per una filosofia positiva (2001); La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche (2003; scritto con R. Màdera); A lezione da Wittgenstein e Derrida. Ovvero come diventa reale un dialogo impossibile (Milano-Udine 2012 scritto con I. Cannonieri). Hanno partecipato al volume come autori: Marco Ballico, Massimiliano Cabella, Laura Candiotto, Giuseppe Dal Ben, Christian Doni, Franco Fabbro, Elisabetta Favaretto, Chiara Fornasiero, Mario Galzigna, Ornella Mancin, Leonardo Marcato, Bruna Marchetti, Tiziana Mattiazzi, Gian Luigi Paltrinieri, Sara Patuzzo, Mattia Pontarollo, Annalisa Rossi, Maurizio Scassola, Luigi Vero Tarca, Fabrizio Turoldo, Roberto Valle.
Senza dualismo. Nuovi percorsi nella filosofia di Platone, Mimesis, 2015
Il volume intende rilanciare la discussione in merito al cosiddetto “dualismo platonico”, vero luogo comune dell’interpretazione del pensiero di Platone e vero luogo del pensiero che interroga e mette in questione l’intera esperienza della filosofia. Importanti specialisti del pensiero platonico e pensatori contemporanei esplorano nuovi percorsi nella filosofia di Platone che evidenziano, ognuno nella sua specificità, un modo nuovo per intendere la “dualità” , la partecipazione tra idee e sensibili, la relazione di anima e corpo e la finalità della conoscenza filosofica. È di vitale importanza riuscire a pensare un oltrepassamento della concezione dualista che non si riduca a un monismo indifferenziato o a un immanentismo della presenza che nega ogni forma di trascendenza: lo sforzo è cioè quello di pensare la dualità senza dualismo. Prefazione di Giovanni Casertano.
Home-made violence, con Sara De Vido, Mimesis, 2016
l titolo richiama provocatoriamente la creazione domestica della violenza. Qualcosa che è “home-made” di solito è genuino, sano, semplice e acquista una connotazione positiva proprio perché “fatto in casa”. Nel nostro caso, invece, ciò che è fatto in casa è tutt’altro che positivo, è infatti la violenza domestica, un fenomeno complesso, che appartiene al mondo del privato e che si origina nelle relazioni – o ex relazioni – di coppia. Un fenomeno che era destinato a rimanere oscuro, se non fosse che lo sviluppo del diritto internazionale ha consentito di superare il “public/private” divide che impediva di identificare dei precisi obblighi in capo agli Stati con riguardo alla prevenzione e alla lotta alla violenza domestica. I contributi che qui vengono presentati, frutto del lavoro di studiose e studiosi di cinque nazionalità diverse (Florence Benoît-Rohmer, Bruna Bianchi, Maria Ida Biggi, Laura Candiotto, Alisa Del Re, Sara De Vido, Edlira Grabova, Bonita Meyersfeld, Manfred Novak, Ivana Padoan, Ines Testoni) ruotano attorno alla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa entrata in vigore il 1 agosto 2014 e attraversano diverse discipline: dalla storia al diritto, dalla filosofia alla scienza dell’educazione, dalla psicologia al teatro.
l diritto alla filosofia. Quale filosofia per il terzo millennio?, con Francesca Gambetti, Diogene multimedia, 2016
Il volume riprende i temi di un fortunato libro dallo stesso titolo di Jacques Derrida e raccoglie saggi di numerosi autori, provenienti tanto dal mondo accademico quanto da quello delle pratiche filosofiche. D’altra parte, se c’è un diritto alla filosofia, o è per tutti o non è, e per tutti vuol dire anche per i cittadini non filosofi e persino per i bambini con la philosophy for children. Una filosofia per la cittadinanza, dunque. Ma quale filosofia? Per rispondere a questa domanda è nato questo libro, che apre una nuova collana della casa editrice Diogene Multimedia, di livello accademico ma rivolta anche alle professioni filosofiche all’esterno dell’accademia.
