Koinè – «Per una scuola vera e buona». La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera. La scuola pietrificata di oggi disconosce la questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento. Bene è tutto ciò che si prende cura del fondamento, cioè dell’uomo.

Koinè 2018

Vero è ciò che è conforme al fondamento.
Bene è tutto ciò che del fondamento,
ossia dell’uomo,
si prende cura.

 

 

Per una scuola vera e buona

Per una scuola vera e buona

ISBN 978-88-7588-248-8, 2018, pp. 272,  Euro 25

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Locandina Koinè, Per una scuola vera e buona

Locandina Per una scuola vera e buona

 

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Testata KoinèLogo-Adobe-Acrobat-300x293  L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità  Logo-Adobe-Acrobat-300x293

Testata Koinè

 

La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera.

Il libro affronta la questione della scuola pietrificata di oggi che disconosce una questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento, bene è tutto ciò che del fondamento, cioè dell’uomo, si prende cura. Qualsiasi approccio a questo tema in chiave riduttivamente economicistica o aziendalistica non consente infatti minimamente di coglierne lo spessore reale.
Né è possibile, sulla base di una concezione dell’umanità dell’uomo come semplice prassi empirica e funzionalismo sociale, capire realmente cosa è in giuoco nella scuola. Il tema della scuola rimanda infatti al significato dell’educazione umana, del rapporto tra le generazioni, della temporalità, della cultura. L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità.

Contributi di:

Eros Barone, Alberto G. Biuso, Salvatore A. Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Arianna Fermani, Carmine Fiorillo, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo.

 

In copertina:
Marc Chagall, L’Acrobata (The Acrobat), 1914.
Per Marc Chagal l’acrobata è utopia che cerca – da una prospettiva inusuale –
un nuovo equilibrio, su un filo teso sull’orlo di un mondo alla rovescia.


 

Carmine Fiorillo – Luca Grecchi

Dalla Nota introduttiva

Luca GrecchiRingraziamo tutti gli studiosi
che a questo numero hanno partecipato,
apportando il proprio prezioso contributo di riflessione su un tema,
quello educativo,
sempre centrale e che,
anche quando non esplicitamente affrontato,Carmine Fiorillo
rimane sempre l‘implicito riferimento
di tutte le pubblicazioni
di Petite Plaisance.

 


Fernanda Mazzoli

La centralità delle conoscenze:
una bussola per uscire dalle secche dell’aziendalismo

 

Fernanda Mazzoli
L’educazione ai tempi del liberismo
La deconcettualizzazione dell’insegnamento
La storia negata
Il maestro negato
Una scuola forte è possibile?
Indicazioni bibliografiche sul tema


Franco Toscani

Sul senso e sul declino della nostra scuola

Scuola e panaziendalismo
L’alienazione scolasticaFranco Toscani
Don Lorenzo Milani
e l’esperienza della “scuola di Barbiana”:
una lotta per la cultura e il linguaggio,
per l’eguaglianza e la dignità delle persone
La testimonianza della ‘Scuola di Barbiana’ e la sua eredità odierna
La scuola e la “mutazione antropologica”
Maestri e allievi. Per una etica della responsabilità
Friedrich Nietzsche e gli interrogativi sull’avvenire delle nostre scuole
La Bildung e il destino della civiltà planetaria

 

 


Lucio Russo

Per una scuola in grado di trasmettere cultura

Per una scuola
in grado di trasmettere cultura,Lucio Russo
è essenziale interrogarsi
su quale cultura
si voglia trasmettere e perché


Claudio Lucchini

La merce a scuola ovvero la scuola della merce

La merce a scuolaClaudio Lucchini
ovvero la scuola della merce:
riflessioni

sulle tendenze
antropologico-sociali
sottese alla pratica scolastica attuale


Alberto Giovanni Biuso

Per la παιδεία

Scuola e politicaAlberto Biuso
Conoscenze e competenze
Socratismo e comportamentismo
Marketing e analfabetismo
Europa e παιδεία


Salvatore A. Bravo

Il freddo, implacabile strangolamento della παιδεία

L’ecolalia pedagogica
Pedagogia senza fondamento
La didattica breve e il neolinguaggio pedagogicoSalvatore Bravo
L’homo oeconomicus
La scuola azienda
Trascendere le classi per strutturare lo sradicamento
Conclusioni


Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano
Riflessioni sulla παιδεία in Aristotele

I. Osservazioni preliminari
Originalità e attualità della riflessione aristotelica sull’educazione
II. Primo scenario educativo: l’educazione precede l’etica
II.a L’insegnabilità della virtù: limiti e caratteristiche
II.b L’emotional training e l’educazione “delle” passioniArianna Fermani
II.c Ulteriori articolazioni del modello educativo
III. Secondo scenario educativo: l’educazione è l’etica
III.a Educazione e metodo della ricerca
IV. Riflessioni conclusive


Romano Luperini

Insegnare la letteratura oggi

 

Ogni educazioneRomano Luperini
presuppone

una utopia,
la esige
***
Appendice


Alessandro Pallassini

Note sugli apparati riproduttivi societari, guardando alla scuola

I. Introduzione
II. Produzione e riproduzione societaria.Alessandro Pallassini
Brevi cenni
III. Mutamenti del sistema societario
e mutamenti nell’educazione latamente intesa
IV. Scuola-lavoro: possibili omologie
V. Conclusioni (molto provvisorie)
VI. Bibliografia utilizzata


Eros Barone

La crisi dei saperi socratici: una sfida per l’‘humanitas’

I. Società di mercato e saperi socratici
III. Quale rapporto tra il vero e l’utile nel sapereEros Barone
e nella formazione?
III. I “saperi che servono” fra nichilismo antisocratico
e ideologia del ‘politicamente corretto’
IV. Il riscatto dei saperi socratici: utilità, eredità, identità
IV. Futuro dell’‘humanitas’ e ‘humanitas’ del futuro


Giovanni Carosotti

L’«ideologia» della Buona Scuola

Una didattica autoproclamatasi “innovativa”
Un apparato ideologico per formare nuovi soggetti
Una dimostrazione di dissenso:
dall’Appello per la Scuola pubblica alla sua contestazione
Una critica delle ideologie rivolta al concetto di «competenza»
La scelta impositivaGiovanni Carosotti
Una salutare critica delle ideologie
La pseudo scienza delle competenze
L’azzeramento
della pluralità storiografica ed ermeneutica delle discipline
Una scuola di sorveglianti e sovergliati, misurati e misuratori
Breve riflessione sul quantitativo


Rossella Latempa

L’ossessione valutativa

Il mito dell’oggettivitàRossella Latempa
L’imbracatura ortopedica
della valutazione scolastica
Matematizzazione dell’essere umano


Lorenzo Varaldo

La posta in gioco

 

È in gioco il sapere dell’umanitàLorenzo Varaldo
La nostra Dichiarazione di oggi
***
Dichiarazione finale della Conferenza Nazionale
del 19 maggio 2018 per l’abrogazione della legge 107


Fernanda Mazzoli

Per una seria cultura generale comune

Una proposta di Lucio RussoFernanda Mazzoli
Recensione al libro
Lucio Russo,
Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista


Lucrezia Fava

Λόγος, linguaggio, tempo

Dai seminari heideggerianiLucrezia Fava
di Le Thor
Recensione
al libro
Martin Heidegger, Seminari


 

 

Silvia Gullino

Una appassionata ricostruzione della filosofia aristotelica

Alla ricerca del luogo
in cui la sapienza teoretica si radica nell’umano
Recensione al libro
Claudia Baracchi, L’architettura dell’umano.
Aristotele e l’etica come filosofia prima



Per far memoria

del nostro impegno sul tema della scuola

Metamorfosi della scuola

Metamorfosi della scuola italiana

Anno 2000, pp. 304, Euro 20

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Testata Koinè

Contributi di:

Fabio Acerbi – Marino Badiale – Giuseppe Bailone – Fabio Bentivoglio – Piero Bernocchi – Lucio Bontempelli – Massimo Bontempelli – Paolo De Martis – Adolfo Scotto Di Luzio – Federico Dinucci – Giampiero Giampieri – Giulio Ferroni – Emanuele Narducci – Fabrizio Polacco – Costanzo Preve – Lucio Russo – Livio Sichirollo – Roberto Signorini – Lorenzo Varaldo

Sommario

Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, di Massimo Bontempelli
La scuola sospesa, di Giulio Ferroni
Alcune osservazioni sui contenuti dell’insegnamento, di Lucio Russo
Orwell 2000, di Fabrizio Polacco
Sulle sorti della matematica e della fisica nella scuola superiore, di Fabio Acerbi
L’insegnamento delle discipline scientifiche e la storia della scienza, di Lucio Bontempelli
30 tesi contro la Scuola-Azienda e l’Istruzione-Merce, di Piero Bernocchi
La catena dei perché. Riflessioni sulle radici del “Concorso Berlinguer”, di Costanzo Preve
Autonomia didattica e libertà di insegnamento, di Federico Dinucci
Chi non sa nulla, insegna ad insegnare, di Paolo De Martis
Che buon pro facesse (e faccia) il “Verbo”, di Giampiero Giampieri
“L’agonia della scuola italiana”: un libro controcorrente, di Fabio Bentivoglio
Una lettura critica del libro “L’agonia della scuola italiana”, di Roberto Signorini
Il libro di Antonio La Penna “Sulla scuola”, di Emanuele Narducci
L’insegnante trova le sue parole. Perché un “no” ai salari di merito, di Lorenzo Varaldo
Il libro verde della Pubblica istruzione, di Giuseppe Bailone
Il Liceo classico, di Adolfo Scotto di Luzio
Il resistibile declino dell’università. Ragioni per un titolo, di Livio Sichirollo
Il nome delle libellule. Breve riflessione sulle culture popolari, di Marino Badiale


L'agonia della scuola italiana

Massimo Bontempelli

L’agonia della scuola italiana

Anno 2000, pp. 144, € 10,00

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La scuola italiana nel suo insieme è oggetto, per la prima volta dopo tre quarti di secolo, di una riforma complessiva ed incisiva. Le innovazioni che vi sono introdotte, però, esaminate attentamente nei loro effetti concreti, risultano tutte profondamente negative, sia sul piano della formazione educativa dei giovani, che su quello della professionalità degli insegnanti e della trasmissione di un sapere degno di questo nome. Il carattere pubblico e nazionale del sistema dell’istruzione, e la sua capacità di promuovere lo spirito critico e l’autonomia di giudizio dei giovani, ne risultano gravemente compromessi.
Questo disastro è il prodotto di una cultura dogmatica e ideologizzata dei promotori della riforma, che li rende incapaci di pensare su un piano conoscitivamente alto, ed eticamente valido, il nesso tra scuola e società. Tale cultura è peraltro funzionale alle inconfessate esigenze totalitarie di un determinato sistema di potere.
La scuola italiana, a questo punto, potrà essere salvata soltanto dalla resistenza consapevole degli insegnanti che vogliono continuare ad essere educatori.

Il libro si articola in sette capitoli:
L’innovazione distruttiva
Il didatticismo di regime
L’autonomia aziendalistica
L’educazione negata
La stupidità rivelata
La scuola del totalitarismo neoliberista
Il destino della scuola


Buoni e cattivi maestri

Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri

Anno 2003, pp. 160, Euro 15

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Testata Koinè

Contributi di:

Guido Armellini – Andrea Bagni – Antonia Baraldi Sani – Fabio Bentivoglio – Carlo Bolelli – Massimo Bontempelli – Francesco Borciani – Marcello Cini – Vittorio Cogliati Dezza – Luca Grecchi – Corrado Maceri – Fabiano Minni – Bruno Moretto – Cesare Pianciola – Gianna Tirandola – Marcello Vigli

La scuola e il fondamento, di Luca Grecchi
Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, di Francesco Borciani
Sapere di polis, di Andrea Bagni
Il quinto postulato, di Fabio Bentivoglio
Quale scuola per quale Stato?, di Marcello Vigli
L’intelligenza del tranviere, di Guido Armellini
Partiamo dalle nuove sfide, di Vittorio Cogliati Dezza
Il cappotto del professore, di Antonia Baraldi Sani
La scuola della Repubblica tra Stato, Regioni e sussidiarietà, di Corrado Mauceri
Evoluzionismo: un ponte tra due culture, di Marcello Cini
Sul sapere critico, di Carlo Bolelli
La convergenza del centrosinistra e del centrodestra
nella distruzione della scuola italiana, di Massimo Bontempelli
Il tutto e le parti, di Guido Armellini
L’esperienza del referendum in Emilia Romagna, di Bruno Moretto
Intervista immaginaria di Ignazio Olloy al Professor E. De Candi, di Fabiano Minni
L’esperienza del referendum in Veneto, di Gianna Tirondola
Lettera aperta ai partiti della sinistra sulla scuola
Venti anni di attività, di Cesare Pianciola


Il sogno di una scuola

Maria Luisa Tornesello

Il sogno di una scuola

Lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore.

Allegato il CD-ROM per Windows con l’audiovisivo Oltre il libro di testo: parole ed esperienze di opposizione nella scuola dell’obbligo degli anni Settanta,
di Maria Luisa Tornesello e Roberto Signorini.

ISBN 978-88-7588-006-4, 2006, pp. 416, Euro 27

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Si manifesta ormai da più parti l’esigenza di considerare con metodo scientifico la storia degli anni Settanta, superando sia l’urgenza della testimonianza personale che la rimozione di un materiale impegnativo e «scomodo». Questo discorso vale in modo particolare per la scuola, in quegli anni al centro dell’attenzione con analisi, pratiche, lotte, che presto e abbastanza superficialmente sono state liquidate o «demonizzate».
In realtà la scuola, e in particolare la scuola dell’obbligo, è il punto d’incontro dei problemi che in quel momento agitano la società italiana. È un vero e proprio laboratorio di idee e progetti vissuti come rivoluzionari: partecipazione democratica, non delega, autonomia e potere dal basso.
Questo libro è una prima ricostruzione di quei fermenti, caotici ma aperti e vitali. Esso si basa su una documentazione inconsueta (prese di posizione politiche e sindacali dei «nuovi insegnanti», lavori degli studenti, materiale didattico delle scuole sperimentali e dei corsi 150 ore, documenti di programmazione didattica, produzione dell’editoria didattica alternativa), in cui è possibile cogliere il profondo cambiamento rispetto al passato, la ricchezza del dibattito e delle proposte didattiche, l’impegno civile.

 

 


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Fernanda Mazzoli – Per una seria cultura generale comune: una proposta di Lucio Russo.

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Coppa di Duride

Coppa di Duride

 

Particolare della coppa di Duride, lato alto.

Particolare della coppa di Duride, lato alto.

