Salvatore Bravo – La engelsiana dialettica della storia è non solo antiumanistica, ma favorisce forme di sudditanza rafforzando comportamenti fatalistici e minando l’essenza stessa del comunismo, la quale è emancipazione comunitaria, tensione positiva tra libertà del singolo e libertà della comunità.

K. Marx- F. Engels dialettica della storia

Salvatore Bravo

La engelsiana dialettica della storia è non solo antiumanistica, ma favorisce forme di sudditanza rafforzando comportamenti fatalistici e minando l’essenza stessa del comunismo, la quale è emancipazione comunitaria, tensione positiva tra libertà del singolo e libertà della comunità.

La sinistra che non c’è lascia spazio alle sue imitazioni, ai partiti-movimenti utilizzati ad hoc dai potentati economici per le elezioni o per far accettare più docilmente dai popoli “provvedimenti e riforme” contro i popoli. La fine del comunismo reale novecentesco impone un lungo percorso di ricostruzione ideologica mediata dalla riflessione non solo sugli errori strettamente storici, ma anche di ordine ideologico.
Il comunismo è stato segnato, in tal senso, dall’interpretazione engelsiana di Marx. Non è stato sufficientemente valutato che il determinismo di Engels era parte del positivismo dell’Ottocento, un mezzo, probabilmente, per rendere il messaggio coerente alla sua epoca e per rafforzare la lotta con l’errata idea della inevitabilità della vittoria finale del proletariato. Il determinismo ha anche favorito la sconfitta della sinistra, poiché è stato utilizzato dai burocrati e dalle nomenclature per passivizzare l’attività politica della base – tanto il successo era già iscritto nella dialettica della storia, pensata come ineluttabilmente vincente –, con l’inevitabile allontanamento della base dal comunismo reale del Novecento, vissuto come estraneo ed opprimente. Non solo! Forse vi è una sostanziale relazione tra la passività con cui i popoli hanno accettato l’economicismo crematistico attuale ed il passato ideologico comunista, in quanto anche quest’ultimo era sostanzialmente una forma di economicismo che aveva esemplificato banalizzandolo il ben più profondo e radicale pensiero di marxiano. Vi è stato solo un passaggio di consegne tra forme diverse di economicismo.
Marx aveva legato in modo indissolubile l’economicismo all’alienazione: il comunismo doveva realizzare, in primis, la liberazione dall’alienazione. Nel comunismo reale del Novecento l’alienazione era invece venuta mutando ancor più come sistema, e ciò non ammette concessioni e giustificazioni anche se le circostanze storiche avverse costringevano il proletariato di tutti i paesi (socialisti e non) a vivere in perenne difesa dai disvalori dell’Occidente e non favorivano forme di democrazia e partecipazione.
Bisogna, dunque, tornare a Marx non nella forma del feticcio ideologico, ma per curvarlo al presente, per tras-formare nuclei teorici marxiani in fondamenti per il presente e per il futuro della lotta contro il nichilismo del capitalismo assoluto. In Marx, certo, vi sono contraddizioni che hanno permesso l’affermarsi dell’economicismo nella forma engelsiana. Ma la concezione dialettica della storia presente nel Marx maturo è stata trasformata da Engels nel fondamento del marxismo. La dialettica della storia è non solo antiumanistica, ma favorisce forme di sudditanza, in quanto se la storia è già iscritta nelle sue leggi non bisogna che attenderne gli inevitabili sviluppi, e ciò rafforza comportamenti fatalistici minando l’essenza stessa del comunismo, la quale è emancipazione comunitaria, tensione positiva tra libertà del singolo e libertà della comunità. Si tratta, insomma, dell’universale concreto, in cui singolare ed universale  interagiscono in modo fecondo. La storia letta come successione meccanicistica di fasi, invece, insegna l’universale astratto, affermando che le leggi della storia governano il destino degli esseri umani:

«La concezione materialistica della storia parte dal principio che la produzione e, con la produzione, lo scambio dei suoi prodotti sono la base di ogni ordinamento sociale, che, in ogni società che si presenta nella storia, la distribuzione dei prodotti, e con essa l’articolazione della società in classi o stati, si modella su ciò che si produce, sul modo come si produce e sul modo come si scambia ciò che si produce. Conseguentemente le cause ultime di ogni mutamento sociale e di ogni rivolgimento politico vanno ricercate non nella testa degli uomini, nella loro crescente conoscenza della verità eterna e dell’eterna giustizia, ma nei mutamenti del modo di produzione e di scambio; esse vanno ricercate non nella filosofia, ma nell’economia dell’epoca che si considera. Il sorgere della conoscenza che le istituzioni sociali vigenti sono irrazionali ed ingiuste, che la ragione è diventata un nonsenso, il beneficio un malanno, è solo un segno del fatto che nei metodi di produzione e nelle forme di scambio si sono inavvertitamente verificati dei mutamenti per i quali non è più adeguato quell’ordinamento sociale che si attagliava a condizioni economiche precedenti. Con ciò è detto nello stesso tempo che i mezzi per eliminare gli inconvenienti che sono stati scoperti debbono del pari esistere, più o meno sviluppati, negli stessi mutati rapporti di produzione. Questi mezzi non devono, diciamo, essere inventati dal cervello, ma essere scoperti per mezzo del cervello nei fatti materiali esistenti della produzione».[1]

La sinistra per rifondarsi deve rigettare l’economicismo che governa e determina il destino degli esseri umani per riportare al centro l’agire dei popoli. Ogni prassi avviene nella storia, deve confrontarsi con le circostanze, le deve mediare mediante processi concettuali, altrimenti non vi è libertà, ma solo obbedienza.

Libertà, esodo dall’economicismo, e congedo dall’ide errata di Engels

L’economicismo ha la sua visione e codificazione della libertà, la quale nel linguaggio engelsiano è capire la necessità ed adattarsi ad essa, darsi consapevolmente al corso della storia. Se la libertà è accettazione fatale della necessità, in tale concezione si cela il pericolo di un sostanziale dogmatismo che si unisce alla deresponsabilizzazione della comunità. Vi è non solo il rischio – perché ciò è accaduto e accade continuamente –, che l’abitudine all’obbedienza dell’economia ed alle sue leggi trasformi delle tendenze in atto, sempre trasformabili e discutibili, in leggi ferree che non lasciano scampo. L’economia condiziona le idee e la sovrastruttura, ma l’essere umano può pensare autonomamente, può deviare il corso della storia, specialmente nelle circostanze storiche attuali, in cui vi sono potenzialità di trasformazione che soltanto l’economicismo e l’abitudine alla sudditanza impediscono di concettualizzare. La nuova sinistra deve rielaborare il concetto di libertà fondato sulla partecipazione e sulla mediazione collettiva delle contingenze storiche dalle quali è possibile far emergere un mondo nuovo. Senza esodo dall’economicismo non vi potrà essere la rinascita della sinistra. In Engels la libertà è semplicemente conoscenza delle leggi della storia. Da questa concezione dobbiamo congedarci, anche se non dal pensatore, il quale è sempre motivo di confronto comparativo e critico:

 

«La libertà non consiste nel sognare l’indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza, di farle agire secondo un piano per un fine determinato. Ciò vale in riferimento tanto alle leggi della natura esterna, quanto a quelle che regolano l’esistenza fisica e spirituale dell’uomo stesso: due classi di leggi che possiamo separare l’una dall’altra tutt’al più nell’idea, ma non nella realtà. Libertà del volere non significa altro perciò che la capacità di poter decidere con cognizione di causa. Quindi quanto più libero è il giudizio dell’uomo per quel che concerne un determinato punto controverso, tanto maggiore sarà la necessità con cui sarà determinato il contenuto di questo giudizio; mentre l’incertezza poggiante sulla mancanza di conoscenza, che tra molte possibilità di decidere, diverse e contraddittorie, sceglie in modo apparentemente arbitrario, proprio perciò mostra la sua mancanza di libertà, il suo essere determinato da quell’oggetto che precisamente essa doveva dominare. La libertà consiste dunque nel dominio di noi stessi e della natura esterna fondato sulla conoscenza delle necessità naturali: essa è perciò necessariamente un prodotto dello sviluppo storico. I primi uomini che si separarono dal regno degli animali erano tanto privi di libertà in tutto quello che è essenziale, quanto gli stessi animali, ma ogni progresso verso la civiltà era un passo verso la libertà».[2]

 

La violenza e la sterilizzazione della storia

Nella genealogia della proprietà privata Engels rileva che la genesi è solo nello sviluppo dell’economia e nel modo di produzione e distribuzione, esclude che essa possa avere come causa principale la violenza. L’economia rapace è già violenza e non semplicemente attività di produzione e distribuzione: lo constatiamo direttamente nella contemporaneità. La storia è svolta dagli uomini e dalle donne e non possiamo escludere che comportamenti non strettamente razionali possano aver determinato “un effetto sdoppiamento” ovvero un cambio di binario improvviso da processi che si ritenevano, per abitudine o condizionamento inevitabili, per cui trasformare le ipotesi storiche in leggi positive è rischioso oltre che semplicistico. Nella storia agiscono le leggi dell’economia, ma anche le passioni e le idiosincrasie degli esseri umani. La struttura economica è fondamentale, ma non si possono escludere altre variabili che possono determinare deviazioni virtuose o nefaste. La storia è il mondo degli esseri umani, riflette la complessità dinamica della psiche umana e dei suoi intrecci relazionali.

Ridurre la storia e la comprensione della stessa a poche variabili significa sterilizzarla dalla complessità della psiche-coscienza umana. Ciò la rende forse più gestibile, ma certamente meno vera. In ogni grande evento umano dobbiamo ammettere la presenza di ombre che sfuggono alla concettualizzazione e che contribuiscono alla storia. Senza tale consapevolezza, vi è il rischio di far fallire anche grandi speranze e potenzialità, poiché la soglia di controllo e mediazione razionale inevitabilmente si abbassa:

«In altri termini: anche se escludiamo la possibilità di ogni rapina, di ogni atto di violenza, di ogni imbroglio, se ammettiamo che tutta la proprietà privata originariamente poggia sul lavoro proprio del possessore, e che in tutto il processo ulteriore vengano scambiati solo valori eguali con valori eguali, tuttavia, con lo sviluppo progressivo della produzione e dello scambio, arriviamo necessariamente all’attuale modo di produzione capitalistico, alla monopolizzazione dei mezzi di produzione e di sussistenza nelle mani di una sola classe poco numerosa, alla degradazione dell’altra classe, che costituisce l’enorme maggioranza, a classe di proletari pauperizzati, arriviamo al periodico affermarsi di produzione vertiginosa e di crisi commerciale e a tutta l’odierna anarchia della produzione. Tutto il processo viene spiegato da cause puramente economiche senza che neppure una sola volta ci sia stato bisogno della rapina, della violenza, dello Stato, o di qualsiasi interferenza politica. La “proprietà fondata sulla violenza” si dimostra qui semplicemente come una frase da spaccone destinata a coprire la mancanza di intelligenza dello svolgimento reale delle cose».[3]

 

Engels risponde qui “alla spacconata” di Dühring, secondo cui è la violenza l’origine della proprietà privata, ma non possiamo escludere in linea teorica la possibilità che la proprietà privata sia l’effetto di un atto di violenza e non di leggi economiche. Il passato ci è dato nella forma di ipotesi, ed attraverso la proiezione del presente con la sua razionalità sul corso degli eventi storici.

 

Il caso Venerdì: servaggio per fini economici
Engels esclude dalla storia le componenti narcisistiche, il piacere dell’asservimento le quali sono parte della natura umana e che necessitano di essere educate e sublimate. Non tutto, insomma, è spiegabile con le leggi dell’economia:

«Inoltre, se per un istante ammettiamo che Dühring abbia ragione nel dire che tutta la storia che sinora si è svolta si possa ridurre all’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo, con ciò siamo ancora molto lontani dall’aver toccato il fondo della cosa. Ciò che anzitutto ci si chiede è invece come Robinson sia arrivato ad asservire Venerdì. Per il semplice piacere di asservirlo? Assolutamente no! Vediamo invece che Venerdì “come schiavo o semplice strumento viene costretto a servigi economici e precisamente come strumento viene anche mantenuto”. Robinson ha asservito Venerdì solo perché Venerdì lavori a profitto di Robinson. E come può Robinson trarre un profitto per sé dal lavoro di Venerdì? Solo per il fatto che Venerdì produce col suo lavoro più mezzi di sussistenza di quanto gliene debba dare Robinson perché resti atto al lavoro. Robinson quindi, contrariamente all’esplicita prescrizione di Dühring, “non ha preso per se stesso come punto di partenza” il “raggruppamento politico” sorto con l’asservimento di Venerdì, “ma lo ha considerato esclusivamente come un mezzo che ha per fine il procacciarsi da mangiare”, ed ora veda egli stesso il modo di sbrigarsela col suo signore e padrone Dühring. L’esempio puerile che Dühring ha inventato espressamente per dimostrare che la violenza è il “fatto fondamentale della storia”, dimostra solo che la violenza è solo il mezzo e che il fine invece è il vantaggio economico. Quanto il fine è “più fondamentale” del mezzo che si impiega per raggiungerlo, tanto più fondamentale è nella storia il fatto economico del rapporto, di fronte al lato politico. L’esempio prova dunque precisamente il contrario di ciò che doveva provare. E come per Robinson e Venerdì, così è per tutti i casi di dominio e servitù che si sono avuti sinora. Il soggiogamento è stato sempre, per usare l’elegante modo di esprimersi di Dühring, un “mezzo che ha per fine il procacciarsi da mangiare” (preso questo procacciarsi da mangiare nel senso più lato), ma mai e in nessun luogo un raggruppamento politico instaurato “per amore del raggruppamento politico stesso”. Bisogna essere Dühring per poter pensare che nello stato le imposte siano solo “effetti di second’ordine” o che il raggruppamento politico odierno di borghesia dominante e proletariato dominato esiste “per amore del raggruppamento politico stesso” e non in vista del “fine di procurarsi da mangiare” della borghesia dominante, cioè in vista del profitto e dell’accumulazione del capitale».[4]

 

Il rapporto tra Robinson e Venerdì per Engels si è configurato nella forma di servaggio per fini economici; mancando questa circostanza, la sottomissione non si sarebbe realizzata: si trasforma, in tal modo, una possibilità in necessità. Venerdì e Robinson potevano anche collaborare, o lo stesso Venerdì avrebbe potuto rifiutare la condizione di servo innescando dinamiche nuove nel potenziale padrone. La soluzione più facile e semplice è il dominio, e non va resa inevitabile. La nuova sinistra dovrà porre al centro, una volta liberatasi dall’economicismo, che le circostanze storiche donano una serie di potenzialità, e spetta agli esseri umani decidere quale portare in atto. Si tratta di un’operazione sostanziale senza la quale si rischia di restare nella palude dell’economicismo nichilistico.

Salvatore Bravo

[1] F. Engels, Anti-Dühring, Terza sezione: Socialismo II. Elementi teorici da Archivio internet Marx-Engels.
[2] Ibidem, Prima sezione: Filosofia XI. Morale e diritto. Libertà e necessità.
[3] Ibidem, Seconda sezione: Economia II. Teoria della violenza.
[4] Ibidem, Seconda sezione: Economia II. Teoria della violenza.

 

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Antonio Fiocco – Può Heidegger andare oltre il «solo un Dio ci può salvare» ?

Martin Heidegger- Antonio Fiocco
Antonio Fiocco

Può Heidegger andare oltre il “solo un Dio ci può salvare” ?

 

Una ennesima descrizione dell’esistente non sembra utile. Ci sono molte fonti critiche a proposito per chi ne è interessato. È più interessante cercare di andare oltre la consueta denuncia lamentevole, che in un contesto di nichilismo assoluto (vale a dire: capitalismo assoluto) rischia di assumere il contorno di voce che grida nel deserto o, nel migliore dei casi, di essere ascoltata distrattamente e rimanere irrilevante.

Dal canto mio, mi limito a elencare fatti solo in vista della elaborazione di concetti. Solo un cenno su tre tuttora ricorrenti impedimenti logici.

1) L’impossibilità apparente di una fuoriuscita dal capitalismo per suo movimento dialettico interno.

2) La mancanza di un soggetto rivoluzionario con precise caratteristiche sociologiche.

3) Il mito salvifico dello sviluppo delle forze produttive, che porta con sé il collasso ecologico del pianeta, ricordando che perfino Marx studiò la possibilità per la Russia di un passaggio al comunismo direttamente dalla comune agricola senza attraversare la fase industriale.
Un recente devastante esempio: la diga in costruzione in Etiopia su un affluente del Nilo, che darà l’indipendenza energetica a quel paese, ma metterà in condizione critica l’Egitto con il rischio di una guerra. E quanti lavoratori della terra strapperà alla loro secolare economia di sussistenza gettandoli nel mercato mondiale? E l’istmo del Nicaragua fra i due oceani, anche se attuato dai sandinisti, con l’esponenziale aumento della circolazione di merci che ne conseguirà, quale vantaggio porterà alla causa dell’emancipazione umana?

Esaurite telegraficamente queste argomentazioni, ci si concentra su quell’aspetto antropologico che appare ormai ben più decisivo. Qui ci viene in aiuto Pier Paolo Pasolini, che fu profondamente colpito dalla cesura storica avvenuta con lo sviluppo industriale fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento e che portò con sé il consumismo, imposto dalla televisione, dalla pubblicità e dai supermercati. La mentalità millenaria contadina-artigiana-piccolo borghese (in senso positivo) del popolo italiano, con la sua identità anche formatrice di cultura, scompare di colpo sotto l’urto di una forza gigantesca, ma non per essere sostituita da un “qualcos’altro” in qualche modo evoluto, bensì da un nulla riempito da un fantasma “sensibilmente sovrasensibile”: la merce. Conseguenza ne fu anche il tramonto del ruolo storico della Chiesa, che aveva la sua ragion d’essere nel forgiare la coscienza di quell’antico mondo e il suo relegamento ad azienda capitalistica fra le altre. Clamoroso esempio fu il caso della pubblicità dei jeans Jesus, che all’epoca suscitò una (peraltro già stanca) protesta della Chiesa. Ebbene, di recente uno spot ha chiamato in causa direttamente la voce di Dio non per parlare a Mosè dal roveto ardente a dettare le tavole della Legge, bensì come agente pubblicitario di una merce. Un ecclesiastico da me chiamato in causa nel manifestare la mia indignazione, perché ci vedevo un’offesa non tanto alla teologia, ma al Sacro in generale, ha mostrato indifferenza, e, anzi, la positività del fatto che così, comunque, … «si parlava di Dio».

Come se Dio avesse bisogno di pubblicità televisiva.

Pasolini era impressionato dalla potenza pervasiva del “Carosello” (pochi minuti a sera disciplinati da rigide regole etiche) su un’unico canale TV, mentre oggi è tutto un gigantesco Spot su centinaia di canali, inframezzato da qualche misero minuto di produzioni di evasione nordamericane, col telecomando ormai inutilizzabile a scopo di fuga, o da “approfondimenti” confusionari e menzogneri, che fungono da canovaccio.

L’antropologia pre-consumistica non era stata intaccata minimamente nemmeno dall’enfasi fascista e una traccia se ne può notare nel film Amarcord di Federico Fellini. Certi errori di valutazione di Pasolini non inficiano questa sua intuizione fondamentale, che lo disperò senza rimedio, ma purtroppo con illusioni paradossali come essersi lasciato ingannare dalle esibizioni di un Marco Pannella, che nascondevano l’intento di costui di allargare totalitariamente tutte le libertà di mercato fra cui appunto l’estensione di quei supermercati deprecati dall’intellettuale friulano.

Con tutto ciò non si vuol certo dire che precedentemente al “boom economico”, il capitalismo non avesse già profondamente inciso (narcisisticamente) sulle coscienze. Volendone fare un esempio, il più facile, fra gli italiani, dovrebbe essere Benito Mussolini, il duce del fascismo. Ma, personalmente, considero ancora più significativo il caso del Maresciallo (“d’Italia Capo di Stato Maggiore Generale”) Pietro Badoglio … sulla cui figura e sulle cui “gesta” rimando agli scritti storici di Massimo Bontempelli. Ovviamente ci sono altri grandiosi esempi in tal senso, come gli spietati generali del Regio Esercito Roatta e Robotti, e massacratori vari dei popoli yugoslavo e greco, molto opportunamente “dimenticati” dagli attuali teorici delle “foibe”, che sono, per inciso, i veri negazionisti.

Tuttavia, e questo è il punto fondamentale, questa tipologia di personaggi si poté ancora combattere in base ai principi del grande idealismo classico, secondo la linea di pensiero che va da Parmenide a Hegel, passando per Platone, Aristotele, Spinoza, Kant. Questo pensiero, con la sua esigenza di Giustizia, implicita anche negli incolti, fu la radice che fece nascere la Resistenza, il canto del cigno del popolo italiano.

Nel frattempo, cos’è successo, a livello macroscopico, con la distruzione antropologica, ulteriormente degradata in sussunzione totale della personalità alle esigenze sistemiche crematistiche? Una storica sentenza-ordinanza del giudice Guido Salvini, negli anni Novanta, sancì ufficialmente il coinvolgimento dei servizi segreti nordamericani nella strage di piazza Fontana. Cosa succede? Nulla. Non solo i governi italiani nemmeno si sognano di avviare una procedura di chiusura delle basi militari straniere, ma anche a livello di “opinione pubblica” non c’è nessuna reazione. Lo scrivente, allora illusoriamente iscritto a un partito sedicente comunista, compilò un volantino indignato sul caso, per vedersene rifiutare la stampa dai suoi dirigenti «perché non era il caso di suscitare vespai» … Oggigiorno studenti liceali, interrogati a proposito, o non sanno di che si parla o si dicono convinti essere colpevoli … le Brigate Rosse. Per quanto riguarda l’assassinio di Aldo Moro, numerose contro-indagini fanno parimenti apparire sullo sfondo una trama atlantica, nonché puro fumo negli occhi un “attacco allo Stato” eseguito da malvagi “comunisti”.