Socrate a L’agora. Que Peut La Parole Philosophique?, con Dries Boele et al., Vrin, 2017
Les années 80 ont vu émerger un art de philosopher, plus soucieux de pratique de vie que de construction spéculative. Ce regain d’intérêt pour la philosophie pratique, et notamment pour la discussion et la délibération philosophiques, renouant avec le dialegesthai socratique, conduit à une réflexion fondamentale sur la fonction de la parole philosophique, une parole qui est aujourd’hui amenée à se produire en des lieux nouveaux et sur des questions qui sont d’abord de nature éthique et politique. Le présent collectif, issu d’un colloque qui s’est tenu à Aix-en-Provence, recueille diverses contributions qui toutes s’interrogent sur ce « renouveau » et s’efforcent d’en apprécier le sens et l’ambition, en le rapportant à la figure exemplaire de Socrate philosophant sur l’agora. Cette rencontre d’une philosophie de nature académique et d’une pratique philosophique ouverte à chacun contribue à une meilleure compréhension des « dialogues socratiques » et à une meilleure intelligence du temps présent.
È tutto vero! Saggi e testimonianze in onore di Luigi Vero Tarca, con Francesco Berto, Mimesis, 2018
Dalla discussione dell’onnialetismo – la tesi filosofica secondo la quale ogni proposizione è vera – all’analisi della trappola del negativo – per cui il positivo è identificato con il negativo del negativo -, dalla testimonianza della filosofia come stile di vita all’approfondimento della nozione di pura differenza, il volume raccoglie trenta contributi di allievi e colleghi di Luigi Vero Tarca che si confrontano con la sua prospettiva filosofica.
Il genocidio. Declinazioni e risposte di inizio secolo, Giappichelli, 2018
l genocidio. Declinazioni e risposte di inizio millennio, a cura di Lauso Zagato e Laura Candiotto, sviluppa i contributi anticipati dal Convegno svoltosi sul tema a Ca’ Foscari, Venezia, nel febbraio 2014. Non diversamente dall’evento che lo ha preceduto, il volume presenta uno spiccato tratto interdisciplinare, all’insegna di un dialogo prevalente tra giuristi e filosofi, ma arricchito dall’apporto importante di altre discipline: politologiche e storiche, con attenzione al dialogo interreligioso e alla psicologia del conflitti. Un quarto dei contributi, si noti, è in lingua inglese. Scandito da una suddivisione in parti – nozione, prevenzione, risposta – il volume Il genocidio. Declinazioni e risposte di inizio millennio rappresenta uno strumento di lavoro utile nel suo rigore a docenti e studenti (e non solo universitari), ma prezioso pure – con la sua articolazione estesa ed approfondita ad un tempo – ad associazioni e imprese, funzionari pubblici, operatori attivi nel campo dei diritti umani in genere, specie ove si trovino a confrontarsi con gross violations di tali diritti.
Filosofia delle emozioni, con Isabella Adinolfi, Il Nuovo Melangolo, 2019
L’orizzonte valoriale dischiuso dalla conoscenza affettiva è un importante ambito di ricerca per l’epistemologia, l’etica, la politica e la teologia. Le emozioni contribuiscono alla definizione del valore dell’oggetto al quale si riferiscono ed esprimono l’orizzonte dí significato all’interno del quale il soggetto che sente, pensa e agisce costituisce la propria identità in relazione con il mondo. Le emozioni svolgono un ruolo centrale nella creazione di giudizi di valore e hanno la capacità di attivare processi motivazionali, in quanto sono inserite in una costellazione di funzioni conoscitive, dall’immaginazione all’aspirazione, dal sentire corporeo alla deliberazione.
Filosofia delle relazioni, con Giacomo Pezzano, Il Nuovo Melangolo, 2019
Siamo abituati a vedere intorno a noi oggetti, la cui esistenza sembra la cosa da dare più per assodata. Eppure, le nostre vite sono sempre più immerse in reti di interazioni: che cosa accadrebbe allora, se cominciassimo ad accorgerci che siamo invece innanzitutto circondati da relazioni e processi, prima che da cose e oggetti? È possibile cominciare a guardare al mondo come se fosse percorso da rapporti e trasformazioni? Filosofia delle relazioni offre degli strumenti linguistici e concettuali per comprendere la natura e il funzionamento delle relazioni, elaborando una prospettiva in grado tanto di tenere conto di alcune sollecitazioni provenienti dalla scienza contemporanea, quanto di rendere conto di alcuni aspetti che fanno parte della nostra esperienza, anche se spesso in maniera inavvertita.