 

Particolare della coppa di Duride, lato basso

Particolare della coppa di Duride, lato basso

 

La coppa (kúlix) del ceramografo Duride (inizi del V a.C.)
Vi si rappresenta il tridium delle discipline che costituiscono il fondamento della paideia: all’esterno l’insegnamento della lettura e della scrittura, la lettura e memorizzazione di prosa e poesia, la lezione di musica e danza, e all’interno l’attività sportiva. In alto, un maestro di musica suona il doppio flauto davanti ad un ragazzo; in basso, dinanzi al maestro barbuto con la lyra in mano, siede un ragazzo che pizzica le corde di un uguale strumento. Nelle scene dell’insegnamento letterario vi è, in alto, il maestro seduto con tavoletta scrittoria e stilo in mano che controlla l’esercizio di scrittura dell’allievo; in basso un uomo che ha in mano un rotolo aperto sul quale il pittore ha scritto un verso.


Perché la cultura classica


Lucio Russo, Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista,

Mondadori, Milano 2018.


Per una seria cultura generale comune:

una proposta di Lucio Russo

 

di Fernanda Mazzoli

 

  Logo-Adobe-Acrobat-300x293    Fernanda Mazzoli. Per una seria cultura generale comune.
Una proposta di Lucio Russo

 

 

Con il suo ultimo libro, Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista, Lucio Russo, fisico, docente di Calcolo delle probabilità e storico della scienza, affronta con rigore argomentativo e nitida scrittura una serie di temi che dovrebbero figurare al centro del dibattito pubblico, troppo attento, invece, a seguire le chimere imposte dalle mode del momento e dagli imperativi del sistema mediatico di produzione e diffusione delle idee.

Sono temi di grande rilevanza sia per una migliore comprensione della cultura europea, esaminata sotto il rapporto del suo inestinguibile debito con la civiltà classica, sia per una quanto mai opportuna riflessione sugli attuali percorsi formativi ed una loro possibile ridefinizione, capace di rovesciare il paradigma dominante del gretto utilitarismo della “scuola delle competenze”.

L’autore, avvalendosi di una solida documentazione capace di coinvolgere e collegare ambiti disciplinari diversi, dimostra che le civiltà greca e romana hanno contribuito in modo determinante a dare forma e linfa vitale a tutte le declinazioni della cultura – scienze naturali , matematica, filosofia, pensiero politico, diritto, storiografia, linguistica, arte, letteratura – e hanno giocato un ruolo chiave nell’elaborarazione di concetti fondamentali (come quello di “democrazia”) per la storia e il pensiero dell’Occidente, almeno fino a tutto il XIX secolo.

Questo sguardo complessivo ed unitario ha il grande merito di fare giustizia di alcuni luoghi comuni, primo fra tutti quello che istituisce un’artificiosa separazione tra studi scientifici ed umanistici che – proprio nel loro rapportarsi alle fonti classiche – rivelano più punti di contatto di quanto la vulgata, anche pedagogica, riconosca.

Ancora: Lucio Russo respinge come generica ed inadeguata quella diretta filiazione tra cultura classica e civiltà europea che viene esplicitata nell’immagine piuttosto diffusa delle «radici» che non riesce a dare conto di un dato fondamentale: i moderni non si sono limitati a fare del mondo classico la base del proprio mondo, ma hanno continuato ad attingere in modo significativo «al serbatoio di idee fornito dalle antiche fonti». Il concetto di «radici» trascura, inoltre, la discontinuità di un divenire storico che procede spesso per balzi od arresti improvvisi e che ha reso necessario il recupero, anche dopo secoli ( il Rinascimento ne è l’esempio più noto), di molte conquiste intellettuali. Dunque, il debito della civiltà occidentale verso il mondo classico è passato attraverso mediazioni diverse e selezioni talora discutibili e si configura come una scelta operata da studiosi che a quelle fonti hanno dovuto fare riferimento per affrontare con efficacia le questioni intellettuali, politiche, artistiche che via via si ponevano.

A riprova di questa sua tesi, Lucio Russo cita il «collasso culturale» rappresentato dalla conquista romana della Grecia e dei regni ellenistici ed invita il lettore ad andare oltre la sin troppo celebre frase di Orazio (Graecia capta ferum victorem cepit) e a considerare che i Romani non disponevano, all’epoca, di una cultura che consentisse loro di assimilare veramente quella greca. Si può dunque ragionevolmente ritenere che la storia del pensiero moderno avrebbe preso altre direzioni, se fosse stato possibile attingere direttamente alle opere filosofiche contemporanee all’affermazione della conoscenza scientifica, senza dovere passare per la selezione operata dagli intellettuali romani. In particolare, si erano andati progressivamente perdendo elementi essenziali del metodo scientifico.

Stabilito, attraverso un’ampia gamma di esempi relativi a campi diversi del sapere, il corretto rapporto tra le fonti classiche e la cultura europea in termini di scelte consapevoli e non di derivazione naturale od etnica, il problema di fondo che il saggio affronta è quello di una possibile riproposizione della cultura classica come cardine di una nuova sintesi «in grado di unificare la cultura». È in questa esigenza di ricostruzione di una seria cultura generale condivisa che faccia del rapporto con la classicità, sostanzialmente interrotto negli ultimi decenni, il proprio perno che il viaggio dell’autore alla ricerca dei fondamenti della civiltà occidentale coinvolge direttamente il tema educativo.

Il problema posto da Lucio Russo è di primaria importanza: afferisce, infatti, alla necessità di individuare un asse portante nei percorsi formativi. Nell’epoca in cui la cultura «si presenta come un magazzino di beni concepiti per il consumo, tutti in competizione per accaparrarsi l’attenzione insopportabilmente fugace e distratta dei potenziali clienti»,[1] la scuola non poteva sfuggire alla frammentazione e disgregazione del sapere che favorisce la sua riconfigurazione in «supermercato della formazione», attento ad allettare lo studente-consumatore. Lucio Russo – che a tale trasformazione ha dedicato, già una ventina d’anni fa, un testo notevole che ha perso ben poco della sua attualità –[2] sottolinea il legame profondo fra mutamento della scuola e «sviluppo impetuoso dell’industria dell’intrattenimento» e riconduce questa singolare relazione ai radicali cambiamenti indotti da un nuovo sistema economico e dalla ridefinizione di alcuni paradigmi sociali che hanno generato da un lato la riduzione delle competenze richieste ai lavoratori e, dall’altro, un aumento del loro tempo libero e delle loro possibilità economiche. Ben lontano dal vagheggiare i tempi in cui un’alta formazione era prerogativa delle classi elevate, con corollaria recriminazione sul decadimento connaturato alla “scuola di massa”, Russo individua lucidamente l’occasione mancata, costituita dall’ingresso nell’istruzione pubblica delle classi popolari. Sulla scia delle politiche attuate negli USA, si è teso anche in Europa a trasformare le scuole secondarie in luoghi generici di intrattenimento e socializzazione, trasferendo i percorsi di livello prima alle Università, poi alle scuole di dottorato, con la grave conseguenza di privilegiare le singole specializzazioni a spese dell’acquisizione di una buona cultura generale comune. Molto correttamente, l’autore coglie uno dei punti nodali di questo slittamento nell’atteggiamento assunto dalle forze politiche orbitanti nell’area della sinistra che hanno dato corpo teorico e condizioni concrete ad un tragico equivoco, sostanziatosi nel nostro Paese in riforme sciagurate che, da Berlinguer a Renzi, hanno inferto un colpo mortale ad una scuola pubblica di qualità. Tali partiti, come sottolinea puntualmente Lucio Russo, «associando il tradizionale asse culturale riservato alle classi privilegiate al privilegio stesso, si sono infatti paradossalmente posti l’obiettivo non di fare accedere le classi popolari ai livelli più alti d’istruzione (eventualmente da ridefinire nei metodi e nei contenuti), ma di eliminare tali livelli dalla scuola pubblica», in perfetta sintonia – quando non anticipazione – rispetto alle politiche neoliberiste. Inoltre, un’impostazione riduttivamente sociologica non ha permesso di vedere le grandi trasformazioni sociali e antropologiche dei nostri tempi in cui non vale più la corrispondenza immediata tra appartenenza socio-economica privilegiata e monopolio culturale. Nota con una certa ironia Russo che, oggi, chi ambisce ad acquisire i più raffinati strumenti intellettuali si situa ben lontano dalle élites economiche e politiche.

Che la questione sia centrale e vada ben oltre le attuali congiunture ed il precipitare della crisi educativa, lo attesta il peso che essa occupa nella riflessione di Antonio Gramsci,[3] consapevole che la partecipazione di larghe masse popolari alla scuola media avrebbe favorito una pericolosa – in quanto illusoriamente democratica, ma funzionale, in realtà, alla cristallizzazione delle differenze sociali – tendenza alle facilitazioni e al rallentamento della disciplina negli studi e consapevole altresì delle «inaudite difficoltà» da superare per creare un nuovo strato di intellettuali.

La tesi principale sviluppata da Russo in questo libro – la possibilità che la cultura classica possa rivestire di nuovo, anche se con modalità diverse, il ruolo unificante svolto in passato – si incontra ancora una volta con le considerazioni del pensatore e militante politico sardo che nello studio del latino e del greco, congiunto a quello delle rispettive storie e letterature, aveva individuato un principio educativo, in quanto l’ideale umanistico, diffuso in tutta la società, era elemento essenziale della vita e della cultura nazionali. Attraverso queste lingue, viveva, anche al di fuori della scuola, tutta una tradizione culturale, una specifica concezione della vita e dell’uomo, entrata in crisi la quale lo studio delle lingue classiche e la scuola stessa erano entrate in crisi. Dunque, già negli anni in cui Gramsci, rinchiuso nel carcere fascista, sviluppava le sue note sulla scuola e la cultura, le intelligenze più vigili si ponevano il problema di individuare un fulcro formativo che fosse all’altezza di quello rappresentato in passato dal greco e dal latino. Quanto a lui, riteneva che questi non potessero più svolgere tale ruolo, ma era altrettanto conscio che sarebbe stato compito arduo trovare un sostituto che desse equivalenti risultati di educazione e formazione generale della personalità in quel periodo – dalla fanciullezza al momento della scelta professionale – in cui lo studio deve essere svincolato da scopi pratici immediati per potere assolvere al suo compito formativo.

Chiunque si sia interessato seriamente di scuola, avendo ben presente la necessità di inquadrare la questione in una più ampia dimensione educativa, nonché culturale, senza subire il ricatto di orientamenti politici od ideologici tendenti a fare della scuola una delle istituzioni cardine della riproduzione sociale, ha sempre posto al centro della propria ricerca l’individuazione di un asse culturale capace di dare quell’orizzonte unitario senza il quale i singoli saperi non rinviano che a se stessi, venendo meno, così, alla loro funzione educativa. La definizione di tale asse presuppone una ricognizione dei bisogni educativi che non può prescindere dalla comprensione delle attuali dinamiche sociali e non certo per allinearsi ad esse, perché la nozione stessa di educazione porta in sé l’idea di un’uscita, di un distacco dalla situazione data. In tempi recenti, il filosofo e docente liceale Massimo Bontempelli ha individuato, per la nostra società dominata da un meccanismo economico mondiale autoreferenziale che appoggia su logiche di utilitarismo e competitività, la necessità di «un’educazione al disinteresse e alla cooperazione», e «alla memoria delle possibilità antropologiche cancellate», sacrificate sull’altare del mercato e della tecnica.[4]

Benché Bontempelli attribuisca agli studi storici, insegnati in ogni indirizzo scolastico, il ruolo di asse culturale di una nuova scuola, la sua proposta non mi sembra affatto in contrasto con quella di Russo, tanto più che entrambe muovono dalla medesima urgenza di individuare un modello di riferimento comune radicato in una solida tradizione culturale che, sottraendo l’apprendimento alla parcellizzazione delle conoscenze irrelate e alla fluidità dei contenuti, educhi allo spirito critico e fornisca un orizzonte di senso. Non è certamente casuale che Bontempelli, per illustrare la propria tesi della storia come efficace termine di confronto unitario per i vari ambiti disciplinari, ricorra ad esempi tratti dalla civiltà classica. Saperi diversi come la geometria di Euclide, la statica di Archimede, l’astronomia di Aristarco e la filosofia di Epicuro possono trovare, infatti, una collocazione concettuale unitaria all’interno del mondo storico ellenistico.[5]

Non solo: la storia come possibile asse culturale mi pare possa integrare un aspetto non secondario che il lavoro di Russo si limita ad accennare e del quale egli per primo, interrogandosi su un principio unificante per una cultura condivisa, riconosce la criticità. La cultura classica sembra, infatti, potere aspirare ad un ruolo chiave solo nei percorsi liceali ed in particolare nel Liceo Classico, l’unico che procuri gli strumenti linguistici per leggere direttamente le opere greche. Ora, è più che mai necessario fornire a tutti non tanto conoscenze specialistiche rapidamente superate dagli ininterrotti mutamenti tecnologici e lavorativi, quanto «una formazione generale e polivalente», i cui contenuti devono scaturire da scelte culturali e non dalle richieste del mercato del lavoro. È proprio questo assunto a riportare al centro di una opportuna riprogettazione dei fondamenti e delle finalità cognitive ed educative dei diversi curricola scolastici il legame con la civiltà classica. Innanzitutto, per il saldo ancoraggio ad una grande tradizione culturale e ad una dimensione “disinteressata” dello studio che essi garantiscono e per la loro capacità di aprire agli studenti orizzonti che la società dominata dall’economia autoreferenziale rimuove: la prospettiva storica di lungo periodo invece del consumistico appiattimento sul presente, l’educazione alla razionalità scientifica in luogo della dilagante suggestione di teorie prive di riscontri sperimentali, l’attenzione verso la condizione umana piuttosto che per le richieste dei mercati.