Che altro? 11 settembre, distruzione della Yugoslavia, Palestina, Ucraina … l’elenco delle menzogne che non suscitano indignazione e rivolta generalizzata è lungo. E se l’impunità dei criminali di guerra italiani si dovette al quadro generale di lotta al comunismo sovietico, ma comunque suscitò indignazione e polemiche, in seguito l’impunità dei crimini atlantici in Italia nel dopoguerra affoga nell’indifferenza e nelle code ai McDonald’s.

E per quanto riguarda la personificazione individuale di questo inedito stato di cose, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Alla breve galleria di personaggi significativi al passo con questi tempi illustrata da Massimo Bontempelli ne I forchettoni rossi (Massari editore, 2007) fra cui spicca Massimo D’Alema, ineffabile bombardiere, ma “amante della pace”, e oltre al picconatore-gladiatore Francesco Cossiga, paradossalmente chiamato a presiedere le istituzioni della repubblica come prima carica dello Stato, aggiungerei il senatore a vita Giorgio Napolitano, che come esponente dell’ala “destra” più filosovietica del PCI nel 1968 accetta l’invasione della Cecoslovacchia decisa da Breznev, e, in seguito, cambiato il vento della storia, lega il suo nome alla legge Turco-Napolitano del I° governo Prodi (altro eroe dei nostri tempi), che “crea” gli immigrati come clandestini ricattabili e come Presidente della Repubblica si mostra rigoroso garante di fedeltà atlantica.

Cosa si vuol dire ricordando tutto questo? Che il senso della Giustizia (apparentemente scomparso) è certamente eterno, come afferma Massimo Bontempelli nel suo fondamentale Filosofia e Realtà (C.R.T. – Petite Plaisance, 2000), ma esclusivamente finché esiste l’Uomo, con il suo concetto elaborato in origine dalla filosofia greca in poi. Questa dimensione umana è stata però intaccata dalle esigenze di riproduzione del Modo di Produzione Capitalistico e le sue fondamenta ideali offuscate dal nichilismo conseguente. Ma quale potrebbe configurarsi come un possibile aiuto?

Contrariamente a versioni ormai consolidate nel mondo della filosofia ufficiale, lo scrivente guarda a Martin Heidegger non come a un pensatore nichilista, a un portatore di depressione, o a un misticheggiante poeta del Nulla e rifiuta una eventuale etichetta di marxista heideggeriano (definizione di ardua interpretazione: allora fra gli amanti della filosofia dovrebbero essere riportati i marxisti aristotelici, i marxisti platonici, i marxisti spinoziani, ecc.?). Vediamo.

Costantino Esposito, nel suo saggio Il fenomeno dell’essere (Dedalo, 1984, pag. 221 e ss.), opera una decisiva distinzione fra la soggettività, attribuita da Heidegger all’Esserci, e il soggettivismo, tipico del filone di pensiero nato con Cartesio e avente il suo culmine con Kant, con la sua fondazione “riflessa” dell’io nell’attività conoscitiva dell’ente. Invece, secondo Heidegger, l’“intenzionalità”, il rivolgersi sensato all’ente secondo l’atteggiamento “fenomenologico” studiato a lungo negli anni Venti del Novecento ed espresso compiutamente in Essere e tempo, comporta un “sè stesso” ontologico di tipo esistenziale (ovviamente non si tratta dell’esistenzialismo noto come corrente filosofica). Se l’Esserci è un “essere nel mondo”, dotato di una progettualità a-veniente fondata su un passato ri-veniente dell’esser stato, con le sue possibilità da esprimere dotate di tutta la ricchezza dell’intenzionalità, ebbene tutta questa dimensione risulta annichilita dalla distruzione antropologica capitalistica. In altre parole, il capitalismo rappresenta una minaccia non solo per gli ideali e i principi “tradizionali”, ma per lo stesso “essere nel mondo” fenomenologico dell’Esserci.

Ciò si evidenzia nell’attuale disagio profondo e più o meno inconscio di ogni singolo individuo, privato a monte non solo di ogni senso di appartenenza e di comune origine con i propri simili, ma impossibilitato a estrinsecare ogni possibilità umana che non sia sussunta a priori alla forma-merce, cioè nel rischio di una risoluzione a un “nihil absolutum” della forma-uomo. E la distruzione capitalistica della scuola, privando i giovani di una memoria storica, secondo la temporalità originaria di Heidegger toglie loro anche un futuro.

Qui forse consiste il nocciolo incomprimibile dell’essere umano, la sua impossibile riduzione ad animale, il punto di convergenza con la tesi di Costanzo Preve sulla insopprimibilità totale della natura umana. Che non significa un qualche superamento dei valori classici, ma una loro “epoché”, tenendo presente che Heidegger considera la stessa tradizione classica come avente sullo sfondo un inespresso senso dell’essere come differenza. E una ontologia di questo genere non ha la caratteristica di poter essere demolita con metodo nietzscheano, rivolto unicamente contro la metafisica classica.

Certamente sono al corrente delle obiezioni svolte da Massimo Bontempelli alla temporalità heideggeriana nel saggio Tempo e memoria (C.R.T. – Petite Plaisance 1999), secondo le quali le pur grandi acquisizioni del filosofo di Friburgo sono dominate da un “essere per la morte” connesso ontologicamente alla dissoluzione e dunque al Male, che rende disperata e nullificata ogni scelta di vita. E Bontempelli concede che questo atteggiamento sia stato generato dal particolare clima imperante in Germania durante la Grande Guerra, inteso a enfatizzare la morte in guerra come dimensione necessaria per una esistenza dotata di autenticità interiore (si veda a questo proposito, anche il saggio di Domenico Losurdo La comunità, la morte, l’Occidente: Heidegger e l’ideologia della guerra, Bollati Boringhieri,1991).

Tuttavia penso che queste considerazioni siano riduttive: l’infezione della morte, la sua irruzione contaminante la vita, prende certamente la guerra come ragione immediata di comparsa, ma sullo sfondo campeggia la sua vera causa: la devastazione capitalistica. Heidegger non sfugge al destino decretato per la grande filosofia: essere il proprio tempo espresso in pensieri, e non è sua responsabilità se il suo “tempo” è quello che abbiamo compiutamente dispiegato sotto gli occhi ogni giorno con tutto il suo orrore.

Quanto a interpretazioni negative, Heidegger è in buona compagnia. Se il filosofo tedesco è accusato di avere introdotto il nazismo in filosofia con la sua presunta “ideologia della morte”, ignorando tra l’altro la sua biografia, allora Platone si vede incolpato di essere il precursore, con la sua Repubblica, delle dittature novecentesche, oltre a notare che la sua dottrina degli universali logici, che ne fa forse il più grande filosofo di tutti i tempi, è ridotta al mito iperuranico e a una dialettica bimondana, dunque facilmente attaccabile, mentre la sua autentica natura è di essere monomondana quanto quella di un Hegel. Non parliamo poi di Marx e di tutti i fraintendimenti di cui è stato vittima da parte di presunti amici e l’odio di cui è avvolto da parte dei filistei.

Detto questo, sono convinto che debba essere una scelta individuale, e non una esegesi filologica dei testi, l’interpretare Heidegger nel senso disperante e nullificante attribuitogli da Bontempelli o, al contrario, prenderne spunto e ragione per una reazione di vita e rivolta nei confronti della “barbarie che viene”.

Antonio Fiocco


Antonio Fiocco 02

Antonio Fiocco

Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente

Petite Plaisance, 2019, pp. 80



Il problema in discussione, la quistione, consiste se concepire una progettualità in quanto tale. Sembra non ci siano problemi nell’accettarla in linea di principio, ma permane l’idea che occorra indirizzare le forze su obbiettivi pratici immediati. Questo punto di vista, in apparenza ragionevole, vanifica lo scopo principale di migliorare realmente il mondo in cui viviamo e, invece di una reale progettualità comunitaria, si preferisce l’immediatezza della contingenza. Dunque, a quel se, di fatto, si oppone un no. La post-modernità (cioè la fase flessibile a tutti i livelli della modernità) per l’Autore non elabora spontaneamente una sua idea di comunismo, perciò si rende imprescindibile la progettualità. Per essere scoperte, utilizzate e verificate, le possibilità devono essere prima di tutto inventate. In questo senso, ogni uomo è progetto, creatore, poiché inventa ciò che è già a partire da ciò che non è ancora.



Indice

Incipit contingente-empirico

Gesù di Nazareth

Paolo di Tarso e la figura teologica del Cristo risorto

Giovanni l’evangelista e la nascita del Cristo-Dio

L’anti-pensiero di Max Weber

Hegel: il legame fra elaborazione del pensiero e prassi materiale

Lettori di Hege

Lenin non era un vero hegeliano

Pensando a Lenin, in cammino con György Lukàcs

Sartre e la sua svalutazione dell’essenza

L’uomo è essenzialmente progetto


Antonio Fiocco, nella più profonda indignazione per le ingiustizie e le falsità geo-politiche che devastano il mondo, e di cui sono piene le cronache e la storia del Novecento, con spirito dialogico-socratico si è impegnato fin dagli anni giovanili in studi filosofici e politici. Ma, proprio per non fare dello studio della filosofia una normale, ordinaria e rituale professione, a suo tempo si risolse a scegliere una facoltà scientifica. L’amore per le scienze dello spirito ha continuato ad animare la sua ricerca accre­scendo l’interesse anche per le discipline estetiche, la musica, la letteratura (le sue passioni: Shakespeare e Proust) e l’arte figurativa.



Incipit contingente-empirico

Il problema in discussione, la quistione, consiste se concepire una progettualità in quanto tale. Sembra non ci siano problemi nell’accettarla in linea di principio, ma permane l’idea che occorra indirizzare le forze su obbiettivi pratici immediati. Ci si sforzerà di indicare che questo punto di vista, in apparenza ragionevole, vanifica lo scopo principale di migliorare realmente il mondo in cui viviamo e a quel se, di fatto oppone un no, sia chiamando in aiuto esempi materiali che ricorrendo alle elaborazioni di alcuni grandi pensatori che hanno fatto la storia della religione e della filosofia. Impiegando concetti hegeliani, ci si propone di operare una contrapposizione fra sapere immediato e ragione filosofica.

In sintesi, indipendentemente dalle condizioni strutturali, una elaborazione teorica carente o incompleta porta comunque a risultati materiali insufficienti o controproducenti. Certo si tratta di una tesi non nuova,1 ma che è sempre utile corroborare. Si sono scelti alcuni nomi e argomenti, ma l’intendimento qui svolto è estensibile all’intera storia della filosofia, e con la convinzione che occorre non essere innovativi (chi ha cercato di esserlo in epoca recente, secondo chi scrive, ha fallito), bensì sia necessario cercare di ben interpretare quanto in essa filosofia è stato già elaborato.

Cominciamo da esempi concreti. Il giornalista e scrittore Giulietto Chiesa da una parte chiede il rispetto della Costituzione del 1948, ma poi propone improbabili soluzioni economiche compatibili con il sistema, senza porsi la questione del capitalismo e vorrebbe non uscire dall’Europa dell’euro, ma “cambiarne le regole”, ignorando che questa “Europa” è nata proprio per la volontà di imporre le sue regole iugulatorie. In altre parole, si vuole conciliare l’inconciliabile: indipendenza e subordinazione al tempo stesso. Per inciso ciò è plasticamente e schizofrenicamente espresso nella moneta da 2 euro coniata per commemorare la nostra Costituzione, che ne è la negazione assoluta! Comunque, non c’è niente da negoziare, niente da ridiscutere e non deve importare nulla di competere “capitalisticamente” con Cina o Giappone, quando il problema è il capitalismo in quanto tale. Anche se le proposte di Chiesa venissero praticate, si perpetuerebbero l’estrazione di plus-valore e il “sovrasensibile” balletto fra le merci nel mentre si usano gli esseri umani come strumenti per il loro spettrale dialogo. Qui comincia già a lampeggiare una carenza filosofica di fondo, una trascuratezza degli scomodi principi comunitari di Platone, Aristotele, Hegel. Del resto, è sufficiente leggere i libri di autori come Roberto Flamigni, Stefania Limiti, Paolo Cucchiarelli, e altri, per rendersi conto che l’infernale governo-ombra di “questi” U.S.A., con tutte le sue ragnatele mondiali, se si rimane all’interno dell’attuale sistema geo-strategico, non permetterà mai alcuna reale politica contraria ai propri interessi di preteso centro dominante e coordinatore del capitalismo globale. Nobili personalità che hanno cercato di fare gli interessi della nazione ne abbiamo avute, da Enrico Mattei ad Aldo Moro, e sappiamo quale destino sia stato loro riservato. Non è un paradosso pensare sia meno utopica una rottura radicale con l’intero attuale modo di produzione. Illusione? Ma qui ci viene in aiuto il precedente storico incancellabile della Rivoluzione d’Ottobre, ovviamente e sapientemente vittima di una damnatio memoriae.

Abbiamo un pullulare di movimenti, associazioni, piccoli partiti (dal destino “ultra-minoritario”, direbbe Costanzo Preve), che si prefiggono l’uscita dal sistema-euro e il ripristino delle prerogative dello stato nazionale, nonché, concetto inespresso, ma sottinteso, il ritorno, dunque, a un capitalismo “regolato”, con le zanne limate. Ma questa fase economica, con il welfare, ecc., è storicamente esaurita, come spiega Massimo Bontempelli nei suoi testi,2 e questi minimalisti anti-euro ricordano quanti, in altra epoca, all’alba tragica della “dittatura della borghesia”, ebbero nostalgia del vecchio ordine feudale, certamente meno disumano. Atteggiamento che Karl Marx si guardò bene dal con­dividere, poiché egli guardava avanti, alle prospettive future di socializzazione aperte dal nuovo modo di produzione, per quanto non iscritte necessariamente nella storia. Per cui, forzando l’estensione di una categoria temporale heideggeriana dalla analitica dell’esserci agli eventi storici, non sono da considerare “ad-venienti” le leggi e gli ordinamenti sociali, pur venerabili e mai abbastanza rimpianti, dei “trent’anni gloriosi 1945-1975”, bensì, più in profondo, il senso della comunità, ora estinto, che, sia pure in forme parziali, organicistiche, spesso coercitive, caratterizzò le epoche trascorse, prima del trionfo del modo di produzione capitalistico. Finalmente un senso comunitario da realizzare integralmente, secondo l’indicazione hegeliana, come frutto di libera scelta della libera individualità.

D’altra parte, quei movimenti e associazioni di cui sopra, anche quando non sono in aperto contrasto fra di loro, sembra non riescano comunque a coagularsi in una forza unica, tale da riunire le scarse disponibilità. Ciò ricorda irresistibilmente la frammentazione rivaleggiante dei gruppi extra-parlamentari di sinistra figli del Sessantotto, che pure, in linea di principio, sembravano tutti rifarsi agli stessi intendimenti generali. A questo proposito Costanzo Preve ci ricorda come questo fenomeno fosse dovuto (oltre che al narcisismo già individualistico-capitalistico di capi e capetti) alla debolezza della teoria di fondo, cioè il “marxismo” comune sia a ortodossi che a eretici, il quale, oltre alla inconsistenza degenerativa della fondazione kautskyano-engelsiana, pativa, ancora più a monte, anche una mancata elaborazione filosofica esplicita nel pensiero di Karl Marx. Per inciso, come ben sanno i lettori del compianto Costanzo Preve, egli ha evidenziato in Marx una matrice idealistica implicita, con argomenti difficilmente contestabili e che va ben oltre il semplice impiego del cosidetto metodo dialettico da parte dell’estensore del Capitale.

Ma permettiamoci una digressione. Martin Heidegger, nelle lezioni universitarie del 1925-1926,3 studiando Aristotele, dice (enigmaticamente?): “Il mettere insieme che fa vedere quel che è sempre separato deve allora necessariamente coprire; esso fa vedere qualcosa […] che non può mai essere in quel modo. Qui la simulazione è fondata necessariamente […] nel senso dell’impossibilità della composizione di quel che è sempre separato”. A cosa potremmo tranquillamente riferire questo criptico concetto, apparentemente banale? Per es., nella pubblicità abbiamo l’accostamento stridente (e offensivo per l’intelligenza) fra Amore, Amicizia, Libertà, Tradizione, Natura, Rivoluzione e … la forma merce. Ma, per rimanere nel nostro tema, abbiamo dei rimedi riformistici da sempre e per sempre separati dalla vera soluzione. Basterebbe questo per comprendere come la filosofia sia negletta e disprezzata, in quanto, se presa sul serio costituisce un tribunale inesorabile per il mondo capitalista e la debordiana società della spettacolo. Un altro esempio di cose che non possono stare insieme è costituito da una parte dalla dichiarata intenzione di pensare altrimenti e dall’altra dalla esposizione alla pubblicità mediatica e pseudo-politica, benevolmente e astutamente consentita dal sistema.

La televisione abbonda infatti di spot pubblicitari che invitano a finanziare la lotta contro le malattie rare, a contribuire economicamente a favore dei figli dei poveri e dei disoccupati, o per combattere la povertà in Africa, ecc., colpevolizzando l’uomo della strada e deresponsabilizzando le potenze sociali autrici dei mali in questione, facendone così un problema di beneficenza e generosità in­dividuale e proponendo iniziative “aventi le apparenze della pietà, ma prive di quanto ne forma l’essenza”.4 Oltretutto c’è il fondato sospetto che il Capitale osservi l’entità di queste contribuzioni, al fine di studiare l’eventualità di ulteriori riduzioni al salario globale della classe lavoratrice. E questo si può considerare anche un interessante esempio di quel “dono omeopatico”, a piccolissime dosi, emerso in una bella trasmissione radiofonica,5 quale antidoto del capitalismo per esorcizzare l’autentico Dono Gratuito, il quale, se appunto generalizzato, distruggerebbe l’intero sistema. In particolare, per quanto riguarda la disoccupazione – a parte la questione primaria, strutturale, dell’esercito industriale di riserva, necessario per concetto al modo di produzione capitalistico –, basti pensare alla partecipazione italiana alle sanzioni economiche contro la Russia per via della crisi ucraina, la quale, per chi voglia davvero informarsi, risulta di totale responsabilità occidentale. Queste sanzioni, imposte dagli U.S.A. ai Quisling nostrani, hanno comportato un danno enorme all’economia italiana con proporzionale perdita di posti di lavoro. Ma, e rientro nel tema, c’è la certez­za che qualunque forma di capitalismo, anche se “sovrano” e “indipendente”, porti a queste storture e sia inemendabile rimanendo al suo interno.

Scorrendo le immagini de Il trionfo della volontà – film documentario della grande cineasta tedesca Leni Riefenstahl sul congresso del partito nazista a Norimberga del settembre 1934 –, si osserva che ormai tali immagini hanno fortunatamente perso la loro immediata attualità. Infatti il nazismo storico si estingue nel 1945 (per quanto ne pensino in contrario i ragazzi dei centri sociali e altri meno ingenui, ma interessati a una legittimazione ideologica per la linea e l’esistenza stessa di partiti e sindacati che ormai hanno perso il loro originario ruolo storico), e non solo perché sconfitto militarmente, bensì perché non sussistono più le condizioni che lo fecero sorgere e prosperare. Ebbene …, la televisione italiana (più precisamente RAI 4), domenica 30 luglio 2017 manda in onda tale Tomorrowland (e già l’uso di un termine inglese la dice lunga), trasmissione diretta di un concerto rock di molte ore, con folla oceanica di giovani dall’entusiasmo fanatico simile a quello dei giovani in uniforme di Norimber­ga, con l’immagine di migliaia di volti stereotipati in una ininterrotta estasi, sublimata nell’adorazione di una personificazione-individuazione musicale della forma-merce, con annessa ideologia consumistica nell’illusorio individualismo di massa. Nel 1934 la Germania era reduce dalla faida interna al partito nazista della Notte dei lunghi coltelli e nel campo di Dachau erano imprigionati migliaia di comunisti dopo l’incendio del Reichstag: l’uniformità di massa era conseguente a una coercizione diretta. Invece il conformismo del falso anticonformismo “rock” è frutto di catene interiori e dunque infinitamente più efficace e pericoloso: è l’immagine-simbolo di un nuovo nazismo che non si lascia sconfiggere militarmente. In questo contesto, come la guerra di posizione politico-culturale dei decenni scorsi è paragonata da Costanzo Preve alla linea Maginot crollata in pochi giorni, non resta che pensare, quale principio gramsciano sempre valido, l’ottimismo della volontà, sebbene non abbia nulla di teorico. Ma se si pensa che la bruttezza e pericolosità sociale della musica rock siano qui esagerate, vale la pena riportare qualche parola del grande G. Anders a proposito della musica jazz, ma estensibile perfettamente al rock, anche se si dovrebbe leggere l’intero capitolo: “L’estasi è genuina, i ballerini, invece di essere se stessi, sono realmente ‘fuori di sé’, ma non già per sentirsi tutt’uno con le potenze ctonie, bensì con il dio della macchina: culto del Dioniso industriale […] ciò che il ballerino balla è una pantomima entusiasta della propria totale sconfitta […] che questo rito abbia l’effetto di ‘liquidare ‘realmente i ballerini e di far loro smarrire del tutto il loro ‘io’ è documentato da un fenomeno impressionante: cioè dal fatto che durante l’orgia perdono la loro faccia […] già più o meno stereotipa […] e non ci sarebbe nemmeno da meravigliarsi se durante l’orgia nascesse una nuova varietà di vergogna: la vergogna della faccia, la vergogna del ballerino di possedere una faccia in sé e per sé: di essere ancora sempre condannato a portare in giro con sé questo stigma della egoità quale dotazione coatta (corsivi di Anders)”.6

In queste tristi condizioni, lo scopo minimo immediato è l’assumere un ruolo storico simile a quello degli antichi conventi benedettini, quali isole di preziosa e futuribile civiltà in un contesto di circostante barbarie e tenendo presente, parafrasando Hegel, che nella situazione attuale la pianticella della filosofia (a dettare la prassi) si può innestare solo su singoli individui. A scanso di fraintendimenti, Domenico Losurdo ci ricorda che “l’atteggiamento del filosofo (Hegel) non si può certo dire elitario; è costante la sua tendenza a misurare la validità delle idee, non sulla base della loro astratta eccellenza interna, ma sulla base della loro capacità di informare di sé il reale, quindi anche di penetrare nella massa del popolo; ciò caratterizza Hegel in tutto l’arco della sua evoluzione”.7 Per inciso, ciò funge da risposta anche a quanti pensano che il grande filosofo abbia sostituito un mondo immaginario alla realtà, in linea con la distruzione della ragione idealistica imperversante dopo la morte di Hegel.