The Value of Emotions for Knowledge, palagrave macmillan, 2019
This innovative new volume analyses the role of emotions in knowledge acquisition. It focuses on the field of philosophy of emotions at the exciting intersection between epistemology and philosophy of mind and cognitive science to bring us an in-depth analysis of the epistemological value of emotions in reasoning.
With twelve chapters by leading and up-and-coming academics, this edited collection shows that emotions do count for our epistemic enterprise. Against scepticism about the possible positive role emotions play in knowledge, the authors highlight the how and the why of this potential, lucidly exploring the key aspects of the functionality of emotions. This is explored in relation to: specific kinds of knowledge such as self-understanding, group-knowledge and wisdom; specific functions played by certain emotions in these cases, such as disorientation in enquiry and contempt in practical reason; the affective experience of the epistemic subjects and communities.
Emotions in Plato, con Olivier Renaut, Brill Academic Pub, 2020
“Emotions (patháe) such as anger, fear, shame, and envy have long been underestimated in Plato’s philosophy. The aim of Emotions in Plato is to provide a consistent account of the role of emotions in Plato’s psychology, epistemology, ethics and politicaltheory. The volume focuses on three main issues: taxonomy of emotions, their epistemic status, and their relevance for the ethical and political theory and practice. This volume, which is the first edited volume entirely dedicated to emotions in Plato’s philosophy, shows how Plato, in many aspects, was positively interested in these affective states in order to support the rule of reason”—
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Male quotidiano. Resistere di fronte agli esecutori. Silenzio e parole : La pietra perifrastica
Il male non è nei grandi eventi, ma nella normalità del quotidiano. Le grandi manifestazioni della violenza sono la punta dell’iceberg della normalità del male e del suo radicarsi nel quotidiano. Associare il male esclusivamente a malvagie intenzioni è una trappola in cui non bisogna cadere, l’intenzione malvagia è un’eccezione nella pratica del male, essa è piuttosto indifferenza e pensiero acritico. L’indifferenza non è casuale, è coltivata nel sistema mediante l’addestramento competitivo il cui scopo a trasformare ogni occasione in profitto, ciò si radica e si introietta fino a diventare la seconda natura dell’essere umano che tutto guida. Dall’orizzonte emotivo l’alterità è oscurata e con essa scompare il pensiero critico ed il giudizio qualitativo. L’indifferenza verso la comunità diviene giudizio acritico, si può vivere nel male, ma essere superficialmente convinti di essere nel bene. L’inganno dei totalitarismi è sempre eguale, si parte da un postulato da cui tutto dedurre logicamente deduttivamente senza che vi sia nella catena logica dubbio o riflessione sulle asserzioni logiche. Vi è lo scollamento tra verità e logica, quest’ultima è il protocollo i ogni agire indiscusso, e pertanto mai oggetto di giudizio critico. Il liberismo è totalitarismo capzioso, poiché parte dalla premessa della naturale predisposizione dell’essere umano al profitto, la libertà nell’assecondare il banale egoismo è la legge logica di ogni azione, parola e comportamento giornaliero. L’attenzione è solo sull’io e sull’interesse privato, non rientrano nel calcolo le conseguenze dell’azione e specialmente l’abitudine a perseverare nell’interesse privato congela ogni riflessione sul dato e sull’ipotetica possibilità dell’alternativa. L’oscuramento del giudizio critico è l’eclissi della ragione oggettiva, non resta che una soggettività spogliata della sua capacità di giudizio e resa conforme alla logica che tutto muove. La soggettività è, così, interna alla concatenazione logica e degli stimoli, non li governa, ma è l’esecutrice di logiche che non ha deciso, pertanto implicitamente il male è una nuova innocenza edenica senza gioia. La passività deresponsabilizza, si è sempre innocenti, non si è mai toccati dal male, esso è sempre degli altri, è in un fuori irraggiungibile. La logica che la Arendt ha applicato al nazismo e al comunismo staliniano è ora applicabile al liberismo, poiché l’integralismo dell’azienda con la adamantina logica del profitto ha occupato ogni spazio del quotidiano, al punto che ha sostituito la verità, è diventata pratica del male irriflessa che si materializza nella vita dei singoli come nelle relazioni internazionali. Il male avanza non solo sulla punta delle baionette, ma specialmente nel declino del giudizio critico sostituito banalmente dalla logica della potenza distruttrice:
“La logica non si identifica col ragionamento ideologico, ma indica la trasformazione totalitaria delle diverse ideologie. Se caratteristica principale delle ideologie fu di trasformare un’ipotesi scientifica, quale poteva essere ad esempio la sopravvivenza del più forte in biologia o della classe più progressista nella storia, in un’«idea» che potesse applicarsi all’intero corso degli eventi, allora è proprio della trasformazione totalitaria cambiare l’idea nella premessa logica, cioè in qualche affermazione, autoevidente da cui tutto si possa dedurre con implacabile coerenza logica1”.