Lucio Russo è ben consapevole che per dare corpo a questa proposta controcorrente, la cultura classica richiede di essere profondamente rivisitata: si aprono qui alcune pagine veramente preziose per i docenti, ricche di indicazioni metodologiche e di spunti interessanti per l’attività in classe, tali da confermare definitivamente che innovazione didattica non rima necessariamente con digitalizzazione. Indicazioni e spunti da ripensare e rielaborare per i diversi indirizzi delle scuole superiori, nella doverosa prospettiva di superare gli odierni specialismi tecnicistici e la banalizzazione e semplificazione dei contenuti. Di validità generale (dovrebbe, anzi, essere il fondamento dell’insegnamento delle discipline linguistiche), è l’invito a dare priorità alla lettura delle opere, rispetto alla quale lo studio grammaticale non può che rivestire carattere strumentale, modalità necessaria di accesso ai testi piuttosto che valore in sé. Se gli studenti del Classico (e, per il latino, dello Scientifico) possono accedere direttamente agli scritti letterari, scientifici e filosofici dell’antichità, non c’è ragione per cui l’Antigone di Sofocle, naturalmente tradotta e opportunamente contestualizzata e presentata dall’insegnante, non possa riguardare, con il suo grande tema etico del conflitto tra l’obbedienza ai legami del sangue e il rispetto dovuto alla legge dello Stato, anche i ragazzi del Professionale, suscitando riflessioni capaci di ampliare il loro sguardo sul mondo e su se stessi e di sollecitare interrogativi sul senso dell’esistenza. Per non parlare della necessità di invertire il rapporto tra scienza e fantascienza, di stabilire un corretto confine tra le due che l’industria dell’intrattenimento e certa divulgazione pseudo-scientifica hanno forzato fino a confuse, quando non preoccupanti, contaminazioni. Quale miglior antidoto, se non l’acquisizione del metodo dimostrativo e sperimentale messo a punto da Euclide, sempre più trascurato nell’insegnamento della matematica e al quale la scienza europea deve i suoi fondamenti epistemologici? Osserva giustamente Lucio Russo che l’abbandono di tali metodi non ha solo ricadute immediate sulla didattica, ma si accompagna ad un più generale declino della capacità di condurre ragionamenti astratti, vale a dire ad un pericoloso impoverimento di capacità intellettuali e linguistiche.

Non solo: l’autore stabilisce un’avvincente relazione tra metodo dimostrativo ed elaborazione del concetto di democrazia che proprio la didattica illustra in modo significativo. Infatti, trasmettere un risultato non dimostrato è operazione necessariamente autoritaria, mentre lo studio dei teoremi pone maestro ed allievo sullo stesso piano, in quanto quest’ultimo è tenuto ad accettare solo le affermazioni delle cui dimostrazioni può controllare l’esattezza. Come non ricordare la tesi della filosofa americana Marta Nussambaun, secondo la quale lo svilimento della cultura umanistica può essere disastroso per il futuro stesso della democrazia?[6] Il libro di Lucio Russo ci invita, d’altronde, ad allargare il significato di “umanistico”, sottolineando a più riprese quanto sia artificiosa l’opposizione tra discipline “classiche” e scientifiche, distinzione che un intellettuale dell’antica Grecia non avrebbe proprio capito. Il superamento di questa infondata contrapposizione è condizione necessaria, d’altra parte, per la messa a punto di un principio educativo comune a tutti gli indirizzi scolastici. Invece di abolire il Liceo classico, come qualche “rottamatore” puntualmente e demagogicamente suggerisce, sarebbe il caso di cominciare a progettare una licealizzazione di tutti i percorsi formativi…

Fernanda Mazzoli

[1]      Z. Bauman, Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi,Laterza, Roma-Bari, 2016, p.19.

[2]      L.Russo, Segmenti e bastoncini, Feltrinelli, Milano, 1998.

[3]      Vedi sopra, p. 28 . Sull’argomento, il contributo gramsciano intorno alla ricerca del principio educativo resta il fondamento imprescindibile con cui continuare , oggi, a confrontarsi: cfr. A Gramsci, Quaderni dal carcere. Gli intellettuali, Ed.Riuniti, Roma,1971, pp. 138-148.

[4]      M . Bontempelli, Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, Petite Plaisance, Pistoia, 2001 ,p.10.

[5]      Ivi, p.12

[6]      M. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna, 2013.

 


Lucio Russo – Cosa sta accadendo alla scienza?
Lucio Russo – Sfatare alcuni miti della storia della scienza. Da «La Rivoluzione dimenticata» … a «La bottega dello scienziato», passando per «Stelle, atomi e velieri» con il forte riferimento a «Euclide».
Lucio Russo, Un esempio di trasmissione parziale delle conoscenze: la sfericità della terra

 

I LIBRI DI LUCIO RUSSO
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La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, 1996.

La scienza moderna non nasce con Galileo e Newton. Le sue origini vanno retrodatate di almeno 2000 anni, alla fine del IV sec. a.C. La Rivoluzione scientifica del XVIII sec. riscopre la Rivoluzione ellenistica di figure come Euclide, Archimede, Erarstotene, Aristarco di Samo e di tanti altri raffinati scienziati. Lo studio della “rivoluzione scientifica”, cioè della nascita dello sviluppo scientifico, è indispensabile per la comprensione della “civiltà classica”. Inoltre, l’esame del ruolo svolto dalla scienza nella civiltà ellenistica è essenziale per la valutazione di alcune questioni di capitale importanza per la storiografia, dal ruolo di Roma alla decadenza tecnologica medievale alla “rinascita scientifica” moderna.

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Segmenti e bastoncini, Feltrinelli, 1998, 2000.

Agli insegnanti che sentono il loro ruolo fondamentale per la formazione di futuri cittadini liberi, ai genitori che sperano che i propri figli acquisiscano delle competenze nel lavoro scolastico, va detto chiaro e netto che la scuola come continua a essere immaginata nella riforma scolastica oggi in corso va in tutt’altra direzione. La riforma, secondo Lucio Russo, allinea la scuola italiana agli standard americani, abbassa i livelli di competenza reale, esclude la trasmissione degli strumenti essenziali alla creazione di nuovo sapere, rende l’insegnamento sempre più generico. Segmenti e bastoncini ha suscitato polemiche, consensi e condanne, ma soprattutto un largo dibattito che dalla stampa si è esteso nella scuola, ed è destinato a continuare.

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Scienza, cultura, filosofia, CRT, 2002.

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Flussi e riflussi: indagine sull’origine di una teoria scientifica, Feltrinelli, 2003.

Questo piccolo libro ricostruisce per la prima volta nella sua interezza la storia della scoperta della teoria astronomica delle maree. Si tratta di un caso esemplare di mancata trasmissione delle conoscenze, dovuto in gran parte a una comunità scientifica – quella romana e medievale – che, sotto l’influsso di una cultura dominante avversa, aveva finito col perdere le capacità di padroneggiare certi risultati scientifici. Oggi nei manuali standard la prima formulazione della teoria viene attribuita a Newton, il quale ne diede la versione completa nei Principia mathematica, unitamente alle leggi sulla gravitazione universale. Questa attribuzione però è errata, come dimostra Lucio Russo, non solo perché a essa avevano contribuito molti altri studiosi, che avevano preceduto Newton, ma soprattutto perché, già nella Grecia ellenistica, Eratostene e Seleuco, basandosi su una serie di osservazioni rese possibili dall’espandersi delle esplorazioni navali, ne avevano dato una descrizione completa e “moderna”. Ci troviamo dunque in presenza di una vicenda ricca di spunti di riflessione. Paradigmatico è il modo in cui la teoria greca era caduta nell’oblio, sopravvivendo in maniera frammentaria e dispersa. Paradigmatico il modo in cui da questi frammenti sparsi fu poi possibile rigenerarla. Paradigmatico il modo in cui più personalità vi lavorarono, aggiungendo tassello a tassello fino ad arrivare a quell’uno – Newton appunto – che poté apporre la sua firma alla scoperta. La ricostruzione di Russo è condotta attraverso l’esame di documenti originali e indiziari, incrociando testimonianze provenienti da ambiti diversi, con un metodo quasi “poliziesco” che partendo dal diciassettesimo secolo ripercorre a ritroso la vicenda fino alle sue lontante origini nel secondo e terzo secolo a.C.

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La cultura componibile. Dalla frammentazione alla disgregazione del sapere, Liguori, 2008.

l libretto contiene una riflessione, basata anche su ricordi personali relativi a un complesso itinerario culturale, sulla necessità di superare lo specialismo per tentare di costruire un generalismo che eviti la superficialità e, allo stesso tempo, sulle difficoltà incontrate da chi si pone oggi un tale obiettivo. Il superamento dei confini disciplinari, che è spesso essenziale anche per risolvere problemi sorti all’interno di singoli settori ed è inevitabile da parte di chi svolge un lavoro intellettuale con passione, richiede infatti non solo l’impiego di molte energie intellettuali, ma anche il superamento di ostacoli, oggettivi e soggettivi, creati dalle attuali strutture teoriche e organizzative del mondo della conoscenza. Il problema è illustrato descrivendo i rapporti, essenziali ma difficili, tra fisici e matematici, matematici puri e matematici applicati, storici della scienza e scienziati, filologi classici e storici della scienza antica. Ci si sofferma in particolare sui danni prodotti dalla crescente divaricazione tra scienza pura e applicata e dall’indebolimento della memoria storica degli scienziati. Si argomenta contro la pseudo-soluzione, sempre riproposta, di creare nuove specializzazioni negli interstizi di quelle esistenti. Il superamento di un angusto specialismo è reso sempre più arduo non solo dalla crescita esponenziale delle informazioni disponibili non accompagnata da una crescita altrettanto veloce di nuove sintesi, ma anche dall’evoluzione del sistema educativo occidentale che, spostando la serietà degli studi a livelli sempre più elevati di età e di specializzazione, ha prodotto un continuo indebolimento della cultura generale condivisa. I problemi precedenti assumono particolari connotazioni (per lo più, ma non esclusivamente, negative) nella situazione italiana.

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Archimede. Massimo genio dell’umanità, Canguro, 2009.

 La collana “Gli iniziatori” è stata ideata per presentare i principali protagonisti della scienza a un pubblico di giovani lettori attraverso un appassionante racconto, nel quale s’intrecciano aspetti biografici, storici, letterari e autentici contenuti scientifici. Un modo semplice e accessibile a tutti per ripercorrere le principali tappe del progresso scientifico e comprendere la genesi di teorie innovative, destinate a cambiare per sempre la storia dell’umanità. Protagonista di questo volume è il genio poliedrico di Archimede, scienziato e inventore siracusano. Età di lettura: da 6 anni.

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Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia, con E. Santoni, Feltrinelli, 2010.

Una sintesi dello sviluppo scientifico in Italia dal 1200 a oggi che propone tesi interpretative di carattere generale. La tradizione che a lungo ha emarginato la scienza da importanti settori della cultura italiana è bene esemplificata dall’epiteto “ingegni minuti”, attribuito ai cultori della scienza esatta da Giambattista Vico in un brano fatto proprio da Benedetto Croce. Quali sono le radici di questa tradizione e quali sono state le realtà culturali di diverso segno presenti nel paese? Qual è stato il contributo del Rinascimento italiano al sorgere della scienza europea? Perché, dopo i successi della scuola galileiana, la ricerca italiana entrò rapidamente in una profonda crisi? L’esame dei risultati degli scienziati risorgimentali può modificare, e come, il giudizio storico sul Risorgimento? Quali sono le cause della crisi in cui versa la ricerca scientifica italiana dagli anni ’70 del secolo scorso? La globalizzazione lascia spazio a politiche scientifiche nazionali o europee? Ecco alcune delle domande cui questo libro tenta di rispondere, intrecciando gli sviluppi scientifici con la storia economica e politica, oltre che culturale. È infatti convinzione degli autori non solo che la storia della scienza possa essere compresa solo esaminando i contesti che forniscono alle comunità scientifiche i problemi concreti da affrontare e le risorse, culturali e materiali, per risolverli, ma anche che la storia di un paese non possa prescindere dalla storia della sua ricerca scientifica.

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L’America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo, Mondadori, 2013.

La quasi totalità degli studiosi ha finora negato l’esistenza di antichi contatti tra l’America e il Vecchio Mondo, ma in questo libro, indagando su una questione apparentemente secondaria di storia della geografia (l’origine di un grossolano errore di Tolomeo), si dimostra che le fonti ellenistiche dell’antico geografo conoscevano latitudini e longitudini di località dell’America centrale. Questa scoperta costringe a rivedere sotto una nuova luce molti aspetti della storia. Da una parte mostra come il crollo delle conoscenze che investì il mondo mediterraneo all’atto della conquista romana sia stato ben più profondo di quanto in genere si creda. Dall’altra apre nuovi possibili scenari di lungo periodo, lasciando intravedere la possibilità di sostituire all’idea oggi dominante dell’evoluzione indipendente e parallela delle civiltà un’unica storia, connessa sin dalla remota antichità.

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Stelle, atomi e velieri. Percorsi di storia della scienza, Mondadori, 2015.

La scienza è spesso vista come un metodo di indagine dei fenomeni naturali sviluppato per puri fini conoscitivi e tipico della modernità. In questo libro, ricostruendo la storia di lungo periodo di alcune idee scientifiche, si mostra come la storia della scienza sia comprensibile solo mettendo a fuoco la continuità tra scienza antica e moderna, e indagando il rapporto, spesso indiretto ma quasi sempre determinante, tra la ricerca “teorica” e l’esigenza di risolvere problemi concreti. Lo studio delle storie parallele di idee scientifiche di varia origine mostra non solo connessioni profonde e spesso sorprendenti, ma anche la ricorrenza di fenomeni tipici, come la periodica perdita di conoscenze e il sorgere di “miti di fondazione” che attribuiscono a singoli geni l’esito di complessi percorsi collettivi.

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La bottega dello scienziato. Introduzione al metodo scientifico, con A. Della Corte, il Mulino, 2016.

Nel senso comune i risultati delle scoperte scientifiche suscitano stupore e meraviglia non meno che incomprensione, mentre verso gli scienziati che li hanno ottenuti si nutre una sorta di ammirata reverenza. Fuori dal mito, come lavorano gli scienziati? Qual è il loro metodo? È quanto ci fa capire il libro che, dopo aver introdotto il concetto di teoria scientifica attraverso pochi semplici esempi (uno fra tutti: la teoria eliocentrica), ci accompagna nella bottega dello scienziato, descrivendo non il suo prodotto finito, ma alcuni degli strumenti usati per costruirlo.

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Euclide: il I libro degli Elementi, con E. Salciccia, G. Pirro, Carocci Editore 2017.

Gli Elementi di Euclide hanno costituito per più di due millenni il testo base dell’insegnamento scientifico. Già il titolo mostra come l’autore intendesse esporre conoscenze basilari, fornendo gli strumenti utili per raggiungere risultati più avanzati. La geometria – il principale argomento dell’opera – era infatti la base di tutta la scienza esatta dell’epoca e i problemi di astronomia, ottica, meccanica, idrostatica, geografia matematica, topografia e così via venivano risolti disegnandone la soluzione. Il i libro degli Elementi è qui ricostruito eliminandone alcuni brani, individuati come spuri per la loro incongruenza logica/con il contesto. Ne è risultato un teéto più coerente e didatticamente efficace di quello trasmesso dalla tradizione manoscritta, il cui studio può fornire ancora oggi una preziosa guida metodologica.