Conclusa questa parte introduttiva di critica “contingente-empirica” si inizia a corroborare la tesi centrale di queste pagine. Ogni evoluzione o frattura nella storia è stata preceduta o accompagnata da una giustificazione teorica. Ogni progetto di pensiero non cade dal cielo, ma è necessariamente calato nella realtà. Del resto, è facile trovare immediatamente un elemento d’aiuto per questa tesi nella imponente bibliografia del grande storico delle idee Domenico Losurdo, recentemente scomparso. Ci si propone di indicare alcuni esempi di questa apparente ovvietà, che tuttavia, a quanto pare, non è tenuta nel debito conto.

Antonio Fiocco

1 Basti pensare a C. Preve, Il convitato di pietra, Vangelista, 1991.

2 M. Badiale – M. Bontempelli, Il mistero della sinistra, Graphos, 2005; M. Badiale – M. Bontempelli, La sinistra rivelata, Massari, 2007; M. Bontempelli – F. Bentivoglio, Capitalismo globalizzato e scuola, ed. Labonia-Indipendenza, 2016.

3 M. Heidegger, Logica, il problema della verità, Mursia, 2015, p. 124.

4 IIa Lettera a Timoteo.

5 Oikonomia. Meditazioni sul capitalismo e il sacro, uomini e profeti, di Luigino Bruni, 17 marzo 2019.

6 G. Anders, L’uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, 2006, pp. 84-86.

7 D. Losurdo, Hegel e la Germania, Guerini e Associati, 1997, pp. 365-366.


Antonio Fiocco – Cenni sulla ristrutturazione del sistema orgaizzativo-produttivo d’impresa: da Taylor a Ohno
Antonio Fiocco – Emanuele Severino considera ineluttabile il trionfo della Tecnica (cioè il capitalismo): il suo ripristino dell’ontologia è apparente e fuorviante, dunque innocuo per il potere
Antonio Fiocco – Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente
Antonio Fiocco – Difendere in tutti i modi la progettualità.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Friedrich Engels (1820-1895) – L’umanità deve ora costruire il mondo in un modo propriamente umano, secondo le esigenze della sua stessa natura – così risolverà l’enigma del nostro tempo.

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«Fino ad ora la domanda era formulata: che cos’è Dio? E la filosofia tedesca ha risposto cosÌ: Dio è l’uomo. Dopo aver colto questa verità l’umanità deve ora costruire il mondo in un modo propriamente umano, secondo le esigenze della sua stessa natura – cosÌ risolverà l’enigma del nostro tempo».

Friedrich Engels, Review of Thomas Carlyle’s «Past and Present», in K. Marx, A. Ruge, Annali franco-tedeschi, trad. it. di A. Pegoraro Chiarloni e R. Panzieri, Massari, Bolsena 2001, p. 73.


Friedrich Engels (1820-1895) – Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili (in morte di K. Marx).
Friedrich Engels (1820-1895) – Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia.
Friedrich Engels (1820-1895) – Il senso comune, per quanto sia un compagno tanto rispettabile finché sta nello spazio compreso tra le quattro pareti domestiche, va incontro ad avventure assolutamente sorprendenti appena si arrischia nel vasto mondo dell’indagine scientifica
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Erich Fromm (1900-1980) – Il «radicalismo umanistico» nel libro di Ivan Illich «Rovesciare le istituzioni» è basato su un profondo interesse per la crescita dell’uomo intesa in ogni senso, fisico, spirituale ed intellettuale.

Ivan Illich - Erich Fromm
Ivan Illich, Rovesciare le istituzioni, Prefazione di Erich Fromm, Armando 1973
Erich Fromm
Prefazione al libro di
Ivan Illich, Rovesciare le istituzioni. Un “messaggio” o una “sfida”
 

I testi contenuti in questo libro non hanno bisogno di alcuna presentazione, né, tantomeno, il loro autore. Se, tuttavia, Ivan Illich ha voluto invitarmi a scrivere l’introduzione del suo libro, e se io ho accettato con piacere, ciò dipende da un’unica ragione che è stata alla base di entrambi i nostri intendimenti: abbiamo pensato che questa può essere un’occasione utile per chiarire la natura di un comune atteggiamento e di una fede comune, per quanto alcuni dei nostri punti di vista differiscano tra loro, anche in modo considerevole. Del resto, le idee che lo stesso autore oggi esprime non sempre coincidono con quelle che egli manifestava al tempo in cui, in diverse occasioni ed in un arco di anni abbastanza ampio, scrisse i saggi contenuti in questo volume. Ma una cosa è quella che conta: Illich è sempre stato fedele a se stesso per quanto riguarda il nocciolo più autentico del suo approccio alla realtà ed è questo nocciolo che mi sento di condividere con lui.

Non è facile trovare il termine appropriato per definire questo nucleo essenziale. Com’è possibile, infatti, rinchiudere un atteggiamento fondamentale nei confronti della vita in un semplice concetto senza alterarlo e distorcerlo? Eppure, dal momento che non possiamo fare a meno di comunicare con parole, mi sembra che la definizione più adeguata – o meglio, la meno inadeguata – sia quella di un radicalismo umanistico.

Cosa viene a significare il termine radicalismo e cosa implica l’aggettivo umanistico legato a quel sostantivo? Quando parlo di radicalismo non intendo principalmente un certo insieme di idee radicali, quanto piuttosto un atteggiamento – come dire – un approccio alla realtà. Tanto per cominciare un simile approccio può essere caratterizzato dal motto: de omnibus dubitandum; ogni cosa deve essere posta in dubbio, ma soprattutto quel patrimonio ideologico di concetti cristallizzati che sono virtualmente assunti da ciascuno e diventano, di conseguenza, assiomi fondamentali del senso comune che nessuno oserebbe porre in dubbio.

“Dubitare”, in questo senso, non implica certo una condizione psicologica di incapacità d’arrivare a decisioni o convincimenti ben fondati, come nel caso del dubbio ossessivo, quanto piuttosto una prontezza ed una capacità di porre in discussione criticamente tutte le certezze e le istituzioni che sono diventate puri e semplici idoli chiamati senso comune, logica e tutto ciò che si presume essere naturale. Questo modo radicale di porre in discussione le acquisizioni del mondo in cui viviamo è possibile solo quando non si diano per scontati i concetti base della società in cui si vive o addirittura di un intero periodo storico, come ad esempio, l’intera cultura occidentale dal Rinascimento in poi, e ancor più, se si dilata la portata della nostra consapevolezza cercando di scoprire gli aspetti inconsci che condizionano il nostro pensiero. Il dubbio radicale è, al tempo stesso, svelare e scoprire; è il sorgere della consapevolezza del fatto che l’Imperatore è nudo e che i suoi splendidi vestiti non sono altro che il prodotto della nostra fantasia.

Il dubbio radicale significa mettere in questione; non significa necessariamente negare. È facile negare mediante la semplicistica affermazione del contrario di ciò che esiste; il dubbio radicale è dialettico dal momento che in esso si svela il processo delle contraddizioni e con esso si tende ad una nuova sintesi che nega e afferma contemporaneamente.

Il dubbio radicale è un processo, un processo di liberazione da concezioni idolatriche, un modo di ampliare la nostra consapevolezza, l’immaginazione, la visione creativa che dobbiamo avere in ordine alle nostre possibilità ed alle scelte che ci impegnano. Un atteggiamento radicale non nasce dal nulla, non prende forma nel vuoto: esso parte dalle radici, e la radice, come disse Karl Marx, è l’uomo.

Questa grande affermazione, «la radice è l’uomo», non va intesa in senso positivistico o meramente descrittivo: quando parliamo dell’uomo non lo consideriamo come una cosa, ma come un processo; parliamo, quindi, del suo potenziale creativo, della sua capacità di sviluppare ogni suo potere, il potere d’una più grande intensità di essere, il potere di una più grande armonia di vita, d’un più grande amore, d’una più grande consapevolezza.

Ma parliamo anche dell’uomo come di un essere che si può corrompere, di un essere il cui potere di agire si può trasformare nella libidine di dominare sugli altri, il cui amore per la vita può degenerare nel gusto folle di distruggere la vita.

Questo radicalismo umanistico che mette in discussione drasticamente la realtà è guidato da una chiara intuizione della dinamica della natura umana e dalla preoccupazione per la crescita e il pieno sviluppo dell’uomo. In antitesi con l’attuale concezione positivistica, esso non è obiettivo, se per obiettività si intende il teorizzare senza che il processo del pensiero sia sostentuto e nutrito da un ideale profondamente sentito. Ma è anche troppo obiettivo se ciò significa che ogni fase del processo di riflessione poggia su una evidenza criticamente scrupolosa, e soprattutto, se accetta di mettere in dubbio le premesse del senso comune.

Tutto ciò significa che il radicalismo umanistico interroga ogni idea ed ogni istituzione su di un punto essenziale, quello cioè di sapere se essa aiuti oppure ostacoli la capacità dell’uomo di raggiungere una maggiore pienezza di vita, una maggiore felicità. Non è questa la sede per dilungarsi in una esemplificazione del tipo di acquisizioni del senso comune che vengono poste in discussione, dal radicalismo umanistico. E tanto meno ciò è necessario, dal momento che gli scritti di Illich raccolti in questo libro si occupano proprio di simili esempi, come l’utilità della scuola obbligatoria per tutti o dell’attuale funzione del prete nella società. Molti altri potrebbero essere enumerati, alcuni dei quali, del resto, emergono anche dalle pagine di questo libro. Per quanto mi riguarda vorrei sottolineare appena un poco il moderno concetto di progresso, inteso come un costante aumento della produzione, del consumo, della velocità, dei livelli massimi di efficienza e di profitto, e della possibilità di calcolare ogni attività in termini economici senza alcuna considerazione degli effetti che ne derivano per la qualità della vita e della crescita dell’uomo; oppure il dogma secondo cui l’aumento dei consumi renderebbe l’uomo felice, o quello per cui l’organizzazione imprenditoriale su larga scala deve necessariamente essere burocratica ed alienante, o la concezione che ripone lo scopo della vita nell’avere (e nell’usare) e non nell’essere; l’idea secondo cui la ragione è un fatto che riguarda l’intelletto e non ha nulla a che fare con la vita affettiva; la convinzione che il radicalismo è la negazione della tradizione e che l’opposto di “legge ed ordine” è la scomparsa di qualsiasi struttura. In breve, il dogma secondo cui le idee e le categorie che si sono sviluppate con l’affermarsi della scienza moderna e dell’industrializzazione sono superiori a quelle di ogni cultura anteriore ed indispensabili per il progresso del genere umano.

Il radicalismo umanistico mette in discussione tutti questi presupposti e non teme di giungere all’espressione di idee e soluzioni che possono suonare assurde agli orecchi della gente. Io ritengo che il grande valore degli scritti di Illich consista precisamente nel fatto che essi rappresentano un radicalismo umanistico fra i più completi e carichi di immaginazione creativa. L’autore è uomo di raro coraggio, di grande vitalità, di straordinaria erudizione, brillante nello scrivere e fertile nell’immaginazione: ogni suo convincimento è basato su un profondo interesse per la crescita dell’uomo intesa in ogni senso, fisico, spirituale ed intellettuale. L’importanza del suo pensiero, quale emerge da questi e dagli altri suoi scritti, consiste nel fatto che essi hanno un effetto liberante sulla mente del lettore nella misura in cui svelano interamente nuove possibilità; essi arricchiscono il lettore aprendogli la porta dalla quale si può uscire dalla prigione delle cognizioni sterili, preconcette, frutto della routine quotidiana. Mediante uno choc creativo gli scritti di Ivan Illich comunicano un messaggio; solo chi reagisce esclusivamente con rabbia a quelle che gli sembrano semplici assurdità, non può intendere questo messaggio; per gli altri, per tutti, essi parlano la lingua della forza e della speranza che spingono a cominciare di nuovo.

 

Erich Fromm, Prefazione a Ivan Illich, Rovesciare le istituzioni. Un “messaggio” o una “sfida”, Armando, Roma 1973.

 

Tratto da: www.altraofficina.it

 


Ivan Illich, Rivoluzionare le istituzioni. Celebrazione della consapevolezza, Prefazione di Erich Fromm, Mimesis, 2012

Erich Fromm (1900-1980) – La nostra è una società composta da individui in preda a stati depressivi e a impulsi distruttivi, incapaci di indipendenza.
Erich Fromm (1900-1980) – L’uomo moderno non ha raggiunto la libertà in senso positivo di realizzazione del proprio essere. Questo isolamento è intollerabile.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Cesare Pianciola – Il colloquio di Costanzo Preve con Norberto Bobbio

Cesare Pianciola. Norberto Bobbio - COstanzo Preve

Cesare Pianciola

Il colloquio di Costanzo Preve con Norberto Bobbio

Vorrei chiarire qualche aspetto del rapporto tra Bobbio e Costanzo Preve (1943-2013), con il quale ho avuto un legame di lunga data, che a tratti si è incrinato ma che si è sempre riannodato e mantenuto fino alla fine[1].

Preve, per molti decenni docente in un liceo torinese e filosofo marxiano autore di molti libri tradotti in varie lingue, fu impegnato politicamente nella sinistra, dal PCI a Lotta Continua a Democrazia proletaria. Negli ultimi decenni reagì alla cosiddetta “crisi del marxismo” con il programma di ricostruire una filosofia di ispirazione marxiana che si congedasse non solo dai marxismi – rimanendo però legato all’ontologia dell’essere sociale di Lukács e anche ad alcune nozioni di Althusser – ma anche dalla sinistra, nel senso che si sentiva del tutto alieno dagli schieramenti politico-ideologici tradizionali (dal 1992 non votava più alle elezioni politiche). Così – nonostante i riconoscimenti italiani e internazionali[2] – finì di trovarsi a Torino in un progressivo isolamento di cui spesso si lamentava, benché avesse un folto gruppo di giovani amici e di allievi affezionati, alcuni dei quali hanno raccolto saggi sul suo pensiero per riproporlo e svolgerne alcuni motivi dopo la sua scomparsa[3]. I suoi libri furono pubblicati da piccole case editrici (soprattutto, prima dall’editore Vangelista di Milano, poi dalla CRT di Pistoia, diventata in seguito Petite Plaisance), ma nel 2004 uno dei suoi libri più elaborati uscì presso Bollati Boringhieri: Marx inattuale. Eredità e prospettiva. Dopo la morte prematura del coordinatore editoriale Alfredo Salsano (1939-2004), che nel 2003 gli aveva anche affidato la introduzione della ristampa del saggio di Günther Anders L’uomo è antiquato, la casa editrice torinese non accettò le altre proposte di Preve.
Negli ultimi anni Costanzo non perdeva occasione per ribadire la sua estraneità rispetto all’ambiente politico-culturale della sinistra torinese, sia quella di matrice operaista e movimentista, sia quella che si rifaceva al riformismo liberaldemocratico (ed è noto che a Torino tra i due filoni ci sono state varie mescolanze).
Ma ce l’aveva più con gli allievi che con il maestro. Il suo rapporto con Bobbio era stato coinvolgente e profondo e ci fu una autentica amicizia tra i due, testimoniata anche dal fatto che Bobbio si faceva dare del tu da un interlocutore di oltre trent’anni più giovane.
Preve racconta che conobbe Bobbio e ne fu affascinato nell’anno accademico 1962-63 quando seguì un suo seminario sulla pace e la guerra. Allora Preve era iscritto alla Facoltà di giurisprudenza; poi cambiò facoltà e andò a studiare all’estero, a Parigi, a Berlino, ad Atene.
Tornato a Torino – a laurearsi in storia sotto la guida di Alessandro Galante Garrone per poi insegnare storia e filosofia nei licei – frequentò regolarmente Bobbio dalla metà degli anni Settanta e collaborò attivamente al Seminario Etica e politica iniziato nel 1980 presso il Centro studi Piero Gobetti, che fu per molti anni un luogo di discussione molto vivo con Bobbio, coordinato da Pietro Polito e Marco Revelli. Ebbe inoltre con il filosofo un importante scambio su Marx e il marxismo uscito su «Teoria politica» nel 1992-93, a proposito del libro Il filo di Arianna. Quindici lezioni di filosofia marxista (Vangelista editore, Milano 1990). La recensione di Bobbio e il carteggio che ne seguì furono poi riportati integralmente da Preve in Le contraddizioni di Norberto Bobbio (CRT, Pistoia 2004)[4], che però non mi pare tra i suoi libri migliori, sembrando spesso indeciso tra l’affetto e l’apprezzamento dei meriti di Bobbio, e la volontà di rimarcare la presa di distanza teorico-politica. Da notare il sottotitolo Per una critica del bobbianesimo cerimoniale. All’indomani della morte del filosofo, Preve era irritato per le celebrazioni che gli facevano temere una monumentalizzazione acritica. Quindi voleva esprimere francamente nel libro i punti di contatto e di dissenso.
Bobbio stimava molto Preve, riconosceva la sua competenza su Marx e la sua padronanza della sterminata letteratura marxista in varie lingue (in effetti le appendici dei suoi libri che contengono bibliografie ragionate sono una miniera di informazioni e di giudizi spesso acuti). Gli piaceva anche il suo modo netto e chiaro di porre le questioni. Questo modo apparteneva anche a Bobbio, che però non approvava le intemperanze verbali di Preve, spesso condite da veri e propri improperi nei confronti degli avversari – e anche dei vicini – in cui il maestro torinese vedeva un vizio storico dei marxisti. C’era una profonda differenza di atteggiamento: Preve era portato alle esagerazioni “estremistiche”, ai paradossi, all’uso delle maiuscole; Bobbio all’accumulo delle distinzioni, delle domande e dei dubbi, alla comprensione delle ragioni dell’avversario, all’uso delle minuscole. Bobbio comunque non insisteva sugli eccessi polemici che appartengono allo stile di Preve, da cui pensava che non bisognasse lasciarsi distrarre, se si vuole venire in chiaro dei consensi e dei dissensi.
Sul piano del metodo, Preve apprezzava di Bobbio quella che definiva «l’etica della comunicazione» rivolta non già alla persuasione retorica ma alla determinazione pubblica di antinomie e di problemi che in questo modo vengono chiariti, ciò che Preve chiamava il socratismo di Bobbio. Ma anche sulla chiarezza bobbiana Preve aveva delle riserve e sottolineava che questa ha un prezzo, perché il metodo dicotomico di Bobbio si basava, a suo avviso, su un approccio aprioristico-trascendentale di tipo kantiano e sulla costruzione di modelli idealtipici che con difficoltà si applicano poi alla realtà storico-sociale.
Sul piano dei contenuti, Preve dichiarava di accettare pienamente la lezione di Bobbio sul nesso inscindibile tra libertà formali e sostanziali (anche se poi accumulava i se e i ma sulle “libertà formali” e diceva di preferire la Cuba castrista e la Cina autoritaria rispetto alle ipocrite liberaldemocrazie occidentali).
Respingeva soprattutto quello che chiamava il «bobbianesimo forte», e in particolare tre tesi:

  1. a) La dicotomia fra destra e sinistra.
    Secondo Preve, la dicotomia proposta da Bobbio nel fortunato libretto del 1994 ha un significato empirico-storico ma non un significato teorico. Marx, che era indubbiamente di sinistra, è il pensatore della libera individualità e non dell’eguaglianza, e dunque non rientra negli schemi di Bobbio; Heidegger, indubbiamente di destra, fa capire il capitalismo più di Engels, indubbiamente di sinistra, e via dicendo. Al di là dei paradossi, la dicotomia è inutilizzabile se quello che conta è l’anticapitalismo radicale. Questo in fondo è il metro che interessava Preve, il quale dava per defunta la sinistra ed era disposto anche a dialogare con i settori anticapitalistici della destra e a pubblicare alcuni libri presso case editrici di estrema destra, adducendo la ragione che lui era un libero filosofo e l’unica condizione che poneva era di non subire alcuna censura. Era inutile ricordargli che il contesto qualifica almeno in parte il discorso e che le convergenze con un certo anticapitalismo di destra sembrava giustificare la polemica di chi vedeva confluire gli “opposti estremismi”. Il comunitarismo di cui si faceva teorico era però lontano da quello dei gruppuscoli della destra anti-imperialista. In Verità e Relativismo. Religione, scienza, filosofia e politica nell’epoca della globalizzazione (Alpina, Torino 2006) e nell’Elogio del comunitarismo (Controcorrente, Napoli 2006) nel complesso Preve sosteneva un comunitarismo contrario all’individualismo liberal-liberistico ma anche alle alternative organicistiche e anti-universalistiche tipiche della destra[5].
  2. b) Il contrasto tra laicismo e religione.
    Preve proclamava “la bancarotta” del pensiero laico e razionalistico di derivazione illuministica e dichiarava più religiosa la società capitalistica di quella medievale perché permeata dalla «credenza nella insuperabilità destinale del modo di produzione capitalistico e nella fatalità delle leggi della sua riproduzione» (p. 128). Difendeva il significato della religione come sentimento della dipendenza degli individui dalla natura e dalla cooperazione comunitaria, e in ultima analisi come espressione in forma simbolica del legame sociale, contro i laicismi, visti come portatori di individualismo nichilistico. Bobbio ribadiva le ragioni della laicità sul piano dello Stato laico, su quello etico e sul «contrasto mai spento tra ragione e fede» in filosofia: «Se c’è un’epoca in cui il dibattito fra una visione laica e una visione religiosa della vita non accenna a spegnersi, è, caro Costanzo, proprio la nostra» (p. 136).
  3. c) Il pacifismo.
    Secondo Preve, il pacifismo istituzionale di Bobbio aveva mostrato la corda nella giustificazione nel 1991 della prima guerra del Golfo e nel 1999 di quella del Kosovo. Bobbio aveva sostenuto a più riprese che nella situazione atomica non possono più esserci guerre “giuste” perché è in gioco la distruzione dell’umanità, ma – dice Preve – «quando la guerra ridiventò possibile, perché diretta contro stati privi di armi atomiche (Irak nel 1991 e Jugoslavia nel 1999) la giudicò anche “giusta”» (p. 96). «Bobbio non è un pensatore pacifista» (p. 147), e se cerca teoricamente le vie della pace, in realtà interiorizza un punto di vista geopolitico imperialistico occidentale. Le argomentazioni più compiute e risentite sul tema sono espresse in un libro a cui Preve teneva molto e il cui titolo ossimorico già dice qualcosa sui contenuti: Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna evidente (CRT, Pistoia 2000).