Totalitarismo liberista
Il totalitarismo liberista non contemplato dalla Arendt come il ministero della verità del testo di Orwell 1984 vorrebbe riscrivere la storia, vorrebbe rappresentare la storia come la lunga marcia che porta al liberismo, oltre non vi è nulla, vi è solo la conferma nell’allargamento pervasivo geografico e temporale del turbocapitalismo. Ogni totalitarismo vorrebbe neutralizzare la storia, per questo la deve riscrivere e mutilare delle sue possibilità. Controllare la storia significa riordinare il tempo delle coscienze secondo una rigida concatenazione causale con la quale gli esseri umani sono ridotti ad enti che obbediscono alle leggi scientifiche. Nulla di nuovo deve emergere dalle coscienze, ma tutto deve essere sterilmente preordinato. La società aperta liberista si svela nella sua verità, se si pongono in epochè le libertà formali e si pensa il quotidiano in cui siamo invischiati, nel quale ogni gesto è finalizzato al profitto, in tale logica avanza l’impotenza rabbiosa generale, poiché le potenzialità di ogni persona sono asservite al solo profitto, e dunque sono negate. L’individuo fondamento del liberismo è negato. Nulla è vissuto con spontaneità e creativa gratificazione, anzi queste ultime sono vissute come patologie da curare. Dalla coscienza del soggetto come dalla storia nulla di nuovo deve emergere, ma tutto dev’essere sussunto alla logica del profitto e della guerra:
“Chiunque nelle scienze storiche creda sinceramente nella causalità, nega in realtà lo stesso oggetto della sua scienza. Tale credo può esser celato nell’applicazione di categorie generali, come sfida e risposta, all’intero corso degli avvenimenti, o nella ricerca di tendenze generali che si suppone siano gli strati più profondi da cui nascono gli eventi di cui essi sarebbero sintomi accessori. Tali generalizzazioni e categorizzazioni spengono la luce «naturale» che la stessa storia offre e, per ciò stesso, distruggono la vera storia, la sua unicità e il suo significato eterno che ogni periodo storico esprime. Nel quadro di tali categorie preconcette, la più cruda delle quali è la causalità, nessun evento, nel senso di qualcosa di irrevocabilmente nuovo, può apparire e la storia senza eventi di diventa la morta monotonia dell’unicità che si svolge nei tempi, l’eadem sunt omnia semper di Lucrezio2”.
Il nichilismo è la negazione del pensiero critico, l’unica logica a cui obbedisce è la libertà nella forma della soddisfazione dei propri interessi personali. La premessa è il profitto, il risultato è il suo conseguimento, le proposizioni intermedie sono solo tattica per la conclusione. La libertà consiste nell’abbattere gli ostacoli senza pensare-immaginare non solo le conseguenze, ma specialmente se tali azioni sono fonte di vero bene per il soggetto e per la comunità. L’utile divora l’idea di bene fino a renderla archeologica presenza lessicale. L’idea del bene deve scomparire dalla parole e dalle intenzioni, il sistema la rappresenta come divisoria e conflittuale, fonte e causa dei conflitti nel passato. L’assurdo logico è che la perenne lotta di tutti contro tutti, pur nella sua drammatica evidenza, è rappresentata come il paradigma che divide il mondo della libertà dal mondo dell’oppressione. Chiunque non voglia essere incluso nel liberismo è il male, ma ogni discussione sul bene è neutralizzata sul nascere, in tal modo il sistema si protegge dai crimini e tragedie commessi in nome del profitto. L’immaginazione, facoltà con cui ci si ritrae dagli stimoli, per ripensarli e creare il “mondo” è rigettata e vilipesa, si consolida l’uomo nuovo del liberismo con immense capacità tecniche, ma incapace di pensare, se rispondono al bene autentico delle comunità come dei singoli:
“Solo l’immaginazione ci permette di vedere le cose sotto il loro vero aspetto, di porre a distanza ciò che è troppo vicino in modo da comprenderlo senza parzialità né pregiudizi, di colmare l’abisso che ci separa da ciò che è troppo lontano in modo da comprenderlo come se ci fosse famigliare3”.