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LE COPERTINE

La rivoluzione dimenticata 00

La rivoluzione dimenticata

La rivoluzione dimenticata 03

La rivoluzione dimenticata

La rivoluzione dimenticata 02

La rivoluzione dimenticata

Segmenti e bastoncini 02

Segmenti e bastoncini

Segmenti e bastoncini 05

Segmenti e bastoncini

Segmenti e bastoncini04

Segmenti e bastoncini

Fluissi e riflussi

Flussi e riflussi

La cultura componibile, dalla frammentazione alla disgregazione del sapere

La cultura componibile

Archimede. Massimo genio dell'umanità,

Archimede

Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia

Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia

L'America dimenticata

L’America dimenticata

Stelle, atomi e velieri

Stelle, atomi e velieri

La bottega dello scienziato

La bottega dello scienziato

Euclide, il primo libro degli Elementi

Euclide, il I libro degli Elementi

 


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Stelle, atomi e velieri: intervista al prof. Lucio Russo [parte 1] | Math is …
Stelle, atomi e velieri, intervista al prof. Lucio Russo [parte 2] | Math is …
Intervista telematica al prof. Lucio Russo – Edscuola
Incontro con Lucio Russo al dipartimento di Filosofia
Cosa sta accadendo alla scienza? Un articolo di Lucio Russo

 


 Vedi anche:

Lucio Russo – Cosa sta accadendo alla scienza?

 

 

Lucio Russo
Alcune osservazioni sui contenuti dell’insegnamento
[Pubblicato su Koinè (Metamorfosi della scuola italiana), Anno VII, NN° 1-2 – Gennaio/Giugno 2000], pp. 20.
indicepresentazioneautoresintesi

«Se esiste un’idea guida nell’attuale processo di riforma della scuola italiana essa sembra consistere nella tendenza ad “alleggerire”, se non eliminare, i contenuti dell’insegnamento, riducendo le funzioni delle istituzioni scolastiche a quelle di accogliere i giovani, favorirne la socializzazione e guidarli nelle scelte di consumo. Una scuola ridotta a luogo di socializzazione e di assuefazione all’uso di prodotti rischia di produrre cittadini di seconda classe, privi di qualsiasi strumento critico verso il mondo che li circonda. Anche se forze potenti, cui sembra difficile opporsi, spingono in questa direzione, credo che sia essenziale salvare almeno spazi di riflessione e discussione critica che, se ben difficilmente possono sperare oggi di invertire la tendenza, potrebbero divenire essenziali domani. La situazione in cui ci troviamo oggi è infatti in larga misura conseguenza di un grave deficit culturale accumulato nell’arco di molti decenni. Non voglio certo negare le responsabilità dell’attuale governo nel perseguire l’obiettivo della distruzione di una scuola pubblica di qualità (anche se sono propenso a credere che si tratti di un obiettivo in larga misura inconsapevole), ma si sbaglierebbe individuando nell’attuale classe politica italiana l’origine, o anche solo un fattore rilevante, della crisi dell’istituzione scolastica e in particolare dei suoi contenuti disciplinari. Si tratta in realtà di una tendenza molto forte in tutto il mondo occidentale, anche se in Italia si presenta con varie aggravanti, tra le quali è certamente presente il provincialismo e l’insipienza. Credo che all’origine della crisi della scuola pubblica europea vi sia la convergenza di fattori di diversa natura, che comprendono fenomeni economici e politici, come la concentrazione produttiva e la globalizzazione, e allo stesso tempo importanti processi culturali che hanno posto in crisi i contenuti disciplinari tradizionali. Questo articolo contiene soprattutto alcune osservazioni su quest’ultimo punto. Una prima osservazione, completamente ovvia, è quella che l’attuale parcellizzazione del sapere è all’origine di due tendenze didattiche apparentemente opposte, ma in realtà convergenti. Da una parte si rivendica l’esigenza di un insegnamento che, variamente definito come “interdisciplinare”, “multidisciplinare” o in altri modi simili, è caratterizzato dall’evitare l’acquisizione di efficaci strumenti concettuali, privilegiando quel continuo vagare da un argomento all’altro a un livello di costante superficialità, che ha nella “navigazione” casuale e senza meta in Internet il suo principale strumento e il suo modello. Dall’altra si moltiplicano le proposte di inserire nella scuola discipline nuove: dall’ecologia alla psicologia, dall’economia alla storia del cinema, dall’antropologia alla sociologia. Entrambe le tendenze, insieme a una serie di fenomeni che riguardano le singole discipline, alcuni dei quali saranno accennati nel séguito, favoriscono l’abbandono di qualsiasi obiettivo formativo (necessariamente basato sull’individuazione di alcune discipline cardine), sostituendo allo studio la raccolta casuale di informazioni sparse (o, preferibilmente, qualche altra attività più gratificante)».

Lucio Russo


 

 

 


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Javier Heraud (1942-1963) – Non rido mai della morte. Semplicemente succede che non ho paura di morire tra uccelli e alberi. Vado a combattere per amore dei poveri della mia terra, in una pioggia di parole silenziose, in un bosco di palpiti e di speranze, con il canto dei popoli oppressi, il nuovo canto dei popoli liberi.

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Javier Heraud

Javier Heraud in una foto del periodo universitario.

 Javier Heraud

 1942 – 1963
Non rido mai della morte.
Semplicemente succede che non ho paura di morire tra uccelli e alberi.
Vado a combattere per amore dei poveri della mia terra,
in una pioggia di parole silenziose,
in un bosco di palpiti e di speranze,
con il canto dei popoli oppressi,
il nuovo canto dei popoli liberi.
 ***

a cura di Fernanda Mazzoli

 

Scarica e stampa il file PDF di 17 pagine:

Fernanda Mazzoli, Javier Heraud


 

Poesías completas y Cartas

Poesías completas y Cartas

Aveva vent’anni Javier Heraud, una borsa di studio per la cinematografia a Cuba e la consapevolezza «che la poesia è un lavoro difficile / dove si perde o si vince / al ritmo degli anni autunnali»[1]. Gli scaturiva copiosa dalle mani nelle notti passate a scrivere, come un fiore lasciato cadere a terra, ma sapeva che il tempo l’avrebbe costretto ad impastare «parole silenziose» e «fuochi fulminei» in un paziente «lavoro da vasaio». Non gliene lasciarono il tempo: rientrato in patria nel 1963 come componente dell’Esercito di liberazione popolare, fu ucciso dalla polizia mentre cercava di penetrare in territorio peruviano, seguendo il corso del Madre de Dios, un fiume che attraversa la foresta alla frontiera tra Bolivia e Perù.

 

Poèsias completas

Poèsias completas

Ventun’anni, due raccolte poetiche, gli studi letterari e, poi, cinematografia all’Avana, un viaggio a Mosca, invitato al Forum Internazionale della gioventù, e un soggiorno a Parigi, studente all’Alliance française:[2] la breve vita di Javier Heraud sta racchiusa in poche righe che ci consegnano il mistero della sua inaspettata e tragica morte.

Legge una sua poesia a18 anni

Legge una sua poesia a18 anni.

 

All' Alliance française

All’Alliance française.

 

Il padre, accorso incredulo da Lima a Puerto Maldonado, la cittadina di frontiera dove fu portato il corpo del giovane poeta, sapeva che il figlio «era seriamente impegnato nella ricerca di una vita utile e di creazione», ma ignorava che pensasse ad altro che studiare cinematografia.

 

Con il padre, ad una premiazione scolastica

Con il padre, ad una premiazione scolastica

 

Difficile delineare con precisione quei giorni convulsi intorno al 15 maggio 1963: tante le contraddizioni che emergono dai rapporti ufficiali e dalle ricostruzioni giornalistiche. Sembra che Heraud sia rientrato in Perù con un gruppo di altri sette studenti decisi a lottare come guerriglieri dell’Ejercito de Liberacion Nacional contro il governo militare giunto al potere con un colpo di stato. Dopo avere attraversato la foresta del Madre de Dios, gli otto giovani, sfiniti dopo una giornata di marcia, sarebbero stati sorpresi dalla polizia a Puerto Maldonado, capoluogo di questa regione di fitte foreste, grandi laghi e ricchi corsi d’acqua. Alcuni di loro sarebbero riusciti a scappare, Javier e un altro avrebbero cercato scampo nel fiume dove un generoso barcaiolo li avrebbe accolti sulla sua imbarcazione, una canoa di tronco d’albero. Inseguiti dalle lance della polizia e coinvolti in una sparatoria, i tre finirono crivellati di colpi, dopo avere alzato bandiera bianca in segno di resa.

Javier Heraud in un viaggio fatto nella città di Huánuco

Javier Heraud in un viaggio fatto nella città di Huánuco.

Il padre, in una lettera inviata una decina di giorni dopo l’accaduto a un giornale della capitale, dichiarò, in base ad alcune testimonianze orali raccolte sul posto, che poliziotti e civili, aizzati contro i due giovani, avevano sparato dall’alto del fiume per un’ora e mezzo con pallottole da caccia grossa, anche dopo che il compagno di Javier aveva sventolato uno straccio bianco. Sul corpo del poeta, in effetti, furono trovati trenta colpi di pallottola, fra cui alcuni di un proiettile esplosivo usato in zona per la caccia grossa.

El viaje

El viaje

Ancora più difficile ricostruire l’itinerario politico e morale che condusse, in una manciata di anni, il geniale studente, promesso ad un brillante avvenire, primo al concorso di ammissione alla facoltà di lettere della Pontificia Universidad Catolica del Perù nel 1958, vincitore nel 1960 del concorso “Giovane poeta del Perù” con la raccolta poetica El viaje, giovanissimo professore di inglese e castigliano presso l’Istituto Industriale di Lima (il più giovane insegnante che il suo Paese abbia conosciuto), a morire in un angolo sperduto della foresta equatoriale, «impotente, su una canoa di tronco d’albero, nudo e senza armi nel mezzo del fiume Madre de Dios, alla deriva, senza remi», come scrisse il padre nella sua circostanziata lettera di denuncia a La prensa di Lima.

Dovettero prendervi parte le sue naturali disposizioni, quella bontà, gentilezza e purezza d’animo, quella generosità e quel candore che familiari ed amici, fra cui Mario Varga Llosa,[3] gli riconobbero in una serie di testimonianze pubblicate dopo i tragici fatti che lo videro protagonista e che sembrano dettate tanto dall’intento di consegnarne il ricordo a quanti non ebbero il tempo di conoscerlo, quanto alla necessità tutta personale di fare i conti con quella morte assurda e imprevista. Al di là di questo tributo dell’amicizia, non restandoci di lui che qualche centinaio di versi, è lì che lo cerchiamo.

 

Ha avuto però inizio molto prima:
accadde in aprile (crudele e morbido aprile)
quando una mattina ci trovammo d’accordo.
Come finirà tutti potranno saperlo.
(Sono stufo e non finisco questa poesia).
Ma vado a combattere ed in battaglia
per amore del mio paese, dei miei paesaggi,
per amore dei poveri della mia terra,
per amore di mia madre, del suo affetto,
per amore di mio padre, della sua durezza,
per amore dei fratelli e degli amici,
per amore della vita e della morte,
per amore delle cose di tutti i giorni,
per amore dei giorni dell’autunno,
per amore dei freddi dell’inverno.

 

Il Poema especial, di cui è qui proposto solo un frammento, trova perfetta corrispondenza in una lettera scritta per la madre e lasciata all’Avana, alla moglie di un compagno, la quale avrebbe dovuto consegnargliela in caso di morte del poeta. «Voy a la guerra por la alegría, por mi patria, por el amor que te tengo, por todo en fin» («Vado in guerra per la gioia, per la mia patria, per l’amore che ho per te, per tutto, insomma»), spiega Javier alla madre, comunicandole la sua intenzione di tornare in Perù per aprirvi un fronte di guerriglia. Le scrive perché conosca tutto l’amore che nutre per la sua famiglia e per testimoniarle la sua riconoscenza per averlo cresciuto «onesto e giusto, amante della verità e della giustizia», le scrive perchè lei non soccomba al grande dolore della sua morte, ma riempia il vuoto con la gioia e la speranza di un paese cambiato, anche grazie al sacrificio del figlio. Sono le parole di un giovane uomo consapevole di avere potuto attingere alla ricchezza degli affetti familiari, alla sollecitudine di un’educazione attenta e che vuole rendersene degno, dedicando la sua vita a «servire la mia gente e il mio paese». Sono parole in cui sembra di ritrovare il tono, raramente eroico e quasi sempre intimo e dimesso, dei giovani partigiani della Resistenza italiana che si congedano dalla vita, scrivendo a casa qualche parola di conforto, di spiegazione, di rivendicazione pacata della dignità della loro scelta. Per troppo amore Javier Heraud prese le armi , un amore che lo premeva da tutte le parti e gli chiedeva un’enorme assunzione di responsabilità per rispondere alla sua vocazione universale. È una concezione religiosa della vita che il frammento ci restituisce e non tanto per la formazione cattolica del giovane poeta folgorato a Cuba da «nuovi soli di salvezza», ma per il legame viscerale, fisico con il mondo nelle sue diverse manifestazioni dove paesaggi, uomini e cose si incontrano e fondono in un sentimento unitario che chiede un impegno totale ed una risposta urgente. È sin troppo facile trasformare un ragazzo caduto da guerrigliero in un angolo remoto della foresta amazzonica in un eroe, congelato per sempre nella sua impossibile avventura.

Il Poema especial dovrebbe giustamente evitarci questa tentazione: niente di più prosaico dell’«amore delle cose di tutti i giorni», niente di più comune dell’affetto per una madre, niente di più tradizionale dell’amore per il proprio paese. È nell’intima rispondenza agli affetti radicati sin dall’infanzia che l’amore di Heraud diventa sentimento universale.

Prima della partenza per Avana.

Prima della partenza per L’Avana.

 

Si era iscritto due anni prima al Movimiento Social Progressista, di orientamento socialdemocratico, aveva preso parte alle manifestazioni contro Nixon, ma l’anno successivo se ne era andato, perché «non è sufficiente chiamarsi rivoluzionari per esserlo». Certo, l’incontro con Castro[4] a Cuba, dove aveva ottenuto una borsa di studio, poté affrettare la sua decisione, poté alimentare la sua speranza che fosse possibile rivivere sul suolo peruviano l’impresa rivoluzionaria che nell’isola caraibica aveva messo in scacco il corrotto regime di Batista e i suoi padrini statunitensi. Contingenze che giocarono sicuramente un ruolo, fornendo il momento e la forma ad un’esigenza preesistente, descritta dal padre come impegno per «una vita utile e di creazione», che traeva la propria linfa prima ancora che da una teoria rivoluzionaria da un preciso sentimento dell’esistenza, da una profonda adesione dell’io individuale alle leggi eterne della natura – le stagioni, le albe e i tramonti, l’impeto dei fiumi, il cielo solcato dai condor, la terra seminata di grano – e alle ragioni di quelli che «todo losufre», di tutto soffrono.