 

Riassumendo, Preve sottolineava l’estraneità di Bobbio alla sostanza del pensiero di Marx (pur molto studiato e considerato un classico imprescindibile della modernità), e difendeva il proprio progetto di una filosofia ispirata a quello che riteneva il Marx più autentico e vivo:
Se qualcuno mi chiedesse qual è a mio avviso, sulla base di quasi quarant’anni di studi marxiani, la filosofia di Marx – scriveva –, risponderei così: un’antropologia filosofica iscritta in una filosofia della storia. Più esattamente, un’antropologia filosofica della libera individualità sociale iscritta in una filosofia dialettica ed emancipativa della storia. Non un rovesciamento di Hegel, ma una concretizzazione comunista di Hegel[6].
Questa rifondazione filosofica doveva abbandonare come inutile e dannoso gran parte del bagaglio storico marxista, riconnettere Marx alla filosofia greca e all’idealismo tedesco, e mettere al centro la nozione dell’uomo come essere sociale, insieme al grande tema dell’alienazione.
Quanto a Bobbio, il suo atteggiamento critico, analitico, empiristico, non gli impediva di salvare in Marx, contro le frettolose liquidazioni post-89, almeno due tesi fondamentali: il primato del potere economico su quello politico e ideologico, e la previsione della mercificazione sempre più pervasiva e universale. Di questo discusse a lungo con Sylos Labini tra il 1991 e il 1994. Fuori luogo mi appare l’accusa di Preve a Bobbio di avere trascurato la critica al capitalismo come riduzione di ogni aspetto della vita umana alla forma di merce. Anzi, questa critica – secondo Bobbio – è proprio uno degli aspetti da salvare della eredità teorica di Marx. Sylos Labini concedeva a Bobbio che la mercificazione era un punto decisivo e che già Adam Smith aveva detto cose profetiche sul consumismo, ma in una lettera del 7 gennaio 1994[7], Bobbio insisteva:

per me la riduzione di ogni cosa a merce, […] è l’inevitabile risvolto dell’esaltazione del mercato […] come unico rapporto buono, e quindi da incoraggiare tra gli uomini, per cui tutto si può comprare e vendere, e dunque il sesso, gli organi del corpo, i voti, la coscienza, purché ci sia un libero compratore e un libero venditore, è qualcosa di ben più grave del consumismo.

 

Tenendo presenti le obiezioni di Bobbio e rendendole pubbliche, Sylos modificava in bozze il libro uscito da Laterza nel 1994 Carlo Marx: è tempo di un bilancio.
Bobbio volgeva ripetutamente ai marxisti due inviti: a) il richiamo alla realtà dei fatti e alle “repliche della storia”, contro il dottrinarismo e l’instancabile esegesi dei testi dei fondatori della dottrina; b) la richiesta di confrontarsi con i risultati e i metodi delle scienze economiche, giuridiche, politiche e sociali contemporanee. Bobbio non amava le dispute, spesso scolastiche, «che dilettano i filosofi e sono oscure ai profani» e chiedeva: «non sarebbe più saggio, come fanno del resto gli economisti e i sociologi che si richiamano al marxismo, utilizzare l’opera di Marx per quel che è ancora utilizzabile, allo scopo di ricavarne strumenti concettuali adatti all’analisi della società contemporanea?»[8]. In certo senso era quello che Preve cercava di fare: non si trincerava dietro alle citazioni filologiche e si domandava quali aspetti di Marx si erano dimostrati errati alla prova di un colossale fallimento storico (per esempio, respingeva l’idea marxiana della classe operaia come soggetto storico capace di effettuare la transizione verso un modo di produzione alternativo al capitalismo).
Se andiamo al fondo del loro dissenso, in Bobbio e in Preve c’era una concezione diversa, prima ancora che del marxismo, della filosofia. Bobbio attribuiva alla filosofia «un compito critico, di revisione e di controllo, piuttosto che direttivo e di illuminazione globale»[9], compito che riteneva più modesto ma più utile. Invece, per Preve occorreva «una ispirazione metafisica della prassi politica» (p. 28), come c’era stata in Fichte, in Hegel, in Gentile. Proprio quella ispirazione idealistica che Bobbio pensava fosse da evitare come fonte di pericolose mistificazioni, o almeno di logomachie inconcludenti.
Bobbio in una lettera a Preve della fine del 1992 trovava «eccentrico» il suo marxismo e il suo ritorno a un Marx tanto inedito quanto troppo liberamente interpretato come filosofo della libera individualità. Ma gli ricordava che nella traduzione inglese del Profilo ideologico del Novecento aveva citato Preve come prova che con la rovina del comunismo storico il marxismo critico non era morto e rimaneva «come una riflessione, amara ma non rassegnata, su una grande sconfitta e come una sfida ai vincitori»[10]. Una posizione a cui Bobbio, pur nella distanza, guardava con rispetto.

 

Cesare Pianciola

 

[1]    Riprendo in parte un mio intervento all’incontro organizzato all’Università di Torino dal prof. Enrico Pasini, il 13 novembre 2014, a un anno dalla scomparsa di Preve.

[2]    Ricordiamo l’introduzione di André Tosel a C. Preve, Storia critica del marxismo. Dalla nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco (1818-1991), Edizioni Città del Sole, Napoli 2007, e l’ampio spazio dedicatogli da Cristina Corradi nella Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma 2005.

[3]    Si vedano i saggi raccolti da A, Monchietto e G, Pezzano in Invito allo straniamento. Vol. 1: Costanzo Preve filosofo e, a cura del solo Monchietto: Invito allo straniamento. Vol. 2: Costanzo Preve marxiano, Pistoia, Petite Plaisance, 2014 e 2016. Numerose interviste a Costanzo Preve condotte da Diego Fusaro si trovano su YouTube.

[4]    Le successive indicazioni di pagina tra parentesi si riferiscono a questo libro.

[5]    Non voglio con ciò minimizzare il suo contributo perfettamente consapevole a un’area politica “nazionalitaria” che ci tenne a riaffermare anche negli ultimi anni, per esempio quando nel 2012 ribadì la sua stima per il teorico della destra sociale Alain de Benoist e dichiarò che se fosse stato in Francia avrebbe votato per Marine Le Pen, della quale lodava vari punti del libro Pour que vive la France, pur con la precisazione: «Sottolineo per chiarezza che la mia dichiarazione “scandalosa” […] non comporta in alcun modo la condivisione del razzismo e della xenofobia anti-immigrati, con le quali la Le Pen si deve e si dovrà inevitabilmente confrontare sul piano elettorale». Nello stesso articolo si congedava definitivamente dal proprio passato: « In Italia ho goduto della consuetudine con alcuni pensatori più anziani (Norberto Bobbio, Ludovico Geymonat, Cesare Cases, Franco Fortini, fra gli altri), ma essi sono stati per me un esempio umano, non certo filosofico» (C. Preve, Se fossi francese, 18/04/2012, in https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=43120%20Costanzo%20Preve). Su questa deriva della sua posizione “ni droite ni gauche” eravamo veramente molto distanti.

[6]    C. Preve, Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, CRT, Pistoia 2003, p. 101.

[7]    Corrispondenza con Sylos Labini in Archivio Bobbio presso Centro studi Piero Gobetti di Torino.

[8]    N. Bobbio, Quale socialismo? Discussione di un’alternativa, Einaudi, Torino 1976, p. 25.

[9]    N. Bobbio, Né con Marx né contro Marx, a cura di C. Violi, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 202 (nel contesto di una critica alla confluenza di Marx e Husserl propugnata da Enzo Paci) .

[10]   Ibidem, p. 240, e C, Preve, Le contraddizioni di Norberto Bobbio, cit., p. 137.

Un tuffo …

… tra alcune pubblicazioni di Cesare Pianciola …

Cesare Pianciola, Kosik e Sartre, «Quaderni piacentini», anno IV, n. 2, 1965dicembre-1965


Il pensiero di Karl Marx, Loescher, 1971


Filosofia e politica nel pensiero Francese del dopoguerra, Loescher, 1979


Piero Gobetti. Biografia per immagini, Gribaudo, 2001


Piero Gobetti. Opera critica, Edizioni di storia e letteratura, 2013


N. Bobbio, Scritti su Marx. Dialettica, stato, società civile.
Testi inediti a cura e con una introduzione di Cesare Pianciola e Franco Sbarberi, Donzelli, 2014


Raniero Panzieri, Centro di Documentazione di Pistoia, 2014


Esistenza, ragione, storia. Pietro Chiodi (1915-1970), Petite Plaisance, 2017 (con Giuseppe Cambiano)

Pietro Chiodi (1915-1970), filosofo esistenzialista che negli anni Sessanta insegnò Filosofia della storia all’Università di Torino, è ricordato soprattutto per la sua attività di studioso e traduttore di Heidegger che ha ricreato per i lettori italiani il vocabolario filosofico del pensatore tedesco. Non meno importanti i suoi saggi su Kant e le traduzioni della ‘Critica della ragion pura’ e degli ‘Scritti morali’. Questo libro, curato da due tra i suoi primi allievi, contiene contributi sull’opera filosofica e sui confronti teorici in cui si è impegnato (con Abbagnano e Paci, con Sartre, con i marxisti), ma anche saggi sulla drammatica vicenda resistenziale consegnata a ‘Banditi’ – il diario partigiano che Fortini considerò “quasi un capolavoro” -, sul rapporto di profonda amicizia e di influenze reciproche con B. Fenoglio, sul suo interesse poco noto per le arti figurative. In appendice un inedito su socialismo e libertà, a proposito di ‘Riforme e rivoluzione’ di A. Giolitti, e una testimonianza della sua compagna, Aida Ribero, sulla coerenza tra filosofia e vita. Chiude il volume una completa bibliografia degli scritti di e su Chiodi.


La guerra d’Algeria e il «manifesto dei 121», Edizioni dell’Asino, 2017

Nel 1960 un gruppo di intellettuali sottoscrive il “manifesto dei 121”, che denuncia la brutale repressione e l’uso sistematico della tortura praticata dall’esercito francese in Algeria, e solidarizza con l’insubordinazione alle gerarchie militari e con il sostegno alla causa della indipendenza algerina. È un episodio della storia politica e culturale del Novecento da rimeditare nella sua complessità. Chiude il libro la testimonianza di Louisette Ighilahriz, algerina militante all’epoca nel Fronte di liberazione nazionale.


Il critico e il pittore. Gobetti, Casorati e la sua scuola, Aras Edizioni, 2018

Felice Casorati (1883-1963) ci ha lasciato di Piero Gobetti (1901- 1926) un ritratto penetrante e idealizzato dipinto per la fondazione del Centro studi a lui intitolato. La critica d’arte, nella multiforme attività di Gobetti, fu seria e impegnativa. Tra i pittori contemporanei che apprezzò (Carrà, De Chirico, Soffici…), la figura centrale è Casorati, su cui scrisse e pubblicò nelle sue edizioni una monografia nel 1923. Il pittore era legato al suo critico da una «amicizia tenace completa perfetta», come la definì alla morte del giovane antifascista. Gobetti fu anche il primo a mettere in rilievo l’importanza della scuola di Casorati ai suoi inizi, vedendovi «una cosa completamente nuova, lontana da ogni sistematicità di accademia». Piero e Ada erano intimi delle sorelle Marchesini: Maria, Dadi e Nella, che fu la prima allieva del maestro. I saggi qui raccolti esplorano diversi aspetti di una vicenda che parte da Gobetti e si dipana in un tessuto culturale da cui è possibile trarre nuovi echi.


Marxismo. Tradizioni di pensiero, il Mulino, 2019

A partire dagli autori fondativi, le diverse correnti di pensiero vengono caratterizzate attraverso l’esposizione dei loro temi portanti e delle figure in cui si sono concretati. Indice del volume: Premessa. – I. Dal marxismo a Marx. – II. Dall’opposizione al potere. – III. Marxismi occidentali. – IV. Lavoro e valore tra economia, filosofia e sociologia. – V. Un’eredità politica contrastata. – VI. Complicazioni: nazione, genere, ambiente. – Bibliografia. – Indice dei nomi.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Franco Toscani – L’ «immenso oceano dei pensieri» e la vita buona

Parmenide-Platone-Franco Toscani
Franco Toscani

L’ «immenso oceano dei pensieri» e la vita buona

Che cos’è la filosofia se non l’amore tenace e ostinato per il “vero come intero” e per la vita buona?
La ratio strumentale-calcolante oggi dominante considera però la filosofia un sapere inutile e tende sistematicamente a sostituirla con la mera “metodologia della ragione” e col sapere frammentario delle varie scienze umano-sociali o socio-psico-pedagogiche. Non c’è spazio per la genuina tensione veritativa della filosofia, perché questo mondo rovesciato e a testa in giù non ne ha bisogno, anzi è infastidito da essa.
Attraverso un lavoro lungo e faticoso, un’indagine libera e aperta, la filosofia è però ciò che consente di incamminarci – con un «immenso oceano di pensieri» (τοσοῦτον πέλαγος λόγων, come dice Platone nel Parmenide, 137 a)[1] – lungo i sentieri della verità, senza poterla possedere, ma avvertendone in noi la grandezza, il respiro, la nobiltà. In qualche modo, con tutti i nostri limiti e contraddizioni, possiamo sperimentare, vivere – non solo con le idee, ma anche con le azioni, i gesti, i sentimenti, gli affetti, i rapporti, le situazioni e gli eventi della vita quotidiana – un po’ del profumo, dell’aria fresca della verità.
Averne almeno il sentore, sentirla vicina e intima, amarla, custodirla, nella misura assegnata ai mortali.


[1] Platone, Parmenide, 137 a, a cura di F. Ferrari, Rizzoli, Milano 2004, pp. 240-241. La traduzione di quest’espressione platonica proposta da Ferrari è per la verità la seguente, altrettanto valida: “un così vasto mare di ragionamenti”. Noi le preferiamo però quella proposta da Enzo Paci nel suo saggio Il significato del ‘Parmenide’ nella filosofia di Platone, Principato, Messina-Milano 1938, p.110; libro ristampato (con una Introduzione di C. Sini) presso Bompiani, Milano 1988 (cfr. p. 79). Il saggio paciano del 1938 tentò davvero l’avventura di attraversare l’ “immenso oceano di pensieri” non soltanto del Parmenide, ma dell’intera opera platonica.


Franco Toscani – Il rapporto etica-politica e il tema dell’amicizia in Aristotele.
Franco Toscani – L’antropologia culturale e il sogno dell’universalità umana concreta
Franco Toscani – Il filosofo e le Muse. La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”-
Franco Toscani – Karl Marx e il significato della “Comune” di Parigi. La “Comune” sarà celebrata per sempre come la gloriosa messaggera di una nuova società. La sua testimonianza, il suo patrimonio e la sua eredità risiedono essenzialmente nella «sovrabbondanza di umanità dalla parte degli oppressi».
Franco Toscani – Umanità e società nel tempo della pandemia.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Luca Grecchi, Angelo Tartaglia – Il senso della buona vita e l’economia.

Luca Grecchi - Angelo Tartaglia
POLITECNICO DI TORINO

Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture

29 maggio 2020    –    ore 17:30 – ONLINE

Sulla piattaforma Virtual Classroom
del Politecnico (BBB) – il link sarà
comunicato via mail alle 17:00

***

Il senso della buona vita e l’economia

Ideazione e organizzazione a cura di
Tamara Bellone, Paola Procacci, Rajandrea Sethi, DIATI

Interverranno:
Luca Grecchi, filosofo (Università Milano Bicocca)
Angelo Tartaglia, fisico (Politecnico di Torino)

Modererà: Rajandrea Sethi, Politecnico di Torino

L’economia è progressivamente assurta ad un ruolo di entità metafisica assoluta, sotto il nome del “mercato” o, in versione finanziaria, “i mercati”, sovraordinata a tutto e a tutti. In realtà, l’economia è un gioco che l’umanità intera pratica ed è soggetto a regole convenzionali, certamente non assolute. L’economia poi si fonda su una quantità di attività e processi di natura materiale, regolati da leggi non negoziabili e tutt’altro che convenzionali. Lo scambio del “convenzionale” con il “non modificabile” sta dando ora frutti particolarmente velenosi. Ora però il problema si sta ponendo su scala globale, come mostra la questione climatica (e anche, a suo modo, la pandemia). Le leggi fisiche e
termodinamiche non si cambiano, quelle del gioco si possono cambiare.
Già gli antichi criticavano il mercato, che Aristotele definiva appunto «contro natura». Se il fine è il profitto, tutto diventa strumento (per quel fine) e quindi merce: anche l’uomo e la natura. C’è un mercato del lavoro, dell’acqua, addirittura dell’inquinamento. Per la filosofia classica il solo contesto sociale in cui si vive bene è quello in cui regna l’armonia. Tutta la filosofia antica ripete infatti in modo costante la necessità di avere ben chiaro il proprio limite umano, di mantenere la giusta misura, di non ricercare nulla di troppo, se si desidera vivere bene. Questi insegnamenti, opportunamente elaborati, costituiscono uno dei principali antidoti contro gli eccessi del nostro tempo. La modernità capitalistica propone il consumo come criterio della partecipazione sociale e il denaro come criterio del benessere individuale.

Questo programma prevede appuntamenti di confronto interdisciplinare tra saperi scientifici ed umanistici per i quali, agli studenti del Politecnico di Torino, verrà garantito 1 credito per la partecipazione alla maggior parte delle conferenze (nel caso specifico di conversazione online farà fede la prenotazione); saranno disponibili in ogni caso registrazioni degli incontri.

Prenotazioni: tamara.bellone@polito.it
(il link sarà comunicato via mail alle ore 17:00)
Info: paola.procacci@polito.it

Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Angelo Tartaglia…

Clima. Lettera di un fisico alla politica, EGA-Edizioni Gruppo Abele, 2020

Che cosa sono e cosa comportano i cambiamenti climatici? Quali sono i fattori che li producono? Che senso ha realizzare “grandi opere” quando dovremmo ridurre i consumi di metano per immettere meno CO2 in atmosfera? Le scelte di chi ci governa sono sempre attente alle indicazioni della comunità scientifica e orientate all’interesse dei cittadini e del loro benessere? I cambiamenti climatici hanno qualcosa a che vedere con l’epidemia in atto nel mondo? Sono domande fondamentali. Oggi più che mai. In questa appassionata lettera al presidente del Consiglio, il fisico Angelo Tartaglia mette in mora la politica, dati alla mano, sulle reali priorità e sulle strade da percorrere per limitare i danni provocati da decenni di sfruttamento della Terra, di superficialità e di incompetenza. E sottolinea l’insufficienza di apporre l’etichetta “green” a vecchie politiche. Perché una crescita senza sosta è incompatibile con le leggi della natura e ogni politica, per essere sostenibile, deve prenderne atto.


Enigmi cosmici, Aracne, 2016

Il volume approfondisce i fondamenti delle teorie fisiche che descrivono e interpretano l’universo. Nello specifico, l’excursus dei concetti indagati si muove in questi ambiti: cosmologie e miti dell’origine, tarda antichità e Medioevo, universo dopo Copernico, inizi della Cosmologia scientifica, relatività e spazio-tempo, universo in espansione, intreccio e conflitto tra relatività generale e meccanica quantistica, osservazioni sulla massa mancante, radiazione cosmica, espansione accelerata, costante cosmologica ed energia oscura. La trattazione di questi argomenti avviene in maniera didascalica, coniugando intuizione e rigore, e palesando l’intento di far emergere ciò che tuttora non è chiaro o che rimane controverso. Problemi aperti ed enigmi irrisolti che intrecciano, inevitabilmente, fisica astrofisica e filosofia. Che tipo di scienza è la cosmologia? È possibile capire l’universo? Cosa sappiamo dell’universo? Esiste uno spazio-tempo “elastico”? Quante dimensioni ha l’universo? Si parla di universo o multiuniverso? Esistono leggi fisiche diverse in universi diversi?


La luna e il dito. Viaggio di un fisico tra scienza e fede, Lindau, 2009

Sempre più spesso scienza e religione vengono presentati come due universi contrapposti. Il primo sarebbe il luogo privilegiato della ricerca disinteressata, il terreno d’elezione del libero pensiero, mentre il secondo sarebbe caratterizzato da principi immutabili e dogmi indiscutibili, a cui si è chiamati ad aderire con fiducia cieca e assoluta. Un’analisi appena accurata di entrambi i “campi” dimostra però che la realtà è un’altra: anche la religione contempla ricerca e discussione, anche la scienza conosce dogmi e pregiudizi. Perché è proprio dell’uomo, di qualunque uomo, interrogarsi, dubitare e anche chiudersi in tetragone certezze. È senz’altro più corretto e utile considerare scienza e religione come due distinti campi del sapere, la cui “diversità” può rivelarsi molto fruttuosa, se viene intesa non come l’occasione di uno scontro con un vincitore e un vinto, ma come la ragione di un confronto tra due linguaggi ugualmente importanti e credibili. Angelo Tartaglia, scienziato e credente, analizza in questo volume alcuni fra i temi più importanti per chiunque voglia seriamente impegnarsi lungo la via del sapere e spiega perché non ci si possa arrestare di fronte alla pluralità delle risposte: sulla verità (la verità della fede, la verità matematica, la verità della fisica), così come sulla vita e sull’uomo (creazionismo ed evoluzionismo).


Il risveglio di Sigismondo. Dialogo sulla religione fra due uomini di scienza, Effatà, 2013

Come possono due persone, quasi della stessa età, con formazione simile e con lo stesso interesse professionale per la scienza, approdare a posizioni divergenti riguardo al mistero che precede la scienza stessa, cioè l’origine e l’esistenza del cosmo e di noi stessi? Per rispondere a questa sorta di “giallo filosofico”, i due autori hanno sviluppato in queste pagine un dialogo serrato sugli aspetti principali della religione, senza la pretesa di porre fine a questioni secolari, ma con l’intento di meglio definire e comprendere le reciproche posizioni. Pur partendo da prospettive opposte (cristiano l’uno, agnostico l’altro), infatti, attraverso il dialogo – come ci hanno mostrato Platone e Galileo – si possono scoprire nuove vie di accesso alla verità filosofica o scientifica.