Il totalitarismo liberista si svela, se l’azione è sospesa e si pensa la logica che esso persegue. La verità del liberismo globale è nella negazione del suo fondamento: l’individuo con i diritti, in realtà è niente, poiché sussunto alla logica del profitto, è mezzo, e non fine, per cui il soggetto è un protocollo codificato dal sistema e dalla logica del profitto. Uscire dal totalitarismo significa riconoscerlo nella sua metamorfica capacità di mascherarsi e di assumere forme nuove. Il grande compito storico degli uomini e delle donne di buona volontà e di pensiero è smascherare le nuove forme di totalitarismo implicito per favorire l’emancipazione politica collettiva.
*** ***
Esecutori
La politica della globalizzazione non ha statisti o veri protagonisti, ma ha solo esecutori. Gli oligarchi governano, i politici eseguono, la politica agonizza e scompare, essa è solo uno spettro, non ha profondità, poiché è l’economia a tirare le fila. Gli esecutori, ciò malgrado, non sono tra di loro eguali, si può eseguire un ordine mediando il comando con le circostanze. L’intervento del Presidente del Consiglio Draghi con cui ha ringraziato Zelensky, è la dimostrazione di un tipo di esecutore incapace di mediare il comando con il contesto. Dopo il discorso del leader ucraino trasversalmente applaudito al Parlamento italiano, il Presidente del Consiglio ha tenuto il suo discorso in cui senza mediazione si è schierato, a nome degli italiani, con gli ucraini al punto da dichiarare la disponibilità della nazione ad inviare armi. Un non eletto decide in nome degli italiani, e ciò è già inquietante, ma dichiarare l’invio d’armi per aiutare la pace è come gettare benzina per spegnere un incendio. In questo caso l’esecutore degli ordini atlantista non ha mediato il comando con la Costituzione italiana. Nel discorso con i quotidiani e squallidi bizantinismi a cui siamo abituati, si poteva eseguire il comando rispettando minimamente la Costituzione, invece nulla. I dubbi su un’azione di guerra in sostegno ad una Ucraina in odore di nazionalismo fascista, che ha dichiarato illegale il partito comunista e limita l’uso della lingua russa, non sono pensati, ma occultati. In tali ambigue circostanze la mediazione era d’obbligo, invece il Presidente del Consiglio riporta gli ordini in Parlamento a sua volta sussunto all’esecutore. Resta un dubbio ulteriore, il mediocre esecutore non ha saputo mediare, o non ha voluto, in quanto ha voluto rassicurare gli oligarchi americani della fedeltà canina del Parlamento al disegno atlantista, al punto da palesare un sostanziale disprezzo verso la cultura della resistenza, la quale è il fondamento invisibile del Parlamento e della Costituzione. In entrambi i casi si è consumata una rottura tra Parlamento e popolo. Il Parlamento è sempre più simile ad una Versailles lontana dai sudditi. Non spirano venti rivoluzionari, ma la cesura tra i cittadini e il Parlamento spinge la nazione verso la disperazione: non vi è speranza nel futuro e nessuna fiducia verso le istituzioni. Il vuoto politico ed etico è potenza di possibilità imprevedibili. Il grande pericolo è tra di noi, siamo ad un passo dall’abisso, o forse già in caduta libera, per cui, forse, solo lo schianto potrà risvegliarci dal sonno ipnotico in cui stiamo precipitando. Gli esecutori sono in palese contraddizione logica, non rispettano i principi logici, si autonegano continuamente, ma ciò malgrado le loro menzogne non sono oggetto di critica. Il Presidente del Consiglio dichiara di essere per la pace, ma invia armi, afferma di volere l’Ucraina nell’unione europea, ovvero nella NATO, mentre si ricercano soluzioni diplomatiche. Si spinge alla guerra, si eseguono ordini senza nessun obiettivo reale, l’unico scopo è conservare il potere della plutocrazia, pertanto ci si adatta alle circostanze con una velocità sbalorditiva dimenticandosi quanto detto ieri, il risultato è la sfiducia dei cittadini nelle parole delle istituzioni. Gli esecutori come giocolieri usano le parole per mettere in atto ordini: non c’è pensiero, non c’è concetto, ma solo flatus vocis. Disabituare i cittadini all’ascolto e alla fiducia nelle parole è criminale, significa destabilizzare il fondamento della civiltà: il dialogo e la ricerca della verità. Non resta che ricostruire la resistenza del pensiero per contenere il nulla che avanza con i suoi venti di guerra. Resistere significa non lasciarsi prendere dal nulla dell’ateismo dei spregiatori della verità, ma restare in piedi tra le macerie ed unirsi per fermare il deserto che già abita tra di noi.