 

La mia casa

1

La mia stanza è una
mela,
con i suoi
libri,
con la sua
buccia,
con il suo letto
morbido per
la notte dura.
La mia è
la stanza di tutti,
vale a dire,
con il suo
lumetto che
mi permette di ridere
di fianco a Vallejo,
che mi permette di vedere
la luce eterna di
Neruda.
La mia stanza, alla
fine,
è una
mela,
con i suoi libri,
le sue carte,
con me,
con il suo
cuore.

 

2

Dalla mia finestra nasce
il sole quasi ogni
mattina.
Sulla mia faccia,
sulle mie mani,
nel dolce
clamore della pura luce,
la schiudo gli occhi alla
notte morta,
alla tenera
speranza di
un continuare a vivere
ancora un giorno,
per
aprire gli
occhi davanti alla
luce eterna.

 

La sua terra, «mi triste patria», i diseredati, Lenin, addormentato sulla Piazza Rossa, che «sorveglia la marcia del suo popolo» (Plaza Roja, 1961), ma anche i suoi libri, le sue carte riempite di versi notturni e i suoi poeti, primo tra tutti Cesar Vallejo, la cui tomba Javier Heraud visitò nel corso del suo soggiorno parigino nel 1961 e sui cui passi percorse la capitale francese, come lui attento alla vita segreta delle vie, delle statue, degli alberi .

 

 

Poesia

 

 

Ho attraversato i giardini del Lussemburgo ogni giorno.
Dovevo andare a lezione a Raspail
(ed era la strada più breve).
E in pieno autunno.
Le foglie ingiallivano a terra
e i bambini giocavano con l’acqua,
straordinarie gare con le barche.
E in pieno autunno mi sedevo
su una panchina ad aspettare Dégale,
davanti al busto di Verlaine
e qualche volta sgranocchiavo una pesca.
Le foglie cadevano e io come se niente fosse,
nei giardini del Lussemburgo, a Parigi, in autunno,
nell’ottobre del 1961.

 

Javier Heraud possedeva la facoltà eminentemente poetica di trasformare un luogo determinato in un luogo dell’anima, una circostanza contingente in un evento denso di significati che rimbalzano sul lettore, innalzandolo alla stessa esperienza. Questa trasmutazione, che realizza la magia alchemica della poesia, si avvale di una lingua nitida, luminosa, di parole semplici, quotidiane che vivono al ritmo delle «cose di tutti i giorni», alle quali sanno dare un respiro grande quanto il cuore dell’uomo, quando sa ascoltare il respiro del mondo e guardare alla vita intorno a lui con sguardo fraterno.

Una lingua precisa, fatta di nomi e di pochi, scarni aggettivi che si stagliano anche graficamente nel verso, quasi a volere abbracciare ed afferrare l’essenza delle cose .

 

 

Poesia

 

 

La valle di
Tarma è grande.
Ma più grande
è il mio cuore
quando lo guardo,
ma più vasto
è il mio petto quando
ispiro aria, e aria,
cielo e condor,
martedì e giovedì,
più grande del
fiume è l’uomo,
più grandi della
valle sono gli occhi
di tanti viandanti
intorno.

 

Quanto al suo cuore – l’unico regno cui aspirasse, il suo cuore che cantava, parlava e piangeva[5] sigillava un giuramento di fedeltà al proprio mondo interiore che si traduceva in pietà vivissima, capace di cogliere la vita – e il suo dolore – ovunque, anche nelle cose.

 

La mia casa morta

 

1

 

 

Non buttate giù la mia casa
vecchia, avevo detto.
Non buttate giù la mia casa.

 

2

Avevamo una pergola
e due porte sulla strada,
un giardino all’entrata
piccolo ma grande,
un melo che è seccato
ora per le urla
e il cemento.
Il pesco e l’arancio
erano morti da prima,
ma avevamo ancora
(come non ricordarlo!)
un albero di melagrane.
Melagrane che sbucavano
dal suo tronco,
rosse,
verdi,
l’albero si confondeva
con il muro,
e di fianco
sulla strada,
un tronco che
ogni anno
dava le more,
che in autunno riempiva
di foglie le porte
della casa.

 

3

Non buttate giù la mia vecchia casa,
avevo detto,
lasciatemi almeno
le melagrane
e le more,
le mie mele e le mie

grate.

 

5

È vero, non lo nego,
le pareti cadevano a pezzi
e le porte non chiudevano
bene.
Ma hanno ucciso la mia casa,
la mia camera da letto con la
lunga finestra mattiniera.
E non è restato niente
del melograno,
le more non
imbrattano più le mie scarpe,
del melo vedo soltanto
oggi,
un triste tronco che
piange i suoi frutti
e i suoi bambini.

 

6

Il mio cuore è rimasto
con la mia casa morta.
[…]

 

Il lungo componimento, strutturato in sei parti, registra un tono apparentemente narrativo che si fa, in realtà, malinconica e tenera evocazione di un personale paradiso perduto (per la speculazione edilizia, per l’ingresso nell’età adulta, per l’incontro di entrambi gli elementi, forse), la cui modestia è misura umanissima della sua luminosa e fuggente bellezza. Questo ragazzo che scommise tutto su un futuro radicalmente nuovo, coltivava singolarmente l’arte del ricordo, amava Proust e, durante il soggiorno in Francia, si recò in pellegrinaggio a Combray e al luogo simbolo della Recherche dedicò una poesia.

Eppure, anche fra le more e i melograni della vecchia casa , il poeta sapeva che la morte gli era compagna. E conclude:

 

[…]
è anche chiamare
un po’ più vicino la morte
(che era con me
tutti i pomeriggi
nella mia casa vecchia,
nella mia casa morta).

 

Presagio di una fine prematura o tributo di maniera a uno dei topoi più frequentati dalla letteratura? A vent’anni è lecito giocare con suggestioni romantiche e gli esempi, anche fra gli autori da lui amati, non gli mancavano certo. Eppure, il personale rapporto di questo ragazzo con la morte è segnato da una maturità che rinvia, ancora una volta, al suo sentimento della vita come piena assunzione di responsabilità e meditata accettazione di un destino voluto.

 

Elegia

 

 

Tu hai voluto riposare
in una terra morta e nell’oblio.
Credevi di poter vivere solo
nel mare e sulle montagne.
Poi hai scoperto che la vita
è solitudine fra gli uomini
e solitudine fra le valli.
I giorni che scorrevano
nel tuo petto erano soltanto indizi
di dolore tra le tue lacrime. Povero
amico. Non sapevi nulla e non piangevi nulla.

 

Non rido mai
della morte.
Semplicemente
succede che
non ho
paura
di
morire
tra
uccelli e alberi.

 

Non rido mai della morte.
Ma qualche volta ho sete
e chiedo un po’ di vita,
a volte ho sete e ogni
giorno faccio domande e, come sempre
accade, non ottengo risposte
ma una sghignazzata profonda
e nera. L’ho già detto, non ho
mai riso della morte,
ma ne conosco il bianco
volto, la tetra veste.

Non rido mai della morte.
Eppure, conosco la sua
casa bianca, conosco la sua
bianca veste, conosco
il suo umido silenzio.
È ovvio, la morte ancora
non mi ha fatto visita,
e vi domanderete: cosa
conosci, allora? Non conosco niente.
Anche questo è sicuro.
So, però, che quando
arriverà io sarò ad aspettarla,
sarò ad aspettarla in piedi
oppure seduto a colazione.
La guarderò dolcemente
(perché non si spaventi)
e siccome non ho mai riso
della sua tunica, l’accompagnerò,
solitario e solitario.

 

poesia completas

Javier, non ancora ventenne, aveva già scritto la pagina della propria morte, una morte conosciuta, accettata come una costola della propria vita. Se in filigrana si intravede un discreto gioco di rimandi con il Vallejo di Pedra negra sobre una pedra blanca («Me moriré en París con aguacero / un día del qual tengo ya el recuerdo». [Morirò a Parigi in un giorno di pioggia / un giorno che già mi ricordo]), qui il rapporto con questa morte conosciuta, invece di essere ripetizione obbligata di qualcosa che è già avvenuto è disponibilità a una presenza tanto riservata, quanto inevitabile, è amore di un destino scelto in piena consapevolezza. Vida y muerte sono un’endiadi costante del mondo poetico di Heraud («las puertas incansables de la vida, las puertas inagotables de la muerte» [le porte instancabili della vita, le porte inesauribili della morte])[6], l’una tracima nell’altra in un fluire ininterrotto che, riconoscendo la seconda come parte integrante della prima, finisce per superarne la negatività. «No deseo la victoria ni la muerte / no deseo la derrota ni la vida, / sólo deseo el árbol y su sombra, / la vida con su muerte» (non desidero la vittoria, né la morte / non desidero la sconfitta né la vita, / solamente desidero l’albero con la sua ombra, / la vita con la sua morte), confessava in una poesia che reca in esergo una breve citazione dalla Bhagavad-Gita.[7]

Il ragazzo che era pronto a morire fra uccelli e alberi (questa starordinaria premonizione ricorre per ben due volte nei suoi versi) e che seppe aspettare la morte in piedi, nel bel mezzo della foresta equatoriale, per amore del Perù e degli oppressi, ma anche di un’infanzia amata e di una casa perduta, il ragazzo che aprì con altri trenta compagni un fronte di guerriglia perché tutti potessero guardare dalle loro finestre la luce eterna e le foglie d’autunno e i cespugli di more ed esserne lieti, quel ragazzo che si buttò risolutamente nel fiume della vita e poi nel Madre de Dios, quel ragazzo sapeva che «la vita / è solitudine fra gli uomini». Recita l’epilogo della raccolta El viaje:

 

Sono soltanto
un uomo triste
che esaurisce le sue parole.

 

Finite le parole, gli restava la vita: così l’amico Sebastián Salazar Bondy provò a spiegare la decisione di Heraud di lasciare Cuba e tornare in patria per accendervi il fuoco della guerriglia. Tuttavia, a differenza del suo coetaneo Rimbaud, non prese congedo dalla poesia per sparire nella solitudine dell’Harar[8] e diventare estraneo a se stesso, continuò a misurarsi con essa, ad accoglierne «un relámpago maravilloso / una lluvia de palabras silenciosas, /un bosque de latidos y esperanzas, /el canto de los pueblos oprimidos, / el nuevo canto de los pueblos liberados» («un lampo meraviglioso, / una pioggia di parole silenziose, / un bosco di palpiti e di speranze, / il canto dei popoli oppressi, / il nuovo canto dei popoli liberi»).[9] Credeva fermamente, con tutta la forza di un animo generoso, puro e retto, che la poesia dovesse essere un’arma di liberazione e la naturale forma di espressione dell’uomo liberato e riteneva che il suo preciso dovere fosse di servire incondizionatamente questa esigenza di emancipazione che si poneva all’incrocio di un breve, ma intenso percorso politico, intellettuale ed esistenziale.

Così, «armados con palabras y fusilos, / armados con ansias nuevas» («armati di parole e fucili, / armati di ansie nuove»),[10] fece la sua scelta, di poeta, di uomo, di militante, che dalla consapevolezza di vago sapore romantico della propria ineliminabile solitudine giunge alla precoce maturità di una scelta di vita estrema che affonda le proprie radici in un sentimento di ritrovata fraternità umana.

Il gruppo di incauti ed inesperti guerriglieri (malgrado un periodo di addestramento a circa 2.000 metri di altitudine sul Monte Turquinio)[11] se ne andò «a la alegría», a portare felicità al popolo peruviano costretto al silenzio, ai «sus tristos niños», alle «sus calles despobladas de alegría»[12] («ai suoi tristi bambini, alle sue strade senza gioia»), partì a rifare il mondo, insomma, più che a lottare contro il governo golpista.

E Javier ritrovò, per il suo ultimo viaggio, uno scenario ben familiare al suo mondo poetico: un ancho río, un gran fiume.

 

 

El río, di Javier Heraud. Editorial Peisa

El río, di Javier Heraud. Editorial Peisa

 

 

La sua vivace immaginazione ne aveva già percorso i meandri impetuosi dalla sorgente alla foce in una lunga composizione, El río – recante in epigrafe un verso dell’amato poeta spagnolo Antonio Machado («la vida baja como un ancho río» [«la vita scende come un ampio fiume»]) – che, ancora adolescente, lo aveva consacrato poeta.

Nell’ultima stanza, l’irruente ed imprevedibile fiume giunge alla fine di un viaggio che lo ha portato a scendere per monti e valli, ad attraversare campi, pascoli e città, ora benevolo, ora distruttivo, sempre maestoso e sovranamente indifferente.

 

Verrà il tempo
in cui dovrò
sboccare
sull’oceano,
mescolare le mie
limpide acque con le sue
acque torbide,
che dovrò
zittire il mio canto
luminoso,
che dovrò far tacere
le mie grida furiose,
all’alba di tutti i giorni,
che schiarirò i miei occhi
con il mare.
Verrà il giorno,
e nei mari immensi
non vedrò più i miei campi
fertili,
non vedrò i miei alberi
verdi,
il mio vento intorno
il mio cielo chiaro,
il mio lago scuro,
il mio sole,
le mie nubi,
non vedrò nulla,
nulla,
unicamente il
cielo azzurro,
immenso,
e
tutto si dissolverà in
una pianura d’acqua,
dove non saranno canti o poesie,
solo piccoli fiumi che scendono,
fiumi abbondanti che scendono a unirsi
nelle mie nuove acque luminose,
acque
spente.

 

 

Sul Madre de Dios, il grande fiume amazzonico, la vita e la morte incrociarono i loro passi per l’ultima volta per Javier Heraud, enfant prodige della poesia peruviana, vincitore di svariati concorsi scolastici, insegnante più giovane del Perù, figlio amatissimo di una famiglia della borghesia di Lima, guerrigliero per amore della pienezza della vita. Tacitato il suo canto, messo fuori uso il suo povero fucile con cui sperava di «abrir nuevos soles salvadores» («aprire la strada a nuovi soli di salvezza»)[13] ai più diseredati, attorno a lui si confusero l’azzurro del cielo e l’azzurro delle acque e gli alberi e gli uccelli.

… alla fine morirò
in una sera qualsiasi
fra uccelli
e alberi.

(da Recuento del año, 1961)

 

suo manoscritto

Suo manoscritto.

 

La tomba del poeta a Puerto Maldonado, Perù, frontirta con la Bolivia

La tomba del poeta a Puerto Maldonado, Perù, frontiera con la Bolivia


Le traduzioni sono a cura di Julia Maciel, salvo quella di El río.