Lectures 2015, di Angelo Tartaglia, Fabrizio Benedetti, Giappichelli, 2016


Dall’ elettrone all’entropia, Levrotto & Bella, 2012


Esercizi svolti di elettromagnetismo e ottica, Levrotto & Bella, 1998

Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Luc Grecchi…

«Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze
coloro che patiscono ingiustizia,
e non lasciar correre:
giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso,
l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile»
(Democrito, B261).

L’anima umana come fondamento della verità (2002) delinea, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati molti suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema costituisce la base per una analisi critica della totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze razionali e morali della natura umana. [ indicepresentazionesintesi]


Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dall’autore compiuti negli anni Novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale. [ indicepresentazionesintesi]


Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx (2003) costituisce una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi comparata, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, l’autore propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico (in senso hegeliano). Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007. [indicepresentazione]


La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004), con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana. [indicepresentazione]


Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005), con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano. [indicepresentazione]


Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche nella valutazione di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura razionale e morale dell’uomo. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista. [indicepresentazione]


Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore. [indicepresentazione]


Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimenti imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro “una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo” in esame. [indicepresentazione]


Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla attuale totalità sociale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità degli uomini. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa sia la felicità. Il testo è caratterizzato da una analisi delle strutture della personalità oggi più diffuse, per l’autore “prodotte” dai processi di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Scrive Vegetti, nella introduzione, che Grecchi è “pensatore a suo modo classico”, per il suo “andar diritto verso il cuore dei problemi”. [indicepresentazione]


Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. [indicepresentazione ]


Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale “risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa”.


Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, sul piano politico, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo


La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “scorporare” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.


Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico. [indicepresentazione ]


Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. [indicepresentazione sintesi ]





L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è il primo libro in cui Grecchi effettua la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi centrali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione razionale e morale. [indicepresentazione ]




L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone. Ponendo in essere una analisi delle principali interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indicepresentazione ]






L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indicepresentazione ]



Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) l’essere ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero; b) l’assumere come riferimento, insieme descrittivo e valutativo (la filosofia si occupa non solo della verità, ma anche del bene), l’Uomo. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta per vari motivi essere Socrate.


Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.


Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2008), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in c ui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore. [indicepresentazione ]


Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.


L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese. [indicepresentazione ]


L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano. [indicepresentazione ]


L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la filosofia orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico. [indicepresentazione ]


A partire dai filosofi antichi (2009), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che “questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana”.


L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore cerca di colmare la distanza storico-culturale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico e postellenistico. Il testo si divide in due parti. Nella prima, considerando che ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso “produce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello ellenistico, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica/postellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino. [indicepresentazione ]


La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita di pressoché tutte le discipline filosofiche, ad eccezione della filosofia della storia, tuttora ritenuta di genesi moderna. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa. [indicepresentazione ]



Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata. [indicepresentazione ]


Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di “una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa”. [indicepresentazione ]


Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali, mostra come, sin dall’epoca omerica, gli antichi Greci furono aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”. Esso possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”. [indicepresentazione]



Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare. [indicepresentazione ]


Confucio. Sulla buona vita, sul buon governo e su me stesso (2011) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di alcuni discorsi tenuti dall’antico pensatore cinese. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero di Confucio, già delineata ne L’umanesimo della antica filosofia cinese.




L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza la sua opera. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si caratterizza anche per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità. [indicepresentazione]



L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori esclusivamente come “naturalisti”, che li separano in maniera eccessiva sia dalla poesia epica precedente, sia dalla filosofia classica successiva. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure anticipatrici di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora. [indicepresentazione]



Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica e di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, elaborata oramai, in maniera teoreticamente originale, solo da un numero limitato di studiosi. [indicepresentazione]


Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi descrive il pensiero dell’autore quasi sempre concordando con lui, tranne che nella opposizione – su cui si sofferma anche Berti nella postfazione – fra metafisica classica e metafisica umanistica. [indicepresentazione]


Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti largamente insufficiente. Assumendo come base di riferimento il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori ancora definiscono – per mancanza di validi termini alternativi, ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”. [indicepresentazione]


Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico. [indicepresentazione]




La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. [indicepresentazione]




Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. [indicepresentazione]



Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”. [indicepresentazione]


Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul bene tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del bene.    [indicepresentazione]



Discorsi sulla morte (2016) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo. [indicepresentazione]




L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento della tradizione cristiana, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo solitamente poco considerati, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia, nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’Aristotelismo che ebbero il loro momento culminante nel 1277.


L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che pone in essere una critica costruttiva della tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale in esso la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.



Compendio di metafisica umanistica (2017) è un libro che espone in sintesi la struttura onto-assiologica della verità dell’essere per come in vari luoghi delineata dall’autore col nome di “metafisica umanistica”. Il testo fornisce alcuni capisaldi del futuro Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere (cui l’autore sta lavorando dal 2003), distinguendo le nozioni di Cominciamento, Principio e Fondamento, nonché elaborando la tematica dell’essere e della sua sistematicità. Il volume si sofferma anche sulla tematica del trascendente, e sul nesso descrittivo-normativo necessario alla progettualità sociale. [indicepresentazione]



Natura (2018) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sulla natura, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero che ogni mancanza di rispetto e di cura nei confronti della natura – attività che solo l’uomo, fra gli enti naturali, è in grado di porre in essere – costituisce una mancanza di rispetto e di cura nei confronti della vita tutta



Scritti brevi su politica, scuola e società (2019) costituisce una raccolta di articoli pubblicati dall’autore negli anni 2015 e 2016 su vari quotidiani, settimanali e riviste su tematiche di particolare attualità. Il filo conduttore di questi scritti è costituito da una critica progettuale al nostro tempo alla luce del pensiero greco classico, soprattutto di Aristotele. Per l’importanza delle tematiche trattate, e per l’approccio classico utilizzato, si tratta di riflessioni che forniscono un orientamento in grado di trascendere l’orizzonte del momento storico in cui sono state effettuate. [indicepresentazione]



Uomo (2019) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sull’uomo, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero la centralità dell’uomo nella natura, ovvero il suo essere il solo ente in grado di fornire un senso ed un valore alla realtà, nonché di avere rispetto e cura della realtà stessa .


L’umanesimo greco classico di Spinoza (2019) costituisce una analisi della filosofia di Spinoza alla luce del pensiero greco classico. Nonostante il filosofo olandese citi pochissimo Platone ed Aristotele, Grecchi mostra come forti siano i legami coi due più grandi pensatori antichi. Le tematiche esaminate sono alcune fra le principali del pensiero filosofico, quali la verità, il bene, la conoscenza, la sistematicità, la religione, la libertà, la crematistica, la politica. Frequenti sono anche i riferimenti ed i paralleli con il nostro tempo.


Curatele


È veramente noiosa la storia della filosofia antica? (2008, con Diego Fusaro), con scritti di E. Berti, G. Casertano, D. Fusaro, G. Girgenti, L. Grecchi, C. Preve e M. Vegetti .



Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, S. Fazzo, A. Fermani, G.R. Giardina, L. Grecchi, C. Vigna, M. Zanatta. [indicepresentazionesintesi].


Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017), con scritti di G. Abbate, C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, A. D’Atri, A. Falcon, A. Fermani, L. Grecchi, A. Jori, D. Quarantotto, M. Ugaglia, C. Vigna, M. Zanatta. [indicepresentazionesintesi ]


Teoria e prassi in Aristotele (2018), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, A. Fermani, S. Gastaldi, L. Grecchi, S. Gullino, A. Jori, G. Lucchetta, L. Palpacelli, L. Ruggiu, M. Vegetti, C. Vigna, M. Zanatta. [indicepresentazionesintesi ]



Libri in preparazione


Metafisica umanistica.

La struttura sistematica della verità dell’essere



Presocratici



Ricchezza e povertà nella filosofia antica


Altro ancora ….

Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.
Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele
Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità
Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno
Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.
Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?
Luca Grecchi – Sulla progettualità
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
 
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.
Luca Grecchi – Scuola “elementare”? Dalla filosofia antica ai giorni nostri
Luca Grecchi – La metafisica umanistica è soprattutto importante nella nostra epoca, la più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita.
Luca Grecchi – Logos, pathos, ethos. La “Retorica” di Aristotele e la retorica… di oggi. È credibile solo quel filosofo che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere.
Luca Grecchi – Educazione classica: educazione conservatrice? Il fine della formazione classica è dare ai giovani la “forma” della compiuta umanità, ossia aiutarli a realizzare, a porre in atto, le proprie migliori potenzialità, la loro natura di uomini
Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico
Luca Grecchi – «Natura». Ogni mancanza di conoscenza, di rispetto e di cura verso la natura si traduce in una mancanza di rispetto e di cura verso la vita tutta. L’attuale modo di produzione sociale, avente come fine unico il profitto, tratta ogni ente naturale – compreso l’uomo – come mezzo, e dunque in maniera innaturale.
Luca Grecchi – Scritti brevi su politica, scuola e società

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – L’umanesimo integrale di Massimo Bontempelli. Filosofia Storia Pedagogia

Massimo Bontempelli-Salvatore Bravo
Salvatore Bravo

L’umanesimo integrale di Massimo Bontempelli. Filosofia Storia Pedagogia

ISBN 978-88-7588-176-4, 2020, pp. 128

indicepresentazioneautoresintesi

In copertina:
Paul Klee, Einst dem Grau der Nacht enttaucht …
(Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte …),
acquarello, inchiostro e matita su carta argentata, 1918, Berna, Kunstmuseum.

Il titolo dell’opera fa riferimento all’incipit di una poesia scritta probabilmente da Klee:
Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte
poi grave e prezioso
e reso forte dal fuoco …
Infine etereo avvolto di blu,
si libra su campi innevati,
verso cieli stellati.


Massimo Bontempelli
(1946-2011)

Massimo Bontempelli, professore di liceo, è stato filosofo olistico: l’originalità della sua teoretica è nel tenere assieme filosofia, storia e pedagogia, al fine di orientare la paideia sul fondamento veritativo che coniuga l’asse ontologico-assiologico all’azione educativa. Ha avvertito l’incombere plumbeo del nichilismo sul destino dell’Occidente, guardando con gli occhi della mente il dramma in cui è impigliata la cultura occidentale ormai planetaria. Trascendere il nichilismo ha significato per lui interpretarlo, inseguirlo nei meandri della sua genealogia, per sfidarlo, e quindi, ricostruire il percorso verso la verità. La sofferenza teoretica per lo stato presente, si è sublimata in pensiero e pratica educativa. Filosofo dalla passione intellettuale per il presente, con l’impegno rivolto fortemente al futuro, ha teorizzato l’alternativa al nichilismo consumistico dei nostri giorni. Ha rielaborato il pensiero teoretico e po­litico di Hegel mediandolo col pensiero di Marx. Con Hegel ha condiviso l’urgenza della metafisica, senza la quale il soggetto è lasciato alla sua accidentalità e dissolto nel pulviscolo del conflitto economico. Il suo stile filosofico ed educativo ha un significato simbolico e sostanziale: l’essenziale è la parola, veicolo della qualità contro la quantità. Ci ha lasciati eredi non solo della sua attività teoretica, ma della sua esperienza umana vissuta fuori dalla caverna della società dell’immagine e della pornografia mediatica spacciata per trasparenza.

 Questi i temi discussi

Prologo / L’uroboro / Nichilismi / La tirannia del presente: l’isola di Pasqua / Il verme nel nocciolo / Il pensiero debole / Massimo Bontempelli / L’olismo come paradigma irrinunciabile / La bicicletta di Bontempelli / La metafora della caffettiera / Concreto ed astratto / Lo sguardo contro il nichilismo / Destra-Sinistra / Pedagogia della passività / Le categorie della quantità e della qualità / La categoria della quantità e la morte / Modelli metafisici / Il regno dei lupi / La libertà / La derealizzazione / La sussunzione / Il bene / Il narcisismo-derealizzazione / Perché educare? / A scuola di nichilismo / Filosofia e Storia / La storia come necessità / Tempo e memoria / Msssimo Bontempelli/Costanzo Preve / Narcisismo, concretismo e arbitrarismo / Le miserie dell’abbondanza / La metafora della valle / Verità e libertà / “Ex ducere” / Mutazione antropologica / La Storia come asse culturale / Il Gesù di Bontempelli / La società del disprezzo di sé / Bontempelli interprete di Marx / Marx ed Hegel / L’esperienza della decrescita / Umanesimo integrale.


I libri di Salvatore Bravo



Salvatore Antonio Bravo – Una morale per M. Foucault?

Salvatore Bravo – Aldo Capitini e la omnicrazia. L’apertura è sentire la compresenza dell’altro, sentire la propria vita fluire nell’altro, lasciarlo essere, amarlo per quello che è, liberarlo dalla paura del potere, della mercificazione.

Salvatore Bravo – L’abitudine alla mera sopravvivenza diviene abitudine a subire. Ma possiamo scoprire, con il pensiero filosofico, che “oltre”, defatalizzando l’esistente, c’è la buona vita.

Salvatore Bravo – La filosofia è nella domanda di chi ha deciso di guardare il dolore del mondo. Responsabilità della filosofia è il riposizionarsi epistemico per mostrare la realtà della caverna e rimettere in azione la storia.

Salvatore Antonio Bravo – L’epoca del PILinguaggio. Il depotenziamento del linguaggio è attuato dalla globalizzazione capitalistica, nel suo allontanamento dalla persona e dalla comunità.

Salvatore Bravo – Sentire se stessi è possibile attraverso l’uscita dalla caverna dei cattivi pensieri quotidianamente inoculati assumendo la libertà di vivere i poliedrici colori del possibile.

Salvatore Bravo – La tolleranza è parola invocata nel quotidiano terrore dei giorni. La tolleranza nasconde il volto aggressivo della globalizzazione. È la concessione della legge del più forte, il diritto di vivere concesso dal potere.

Salvatore Antonio Bravo – Il tempo che ha la sua base nella produzione delle merci è esso stesso una merce consumabile. Ogni resistenza dev’essere svuotata della sua temporalità e colonizzata dalle immagini dello spettacolo globale.

Salvatore Antonio Bravo – Le miserie della società dell’abbondanza. La verità del consumo è che essa è in funzione non del godimento, bensì della produzione.

Salvatore Antonio Bravo – La società dei cacciatori. L’atomismo sociale e la deriva individualista dei nostri giorni, trovano la loro sostanza in un’immagine esplicativa della condizione umana postmoderna: il cacciatore.

Salvatore Antonio Bravo – «Le vespe di Panama» di Z. Bauman. La filosofia perde la sua credibilità e la sua natura critica e costruttiva se vive nel mondo temperato delle accademie e degli studi televisivi e mediatici, dove campeggia l’uomo economico: turista della vita, vagabondo tra le mercificazioni.

Salvatore Antonio Bravo – Il comunista è un pensatore militante, consapevole dunque che la sua azione è perenne: non vi sono sistemi o regimi che concludono la storia e pacificano gli animi. In Marx l’idea del comunismo si concretizza anzitutto nell’immagine di una società in cui l’individuo, liberato dall’alienazione, diventa un uomo totale, universale, cioè capace di dar pieno sviluppo alla sua personalità.

Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.

Salvatore Antonio Bravo – «Viva la Revoluciòn» di E. Hobsbawm.

Salvatore Antonio Bravo – Evald Ilyenkov e la logica dialettica. Occorre studiare il pensiero come un’attività collettiva, in cooperazione. Il capitalismo è profondamente anticomunitario, trasforma tutto in merce, disintegra le comunità, smantella la vita nella sua forma più alta: il pensiero comunitario consapevole.

Salvatore Antonio Bravo – «Il giovane Marx», di György Lukács. L’intera opera di Marx è finalizzata dall’amore per l’umanità che si fa pensiero consapevole della disumanità di ogni condizione di alienazione, e di ogni reificazione negatrice della libertà.

Salvatore Antonio Bravo – Il libro di Norman G. Finkelstein, «L’industria dell’olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei».

Salvatore Antonio Bravo – Il mercato e l’asservimento della Scuola: il mito dell’orientamento consapevole. Ciò che occorre invece è tempo per un’educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per l’adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco delle energie vitali fisiche e mentali.

Salvatore Antonio Bravo – Marx poeta nel suo anelito all’universale: «Non rimaniamo immobili Senza volere né fare niente. Non subiamo passivamente il giogo ignominioso. Il desiderio, la passione, l’azione sono parte di noi».

Salvatore Antonio Bravo – L’industria culturale capitalistica utilizza solo autori che interpretino K. Marx in senso riduttivo, proprio per evitare possibilità di sviluppo teorico progettuale con una conseguente prassi rivoluzionaria.

Salvatore A. Bravo – Il collare e le catene delle navi negriere, sono ora sostituiti dal controllo digitale, un panopticon che controlla per spezzare sul nascere la possibilità di un pensiero che voglia progettare un mondo altro.

Salvatore Bravo – Estetiche del turbocapitalismo. La paideia negativa e nichilistica dell’immagine. Contrapporre alla notte delle immagini la cultura dell’impegno, sottraendosi alla violenza dell’incultura dell’immagine.

Salvatore Bravo – Il flâneur, passeggiatore annoiato, è l’uomo massa della società dell’abbondanza che vive nella distanza dallo sguardo altrui. Essere astratto e distratto vive l’esperienza senza simbolizzarla in prassi, al servizio del sistema mediante le protesi tecnologiche, che esigono automatici comportamenti.

Salvatore Bravo – L’assenza di futuro è il nichilismo dell’assoluto presente. Il trionfo dell’immediato-astratto forma individui e non persone. Il radicamento nell’attimo fa del soggetto un ente che si piega alle circostanze.

Salvatore Bravo – Il pensiero corporante all’epoca del capitalismo assoluto, con la sua promessa dell’Eden restituisce soltanto un corpo esausto e violento, come nel mito della caverna di Platone. Si immilla la frustrazione. Il capitalismo oggi esige che l’uomo lotti contro se stesso oltre che contro gli altri.

Salvatore Bravo – Il disorientamento gestaltico e le parole valigia. Le parole valigia e lo spettacolo sempre in scena reificano il soggetto umano riducendolo a semplice funzione del gioco perverso della produzione.

Salvatore Bravo – Il modello Marchionne trasforma gli uomini in soldati dell’efficienza, inibisce ogni discussione sul senso e sulla dignità del lavoro, il cui scopo non è la sopravvivenza biologica, ma l’espressione di sé, della propria identità, la conoscenza di se stessi, come afferma la Costituzione. Il lavoratore è persona, non un servo dell’azienda.

Salvatore Bravo – L’umanesimo del lavoro in Marx. Il lavoro dell’«uomo macchina» distrugge il lavoro come progetto creativo in cui conoscersi perché il lavoro coatto brucia la creatività e inibisce la possibilità di costruire e produrre secondo le leggi della bellezza.

Salvatore Bravo – Tecnica e cultura classica. La potenza della tecnica non è garanzia di virtù e bene. Cultura classica come formazione alla libertà consapevole.

Salvatore Bravo – Lo sradicamento è vita fuori dalla storia, dalla coscienza, dalla comunità in cui la vita fiorisce. Lo sradicamento massimo è la riduzione di tutto sulla linea della quantità, è associare il bene solo alla quantità. Ma se il bene è la quantità, il male è per tutti.

Salvatore Bravo – ll presente non è tutto, lo diviene in assenza di domande. La domanda è già utopia concreta. Per pensare l’utopia concreta l’immaginazione è imprescindibile, essa è operazione critica, domanda radicale e filosofica, è una diversa rappresentazione del presente: mentre configura il futuro, opera nel presente investendolo di nuova vita. Un mondo senza pensiero ed immaginazione empatica è solo distopia.

Salvatore Bravo – L’epoca dello straniamento. Se ignoriamo che cosa mai noi siamo come potremo conoscere l’arte per render migliori noi stessi? Dalla peccaminosità assoluta alla colpevole innocenza. La vera trasgressione è il pensiero critico contro l’attività perenne senza consapevolezza.

Salvatore A. Bravo – Il bisogno di filosofia è un bisogno autentico, in quanto filosofare è proprio dell’essere umano. Nulla è facile, ma tutto diventa più difficile in un mondo senza teoretica.

Salvatore A. Bravo – Vogliamo ricordare Costanzo Preve, l’uomo e il filosofo che, con la sua resistenza al capitalismo speculativo, ha testimoniato che è possibile vivere diversamente dal nietzschiano “ultimo uomo”. È sceso nelle profondità sistemiche della nostra epoca e scandagliato filosoficamente la genesi dell’odierno economicismo nichilistico.

Salvatore A. Bravo – Le metafore nella filosofia. La metafora è bussola concettuale per guardare oltre l’orizzonte dell’angusto presente.

Salvatore A. Bravo – Plebe e popolo: rivoluzione passiva e tecnologie. Vi è popolo solo dove vi è sovranità partecipata. Il popolo diventa plebe in assenza di pensiero e di linguaggio. Il popolo è comunità manifesta, è progetto partecipato. Non possiamo sottrarci alla responsabilità del divertere.

Salvatore A. Bravo – La prudenza è virtù che coniuga qualità e misura dando un significato alla quantità, determinandola. La società dell’imprudenza si concretizza nella forma del nichilismo economicistico.

Salvatore A. Bravo – Senza progettualità, in un mondo senza virtù e nell’epoca della normalità del male, non vi è che l’eternizzazione dell’attimo che si ripete.

Salvatore A. Bravo – Ma che genere di uomini è questo? Quod genus hoc hominum? Quale barbara patria permette un’usanza simile? Quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? Ci negano il rifugio dell’arena; muovono guerra impedendoci di scendere a terra e di fermarci sulla spiaggia. L’impegno civile è resistenza antropologica.

Salvatore A. Bravo – I barbari e l’Occidente. La comunità è il luogo del dono. La barbarie è l’incapacità di pensare la possibilità del dono. La bellezza germina nel pensiero che medita sull’esperienza. L’edonismo struttura un mondo senza intelligenza.