Silenzio e parola
Kiki Dimoulá poetessa greca scomparsa nel 2020 con la poesia La pietra perifrastica ci conduce nel silenzio della nostra epoca. La poesia non appartiene all’autore, ma parla attraverso l’autore materiale, è contatto con l’universale, per cui le parole del poeta sfuggono allo stesso per riposizionarsi nell’eccedenza creativa. La polisemia della poesia è fenomenologica, le parole non riescono a colmare la profondità del mondo, ma giocano con l’abisso per restituirci aspetti di verità. La pietra perifrastica reca con sé il silenzio del mondo, il ritiro del logos, eppure l’invocazione che ritmicamente evoca la risposta, implora la comunicazione è il segno di un’impossibile rinuncia. Senza parole la notte del mondo si sporge a noi, ma il bisogno di parole vere che recano l’impronta del tocco, ci rammenta che nessuna notte è totale. Il pensiero arretra, il nichilismo avanza con le sue ambigue promesse, ma vi è un’innocenza che sopravvive, sembra sul punto di farsi travolgere, ma sopravvive e ci indica con la sua cocciuta presenza che continueremo a porre domande, a cercare il modo esatto di porle in modo che il movimento delle parole ci tocchi per ricostruire processi di verità. La parola non è mai astratta, ma essa è interna ad una cornice di rimandi che la rendono concreta e trascendente, l’arco temporale delle parole sfugge il presente per aprirsi allo splendore del passato e del futuro che convivono nella soglia del presente. Ogni parola che riemerge dalla profondità della domanda è nuova pur con la sua storia che ci invita alla parassi, a ricreare l’ordine delle parole che ci stringono nella stretta mortale:
La pietra perifrastica (1971), di Kikì Dimulà
Parla Dì qualcosa, una qualsiasi. Soltanto non stare come un’assenza d’acciaio Scegli una parola almeno, che possa legarti più forte con l’indefinito. Dì “ingiustamente” “albero” “nudo” Dì “vedremo” «imponderabile», «peso». Esistono così tante parole che sognammo una veloce, libera, vita con la tua voce Parla Abbiamo così tanto mare davanti a noi Dove noi finiamo inizia il mare Dì qualcosa Dì «onda», che non sta arretra Dì «barca», che affonda se troppo la riempi con periodi Dì «attimo», che urla aiuto affogo, non lo salvare, Dì, «non ho sentito» Parla Le parole hanno inimicizie, hanno antagonismi se una ti imprigiona, l’altra ti libera. Tira a sorte una parola dalla notte. La notte intera a sorte Non dire «intera», Dì «minima», che ti permette di fuggire. Minima sensazione, tristezza intera di mia proprietà Intera notte Parla Dì «astro», che si spegne Non diminuisce il silenzio con una parola… Dì «pietra», che è parola irriducibile Così, almeno che io possa mettere un titolo a questa passeggiata lungomare.
Conservare l’invocazione alle parole è la breccia che può far tremare il mondo. Il capitale con le sue pratiche vorrebbe cancellare i linguaggi, perché teme le domande, vuole orizzonti che si chiudono nel deserto di un mondo di cose dove la parola si infrange per restare muta. Dinanzi all’avanzare del deserto non possiamo che piantare parole come fossero alberi per l’inverno dello spirito che sembra avanzare ineluttabile, ma solo il movimento delle parole nella sua purezza che si eleva dalle ambiguità della storia può condurci fuori dalla spelonca dei silenzi “capitali”. Solo i linguaggi liberano, perché mostrano la complessità olistica del mondo. Contro i semplicismi del nuovo totalitarismo non riconosciuto la poesia ci spalanca mondi che il capitale vorrebbe seppellire sotto il silenzio delle merci.