 

Bibliografia:

 

  1. Dalton, J. Heraud, F. Urondo, Tre poeti assassinati, 1978, Vallecchi, Firenze, a cura di Julia Maciel; a quanto mi risulta, sola traccia lasciata nell’editoria italiana da Heraud, del quale si propongono e traducono solo alcune poesie.

tre poeti assassinati

Tre poeti assassinati.

El río (di cui ho presentato solo la parte finale, perché è piuttosto lungo) è nella traduzione di Franco Sotgiu (ambientalista e micologo), che ho leggermente rimaneggiato: francosotgiu.1.blogspot.com/2012/10/javier-heraud-il-poeta-guerrigliero.html

Tutte le altre citazioni provengono da sue poesie /lettere non tradotte in italiano e trovate su: https: //www.marxists.org/espanol/heraud//poemarios/index.htm,

  1. Heraud, Poesías completas y Cartes, Biblioteca peruana, 1976, consultabile in rete.

 

 

Cecilia Heraud Pérez, Entre los rios01a

Cecilia Heraud Pérez [sorella del poeta], Entre los rios.


 

[1] Javier Heraud così scrive nella poesia Arte poética, 1962; in Id., Poesía completa, Lima, Peisa, 1989:

En verdad, en verdad hablando,
la poesía es un trabajo difícil
que se pierde o se gana
al compás de los años otoñales.

(Cuando uno es joven
y las flores que caen no se recogen
uno escribe y escribe entre las noches,
y a veces se llenan cientos y cientos
de cuartillas inservibles.
Uno puede alardear y decir
“yo escribo y no corrijo,
los poemas salen de mi mano
como la primavera que derrumbaron
los viejos cipreses de mi calle”)
Pero conforme pasa el tiempo
y los años se filtran entre las sienes,
la poesía se va haciendo
trabajo de alfarero,
arcilla que se cuece entre las manos,
arcilla que moldean fuegos rápidos.

Y la poesía es
un relámpago maravilloso,
una lluvia de palabras silenciosas,
un bosque de latidos y esperanzas,
el canto de los pueblos oprimidos,
el nuevo canto de los pueblos liberados.

Y la poesía es entonces,
el amor, la muerte,
la redención del hombre.

Madrid, 1961 – La Habana, 1962

[2] L’Alliance française è un ente privato che ha uno statuto simile a quello di un’associazione. La sua missione è di promuovere la lingua francese e le culture francofone all’estero, attraverso una fitta rete di sedi.

[3] Cfr., Mario Vargas Llosa entrevista a Javier Heraud. Fuente: Entrevista realizada en Radiodifussion-Télévision Française. París, 1 de setiembre de 1961. http://copypasteilustrado.com/2014/03/22/mario-vargas-llosa-javier-heraud-entrevista-poesia-paris-radio/ [http://www.librosperuanos.com/autores/articulo/00000002323/Mario-Vargas-Llosa-entrevista-a-Javier-Heraud].

[4] Dopo l’incontro con Fidel Castro, «l’uomo della rivoluzione, semplice, normale e cordiale», scrive: «vi a Fidel de piedra movediza escuché su voz de furia / incontenible hacia los enemigos. Y recordé mi triste patria, mi pueblo / amordazado, sus tristes niños, sus calles despobladas de alegría [«Ho visto Fidel, dalle sabbie mobili, ho sentito la sua voce di rabbia incontenibile verso i nemici. E ho ricordato la mia triste patria, il mio popolo imbavagliato, i tristi bambini, le loro strade spopolate di gioia]».

[5] «mi unico reino es mi corazón cantando, / …es mi corazón hablando, / mi corazón llorado» (Khrisna o los deseos).

[6] Las llaves de la muerte (Le chiavi della morte).

[7] Khrisna o los deseos (Khrisna o i desideri).

[8] Harar, l’ultimo rifugio di Arthur Rimbaud, il luogo da dove sognava di tornare «con membra di ferro, la pelle scura, l’occhio furente» e da cui invece ripartì in fin di vita su «una barella coperta da una tenda», è una remota cittadina sull’altopiano etiopico che sovrasta i deserti dell’Ogaden e della Dancalia.

[9] Arte poética.

[10] Poema especial.

[11] Il Pico Turquino, 1.974 metri, è il punto più alto di Cuba, nel cuore della Sierra Maestra.

[12] Explicacion.

[13] Poema especial.


Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.
Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli
Farnanda Mazzoli – Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello. Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche. Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana. Rivendicazione di una «ecologia integrale». Defatalizzazione del mito del progresso.
Fernanda Mazzoli – Una voce poetica dimenticata: Isaak Ėmmanuilovič Babel’. Fondare la rivoluzione sull’anima umana, sulla sua aspirazione al bene, alla verità, al pieno dispiegarsi delle sue facoltà. La rivoluzione non può negare la spiritualità, l’esperienza interiore dell’uomo, i suoi fondamenti morali.
Fernanda Mazzoli, César Vallejo (1892-1938) – Occorre spezzare la barriera secolare che esiste fra l’intelligenza e il popolo, fra lo spirito e la materia, e ciò deve avvenire orizzontalmente, non verticalmente, cioè spalla contro spalla.


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Fernanda Mazzoli – Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello. Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche. Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana. Rivendicazione di una «ecologia integrale». Defatalizzazione del mito del progresso.

Fernanda Mazzoli03 Paciello Giancarlo

Locandina della Presentazione

Sabato 9 dicembre 2017, alle ore 17,30

Presso la libreria Odradek, Via dei Banchi Vecchi, 57  –  Roma

Piero Pagliani

presenterà il libro di Giancarlo Paciello

Coperta 270

No alla globalizzazione dell’indifferenza

ISBN 978-88-7588-193-1, 2017, pp. 448, formato 170×240 mm., Euro 30

 

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Fernanda Mazzoli

Il libro No alla globalizzazione dell’indifferenza

di Giancarlo Paciello

Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche.

Vi si dispiegano la curiosità intellettuale e la visione universalistica dell’autore permettono al lettore di costruirsi un suo proprio percorso.

Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana, pur nel riconoscimento delle diversità culturali.

Rivendicazione di una «ecologia integrale» che non può che scontrarsi con la voracità onnivora del «capitalismo assoluto» dei nostri tempi.

Defatalizzazione del mito del progresso, cui siamo tutti devoti da almeno duecento anni

Affermazione della necessità di una comune battaglia contro la «Divinità… falsa e bugiarda, l’Economia».


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Fernanda Mazzoli,
Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello

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Fernanda Mazzoli

Giancarlo Paciello, con il libro No alla globalizzazione dell’indifferenza edito da Petite Plaisance, offre al lettore un testo singolare, per struttura e per respiro, coinvolgendolo in un percorso impegnativo e stimolante che spazia dalla storia all’economia, alla filosofia, al diritto, all’ecologia. Un invito a leggere il mondo contemporaneo, nelle sue diverse articolazioni e nella sua unità di fondo, con la lente critica di un pensiero forte che continua ad interrogarsi sulla storia e sulla condizione dell’uomo, un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche che, oggi più che mai, offuscano la realtà brutale dei rapporti di produzione capitalistici e che non rinuncia ad indicare possibili vie d’uscita a chi non crede che questo sia “il migliore dei mondi possibili”.

Il libro è costruito attorno ad una ricchissima, per quantità e qualità, rete di riferimenti testuali che fanno di questo saggio non solo uno strumento prezioso per chiunque aspiri ad una comprensione profonda, attenta ai fondamenti storici e filosofici, della società attuale, ma anche una via maestra di accesso alle ricerche e alle teorie di tanti, significativi studiosi. Non solo: la varietà degli ambiti conoscitivi in cui si dispiegano la curiosità intellettuale e la visione universalistica dell’autore permettono al lettore di costruirsi un suo proprio percorso, approfondendo certe tematiche e scoprendo relazioni non scontate tra fenomeni apparentemente distanti. Operazione legittima, a patto di non rinunciare a scoprire l’unità dell’insieme che può sfuggire ad una lettura frettolosa. È l’autore stesso, nella pagina iniziale, a fornirci la bussola da utilizzare in questo viaggio: con materiale di grande valore, cucito con il filo rosso della storia e della filosofia, ha messo a punto una «coperta dell’umanità».

Afflato universalistico, dunque: e proprio qui, nell’appassionata rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana, pur nel riconoscimento delle diversità culturali, si esercita la critica dissolvente di Giancarlo Paciello che prende le distanze dall’ideologia dominante dei «diritti umani», ricondotti alla loro precisa matrice storica (la Rivoluzione americana e quella francese) e demistificati in quanto espressione di una fasulla ed ipocrita universalità dietro la quale si celano interessi molto, troppo particolari – politici, militari, economici – che coincidono con quelli dell’Occidente liberista.

La visione universalistica si sviluppa, invece, in tutta la sua grandezza, e urgenza, nell’attenzione posta nella necessità di un ritrovato, armonioso equilibrio tra l’uomo e la natura: l’ecologia occupa un posto centrale nella riflessione di Paciello, fa da collante tra le diverse parti del suo lavoro, tesse richiami tra ambiti differenti dell’attività umana, istituisce uno sguardo alternativo sull’economia e disegna una prospettiva di uscita dalle secche dall’attuale sistema socio-economico.

Una «ecologia integrale» non può che scontrarsi con la voracità onnivora del «capitalismo assoluto» dei nostri tempi: sostenuto dalle argomentazioni di pensatori di grande rilievo, (basti qui citare Aristotele, Marx, Preve) e dalle ricerche di storici, economisti e sociologi (Hobsbawm, Bontempelli, Bevilacqua, Polanyi, Wallerstein, Michéa , Nebbia, Livi Bacci, e tanti altri) l’autore fa tabula rasa di una “mitologia” capitalistica contrabbandata come incontrovertibile verità scientifica, stabilmente installata nell’immaginario contemporaneo: l’economia neoclassica, riportata alla sua natura di crematistica, accumulazione di denaro fine a se stessa, la costruzione dell’individuo «razionale», calcolatore della teoria liberale, l’idea di un progresso infinito che disconosce il limite , l’«imbroglio ecologico» che ha occultato le radici capitalistiche della violenza contro una natura rimossa dalla sua dimensione storica, l’universalismo «farlocco» a stelle e strisce delle guerre «umanitarie».

Sfatare il mito del progresso, cui siamo tutti devoti da almeno duecento anni, è operazione che richiede una buona dose di coraggio intellettuale, anche perché implica fare i conti, in modo maturo e talora doloroso, con la tradizione ideale e l’esperienza politica della sinistra. La riflessione di Paciello, alimentata dalle tesi di Larsch, Michéa e Orwell, apre, qui, un terreno ancora in gran parte, almeno nel nostro Paese, da dissodare e che potrebbe essere foriero sia di un’adeguata interpretazione in sede storica, nonché politica di diversi fenomeni, sottraendoli innanzitutto alla categoria inconsistente e fuorviante del «tradimento», sia di una progettualità alternativa che sappia prendere le distanze da quanto in quella tradizione conteneva le premesse per la sua resa al modello economico e culturale dominante.

È, questo, un libro che ha il pregio di rispondere a molte domande essenziali del nostro tempo, ma, contemporaneamente, di suscitarne sempre di nuove, di fare il punto in modo rigoroso ed appassionato su numerosi temi e di dischiuderne altri. Il ruolo della dottrina sociale della Chiesa, cui l’attuale pontefice è particolarmente attento, è sicuramente, per chi scrive, uno di questi. Pur non disconoscendo l’elemento di rottura rispetto ai suoi predecessori rappresentatato da papa Bergoglio, né la bellezza e la grande umanità dell’Enciclica Laudato si’ (ampi stralci della quale sono proposti nella parte seconda) e pur comprendendo il carattere universale, come sottolinea Giancarlo Paciello, di un messaggio rivolto alle «persone di buona volontà», interessate alla «cura della casa comune», due sono le questioni aperte dalla scelta di dare una tale centralità all’Enciclica. La prima è piuttosto scontata, ma non perciò da accantonare: il divario tra l’accorata denuncia papale dello strapotere del denaro e la decisa presa in carico della sofferenza dei poveri stridono drammaticamente con l’effettiva potenza economica dello Stato del Vaticano e dell’istituzione religiosa, sì da prestarsi a confermare, nelle nuove circostanze, la giustezza del famoso detto di Marx sull’oppio dei popoli. La seconda, pur nella consapevolezza del debito storico e culturale verso l’universalismo cristiano, si interroga sul rischio, davanti allo sfacelo culturale, politico, sociale ed antropologico della tarda modernità, di un ritorno all’indietro, nell’alveo rassicurante di una comunità che trova nelle forme della religione uno dei suoi fondamenti, nonché un baluardo da opporre allo sradicamento devastante del capitalismo assoluto. Rischio di cui è ben consapevole Giancarlo Paciello il quale, pur auspicando un dialogo tra scienza, religione e filosofia in merito e alle sorti dell’umanità e alla necessità di una comune battaglia contro una «Divinità… falsa e bugiarda, l’Economia», rivendica, nel solco di Preve, la centralità della filosofia, distanziandosi ancora una volta dal conformismo culturale – accademico che riconosce solo l’alternativa tra scienza e religione, dopo avere delegittimato la filosofia, per sua natura poco disposta a piegarsi davanti alla nuova divinità economica che non teme la scienza di cui, anzi, si serve in funzione tecnologica, né la religione che supplisce all’insensatezza sociale creata dalla produzione illimitata di merci. Un’insensatezza che si alimenta della stessa indifferenza – al saccheggio dell’ambiente, a diseguaglianze sociali insostenibili, alla mercificazione di ogni ambito dell’esistenza – che produce e contro la quale questo libro costituisce un sicuro antidoto.

Fernanda Mazzoli


Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.
Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli

 

Giancarlo Paciello

Giancarlo Paciello

Giancarlo Paciello – Ci risiamo: ancora l’infame riproposizione “Processo di pace” e “Due popoli, due Stati!”
Giancarlo Paciello – La Costituzione tradita. Intervista a cura di Luigi Tedeschi
Giancarlo Paciello – Ministoria della Rivoluzione cubana
Giancarlo Paciello – Diciamocelo: un po’ di storia non guasta. Dalle “battaglie dell’estate” del 1943 in Europa, all’avvento dell’Italia democristiana nel 1949
Giancarlo Paciello – Oggi 29 novembre! Oggi, ancora, solidarietà per il popolo palestinese.
Giancarlo Paciello – Uno scheletro nell’armadio dello Stato: la morte di Pinelli.
Giancarlo Paciello – Per il popolo palestinese. La trasformazione demografica della Palestina. Cronologia (1882-1950). Ma chi sono i rifugiati palestinesi? Hamas, un ostacolo per la pace? L’unico vero ostacolo: occupazione militare e colonie.
Giancarlo Paciello – Ascesa e caduta del nuovo secolo “americano” (Potremo approfittarne? Sapremo approfittarne?)