Salvatore A. Bravo – Massimo Bontempelli interprete di Karl Marx. Marx era prima di tutto un rivoluzionario: questa era la sua reale vocazione. La lotta era il suo elemento. Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un successo come pochi hanno combattuto.

Salvatore A. Bravo – La laicità all’epoca dell’integralismo laicista. Si può resistere alla mutazione antropologica messa in atto dal capitale assoluto in nome dell’aziendalizzazione della vita, della parola, delle relazioni.

Salvatore A. Bravo – La pedagogia del coding. Pensare come una macchina. L’efficienza è l’obiettivo finale. L’obbiettivo e disellenizzare. Il coding è costruzionismo attivistico. Al coding si può opporre la cultura classica.

Salvatore A. Bravo – La superstizione scientista. La verità è qualche cosa di infinitamente più dell’esattezza scientifica.

Salvatore A. Bravo – L’albero filosofico del Ténéré. Esodo dal nichilismo ed emancipazione in Costanzo Preve. Dalla metafora del deserto (Nietzsche-Arendt) al fondamento veritativo in Costanzo Preve.

Salvatore A. Bravo – Storia, filosofia ed oblio in Massimo Bontempelli. Sulla necessità di coniugare lo studio della storia e della filosofia di fronte alla pianificazione dell’oblio alienante e nichilistico.

Salvatore A. Bravo – Salviamo le Cattedrali dalle fiamme del plusvalore.

Salvatore Bravo – Superare L’inquietudine e l’indifferenza nell’estasi del camminare eretti, con l’entusiamo che scaturisce nell’anima da un punto originale che genera valore e determina valore, continuando ad ardere anche dopo tutte le catastrofi empiriche. È necessario, oggi, difendere il diritto alle passioni.

Salvatore Bravo – Siamo nella rete della globalizzazione della chiacchiera, ma abbiamo l’illusione di essere liberi. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime dal compito di una comprensione genuina, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto.

Salvatore Bravo – Populismo pedagogico e scuola senza concetto. La scuola facile non libera, non permette al pensiero di configurarsi, ma lo destruttura in chiacchiera. La scuola difficile e dell’impegno educa alla domanda, forma alla temporalità distesa e densa di contenuti.

Salvatore Bravo – La filosofia è per sua natura anticrematistica e comunitaria. è resistenza all’inverno dello spirito che avanza. L’uscita dallo “stato capitale” necessita della radicalità della filosofia, senza di essa non vi è prassi, non vi è verità, non vi è domanda, ma solo l’antiumanesimo.

Salvatore Bravo – I nuovi «dannati della terra» sono in grado di sfidare la paura. L’essere umano è pensiero, coscienza. per quanto forte sia il condizionamento, nessun potere potrà occupare lo spazio interiore dell’uomo, perché l’infinito è nell’essere umano.

Salvatore Bravo – Il 23 Novembre del 2013 veniva a mancare Costanzo Preve. Ci lascia una importante eredità morale e filosofica: cercare verità, complessità, libertà dalle conventicole. La filosofia non ha il compito di rassicurare, ma di porre domande, rinunciando alle facili risposte.

Salvatore Bravo – Intellettuali, parola e potere.

Salvatore Bravo – La filosofia umanizza, strappa l’essere dall’abbandono in cui vive, per consegnarlo a se stesso, al suo progettare nella storia. Scindere la verità dalla prassi e dalla responsabilità dispone l’essere umano alla passività. Ma così la filosofia diviene gioco ed intrattenimento per mediocrità acculturate.

Salvatore Bravo – La voce del padrone sulla scuola della sola “quantità”. In campo la «Fondazione Agnelli» ed «Eudoscopio».

Salvatore Bravo – filosofia e ordine del discorso. La «passione durevole» di György Lukács per la filosofia è finalizzata a trascendere i condizionamenti del capitalismo che vuole anestetizzare la corrente calda del pensiero critico perché nella prefigurazione del fine la coscienza struttura la prassi dell’emancipazione.

Salvatore Bravo – L’irrazionale-razionale del capitalismo si palesa con la legge della “nuova civiltà”: l’arbitrarismo.

Salvatore Bravo – L’automa è l’ideale del nuovo integralismo economicista: sussumere il corpo, l’anima e le relazioni. Ma dove regna la quantificazione la vita si consuma e si logora nell’utile. Vivere è aprirsi al mondo con le nostre domande di senso.

Salvatore Bravo – Il vessillo dell’Occidente consumistico è la libertà astratta dell’homo consumens. La modernità trionfante soddisfa l’istinto dell’animalità troglodita.

Salvatore Bravo – Il mito del progresso e Pasolini. Il simulacro (capitalismo) non nasconde la verità, ma non ha verità e teme di svelare il nulla che è.

Salvatore Bravo – Pensare la didattica alternativa e non subirla. Se un docente è stato capace di trasmettere contenuti, metodi, motivazioni, se ha testimoniato con il suo impegno silenzioso la consapevolezza del suo ruolo non vi è distanza che possa cancellare ciò che si è radicato nella profondità relazionale di ciascuno.

Salvatore Bravo – Il disprezzo come modalità di governo. Il disprezzo è la vera cifra dell’esperienza «covid 19». il sintomo di una malattia carsica e profonda che attende la cura del pensiero e della prassi.

Salvatore Bravo – Tutti promossi, perché la cultura e l’impegno non sono un valore, ma un limite al mercato. La didattica smart non insegna a pensare, ma solo a dare il minimo della preparazione che serve al mercato.

Salvatore Bravo – Il trionfo della malinconia nella società dello spettacolo nega la parola che è festa della vita. La festa è l’immanenza che dà un nuovo senso al tempo vissuto.

Salvatore Bravo – Tra guerra e paura. La lotta all’epidemia è descritta nella forma di una guerra capillare e pervasiva che irrora la comunità, fino a trasformarla in un luogo chiuso in cui regna la paura dell’altro. Nella guerra la prima vittima è la verità, scriveva Eschilo.

Salvatore Bravo – L’umanesimo integrale di Massimo Bontempelli. Filosofia Storia Pedagogia


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Franco Toscani – Umanità e società nel tempo della pandemia.

coronavirus 2020

Franco Toscani

Umanità e società nel tempo della pandemia

Nel tempo della pandemia (che, come ha sancito ufficialmente all’inizio di marzo l’Organizzazione mondiale della sanità, è l’epidemia di coronavirus o Covid-19 estesasi a livello planetario) siamo tutti riportati alla nudità della nostra esistenza, dell’essenza umana e la sofferenza è universale. In questi frangenti ci sono rivelate nel modo più brutale, spietato e collettivo la fragilità, la finitezza e la mortalità costitutive degli esseri umani, l’assurdità della dismisura, di ogni mito e culto dell’onnipotenza; si può fingere di meno a noi stessi e agli altri sulla nostra condizione, i nodi vengono maggiormente al pettine. Pensiamo, specialmente nelle fasi più gravi e drammatiche della pandemia, alla presenza massiccia della morte attorno a noi e sempre più vicina a noi, alla sua strapotenza, alla minaccia costante dell’annientamento che rappresenta. Ricorrendo al linguaggio della teologia, Claudio Magris ha parlato della prolixitas mortis (prolissità della morte), della sua incombenza e incontinenza, della sua ininterrotta narrazione.

Nei giorni della pandemia ci tocca sperimentare in modo particolarmente amaro e rivelatore la verità tragica della filosofia dell’esistenza circa la prossimità estrema della morte, la vicinanza del nulla, il forte senso della fragilità umana e del destino. Avvertiamo con maggiore nettezza la nostra totale appartenenza alla natura, la nostra dipendenza da essa, l’ineludibilità della nostra interdipendenza ecologica e globale, il fatto che non possiamo esistere fuori della natura e cavarcela senza un nuovo rapporto con l’ambiente naturale e sociale.

Tutti in qualche modo soffriamo, però in modi e forme anche notevolmente diversi. La sofferenza e il peso maggiori – non va mai dimenticato – riguardano i malati e gli emarginati, tutto il personale sanitario costretto a turni di lavoro massacranti e a prodigarsi in condizioni difficilissime, tutti quei lavoratori della produzione e dei servizi che sono in prima linea per aiutare in vari modi la società. Un’immensa gratitudine, non del tutto esprimibile a parole, va a tutti coloro che operano continuamente per gli altri, per risanare, provvedere ai bisogni essenziali della popolazione, alleviare le pene, limitare i danni, evitare il peggio. Va soprattutto agli umili e agli ultimi che sgobbano senza posa, ai tanti senza-nome e senza-storia che svolgono il loro prezioso lavoro quotidiano lontani dalle luci della società sirenico-spettacolare e senza alcuna ribalta mediatica.

Ci sono poi una sofferenza psichica e interiore, un disagio e un malessere, una paura e un’angoscia che ci concernono tutti indistintamente, in varia misura, coi quali dovremo imparare a convivere e che già cerchiamo faticosamente di gestire e controllare, in nome dell’amore per la vita e per la convivenza. Ci proviamo, almeno dobbiamo assolutamente provarci, perché la mera disperazione non conduce da nessuna parte, anzi ci paralizza e impedisce l’azione.

Anche la prospettiva che questa situazione, soprattutto il rischio di contagio, possa durare non pochi mesi o più di un anno, è davvero rattristante e inquietante. Per non parlare della crisi economico-sociale in cui siamo già precipitati, di proporzioni gigantesche, planetarie. I milioni di nuovi poveri e disoccupati reclamano giustamente aiuto, ma nessuno può fare miracoli, neppure il miglior governo del mondo, che del resto non esiste da nessuna parte. E’ impressionante l’impasse in cui la politica si dibatte oggi, oscillante fra demagogia, promesse impossibili da mantenere, irresponsabilità, serietà dell’impegno e pesanti responsabilità di governo, chiamata a dare risposte impossibili o per forza carenti in una situazione senza precedenti, invitata da ogni parte a tamponare faticosamente le ferite del corpo sociale e a dare risposte comunque inadeguate. Naturalmente, anche in questa situazione, c’è chi si dedica senza alcun pudore allo sciacallaggio, alla demagogia sfrenata e alla più vile strumentalizzazione politica, promettendo miracoli e cose del tutto aleatorie. Molti abboccano, ma non se ne può più della politica da bassa cucina elettorale, alla ricerca del consenso immediato, di corto respiro, menzognera. Come ha detto in un’intervista televisiva un medico intelligente, riferendosi a sé stesso e ai medici (ma il discorso andrebbe esteso a tutti), oggi “nessuno può fare lo Zarathustra” e atteggiarsi a facile profeta o a salvatore dalla bacchetta magica. Un pizzico di umorismo e di sana autoironia ci farebbe bene anche in questi frangenti, ma prevalgono di gran lunga in molti la rabbia, la violenza verbale, il disprezzo, il mugugno ininterrotto e l’opposizione inconcludente, il velleitarismo, la mancanza di lucidità e di alternative praticabili.

Fatti per la vita sociale, di gruppo e di relazione, abituati ai riti e ai culti della civiltà di massa, nelle presenti circostanze agli uomini è improvvisamente impedita la normalità di questa vita, pensiamo soltanto all’obbligo del mantenimento delle distanze tra le persone, all’impedimento degli abbracci, delle strette di mano, dei gesti affettuosi, dei contatti ravvicinati, etc. . Ognuno è in qualche modo paradossalmente invitato e per certi aspetti obbligato – proprio per amarci e rispettarci più profondamente – a diffidare dell’altro, a non aprirsi all’altro, a sospettare il contagio ovunque, a mantenere le distanze, appunto.

E’ amarissima – ancorché indispensabile e necessaria, beninteso – questa riduzione drastica e pesante, questa perdita secca dei livelli normali della qualità della vita, delle relazioni e della socialità nelle nostre città spettrali e desertificate, in cui le sirene delle ambulanze rompono sovente il silenzio delle vite sospese con suoni terribili, opprimenti l’animo ancor più del solito, di sventura e di morte.

Questa normalità degli affetti, dei sentimenti, dei rapporti umani schietti, delle relazioni fruttuose ci è assolutamente cara e indispensabile; non è così, invece, per la normalità alienata, per la normalità del conformismo e del consumismo, dell’inquinamento e del rumore, del traffico e della fretta, della società dell’individualismo e della competizione, del capitalismo edonistico e della cultura dello spreco, del totalitarismo del mercato, del mondo mercificato e del feticismo economico, dell’impero del capitale, delle merci, della tecnica e del Dio-denaro, in cui gli uomini sono ridotti essenzialmente a produttori/consumatori, valgono solo come tali, non sono più considerati innanzitutto come abitanti del pianeta, come esseri umani nella loro complessità e pienezza. Questa “normalità” va rimessa in discussione, perché sta inaridendo la convivenza sociale, sta distruggendo e forse distruggerà la vita sul pianeta.

Nei giorni della pandemia colpiscono molti volti, sguardi, movimenti, atteggiamenti, gesti, spesso muti, mesti, discreti e quasi impercettibili, ma anche pietosi, solidali, gentili, cortesi, partecipi, più che mai coscienti e rispettosi. E’ la ricchezza della nostra umanità colpita e ferita, che non può esprimersi pienamente, ma che scopre e vive la condizione comune di sofferenza, disagio e impedimento. Ci sono pure meravigliosi volontari che prestano aiuto come possono, veri e propri piccoli, grandi eroi della nostra vita quotidiana tribolata, testimonianze luminose della nostra umanità.

Molti, per fortuna, capiscono che siamo tutti “sulla stessa barca”, che nessuno – nemmeno Trump, Johnson e Bolsonaro – può permettersi di fare troppo a lungo il gradasso o lo sbruffone in questa situazione così tragica e dolorosa. Nessuno di quelli che, giovani o vecchi, sono ancora sani o non contagiati dovrebbe dimenticare che ci sono quelli che hanno bisogno, stanno male o, comunque, stanno peggio di loro.

Nell’isolamento, nell’apprensione e nella desolazione universale, io, ad esempio, riesco ancora, almeno per il momento, a lavorare e a scrivere queste note: ne sono pienamente cosciente e quasi me ne vergogno, ma è pur vero che devo, voglio, posso farlo e che ciascuno è chiamato anche al dovere sacrosanto di non cadere vittima di una depressione paralizzante e pericolosa (specialmente in queste condizioni di vita sociale), alle esigenze della convivenza, di proteggersi e di proteggere gli altri, come e per quanto possibile, almeno cercando di non ammalarsi e di non contagiare.

Non possiamo però dimenticare che, nemmeno in queste circostanze così aspre per tutti, continua ad agire l’umanità meschina, peggiore degli sciacalli e degli avvoltoi, degli approfittatori e degli opportunisti, del “familismo amorale”, di coloro per cui vale il motto “tanto peggio per gli altri” e che pensano soltanto a sé stessi, al proprio “particulare”: mi riferisco, ad esempio, a quegli sciagurati che cercano di truffare gli anziani introducendosi nelle abitazioni e spacciandosi per personale sanitario, a quelli che hanno consapevolmente contagiato altri andandosene tranquillamente in giro o speculato sul prezzo delle mascherine, a coloro che corrono all’accaparramento di beni alimentari nei supermercati o di prodotti sanitari nelle farmacie, a coloro che chiedono aiuti economici senza averne davvero bisogno. Occorre fare attenzione anche a questa umanità irresponsabile e incosciente o comunque scarsamente responsabile in servizio permanente effettivo.

Sperimentiamo infatti più che mai l’ambivalenza dell’umano e quella che Robert Musil chiamò, nel suo capolavoro incompiuto Der Mann ohne Eigenschaften (L’uomo senza qualità, 1930-1942), “la profonda duplicità del mondo” (die tiefe Zweideutigkeit der Welt), che ora ci abbassa e ora ci innalza, una volta ci deprime e una volta ci esalta.

Da un lato, troviamo tra l’altro l’opportunismo, l’arroganza e la presunzione, la malvagità, lo sciacallaggio economico e politico, la stupidità, insomma tutto il male di cui gli uomini sono capaci anche nelle situazioni che dovrebbero richiedere il massimo di aiuto, solidarietà e collaborazione; dall’altro le meravigliose qualità, caratteristiche ed energie di tutti coloro che danno il meglio di sé, impegnati ad arginare il peggio e a salvaguardare l’umano. Assistiamo a veri e propri prodigi quotidiani in termini di abnegazione, generosità, cura, attenzione, lavoro costante e scrupoloso, prodigalità e rispetto, quasi sempre senza alcuna grancassa mediatica.

Sarebbe auspicabile che da questa tragedia potesse spuntare un “nuovo inizio”, una ri-nascita, affacciarsi un “cuore nuovo” o “di carne” (grande tema della sapienza e profezia biblica. Cfr. Ez 11, 19-20; Ez 36, 26-27; Ger 31, 31-34; 1Re 3, 9-12) in alternativa al “cuore di pietra”, avviarsi una conversione (non solo etica, ma pure una conversione ecologica dell’economia), un processo di umanizzazione reale, in nome di quella globalizzazione della fraternità e della cooperazione, della solidarietà e della condivisione indicata pure, profeticamente, da papa Francesco. Un’altra forma della globalizzazione, più ecologica e solidale, più giusta e fraterna, è drammaticamente urgente.

“Svegliati, o Signore!”, ha esclamato papa Francesco in un giorno di fine marzo, in una piazza san Pietro vuota e scura, sotto la pioggia, durante l’Urbi et orbi, invocando Dio perché intervenga e ci liberi dalla pandemia. “Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”: queste e altre parole del papa sono nel contempo pietose, lucide e profondamente umane, ma rivelano pure una drammatica impotenza.

Su “Avvenire” il sociologo cattolico Mauro Magatti ha espresso apertamente nei giorni più duri di questa tragedia il proprio smarrimento e la propria inquietudine di credente circa la difficoltà di cogliere i segni e le tracce del divino nella situazione odierna. Comunque la si pensi, credenti o non credenti, non c’è alcun “Dio tappabuchi” (Dietrich Bonhoeffer), Dio non risponde, non può risponderci. Siamo affidati a noi stessi, alle nostre scelte e responsabilità, alle nostre azioni e pratiche di vita.

Il silenzio e l’assenza di Dio – nel tempo presente che sparge paura, sofferenza e morte a piene mani fra gli uomini – ci lasciano particolarmente sgomenti e ci rivelano l’abisso della condizione umana, ma ci richiamano pure all’esigenza pressante dell’azione e della assunzione di responsabilità.

Le attuali tribolazioni e angustie richiedono una radicale conversione dei cuori e delle coscienze, una tensione alla giustizia, a contrastare le enormi diseguaglianze economico-sociali, i vergognosi squilibri di ricchezza e di potere esistenti nel mondo. Va riscoperta e praticata la compassione, che non è un atteggiamento di compatimento che va dall’alto al basso, ma la capacità di partecipare e di comprendere le sofferenze altrui, cercando di contrastarle e alleviarle. Il filosofo Mauro Ceruti ha osservato lucidamente che oggi la fraternità non è più soltanto un’aspirazione etica, ma comincia a diventare una necessità inscritta nella nuova condizione umana. Saremo capaci di riscoprire e praticare compassione e fraternità?

Nel momento attuale è ancora prevalente la ratio strumentale-calcolante rivolta agli interessi particolari, minoritaria è invece la ragione rivolta al bene comune, alla giustizia, alla verità.

Ci troviamo e ci troveremo sempre più in una situazione in cui sono e saranno richieste molte risorse economiche, in cui occorre e occorrerà applicare il sano e semplice principio secondo cui chi ha di più deve dare di più. Una maggiore giustizia sociale diventa un imperativo morale, se non vogliamo fare delle vane chiacchiere e della retorica insulsa, insopportabile.

E’ in gioco pure il destino dell’Europa, che è in crisi perché non è ancora la nostra vera casa comune, la nostra patria (Heimat). Soprattutto, essa non è ancora unita davvero, politicamente e culturalmente. L’immenso patrimonio e i tesori della grande cultura europea sono sotto i nostri occhi e nella nostra storia (per la verità, insieme a tante altre cose vergognose, come il colonialismo, l’imperialismo, la cultura della guerra, il razzismo, l’eurocentrismo, etc.), ma vanno riscoperti e fatti vivere. Ora vediamo lucidamente che l’Europa è posta davanti ad un aut-aut: senza spirito di solidarietà e fraternità, senza aiuto e collaborazione reali, senza vera unità – non solo economica, ma politica e culturale -, essa soccomberà, fallirà e lascerà rovinosamente il campo libero agli egoismi nazionali, alle rinnovate spinte sovraniste e nazionaliste.

Una delle verità principali che questa pandemia ci consente di riscoprire è quella che il buddhismo chiama la “co-produzione condizionata” o “genesi interdipendente” di tutti i fenomeni, ossia il fatto che l’interrelazione o interdipendenza universale concerne tutti gli esseri e le cose; nessuno o nessuna cosa può sognarsi uno “splendido isolamento”, può fare l’ “anima bella”. L’uomo non è un dio né una bestia, diceva già Aristotele, ma un animale razionale, sociale e politico.

In questa stessa direzione della “vita buona”, anche il grande pensiero filosofico europeo e italiano ha parlato sovente di intersoggettività, di relazionismo e di “ontologia chiasmatica”: penso qui soprattutto a Edmund Husserl, Enzo Paci e Maurice Merleau-Ponty.

Più che mai attuale è pure il messaggio della poesia La ginestra (1836) di Giacomo Leopardi, che richiama gli uomini – a partire dalla condizione umana e dalla sventura comune – a riscoprire le ragioni della fratellanza e dell’amore reciproco, della solidarietà e della cooperazione.

Molti potranno riconsiderare e rivalutare tutto ciò, ma non è scontato. Per il momento, siamo ancora nella bufera, ci occorrono molta pazienza e molto coraggio (o forza del cuore, come dice ottimamente Vito Mancuso), molta coscienza, responsabilità, azione solidale e concreta.

Questa pandemia che ha messo in scacco il pianeta è un segno inquietante dei tempi, da interpretare, crediamo, come un avviso estremo ai naviganti. Per chi suona la campana? Suona per te, per ciascuno di noi, per l’umanità e la civiltà planetaria. Se non ascolteremo questo suono – e tutto va purtroppo nella direzione del non-ascolto o di un ascolto scarso, solo parziale, della ripresa della normalità alienata, della continuazione della devastazione della Terra e dell’inaridimento dell’umano -, nuove sciagure si profileranno inevitabilmente all’orizzonte.