Salvatore Bravo
1 Hannah Arendt, La disobbedienza civile e altri saggi, Giuffrè editore 1985, pag. 103
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Enrico Moscarelli Senofane ed Empedocle. Testimonianze e frammenti Un confronto tra l’antica e l’attuale cosmologia. Saggi introduttivi e testo greco delle opere con traduzione a fronte.
Editrice Petite Plaisance
ISBN 978-88-7588-317-8, 2022, pp. 304, Euro 30 – Collana “Il giogo” [144].
In copertina: Biblioteca di Celso (Efeso, oggi in Turchia) tra le cui migliaia di papiri si potevano trovare le opere dei due grandi filosofi oggetto del presente studio.
Le testimonianze e i frammenti raccolti nel presente volume, tradotti e presentati con testo a fronte, suggeriscono un accostamento tra Senofane ed Empedocle, due grandi pensatori del mondo antico. Entrambi in effetti sono stati, con le rare eccezioni che vengono qui debitamente evidenziate, a lungo incompresi e sottovalutati come altri antichi filosofi, se non del tutto ignorati, e presi in considerazione piuttosto riferendosi ad alcuni luoghi delle rispettive ricerche riguardanti singoli aspetti di carattere “scientifico” o teologico. Tuttavia, la ragione più profonda del loro accostamento viene acutamente rappresentata dalla Timpanaro Cardini quando afferma: «Untersteiner, richiamando Reinhardt, osserva che “un procedimento stilistico come quello di Senofane 21 B 30, può trovare un parallelo in Empedocle 31 B 17, 3”; ma a noi sembra che l’affinità debba piuttosto ricercarsi non tanto nella forma stilistica, quanto nella materia; ché veramente Empedocle ebbe, simile a Senofane, il gusto dell’osservazione e dell’interpretazione razionale dei fenomeni naturali. Senofane per il primo introduce nell’epos la descrizione dei fatti naturali come perfettamente conciliabili nella sfera della conoscenza umana col dio-uno-tutto, perché inseriti in esso e suscettibili di una comprensione sempre più elevata da parte dell’uomo colto» (M. Timpanaro Cardini, Saggio sugli Eleati, Pisa 1967, p. 154).
Sommario
S E N O F A N E
Premessa
A mo’ di prologo
Un rapido cenno biografico
Le Culture e le Diete
Il cibo di Senofane e dei suoi amici
Senofane contro Omero.
Fu teologo, semplicemente filosofo o altro ancora?
L’astronomia di Senofane
Opere citate o riguardanti Senofane
Autori moderni citati
Testimonianze
Frammenti
Elegie
Silli
Parodie
Sulla Natura
Appendice I e note aggiunte
******
Seconda parte
*******
E M P E DO C L E
Avvertenza
Qualche osservazione preliminare
L’ex nihilo nihil fit e il miracoloso Big Bang
Cosa ne pensava Parmenide di Elea?
Anassimene ed Empedocle
La vita di Empedocle
Le opportune distinzioni tra doxai periferiche,
polymathìa, le diverse discipline specialistiche
nel campo della medicina egiziana, nei rispettivi
rapporti con l’epistéme, la filosofia,
e in confronto con la scienza dei nostri tempi
La doxa di Parmenide
Poema fisico epurificazioni
Epistola iatrosofistica
Versi spuri
Frammenti di Strasburgo
Appendice II e note aggiunte
Autori moderni citati
Opere citate su Empedocle
Indice generale dei nomi
Enrico Moscarelli è nato a Napoli, dove vive tuttora, e si occupa da oltre trent’anni di filosofia antica, con particolare attenzione ai cosiddetti presocratici. È intervenuto come relatore in convegni e seminari presso l’Accademia Pontaniana, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e fa parte della redazione della rivista filosofica «Porta di Massa». È autore tra l’altro di Ecateo di Mileto. Testimonianze e Frammenti, La Città del Sole, Napoli 1999; I quattro grandi Milesi, Liguori, Napoli 2005; Elio Aristide. Contro Platone, IISF, Napoli 2010; Sofoi, Sofisti: Filosofi, Liguori, Napoli 2014. L’ampia introduzione di quest’ultima opera è stata pubblicata anche in francese: Sages, sophistes: philosophes, trad. di Laura Moscarelli, in «Cahiers critiques de philosophie», n° 15 (2016), pp. 25-496.
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