Franco Toscani
(Piacenza, 14 marzo-30 aprile 2020)

Franco Toscani – Il rapporto etica-politica e il tema dell’amicizia in Aristotele.
Franco Toscani – L’antropologia culturale e il sogno dell’universalità umana concreta
Franco Toscani – Il filosofo e le Muse. La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”-
Franco Toscani – Karl Marx e il significato della “Comune” di Parigi. La “Comune” sarà celebrata per sempre come la gloriosa messaggera di una nuova società. La sua testimonianza, il suo patrimonio e la sua eredità risiedono essenzialmente nella «sovrabbondanza di umanità dalla parte degli oppressi».
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Livio Rossetti – Rodolfo Mondolfo storico della filosofia antica

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ABSTRACT

Rodolfo Mondolfo non è “nato” come specialista di filosofia greca, ma come storico della filosofia moderna e autorevole intellettuale marxista. A un certo punto della sua vita, però, quando egli godeva già di un ragguardevole prestigio sia per le molte pubblicazioni che per la cattedra di Storia della Filosofia all’Università di Bologna, la filosofia antica è per così dire esplosa in lui, fino a diventare ben presto l’occupazione principale della sua vita, un elemento costitutivo della sua (nuova) identità culturale e la fonte di un vasto prestigio internazionale.

  1. Il lato insospettato della personalità di Mondolfo

Non sono più tanto pochi gli studiosi di “antica” ai quali sfugge che Rodolfo Mondolfo non è “nato” come storico della filosofia greca e non in questa veste ha fatto una brillante carriera nel sistema universitario italiano. Infatti la filosofia antica ha fatto irruzione nella sua vita quando egli era già prossimo ai cinquant’anni[1] ed era insediato nell’Università di Bologna quale autorevole professore di Storia della filosofia, con al suo attivo tanti studi su autori come Cartesio, Malebranche, Spinoza, Hobbes, Condillac, Romagnosi, Helvétius, Rousseau e Montesquieu, poi Beccaria, Feuerbach, Lassalle, Marx, Engels, Giordano Bruno, Acri, Fiorentino, Ardigò.[2] All’epoca il suo profilo di intellettuale era d’altronde non meno fortemente caratterizzato sotto il profilo politico-ideologico quale esponente del Partito Socialista e quale opinionista impegnato a marcare le distanze dal leninismo a favore di una concezione “umanistica” del marxismo inteso come filosofia della libertà, e nel quadro di una prospettiva riformistica della lotta politica[3] che alimenterà le ripetute critiche di Gramsci. Almeno fin verso il 1925 nulla dunque permise di sospettare in lui l’esistenza di un altro grande amore, e tanto meno il possesso di competenze eminenti in un ambito così lontano dai suoi interessi dichiarati. La figura di Mondolfo quale non meno autorevole specialista di filosofia antica è emersa pressoché all’improvviso nel corso degli anni Venti, ed ha costituito un evento più unico che raro.

A questo riguardo dobbiamo oltretutto registrare la penuria di memorie o testimonianze che aiutino a capire le ragioni di una simile svolta: ragioni che possiamo certamente immaginare e congetturare, ma sul conto delle quali chi poteva sapere non ha scritto. Sorprende, in particolare, che Eugenio Garin abbia parlato a più riprese del Mondolfo nelle sue famose Cronache della filosofia italiana, ma solo per collocarlo all’inizio tra i positivisti e poi tra i marxisti, non anche per registrare l’ulteriore grande virata che ben presto fece di lui un autorevole specialista di filosofia antica. Eppure, quando nell’immediato dopoguerra il Garin mise mano a queste sue cronache, la celebrità del Mondolfo antichista era già abbondantemente prevalsa sulla sua notorietà quale “modernista”. A ciò si aggiunga che il Garin non poteva non essere informato sul conto del “nuovo” Mondolfo, visto che il suo primo grande libro di filosofia antica – Storia della filosofia esposta con testi scelti dalle fonti da R. Mondolfo, E. P. Lamanna e L. Limentani, Volume I, Il pensiero antico. Storia della filosofia greco-romana, Milano-Genova-Roma-Napoli, Dante Alighieri, 1928: un volume di 600 pp. – nacque come parte di un programma editoriale nel quale era coinvolto anche Ludovico Limentani, maestro e mentore del giovane Garin all’Università di Firenze. Ora Limentani non solo accettò di associare il proprio nome a quello di Mondolfo quale previsto autore del terzo volume della serie – cosa già di per sé non priva di risvolti interessanti, visto che con ciò egli si faceva carico di esporre proprio quella filosofia moderna al cui studio Mondolfo aveva dedicato gran parte dei suoi scritti, e di lasciare al collega l’onere di pubblicare un volume su temi che, almeno in teoria, sarebbero dovuti risultare poco familiari all’uno non meno che all’altro – ma si accinse immediatamente a predisporre quel terzo volume, che infatti è uscito nel 1930 (dunque a breve distanza) col titolo: Il Pensiero Moderno. Storia della filosofia da R. Descartes a H. Spencer.[4]

 

Questo volume – leggiamo nella Prefazione – segue direttamente, nell’ordine cronologico della pubblicazione, l’antologia del Pensiero Antico, curata da Rodolfo Mondolfo, ed ha comuni con essa il programma e l’intento, pur con le variazioni richieste dalle caratteristiche peculiari, che differenziano la speculazione moderna dall’antica.

Sorprende dunque che il Garin, pur essendo senza dubbio a conoscenza della grande svolta che, come vedremo, ha segnato profondissimamente il profilo scientifico e la vicenda personale del Mondolfo, l’abbia passata del tutto sotto silenzio malgrado la sua evidente rilevanza e la sua stessa attitudine a fare notizia.[5] Analogamente sorprende che ne taccia anche lo Sciacca nelle pur numerose pagine da lui dedicate ai filosofi italiani della prima metà del XX secolo. Era appunto pensando a questi silenzi che ho accennato alla necessità di tracciare una storia solo congetturale della grande svolta.

A queste prime considerazioni è peraltro appropriato aggiungere che la singolare operosità del Mondolfo fino a un’età veneranda ha contribuito non poco a fare di lui una sorta di Giano bifronte, con una nitida caratterizzazione “modernistica” per il periodo 1900-1930, e un non meno nitida caratterizzazione “antichistica” per il successivo mezzo secolo anche se, nel secondo periodo, egli non mancò di ritornare di tanto in tanto sui temi che avevano polarizzato la sua attenzione nella fase “modernistica” della sua carriera. Quale poté essere dunque il senso, e quali le ragioni, di una così spettacolare virata, che oltretutto è unica nel suo genere? Tale è, in ultima analisi, il quesito attorno al quale ruoteranno queste note.

 

 

  1. Cambiar mestiere a cinquant’anni

Sempre in relazione all’uscita del Pensiero Antico ricorderò che, oltre al Pensiero Moderno di Limentani, era prevista l’uscita di un analogo Pensiero medievale (inizialmente affidato alle cure di E. Paolo Lamanna, poi annunciato come opera di Bruno Nardi) che non vide mai la luce. Di maggior interesse è però un’altra notizia: contemporaneamente all’uscita del Pensiero Antico il Mondolfo pubblicò, sempre nel 1928, anche una Sintesi storica del pensiero antico, breve testo di appena 80 pagine che venne in seguito incorporato nel Pensiero Antico come suo naturale complemento. Con l’uscita di queste due opere, pensate per formare un tutt’uno, il Mondolfo si trovò dunque a proporsi come specialista in un ambito che, all’epoca, sarebbe stato lecito giudicare non suo. Se infatti andiamo a sfogliare un libretto raro in Italia, il vol. 11 della collana “Grandes italo-argentinos” della Dante Alighieri di Buenos Aires (che si intitola Rodolfo Mondolfo, maestro insigne de filosofía y humanidad, ed è apparso nel 1992),[6] e consultiamo la “Bibliografía completa de los escritos de R. M.” (ben 465 titoli pubblicati tra il 1899 e il 1975), notiamo che il primo scritto di carattere antichistico – un articolo del 1925 sulla “negazione della realtà dello spazio in Zenone di Elea” – costituisce il titolo n° 137 della serie ed arriva a ben ventisei anni di distanza dal primo scritto mondolfiano, “L’eredità in T. Tasso”. Sempre nel 1925 uscì un articoletto sul tema “Veritas filia temporis in Aristotele”, mentre un secondo articolo su Zenone apparve nello stesso anno del Pensiero Antico, e nel repertorio bibliografico argentino figura come pubblicazione n° 152. La sproporzione (tre articoli sperduti in una messe di centocinquanta altri lavori a stampa) può solo far pensare a un interesse marginale ed episodico per questi autori di un’altra epoca. Del resto gli stessi due volumi coordinati del 1928 uscirono contemporaneamente a Der Faschismus in Italien (contributo al volume Internationaler Faschismus, Karlsruhe 1928, che l’autore firmò con uno pseudonimo), ad un altro articolo sugli inizi del movimento operaio in Italia fino al 1872 e sul conflitto Mazzini-Bakunin, apparso anch’esso in Germania, ed a svariati altri articoli su Fiche, Ardigò, Romagnosi, Nietzsche e la filosofia del Rinascimento. La disomogeneità non potrebbe essere più evidente e tale, ripeto, da rendere insospettato l’affiorare di una competenza tanto lontana da quelle di cui l’autore aveva dato prova nei precedenti venticinque anni ma, con ogni evidenza, effettiva.

Un pregevole e informato profilo, dovuto a Giacomo Marramao,[7] ci dice qualcosa di più. Il Marramao ricorda che, dopo la Marcia su Roma, Mondolfo continuò a dirigere la «Biblioteca di studi sociali» presso l’editore Cappelli, accogliendo in essa opere di Turati, Salvemini e Gobetti, nonché la III edizione del suo Sulle orme di Marx (1919, 1920, 1923).

 

 

Ma nel 1926 queste pubblicazioni non potevano più circolare. La stessa Critica sociale era soppressa. Il libro di Gobetti veniva, per esplicito ordine delle autorità fasciste, fatto ritirare dalla circolazione e passato al macero. […] Dopo la cessazione forzata della «Biblioteca», M. continuò a curare, sempre presso Cappelli, una «Collana di testi filosofici e pedagogici» nella quale apparvero le Opere di Rousseau e nel 1925, ad un anno dall’assassinio di G. Matteotti, il famoso libro di C. Beccaria, Dei delitti e delle pene. Benché si volgesse ormai sempre più allo studio della filosofia antica (nel cui campo produrrà contributi di eccezionale valore e rilievo storiografico) M. continuò a servirsi di sedi accademiche per stampare lavori di contenuto storico-politico, come la rassegna sul libro di N. Rosselli, Mazzini e Bakunin (in Nuova Rivista Storica, 1930), il saggio Germi in Bruno, Bacone e Spinoza del concetto marxistico della storia, l’ampia nota sull’edizione critica delle opere complete di Marx e Engels curata da Rjazanov e Adoratskij, e la recensione alla biografia di Engels scritta da G. Mayer (pubblicati su Civiltà moderna, rispettivamente nel 1930, 1931 e nel 1934). Ma il lavoro con cui M. poté esercitare, in pieno regime fascista, una vasta influenza sulla formazione culturale e politica dei giovani che più tardi passarono alla milizia antifascista, fu costituito dalla collaborazione all’Enciclopedia Italiana, per la quale scrisse (su diretta commissione di G. Gentile) le voci «Giordano Bruno», «Comunismo», «Filone di Alessandria», «C. A. Helvétius» (1930); «Antonio Labriola», «Internazionale e internazionalismo» (1932); «Materialismo storico» (1933); «Movimento operaio» (1934); «Sindacalismo», «Socialismo», «Scienza» (1935); «Unità», «Universo» (1937).[8]

 

Come si vede, la grande svolta ha il potere di compensare l’emergere di impedimenti di sostanza allo sviluppo della sua attività di filosofo militante: il nuovo filone di scritti da un lato trova un sicuro approdo editoriale e dall’altro concorre ad aprire all’autore le ambite porte dell’Enciclopedia Italiana, dove il Mondolfo ha modo di pubblicare sia alcune voci attinenti alla filosofia antica, sia svariate voci attinenti alla filosofia moderna, incluse alcune che, in teoria, sarebbero potute risultare ideologicamente pericolose.

Tutto ciò potrebbe far pensare a una forma di prudenza del Mondolfo che, di fronte all’avvenuta affermazione di un regime politico sfavorevole e piuttosto intollerante, semplicemente ha la buona idea di riciclarsi in un altro ambito, e precisamente in uno che, dal punto di vista ideologico, sarebbe passato facilmente per neutrale.

Ma un altro aspetto della storia richiede di essere chiamato in causa: l’alta, altissima professionalità di questa storia fatta al 90% con testi greci e latini appositamente tradotti e “cuciti” insieme. Ce ne rendiamo conto se diamo uno sguardo a ciò che di specifico era disponibile all’epoca. In italiano due volumi importanti erano stati pubblicati appena dodici-tredici anni prima. Si tratta del primo volume di una Storia generale del pensiero scientifico di Aldo Mieli (Le scuole ionica pythagorica ed eleata, apparso nel 1916) e del primo volume della Storia della Filosofia di Guido De Ruggiero (Bari 1917). Nel frattempo altre grandi storie della filosofia antica erano state pubblicate in Germania (quelle di Zeller, Überweg, Gomperz, Jöel), mentre il solo tentativo di ripercorrere quella medesima storia con i testi antichi risaliva, nientemeno, al 1838[9] ed era in latino (Historia philosophiae greco-romanae e fontium loci contexta di H. Ritter e L. Preller).

Rispetto a queste opere, tutte percepite come prestigiose, quella di Mondolfo si è caratterizzata in primo luogo come un contributo non meno professionale, tale dunque da evidenziare una mano non meno sicura, come se l’autore avesse potuto vantare una analoga consuetudine di lungo corso con gli autori antichi e, in misura non minore, con le premesse filologiche osservate nel trattamento delle fonti. Infatti l’opera presenta, debitamente selezionate, raccordate e appositamente tradotte dal greco o dal latino (quanto alla traduzione, Mondolfo ha cura di precisare che «solo in rarissime eccezioni, scrupolosamente indicate» si è avvalso di traduzioni altrui), alcune migliaia di unità testuali incastonate in una struttura di raccordo decisamente scarna che lascia ai testi d’autore un buon 90% dello spazio complessivo, ma che evidenzia una non comune funzionalità: veramente titoletti ed altri testi ottengono di inquadrare e dare un senso abbastanza preciso a ciò che questa struttura di volta in volta incastona.

Risalta insomma, e con ogni evidenza, che sin dall’inizio questo “modernista” si ritrova ad operare anche da consumato antichista e da grande storico della filosofia antica. Devo aggiungere che ciò è oltremodo raro? Devo ricordare le riserve degli antichisti nei confronti di famosi affondi filologici di Heidegger e, in anni a noi più vicini, dello stesso Giorgio Colli? Dovette essere proprio l’immediata, intuitiva e ben poco controversa impressione di sicura professionalità dell’opera ad accreditare da subito l’autore come specialista dotato di indubbia competenza. Va detto infatti che il maestro senigalliese si è accreditato con quest’opera, non con altro!

L’opera permette dunque al lettore colto di accedere a una impressionante quantità di testi spesso noti solo di seconda mano perché non tradotti o così tecnici da risultare accessibili solo a un manipolo di iper-specialisti. Ricordo, con l’occasione, che nelle grandi storie della filosofia antica allora in circolazione, da quelle relativamente brevi di Robin e De Ruggiero a quelle di grandi proporzioni redatte da Zeller, Gomperz e altri, i testi antichi erano praticamente assenti: al loro posto c’erano, di norma, unicamente le note contenenti le indicazioni (ma si potrebbe quasi dire: le istruzioni) per rintracciare i singoli testi pertinenti e andarseli a leggere – peraltro in un contesto in cui molti testi non erano disponibili anche in traduzione e non pochi erano addirittura rari e difficili da reperire. Da qui la specialissima utilità che rendeva l’opera una risorsa indispensabile per chiunque avesse a che fare con Platone, Aristotele, gli Stoici o i Presocratici.

Ma non è tutto. Sarebbe riduttivo trattare la “storia attraverso i testi” posta in essere con questo libro semplicemente come opera di uno studioso competente. Il volume, infatti, offre al lettore informato ben altro che la traduzione italiana del materiale a suo tempo confluito nel Ritter-Preller. Oltre a generali e ricorrenti asimmetrie, infatti, la nuova opera presenta intere sezioni creativamente innovative (per esempio quella sulle scuole socratiche minori). La mano dello studioso che indaga e si guarda bene dal limitarsi a riciclare informazioni già disponibili si vede peraltro molto bene anche a giudicare dalla articolata e competente bibliografia che figura a fine volume. Né questo è tutto, perché si deve ancora ricordare che l’insieme è inequivocabilmente pensato per fornire un orientamento, per cui titoletti, sottotitoli e brevi testi di inquadramento e commento permettono ogni volta di dare un senso non approssimativo al singolo testo o gruppo di testi. In questo modo viene pur sempre “raccontata” (anzi, più propriamente “mostrata”) la filosofia dei greci tappa per tappa, analiticamente. Ripeto poi che un patrimonio di testi d’autore e di evidenze testuali dirette così ricco, così coerente e così “leggibile” non si era mai visto, e non solo in Italia.

La pubblicazione di quelle seicento pagine testimonia pertanto di una mobilitazione enorme di energie intellettuali in direzione antichistica. Con Il pensiero antico Mondolfo ha fatto centro ed ha sorpreso o strabiliato tanto chi lo conosceva già (ma quale apprezzato “modernista”) quanto chi non aveva idea delle sue non comuni competenze di settore. Dobbiamo evidentemente immaginare anche un notevole successo editoriale, superiore a quanto le recensioni d’epoca lasciano sospettare.

Che dunque la comunità scientifica abbia potuto scoprire l’esistenza di un Mondolfo autorevole storico della filosofia antica solo a distanza di trent’anni dalla pubblicazione del suo primo articolo è soltanto un effetto dovuto all’assenza di adeguati prodromi. A sua volta, che la strozzatura rappresentata da un regime fascista solidamente installato al potere possa aver avuto un ruolo nell’indurre l’autore a valorizzare questa sua competenza collaterale più ancora di quella primaria è cosa possibile e comprensibile. La cosa strana è dunque un’altra: che l’autore abbia potuto tenere rigorosamente per sé, e tanto a lungo, una specializzazione che doveva aver cominciato a coltivare ben per tempo, che doveva pur amare, e che per un “modernista” poteva ben valere come un cospicuo fattore di eccellenza a titolo di competenza complementare. Oltretutto, a giustificazione di questo improvviso exploit, non si può invocare nemmeno una ipotetica volontà di emulare le gesta di Guido Calogero, perché nel 1927, quando questi pubblicò I fondamenti della logica aristotelica e, comprensibilmente, era ancora sconosciuto ai più avendo appena ventitré anni, Mondolfo aveva già messo mano al Pensiero antico.

 

 

  1. Il consolidamento della specializzazione antichistica

Dopo questo libro, Mondolfo ha immediatamente deciso di allungare ancora di più il passo. Se con Il pensiero antico egli aveva perlustrato alla grande le fonti antiche, con la nuova impresa editoriale cui mise mano subito dopo egli si propose di “regolare i conti” con l’intera letteratura specialistica. Egli intraprese infatti la traduzione italiana delle oltre 5300 fitte pagine di quella Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung di Eduard Zeller la cui pubblicazione era iniziata a Tubinga nel 1845, per poi protrarsi, in una lunga serie di nuove edizioni, fino alla settima del 1921-23, opera cui veniva unanimemente riconosciuto lo status di summa eminente della disciplina, con il non meno ambizioso proposito di metter mano a una edizione che lui stesso avrebbe minuziosamente aggiornato. Ed ecco che la Philosophie der Griechen di Zeller diventa, sin dal primo volume, lo “Zeller-Mondolfo”, opera che manifestamente attribuisce al curatore italiano lo status di co-autore, e dunque di nuovo e non meno autorevole maestro, meritevole di associare il proprio nome a quello di un insuperato connoisseur d’altri tempi.

Quale la strategia di La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico di Zeller e Mondolfo, pubblicata dalla Nuova Italia di Firenze a partire dal 1932? La risposta è una sola: una buona traduzione, opportunamente riorganizzata in modo da permettere un ragionevole “primato dei bianchi sui neri” (specchio di scrittura un po’ più piccolo, corpo dei caratteri e interlinea maggiorati, quindi fabbisogno di un maggior numero di pagine e scomposizione dell’opera in un numero molto maggiore di più maneggevoli volumi, tali da diventare, di fatto, altrettante monografie), e una serie di generosi aggiornamenti collocati a piè di pagina sotto forma di lunghe note poste tra parentesi quadre e, solitamente, corredate di titolo e sottotitoli.

Nel redigere queste note il Mondolfo si attribuì il compito di passare in rassegna molti decenni di letteratura specialistica, non soltanto allo scopo di documentare la varietà delle opinioni emesse, ma anche col proposito di consentire uno sguardo sinottico sulle interpretazioni, sulle ragioni di ognuna e sul diverso grado di attendibilità di ognuna. Alla prudenza esegetica era peraltro affidato il compito di non far troppo pesare le personali propensioni interpretative del Mondolfo. Se dunque lo Zeller si era speso per tener conto della letteratura critica, ma soprattutto per esplorare analiticamente la pressoché infinita serie delle fonti antiche, il Mondolfo individuava il suo compito peculiare (e complementare) nel proporre una esplorazione assolutamente sistematica della più accreditata letteratura specialistica, non senza spaziare tra molte aree linguistiche. Il risultato doveva essere (e cominciò ad essere) un’opera praticamente insostituibile perché tale da offrire quanto nessun’altra opera comparabile aveva mai offerto, e tale in effetti fu, solo che i tempi cominciarono ben presto ad allungarsi in maniera più che preoccupante. Se infatti il primo volume uscì nel 1932, ma ebbe ad oggetto solo il capitolo introduttivo del primo volume, Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, ossia una serie di pur sempre importanti généralités, per l’uscita del secondo volume, riservato ai soli Ionici e Pitagorici, si dovette attendere il 1938, il che, data la notoria prolificità dell’autore, poté ben considerarsi un tempo immenso.

Ricordo che il 1938 è stato anche l’anno in cui Mondolfo, di fronte ai condizionamenti indotti dal fascismo e da un antisemitismo che andava acquistando crescente rilevanza sociale, decise di lasciare l’Italia e di provare a crearsi un nuovo avvenire in Argentina. Rimane che la realizzazione a tappe dello “Zeller-Mondolfo” ha accompagnato la vita del maestro senigalliese per quasi mezzo secolo, magari sempre meno in veste di autore e sempre più in veste di coordinatore dell’impresa editoriale, con la costante ricerca di sempre nuovi collaboratori in grado di portare avanti l’impegnativo progetto senza snaturarlo, ricerca che, dati i tempi, si configurò come vasto flusso di lettere dall’Argentina.

Dopo i primi due, il Mondolfo pervenne a redigere personalmente il IV volume della prima parte, dedicato a Eraclito e pubblicato nel 1961. Il volume uscì contemporaneamente al primo dei volumi affidati ad altri collaboratori: il VI della Parte III dell’opera, dedicato a Giamblico e la scuola di Atene e curato da Giuseppe Martano. Fu poi la volta, nel 1966, del vol. VI della parte II, Aristotele e i Peripatetici più antichi, a cura di Armando Plebe; nel 1967, del vol. III della parte I sugli Eleati, a cura di Giovanni Reale (con aggiornamenti di prim’ordine) e, nel 1969, del vol. V della parte I su Empedocle, Atomisti, Anassagora, a cura di Antonio Capizzi (con una offerta di aggiornamenti decisamente più esigua). Negli anni Settanta si è registrata infine la pubblicazione del vol. III (1-2) della parte II, Platone e l’Accademia antica, a cura di Margherita Isnardi Parente (1974) e del vol. IV della parte III, I precursori del Neoplatonismo, a cura di Raffaello Del Re (1979). Si sa che nel frattempo l’invito aveva raggiunto anche altri studiosi come Gabriele Giannantoni ed Enrico Berti, i quali però non pervennero alla pubblicazione della sezione loro assegnata (o, forse, declinarono l’invito). In totale, la benemerita editrice toscana pubblicò otto sostanziosi e ben curati volumi, che complessivamente coprono quasi la metà dell’intero programma editoriale, e che hanno certamente contribuito non poco a consolidare la fama del Mondolfo come specialista di prim’ordine. Ricordiamo inoltre che nel caso di più d’uno di questi volumi il Mondolfo curò personalmente la traduzione dal tedesco e che nel 1972 lo studioso, ormai vegliardo, pervenne a pubblicare, con la collaborazione di Leonardo Tarán (suo antico allievo, divenuto poi autorevole professore alla Columbia University di New York), anche un cospicuo Eraclito, Testimonianze e imitazioni (volume uscito, al pari di molti altri, presso La Nuova Italia).

Dopo aver doverosamente reso conto della vasta “filiazione” che accompagnò per più di quattro decenni la seconda grande iniziativa scientifica ed editoriale di stampo antichistico intrapresa dal nostro autore subito dopo l’uscita del Pensiero antico, ritorniamo ora agli anni Trenta, e più precisamente agli anni stessi anni in cui iniziarono le pubblicazioni dello “Zeller-Mondolfo”.

Tra il 1931 e il 1933 il nostro autore pubblicò anche nove articoli dedicati ad aspetti diversi del modo greco di rappresentarsi l’infinito, articoli che evidentemente preludevano a un’opera d’insieme. L’intero di cui quei nove articoli erano mere anticipazioni vide in effetti la luce, sempre presso La Nuova Italia, subito dopo: nel 1934. L’infinito nel pensiero dei Greci, altra opera di grande impegno e di sicura professionalità, risultò dedicato al tentativo di smantellare (letteralmente smantellare) la diffusa convinzione secondo cui i Greci (in particolare i filosofi greci) avrebbero espresso una generale attitudine a rappresentarsi l’infinitezza e l’indeterminazione con connotazioni rigorosamente negative.

Perviene, con ciò, a delinearsi una sorta di imponente trilogia, costituita appunto dal Pensiero antico combinato con la Sintesi storica (1928), dal primo tomo dello “Zeller-Mondolfo” (1932-) e dall’Infinito (1934). Converrà ribadire che è la penuria e scarsa consistenza delle pubblicazioni antichistiche anteriori al 1928, a fronte peraltro di un più che cospicuo flusso di studi sulla filosofia moderna e contemporanea che durava già da più di un quarto di secolo, a far risaltare la portata e l’unicità di questo evento complessivo.

Gli anni immediatamente successivi (fino al 1938, anno di pubblicazione del secondo tomo dello “Zeller-Mondolfo”: oltre 700 pp.) sono occupati non soltanto da una lunga serie di articoli che vertono sugli autori sui quali riferire nel volume in preparazione e da altri che si rifanno alle tematiche dell’infinito, ma anche dall’uscita di altri due volumi: i Problemi del pensiero antico (1936) e un Feuerbach y Marx apparso a Buenos Aires nello stesso 1936 (e fondato su Sulle orme di Marx, Bologna 1919, 19202, 19233). Il senso di questi titoli è chiaro: consolidare ulteriormente la propria caratterizzazione come studioso di filosofia antica senza per questo sconfessare l’attività “modernistica” e anzi ricercare una sponda all’estero: per l’appunto in Argentina.

 

 

 

  1. La migrazione in Argentina e i mitici anni Quaranta-Cinquanta

Appare desiderabile, a questo punto, prendere in considerazione un arco di tempo di circa dieci anni, dal periodo immediatamente successivo alla migrazione fin verso il 1950, epoca in cui il Mondolfo si avvicinava già ai 75 anni, perché si tratta di un periodo di incredibile fertilità dello studioso inizialmente impegnato a ritagliarsi uno spazio congruo nella patria di elezione, che oltretutto era rimasta fortunosamente estranea al secondo conflitto mondiale, mentre manteneva desti in vario modo i legami con la madrepatria (che, a sua volta, visse il travaglio di una radicale mutazione della propria identità politico-istituzionale e civile) e con la comunità scientifica internazionale. Furono, questi, gli anni in cui il nostro autore poté dare alle stampe, nella sola Argentina, ben quindici libri, con leggera prevalenza delle opere dedicate a temi di filosofia moderna e contemporanea su quelle dedicate a temi di filosofia antica. Va detto inoltre che, a partire dal 1946, ricominciò il flusso delle ristampe e nuove edizioni di suoi libri in italiano, inclusa la IV edizione di Sulle orme di Marx e qualche testo scolastico (Descartes, Rousseau) con traduzione, introduzione e note.

Il senso di questa impressionante operosità non lascia adito a dubbi: ora che l’autore si è abbondantemente accreditato anche come antichista, data anche la maggiore apertura del mondo argentino a temi diversi di storia della filosofia, egli non poteva non desiderare di riproporre almeno alcuni dei suoi libri, sia del primo che del secondo tipo. Questo atteggiamento trova riscontro anche nel flusso parallelo di articoli, che non vertono solo sulla filosofia antica. Del resto anche nel corso degli anni Cinquanta, malgrado l’incombere dell’età, assistiamo all’uscita di una ulteriore ventina di volumi, tra ristampe, edizioni ampliate e traduzioni in italiano o in spagnolo. Di nuovo, il mero dato quantitativo è tale da imporsi alla nostra attenzione: tra il 1940 e il 1960 Mondolfo pubblicò qualcosa come 40-45 libri[10] e un buon centinaio di altri lavori.

Ovviamente, nell’economia di queste note non sarebbe pertinente fornire un elenco, se non per quanto riguarda il versante antichistico. Ricorderò dunque il Sócrates del 1941 (ripubblicato con ulteriori apporti nel 1955), il Moralistas griegos del 1941 (in italiano nel 1960); la nuova edizione del Pensiero antico in spagnolo (1945), poi in italiano (1950; 1961; 1967), quindi in portoghese (1964); Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia (Milano 1952); la traduzione spagnola dell’Infinito nel pensiero dell’antichità classica (non più dei soli greci: 1952; in italiano nel 1956) e soprattutto l’imponente Comprensión del suyeto humano en la cultura antigua (1955; poi Firenze 1956). Ricordiamo che nel 1955 il Mondolfo era già prossimo agli ottanta anni e che una delle sue opere più importanti e di più durevole memoria perché opera competente e professionale – il già ricordato Eraclito, Testimonianze e imitazioni – pervenne ad essere pubblicata solo ancora più tardi, nel 1972, quando l’autore si apprestava a festeggiare i suoi 95 anni.[11]

Osserviamo inoltre, a conclusione della retrospettiva, che l’immenso flusso di opere risalenti alla fase argentina della vita di Mondolfo appare connotata non soltanto dall’ormai acquisito primato degli studi di filosofia greca sugli altri temi, ma anche da un vasto recupero dei lavori pubblicati prima di mettersi alla prova anche come antichista, dunque lavori sulla filosofia moderna e contemporanea che allargano il quadro, documentano la vastità e ricchezza degli orizzonti, lasciano intravedere una concezione organica della tradizione filosofica occidentale in cui tanto gli uni quanto gli altri studi possono ben trovare la loro legittimazione.

Appare nondimeno significativo che i due ambiti non danno luogo a nessuna tentazione di raccordare ciò che inizialmente era – o poté sembrare – irrelato e giustapposto. La giustapposizione è rimasta, ed è significativo che qualche connessione ha preso forma, semmai, in Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia, vale a dire in un testo anch’esso professionale che si propone di fornire criteri ed esempi di come si procede a fare storia della filosofia in genere, e che permette all’autore di aprire di tanto in tanto una finestra sui procedimenti che entrano in gioco quando il filosofo non è così antico come quelli da lui tanto a lungo prediletti. Il che equivale a ribadire il sacrosanto rispetto dell’autore per la specificità degli studi nei singoli settori, con connessa disponibilità ad accettare di presentarsi come una sorta di Giano bifronte.

 

 

 

  1. Mondolfo apripista per gli italiani e gli argentini

Che altro aggiungere? Con quanto si è riferito fin qui, non ha già preso forma un encomio eloquente e certamente più che meritato, ma proprio per questo anche un po’ scontato e prevedibile?

Mi permetto di affermare che le cose non stanno in questo modo. Il dato quantitativo, pur così imponente, richiede che siano evocati e immessi in circolo anche altri dati, perché altrimenti non si perverrebbe nemmeno a sospettare l’ulteriore valore aggiunto di cui si è fatta portatrice questa produzione così esemplarmente disciplinata sotto il profilo del rispetto per la specificità di singoli ambiti di ricerca. Il valore aggiunto di cui ora vorrò brevemente far cenno attiene alla fama in un senso, di nuovo, raro, rarissimo. Sappiamo che la comunità accademica di tanto in tanto esprime maestri che riempiono gli scaffali dei loro libri e si circondano di allievi, dando luogo a una diffusione vasta o vastissima dei loro scritti e a sempre nuove Festschriften, ma anche a fenomeni di saturazione, per cui accade talvolta che il decesso del grande maestro si traduca in un improvviso, irreversibile abbassamento della curva di attenzione diffusa per le sue opere. Orbene, Mondolfo non poté vantare un nugolo di allievi, né una vasta discendenza accademica. Al contrario, la sua collocazione nel sistema universitario argentino fu e rimase decisamente marginale, né ebbe luogo un flusso importante di riconoscimenti dell’ultima ora, anche se sono disponibili evidenze certe relative ad una non grande serie di iniziative congrue che furono assunte in Argentina come presso l’Università di Bologna e nella nativa Senigallia. Il rispetto e la considerazione furono semmai di sostanza.

Ed è in questa cornice che viene fuori una cosa importante sempre nel campo della filosofia antica. Comincerò col ricordare che, se Rossica non leguntur, anche Italica necnon Hispanica modice leguntur. Che la comunità scientifica internazionale fosse tradizionalmente ferma a tre sole lingue internazionali – il tedesco, l’inglese e il francese – è cosa arcinota. Ora il Mondolfo ha pubblicato appena qualche articolo in tedesco e in inglese, mentre solo pochi suoi libri in spagnolo vennero pubblicati in altri paesi terzi, come il Messico e il Venezuela, e solo poche cose vennero tradotte in portoghese per iniziativa di case editrici brasiliane. Ciò avrebbe potuto far pensare a un ostacolo linguistico di rilievo ai fini della circolazione della sua opera. In realtà è accaduto esattamente il contrario. Mondolfo ha contribuito come pochi ad imporre l’uso dell’italiano e dello spagnolo nel campo della filosofia antica. Agli occhi della comunità scientifica internazionale – e, se non altro per limiti nelle mie conoscenze, in questo caso confesserò volentieri di fare riferimento alla sola area antichistica – fu semplicemente necessario accedere alle sue opere più marcatamente specialistiche indipendentemente dalla lingua in cui venivano scritte.[12]

Il risultato è stato un processo di sempre meno episodica attenzione degli specialisti di filosofia antica tanto alla produzione in lingua italiana quanto alla produzione in lingua spagnola che, naturalmente, si è nutrito anche dell’operosità scientifica di interi gruppi di altri studiosi formatisi in maniera sostanzialmente indipendente dal Mondolfo. Sembra appropriato fare dei nomi, sia pure con il rischio di incorrere in peccati di omissione sempre spiacevoli.

Per quanto riguarda l’Argentina, è unanimemente riconosciuta la funzione di volano svolta da Mondolfo, in primo luogo quale fattore eminente di stimolo che invogliò giovani leve a impegnarsi a fondo in questi studi. Sapere che un argentino (un argentino acquisito, uno dei tantissimi argentini di origine italiana) era un maestro ed era trattato come tale dalla comunità scientifica internazionale, ha contribuito non poco nell’indurre più d’uno a proporsi di tener alta la bandiera. Come non molti sanno, un ruolo particolarmente importante in questo campo è stato giocato da Conrado Eggers Lan (1927-1996), che è stato professore della disciplina nell’Università di Buenos Aires, ha fortemente contribuito a tessere legami con la comunità scientifica internazionale, ha formato allievi, ha diretto e in parte realizzato i tre tomi di Los filosófos presocráticos con l’editrice madrilena Gredos, ha fondato Méthexis. Revista argentina de filosofía antigua (un periodico che non a caso ha ora una redazione in Cile e si pubblica in Germania, accogliendo contributi di frequente provenienza europea, oltre che latinoamericana), ed è stato tra gli animatori della International Plato Society fondata, se posso ricordarlo, a Perugia nel 1989, ma con un precedente importante costituito dal Symposium Platonicum 1986, che proprio Eggers organizzò in Messico (dove pure seppe dar vita a un gruppo di giovani specialisti). Ora Eggers – l’altro nome trainante espresso dall’Argentina nel corso del secolo ventesimo, grande studioso del pitagorismo e di Platone – non fu allievo di Mondolfo, anche se poté conoscerlo, ma fu assiduo lettore delle sue opere e fu tra i primi a rendersi conto del clima di attenzione per la filosofia antica e per gli studi di settore made in Argentina che si era venuto instaurando, clima che, senza la migrazione mondolfiana in quella terra, sarebbe stato semplicemente inimmaginabile.

Orbene, è almeno possibile che un comparabile effetto di rimbalzo sia avvenuto anche in Italia! Si deve considerare, in effetti, che ai tempi di Mondolfo gli studi di filosofia antica in Italia vennero coltivati da un ristretto manipolo di specialisti senza che, tolte poche eccezioni, i loro scritti avessero una diffusione comparabile in altri paesi. Naturalmente dobbiamo considerare l’angustia dei tempi (la guerra, i suoi prodromi e i suoi postumi), e sarebbe azzardato dare del fenomeno una lettura a senso unico. Sta di fatto però che gli anni Sessanta-Settanta fecero registrare una vistosa impennata degli studi in questo campo e una corrispondente impennata dell’attenzione della comunità scientifica internazionale per ciò che si veniva producendo nel nostro paese, con conseguente diffusione dell’idea che lo studioso di filosofia antica non potesse permettersi di ignorare la nostra lingua.

Da qui la domanda: siamo proprio sicuri che ciò non sia anche merito della celebrità raggiunta dal Mondolfo con le sue opere antichistiche? Che egli possa aver svolto funzioni reali come apripista è, come minimo, una eventualità che non si può escludere. Ma direi qualcosa di più, anche se mi rendo conto di avventurarmi, con ciò, in un terreno insidioso nel quale non può esserci posto per le certezze: direi che non c’è paragone tra la diffusa percezione di non poter non tener conto dell’opera del maestro di Senigallia e l’accesso molto più episodico ad una varietà di altri contributi specialistici dovuti ad autori italiani indipendentemente dal valore, talora cospicuo, di singoli contributi. In questo senso è appropriato riconoscere un ruolo nel promuovere gli studi italiani di filosofia antica anche alle note di aggiornamento dello “Zeller-Mondolfo”!

Va detto infine che questa funzione di apripista è legata molto più agli studi di filosofia antica che alla vasta messe di altri studi sulla tradizione filosofica occidentale che pure si devono al medesimo autore. Infatti la sua irruzione nel campo della filosofia antica fu di gran lunga più incisiva e si fece notare molto, molto di più. Emergono, in tal modo, più che solide ragioni per raccomandare che del personaggio si ricordi non solo la sua operosità come “modernista”, la sua inequivoca collocazione tra i marxisti non leninisti, il ruolo da lui svolto come opinionista autorevole o i significativi rapporti intercorsi con Turati, Gramsci e altri leader della sinistra italiana nei primi decenni del secolo, ma anche la grande rilevanza della sua opera come studioso della filosofia antica.[13]

Livio Rossetti


[1] Rodolfo Mondolfo, nato a Senigallia nell’agosto 1877, morì a Buenos Aires nel luglio 1976.
[2] Su questi temi il Mondolfo ha pubblicato, tra il 1895 e il 1929, una decina di volumi e quasi trenta articoli.
[3] Buona parte degli articoli di impegno politico sono apparsi sulla rivista Critica sociale.
[4] Si tratta di un volume di quasi 850 pp.
[5] Aggiungiamo che tra le opere del maestro senigalliese figurano due testi scolastici – Descartes, Discorso sul metodo e Descartes, Principi di filosofia – pubblicati da Sansoni nel 1946 e dovuti, per l’appunto, alla collaborazione tra Mondolfo e Garin.
[6] Il volumetto (96 pp.) include cinque discorsi di omaggio e commemorazione risalenti ad epoche diverse, e si conclude (pp. 71-94) con una pregevole bibliografia delle opere di Mondolfo. Ricordo che in questi cinque discorsi si parla del Mondolfo pensatore che vive intensamente il suo tempo, senza quasi una parola sul Mondolfo grande specialista di filosofia antica.
[7] Si tratta della voce «Mondolfo» di Il movimento operaio italiano: Dizionario biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci e T. Detti (Roma 1975-1979), vol. III, pp. 523-535.
[8] Il passo figura alle pp. 531-2 della voce «Mondolfo» ricordata nella nota precedente.
[9] Va detto, peraltro, che l’opera giunse alla nona edizione nel 1913, «via via arricchendosi nella serie delle edizioni, curate da vari studiosi» (così lo stesso Mondolfo nella Prefazione a Il pensiero antico).
[10] Sorge infatti un dubbio sulla possibilità di porre sullo stesso piano alcune grandi opere e un certo numero di volumetti.
[11] Non sarà male far presente che questo titolo non trova posto nella pur eccellente bibliografia mondolfiana del 1992 (di cui alla precedente nota 6), che pure si spinge, con gli ultimi titoli, fino al 1975.
[12] Posso forse ricordare, per analogia, che anche Chaïm Perelman scrisse sempre e soltanto in francese, e Martin Heidegger in tedesco.
[13] Riconosco, non senza un certo rammarico, di non aver indugiato a sufficienza, in queste note, sul modo in cui Mondolfo ha coltivato gli studi di “antica” e sulle idee di cui si è fatto promotore, ma non si può parlare di tutto, e in questo caso mi premeva fare appunto una sottolineatura storiografica su chi egli sia veramente stato. Sul suo modo di fare storia della filosofia antica si potrà magari ritornare in un’altra occasione.


Saggio già pubblicato in:
Piergiorgio Grassi, Antonio Pieretti, Livio Rossetti, Giancarlo Galeazzi, Vittorio Mencucci, Rodolfo Mondolfo 1877-1976, Introduzione cura di Galliano Crinella, Fabriano, AN, Centro Studi Don Giuseppe Riganelli, 2006.



Il 2 ottobre 2018, nell’Aula IV del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza (Via Carlo Fea, 2 Roma), nell’ambito dell’incontro organizzato per il Dottorato in Filosofia, La novità nella continuità. L’idea di progresso nella concezione della storia di Rodolfo Mondolfo [Sessione I: La ricerca del socialismo e l’interpretazione del marxismo; Sessione II: La “continuità” nella storia. Mondolfo storico della filosofia) – Relatori: Marcello Mustè, Elisabetta Amalfitano, Luca Basile, Francesco Fronterotta, Giovanni Casertano, Livio Rossetti, Coordinatore per il Dottorato di Filosofia Prof. Piergiorgio Donatelli –, Livio Rossetti, dell’Università di Perugia, ha svolto il tema: La novità nella continuità. L’idea di progresso nella concezione della storia di Rodolfo Mondolfo.


Livio Rossetti (1938) è stato professore di filosofia greca all’Università di Perugia per decenni. Nel 1989 ha fondato la Intern. Plato Society a Perugia, nel 2006 ha dato il via agli incontri di Eleatica che si tengono tuttora a un passo dagli scavi di Elea (in pieno Cilento) e nel 2018 ha fondato la Intern. Society for Socratic Studies a Buenos Aires.
Tra i suoi studi su Parmenide e Zenone ricordiamo: Un altro Parmenide (2 voll., Bologna 2017) e Una tartaruga irraggiungibile (fumetto, Bologna 2013): nel 2019 questo volumetto è stato pubblicato in spagnolo, a Buenos Aires. Nel 2020 è in pubblicazione La filosofia virtuale di Parmenide Zenone e Melisso.


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Livio Rossetti …


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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