 

 

La conquista della Palestina. Le origini della tragedia palestinese. Con testi di Henry Laurens, Francis Jennings,  Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir.
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Quale processo di pace? Cinquant’anni di espulsioni e di espropriazioni di terre ai palestinesi
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La nuova Intifada. Per il diritto alla vita del popolo palestinese.
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Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.

Fernanda Mazzoli

«Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo […] oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista». Fermanda Mazzoli

 

 

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FERNANDA MAZZOLI

SCUOLA LIQUIDA

LA LIQUIDAZIONE DELLA SCUOLA PUBBLICA

La Legge 107 varata nel luglio 2015, la cosiddetta “buona scuola”, è il tentativo più recente di dare profilo istituzionale alla deriva aziendalistica e consumista dell’istruzione voluta dalle oligarchie cui non sfugge l’alterità della conoscenza e del pensiero critico rispetto alla logica del profitto. Scuola azienda, dove impianto verticistico e addestramento alle competenze specifiche si combinano a formare lavoratori poco qualificati, destinati a precariato e sfruttamento, in ossequio alle politiche neoliberiste. Scuola supermercato, dove allo studente-cliente si apre il ventaglio di un’offerta abbondante, allettante e intercambiabile, indirizzata a un consumatore onnivoro. Scuola leggera, fortemente impoverita nella sua dimensione formativa e culturale, subordinata alle esigenze immediate del mercato, obbediente al pensiero unico del totalitarismo digitale e tecnologico. Ecco i muri portanti per collocare l’istruzione pubblica nel poderoso edificio ideologico che fa da supporto alla gigantesca controffensiva proprietaria scatenata negli ultimi decenni. Ambizioso progetto di controllo sociale che mira alla privatizzazione della scuola pubblica e passa per una ridefinizione del docente che la nuova pedagogia di Stato svuota della sua identità culturale e trasforma in animatore, organizzatore, compilatore di schede. Diventa necessario, allora, rovesciare il paradigma di subordinazione culturale al mercato, individuando proprio nella scuola il terreno fertile per un’apertura verso una visione diversa della società e della vita.

Fernanda Mazzoli si è occupata di letteratura orale e processi di stregoneria in area centro-europea, collaborando a diverse riviste. Insegna francese in un Liceo linguistico.

Sensibili alle foglie, 2016

ISBN 978-88-98963-55-3

p. 120


 

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Premessa


Indice

 

LA ROTTAMAZIONE DELLA SCUOLA
A buona scuola cattivi maestri – Gli inadeguati… – … si adeguano …

DALLA SCUOLA ALL’AZIENDA
Cucito o spremitura delle olive? – TreLLLe in cattedra –Ma in presidenza c’è l’Europa – Competenze per competere – Fondata sul lavoro – Il totalitarismo digitale – Alfabetizzazioni – Dalla “buona scuola” alla Legge 107 – Un silenzio assordante – Buona scuola e cattiva lingua

INSEGNANTI SENZA SEGNO
Quantificare – Valorizzare – Controllo qualità – Valutare – La gestione manageriale – Autonomia … da che cosa? – Uno, nessuno, centomila

IL PROGETTIFICIO
Autonomia dall’insegnamento – Animare e facilitare – Dacci oggi la nostra animazione quotidiana – La scuola supermercato – Cosa metto nel carrello? – Docenti a consumo e docenti consumati – Prove di arrembaggio – La dismissione

UNA SCUOLA ALTRA
Lasciateci lavorare – La resistenza culturale – Per una scuola forte – Aperture – Dalla nuova religione digitale… – … Alla Lectio – Non di solo digitale – Elogio della difficoltà – Scommessa per il futuro


Scuola liquida. Fernanda Mazzoli – YouTube


La Strega nella tradizione ugro-finnica e in quella occidentale

La Strega nella tradizione ugro-finnica e in quella occidentale


Su questo argomento:

 

067G

Massimo Bontempelli
L’agonia della scuola italiana

ISBN 88-87296-79-0, 2000, pp. 144,  € 10,00.

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Luca Grecchi – Scuola “elementare”? Dalla filosofia antica ai giorni nostri

Luca Grecchi_Scuola elementare

Nei tempi antichi, Eraclito scrisse che colui che sa non è chi conosce tante cose in modo superficiale e disordinato, ma chi conosce poche cose essenziali, in modo profondo ed ordinato. Questo messaggio risulta a mio avviso particolarmente importante per chi si trova agli inizi del percorso conoscitivo, ossia per i bambini della scuola elementare. La scuola “elementare” infatti, come dice la parola stessa, deve fornire proprio gli elementi primi, i mattoncini, su cui poi si costruisce l’intero sapere educativo. Così come la fisica si apprende partendo dagli atomi, o meglio dalle componenti più piccole della materia, che poi formano le molecole; così come la matematica si impara inizialmente dai numeri, su cui poi si strutturano le operazioni; così come la lingua si impara partendo dalle lettere dell’alfabeto, su cui poi si costruiscono le parole, è importante che ai bambini delle scuole elementari vengano fornite soprattutto solide conoscenze di base sulle materie fondamentali (italiano, storia, matematica, scienze, geografia), le quali consentiranno poi loro, appunto, di costruire uno stabile edificio di sapere.
Questa idea di fondo è già presente nella filosofia antica. Nel suo De rerum natura  ad esempio, Lucrezio, basandosi sulla precedente opera di Democrito ed Epicuro, esplicitò chiaramente il principio della formazione degli enti, ponendolo in stretta connessione col principio della formazione delle parole. Così come nel I libro egli scrisse infatti degli elementi primi fisici, ossia degli atomi, che formano i corpi, nel II libro trattò con gli stessi termini degli elementi primi grafici, ossia delle lettere, che formano le parole. Tale parallelismo è peraltro favorito proprio dalla parola latina elementum, che, al pari della parola greca stoicheion, indica sia l’atomo che la lettera. Così dunque come, unendo gli elementi fisici secondo precise modalità si formano le cose, unendo gli elementi grafici secondo precise modalità si formano le parole. Tale parallelismo fu presente anche in Platone, che nel Teeteto considerava le lettere dell’alfabeto come quegli elementi visibili e noti, in grado forse di farci conoscere gli elementi invisibili ed ignoti del cosmo. In maniera analoga Aristotele, nella Metafisica, indagando la causa materiale dei fenomeni fisici, scrisse che occorre innanzitutto indagare gli elementi costitutivi degli enti che strutturano tali fenomeni; significativamente, egli comunque intese la causa materiale in un senso molto ampio, tanto che, citando qualche esempio della medesima, lo Stagirita menzionò appunto le lettere dell’alfabeto, costitutive delle parole, e le premesse dei sillogismi, costitutive delle conclusioni.
I paradigmi che mostrano la necessità, per progredire nel sapere, di conoscere bene gli elementi primi della realtà, si potrebbero ampliare. Nella chimica ad esempio, già Empedocle, e dopo di lui la maggior parte del pensiero scientifico greco, ritenne che i 4 elementi costitutivi del cosmo (acqua, aria, terra, fuoco) fossero la base per comprenderne le trasformazioni; dalla loro combinazione infatti, in base alle loro caratteristiche strutturali, derivano tutti gli enti ed i fenomeni del cosmo fisico. Dopo Mendeleev il sistema periodico degli elementi ha raggiunto la cifra di 109, e non più di 4, ma mantenendo lo stesso ragionamento di fondo: gli elementi sono i principi costitutivi della materia sicché, se si vuole comprendere la realtà fisica, composta di materia, occorre conoscere bene gli elementi.
Il pensiero antico, filosofico e scientifico, mostra dunque un parallelismo fra materia e linguaggio. Così infatti come nella materia gli atomi formano le molecole, queste ultime i sistemi supramolecolari, da qui le cellule e con esse gli organi, gli apparati ed infine il corpo, nel mondo linguistico le lettere formano prima le sillabe, poi le parole, poi le frasi, i libri, le enciclopedie ed infine l’intera biblioteca del sapere. La realtà è in effetti sistematica, ossia interconnessa, sicché è fondamentale comprenderne gli elementi costitutivi, ossia le parti, in quanto esse sono i mattoni su cui si strutturano le connessioni della realtà medesima. Senza conoscere gli elementi primi e le connessioni di base, dunque, non si può comprendere la realtà.
Ho svolto questa lunga premessa non tanto per ribadire cose ampiamente conosciute dagli studiosi del pensiero antico – ma non, ovviamente, da tutte le persone –, quanto per rendere più agevole la comprensione di come le riforme della scuola degli ultimi anni, comprese quelle della scuola elementare (con il recente cospicuo apporto della cosiddetta “buona scuola”), stiano andando in una direzione totalmente opposta rispetto a quella concordemente auspicata dai più grandi filosofi della Grecia classica: autorità, se me lo si concede, degne sempre di un certo ascolto. Anziché, infatti, rinsaldare gli elementi primari del sapere, in una visione unitaria – che peraltro la figura del maestro unico favoriva – facilitante la comprensione dell’intero, la scuola elementare propone oggi al contrario proprio quella polymathia criticata da Eraclito, ossia quel presuntuoso voler sapere tante cose (che poi, semplicemente spiluccate, non vengono interiorizzate, e vengono per questo rapidamente dimenticate), che alla fine non lascia in mano nulla. Non è infatti un segreto, ma è anzi per le attuali forze politiche un motivo di vanto, che nelle scuole elementari siano non solo insegnate – in maniera differenziata, ma comunque diffusa – materie come inglese, informatica, economia, ma che vengano anche svolte, nelle ore di lezione, attività tipo corsi di scacchi, o simili, che sottraggono tempo e considerazione alle materie di base, solitamente alla lingua italiana.
La maggior parte dei genitori, che risente del clima culturale del nostro tempo, tende di solito a ben considerare queste novità, che si ritiene da un lato alleggeriscano i figli dalla presunta seriosità della scuola, e dall’altro li avvicinino da subito alle esigenze del mercato del lavoro (l’inglese, l’informatica, tra qualche anno l’impresa…). Dal mio punto di vista, ossia dal punto di vista di un papà che insegna anche Storia della filosofia alla università statale, mi pare invece che in questo modo si stia arrecando ai ragazzi un danno, i cui effetti – queste riforme essendo in corso da una ventina d’anni – sono già visibili nelle attuali generazioni di studenti.
Chiunque infatti si trovi a leggere elaborati scritti dei giovani universitari, sa che la qualità degli stessi è negli anni notevolmente peggiorata, anche a livello delle più elementari (appunto) norme grammaticali: ortografia, sintassi, punteggiatura. Non parlo poi della poca capacità di approfondire con originalità i contenuti, della precaria coordinazione logica delle proposizioni, della esigua povertà del lessico: anche gli esami orali mostrano sovente – salvo eccezioni, come ovvio sempre presenti – un quadro desolante. Naturalmente, come emerge analizzando l’intero sistema scolastico italiano (sul quale i libri di Massimo Bontempelli e Lucio Russo continuano ad essere insuperati),  non tutte le colpe sono da far risalire alle scuole elementari. Tuttavia, il fatto che sin dall’inizio si punti non a rendere stabili le fondamenta, le pietre d’angolo, i mattoni del sapere, ma si disperda il tempo in molte materie/iniziative che non hanno come finalità primaria l’educazione (il favorire la formazione della persona), ma solo, quando va bene, la istruzione (il fornire, appunto, strumenti ai futuri lavoratori/consumatori: a questo servono l’inglese, l’informatica e l’economia spicciola), non è una buona cosa. I bambini infatti non sentono più di stare costruendo a scuola il proprio futuro – cosa particolarmente importante soprattutto per chi viene da famiglie non agiate –, ma solo di stare passando il proprio tempo facendo varie cose non sempre collegate fra loro. Tuttavia, per una vera educazione, una solida struttura di base è necessaria: solo così, in futuro, cresceranno infatti persone stabilmente in grado di ragionare con la propria testa, di comprendere la realtà e di appassionarsi ad essa, cercando di mutarla per il meglio. Viene talvolta il dubbio purtroppo, alla luce delle argomentazioni qui presentate, che le riforme della scuola degli ultimi anni, peraltro simili in tutti i paesi occidentali, abbiano come fine proprio la riduzione della possibilità che si formino, nel tempo, persone siffatte.

Luca Grecchi
13/02/2017

 

 

Già pubblicato su “Diogene Magazine” del 13-02-2017.

Diogene Magazine

Dello stesso autore nel Blog di Petite Plaisance:

Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.

Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare

Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD

Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo

Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia

Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.

Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.

Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.

Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.

Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele

Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità

Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno

Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.

Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.

Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?

Luca Grecchi – Sulla progettualità

Luca Grecchi – Perché la progettualità?

Luca GrecchiAristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.

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Luca Grecchi

Luca Grecchi (1972), direttore della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia, insegna Storia della Filosofia presso la Università degli Studi di Milano Bicocca. Da alcuni anni sta strutturando un sistema onto-assiologico definito “metafisica umanistica”, che vorrebbe costituire una sintesi della struttura sistematica della verità dell’essere. Esso rappresenta, nella sua opera, la base teoretica di riferimento sia per la fondazione di una progettualità sociale anticrematistica, sia per la interpretazione dei principali pensieri filosofici. Grecchi è soprattutto autore di una ampia interpretazione umanistica dell’antico pensiero greco, nonché di alcuni studi monografici su filosofi moderni e contemporanei, e di libri tematici su importanti argomenti (la metafisica, la felicità, il bene, la morte, l’Occidente). Collabora con la rivista on line Diogene Magazine e con il quotidiano on line Sicilia Journal. Ha pubblicato libri-dialogo con alcuni fra i maggiori filosofi italiani, quali Enrico Berti, Umberto Galimberti, Costanzo Preve, Carmelo Vigna.

Libri di Luca Grecchi

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L’anima umana come fondamento della verità (2002) è il primo libro di Grecchi, che pone, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati i suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema metafisico costituisce la base per una analisi critica della attuale totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze della natura umana. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dell’autore compiuti negli anni novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale.

Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx costituisce in un certo senso una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi originale, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, Grecchi propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico. Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007.

La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004) con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura poetica ed umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana.

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005) con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano.

Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura umana. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista.

Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore.

Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimento imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro «una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo» in esame.

Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla società attuale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa è la felicità. Scrive Vegetti, nel testo, che Grecchi è «pensatore a suo modo classico», per il suo «andar diritto verso il cuore dei problemi». Il libro è assunto come riferimento bibliografico, per il tema in oggetto, dalla Enciclopedia filosofica Bompiani. .

Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale «risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa».  

Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, in maniera insieme divulgativa ed originale, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo.

La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “togliere” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.

Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico.

Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. Il testo rispecchia la tendenza dell’autore a prendere sempre seriamente in carico le altrui posizioni; secondo Grecchi, infatti, di fronte a critiche intelligenti, sono solo due gli atteggiamenti filosofici possibili: o fornire argomentate risposte, o prendere atto della correttezza delle critiche e rivedere le proprie posizioni. Il tema caratterizzante il testo è dunque la “lotta amichevole” per la emersione della verità.

L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è un libro in cui Grecchi effettua, in sintesi, la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi principali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione politico-sociale. L’uomo infatti assume centralità, in vario modo, in tutti i vari filoni culturali della Grecità, dal pensiero omerico a quello presocratico, dal teatro fino all’ellenismo.

L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone, da Grecchi in quegli anni ritenuto come il più rappresentativo della Grecità. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale e della totalità sociale.

L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele, che sarà poi da Grecchi ripreso negli anni successivi come struttura teoretica di riferimento. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale della totalità sociale.

Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) la centralità dell’uomo; b) la ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta essere Socrate.

Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso che avrebbe potuto essere tenuto da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.

Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.

Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2009), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in cui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore.

L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese.

L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano.

L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico.

A partire dai filosofi antichi (2010), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto – anche se soprattutto – dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che «questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana».

L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore colma una distanza temporale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico della Roma imperiale. Il testo si divide in due parti. Nella prima, in ossequio alla tesi per cui ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso spesso “deduce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello romano, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino.

Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata.

La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita dei tronchi di pressoché tutte le discipline filosofiche e scientifiche tuttora studiate nella modernità (con varie ramificazioni). Tradizionalmente, tuttavia, la filosofia della storia è ritenuta essere disciplina moderna, senza precedenti antichi. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa.

Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di «una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa».

Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano gli antichi Greci come vicini alla xenofobia, mostra che, sin dall’epoca omerica, essi furono invece aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”, il quale possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”.

Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare.

L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza questo autore. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si distingue per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità.

L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori come “naturalisti”, e che li separano sia dalla poesia e dal teatro precedenti, sia dalla filosofia e dalla scienza successive. L’autore, facendo riferimento agli studi di Mondolfo, Capizzi, Bontempelli e soprattutto Preve, mostra il nesso di continuità del pensiero presocratico con l’intero pensiero greco classico. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora.

Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica ed, al contempo, di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, presente oramai solo in un numero limitato di studiosi.

Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi non si limita a descrivere il pensiero dell’autore considerato ma, come è nel suo approccio, valuta; in maniera solitamente concorde, eppure talvolta anche critica, in particolare nella opposizione fra metafisica classica e metafisica umanistica.

Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti sterile ed inefficace. Assumendo come base principalmente il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori appunto definiscono – ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”.

Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero, che Grecchi assume invece ancora come centrale. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico.

La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. In esso Grecchi anticipa alcuni temi portanti del suo testo che sarà intitolato Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere, cui sta lavorando dal 2003.

Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. Quest’ultimo è un tema poco indagato in quanto mancano, alla mentalità filologica – poco teoretica – tipica del mondo accademico di oggi, i necessari riferimenti testuali (i Greci non avevano nemmeno la parola “alienazione”); questo saggio tuttavia può aprire un filone di ricerca su una tematica tuttora inesplorata.

Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”.

Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul Bene tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il Bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del Bene.

Discorsi sulla morte (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo.

L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (solitamente poco considerati), nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’aristotelismo che ebbero il loro punto culminante nel 1277.

L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che critica la tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque, a suo avviso, la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.

In preparazione:

Umanesimo ed antiumanesimo nella filosofia moderna (e contemporanea);

L’umanesimo greco-classico di Spinoza;

Il sistema filosofico di Aristotele;

Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere.

 

 

 

 


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Antonio Fiocco – Difendere in tutti i modi la progettualità.

Quale progettualità?

Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx
Antonio Fiocco

Difendere in tutti i modi la progettualità

***

Volendo rendere manifesta – senza equivoci e fin dal principio – la mia posizione, affermo di essere a favore di un deciso primato della progettualità sulla pratica immediata, o, estendendo il tema, della teoria sulla prassi. Questo, sia per ragioni filosofiche, che si riassumono nell’articolo di Luca Grecchi Il primato della teoria sulla prassi: una riflessione per la politica (24 giugno 2015) e apparso in rete, sia per l’evidenza dell’attuale strapotere capitalistico, che occupa con protervia l’intero spazio sociale e che, quanto a rapporti di forza, non ammette più concessioni ai suoi schiavi salariati e/o stipendiati.

Se proprio vogliamo parlare di prassi concreta, ebbene ci troviamo nella stessa tragica situazione di uno Spartaco con il destino di doversi ribellare allo schiavismo proprio nel momento di massima fioritura storica del modo di produzione schiavistico, e dunque senza prospettive immediate (ma … il suo esempio rifulge da tanti secoli).

Si può anche dire, con Max Horkheimer, usando l’espressione di Massimo Bontempelli nel suo primo manuale di filosofia (Il senso dell’essere nelle culture occidentali), a proposito delle ragioni della nascita della scuola di Francoforte, che «il compito di una teoria critica è in un certo senso surrogatorio della prassi politica rivoluzionaria, in quanto consiste nel tener vivi entro lo spazio della speculazione filosofica, nel corso di un’epoca storica di durata imprecisata, quegli ideali marxisti di integrale liberazione dell’uomo che non risultano in tale epoca politicamente agibili». Non si poteva dire meglio e certo – mutatis mutandis – la situazione europea dei terribili anni Trenta del Novecento ha attinenza, quanto a totalitarismo, con l’epoca che stiamo attualmente subendo. [… Leggi tutto nel PDF allegato]

Antonio Fiocco,
Difendere in tutti i modi la progettualità


Gli altri interventi

Luca Grecchi, Sulla progettualità

Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi

Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.


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Luca Grecchi – Sulla progettualità

Quale progettualità?

Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx
Con questo testo inizia, per questo numero,
una nuova modalità di costruzione in progress della rivista Koinè.
Il tema è quello della progettualità.
Chi vuole partecipare, può inviare il proprio elaborato.
I testi più significativi saranno prima raccolti su queste pagine
e poi pubblicati anche in volume cartaceo.
Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx

a tutto campo

Luca Grecchi

Sulla progettualità

Nel maggio 2016 si è svolta, a Bologna, una informale riunione della redazione della rivista Koinè, di cui sono direttore dal 2003, ma che ha una storia assai più lunga, e direi meritoria, sin dalla originaria direzione di Carmine Fiorillo che data al 1993 (con la collaborazione, fra gli altri, degli amici scomparsi Massimo Bontempelli e Costanzo Preve). Per motivi famigliari non ho potuto partecipare quel giorno. Avevo però proposto due possibili temi di discussione, sui quali lavorare per la redazione del prossimo numero, distinguendosi Koinè – rispetto ad altre riviste analoghe – per la sua base filosofica progettuale, e per il non accontentarsi della mera critica politico-culturale dell’esistente.

I temi possibili erano i seguenti:
La riflessione sui motivi per i quali, nonostante la natura razionale e morale dell’uomo, si assiste da secoli alla diffusione globale della poco razionale e morale crematistica in ogni parte del pianeta.
La riflessione su come dovrebbe essere un modo di produzione sociale per essere migliore; chi, infatti, critica l’esistente senza avere un progetto ideale inerente le strutture socio-economiche fondamentali (forme della proprietà, della produzione e della distribuzione), produce culturalmente, ed anche politicamente, ben poca cosa.

Convinto che questa linea generale fosse condivisa da tutti i partecipanti – più volte è stato sostenuto che “l’unica critica seria che si può fare è quella che prende in considerazione il sistema tutto nelle sue strutture fondamentali”, il che richiede la necessità di pensare a strutture fondamentali alternative: la critica del resto, anche etimologicamente, richiede una scelta, una decisione, ma si può realmente decidere solo fra almeno due alternative determinate –, ho tuttavia verificato che così non è, e che vi sono alcune differenze rilevanti su questo tema all’interno di Koinè. Poiché queste differenze sono comunque buone differenze, nel senso che riguardano contenuti effettivamente problematici che si possono sviluppare in direzioni diverse, ho ritenuto opportuno elaborare in queste pagine un discorso più generale, che prescinde dall’episodio concreto dell’incontro di Bologna (che di questa analisi è solo il contingente cominciamento). Prima di farlo, farò comunque alcune precisazioni, per sbrogliare il campo da due possibili malintesi:

La critica, specie se radicale, è aristotelicamente sempre benvenuta: senza dialettica, non vi è filosofia. Per questo spero che a queste pagine ne seguano altre di risposta.

Il confronto fra posizioni filosofiche non compromette mai, se essa è reale, l’amicizia fra le persone che lo pongono in essere; il “conflittismo”, in cui certa sinistra critica si è dilaniata per anni su piccoli dettagli lontanissimi dal vedere la luce, è sicuramente bandito da questo dialogo. [Leggi tutto]

Può dunque a mio avviso – salvo smentite –
ritenersi che un modo di produzione sociale
volto a favorire la comunità umana,
debba avere almeno queste tre determinazioni:

assenza di proprietà privata dei mezzi della produzione sociale
(non ovviamente dei prodotti necessari alla quotidianità);

assenza di mercato
(le persone potranno fare e scambiare ciò che vogliono, ma in forme comunitarie);

assenza di denaro
in ogni società storicamente esistita questo strumento
non è mai riuscito a mantenersi al rango di mezzo di pagamento,
divenendo presto riserva di valore per l’accumulazione).

Luca Grecchi, Sulla progettualità



Aristotele: la rivoluzione è nel progetto.
La «critica» rinvia alla «decisione»
di delineare un progetto di modo di produzione alternativo.
Se non conosciamo il fine da raggiungere,
dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?

Chi non progetta
ciò che può essere progettabile,
lo avrà fatto diventare,
col proprio non progettarlo,
qualcosa di irrealizzabile,
e a cui non porta più nessuna strada.

***

Luca Grecchi,
Aristotele: La rivoluzione è nel progetto

***

S O M M A R I O


La scelta del soggetto e la scelta del titolo

Il messaggio aristotelico non è “conservatore”

“Rivoluzione“ e “progetto“ versus “ribellione”

Aristotele può essere considerato pensatore progettuale e rivoluzionario

Aristotele non è accostabile al “ribellismo” dei vari maîtres à penser
Il suo pensiero punta a costruire una vita buona per tutti

Aristotele sostenne che la crematistica conduce ad una vita innaturale

Che cosa è il “bene” per Aristotele? E il “bene comune”?

Per Aristotele, insomma, serve una sorta di rivoluzione
delle modalità socio-economiche dominanti

Platone ed Aristotele andavano all’essenziale. Oggi non lo si fa più

Oggi si mercifica e si include anche la critica ribellistica.
Non si accetta quella fondata sulla natura umana: progettuale

Come dovrebbe essere un modo di produzione sociale per essere migliore?

Capire come le cose devono essere, non solo come le cose sono
La kallipolis aristotelica.
Chi vive senza un fine e senza un progetto, conduce davvero una ben misera esistenza

Non basta il ribellismo.
La critica, anche etimologicamente, rinvia alla decisione

Chi vuole fare filosofia deve ragionare sull’intero. Ogni modo di produzione è storico

Preparare su solide fondamenta quanto meno il progetto


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore) al 03-07-2016


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


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Quale progettualità? – Una nuova modalità di costruzione “in progress” della rivista «Koinè». Chi vuole partecipare, può inviare il proprio elaborato. Cominciamo con uno scritto di Luca Grecchi che apre il dibattito.

Quale progettualità?

Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiDiego Fusaro

Con questo testo inizia, per questo numero,
una nuova modalità di costruzione in progress della rivista Koinè.
Il tema è quello della progettualità.
Chi vuole partecipare, può inviare il proprio elaborato.
I testi più significativi saranno prima raccolti su queste pagine
e poi pubblicati anche in volume cartaceo.

 

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx

a tutto campo

Luca Grecchi

Sulla progettualità

Nel maggio 2016 si è svolta, a Bologna, una informale riunione della redazione della rivista Koinè, di cui sono direttore dal 2003, ma che ha una storia assai più lunga, e direi meritoria, sin dalla originaria direzione di Carmine Fiorillo che data al 1993 (con la collaborazione, fra gli altri, degli amici scomparsi Massimo Bontempelli e Costanzo Preve). Per motivi famigliari non ho potuto partecipare quel giorno. Avevo però proposto due possibili temi di discussione, sui quali lavorare per la redazione del prossimo numero, distinguendosi Koinè – rispetto ad altre riviste analoghe – per la sua base filosofica progettuale, e per il non accontentarsi della mera critica politico-culturale dell’esistente.

I temi possibili erano i seguenti:
La riflessione sui motivi per i quali, nonostante la natura razionale e morale dell’uomo, si assiste da secoli alla diffusione globale della poco razionale e morale crematistica in ogni parte del pianeta.
La riflessione su come dovrebbe essere un modo di produzione sociale per essere migliore; chi, infatti, critica l’esistente senza avere un progetto ideale inerente le strutture socio-economiche fondamentali (forme della proprietà, della produzione e della distribuzione), produce culturalmente, ed anche politicamente, ben poca cosa.

Convinto che questa linea generale fosse condivisa da tutti i partecipanti – più volte è stato sostenuto che “l’unica critica seria che si può fare è quella che prende in considerazione il sistema tutto nelle sue strutture fondamentali”, il che richiede la necessità di pensare a strutture fondamentali alternative: la critica del resto, anche etimologicamente, richiede una scelta, una decisione, ma si può realmente decidere solo fra almeno due alternative determinate –, ho tuttavia verificato che così non è, e che vi sono alcune differenze rilevanti su questo tema all’interno di Koinè. Poiché queste differenze sono comunque buone differenze, nel senso che riguardano contenuti effettivamente problematici che si possono sviluppare in direzioni diverse, ho ritenuto opportuno elaborare in queste pagine un discorso più generale, che prescinde dall’episodio concreto dell’incontro di Bologna (che di questa analisi è solo il contingente cominciamento). Prima di farlo, farò comunque alcune precisazioni, per sbrogliare il campo da due possibili malintesi:

La critica, specie se radicale, è aristotelicamente sempre benvenuta: senza dialettica, non vi è filosofia. Per questo spero che a queste pagine ne seguano altre di risposta.

Il confronto fra posizioni filosofiche non compromette mai, se essa è reale, l’amicizia fra le persone che lo pongono in essere; il “conflittismo”, in cui certa sinistra critica si è dilaniata per anni su piccoli dettagli lontanissimi dal vedere la luce, è sicuramente bandito da questo dialogo. [Leggi tutto]

Può dunque a mio avviso – salvo smentite –
ritenersi che un modo di produzione sociale
volto a favorire la comunità umana,
debba avere almeno queste tre determinazioni:

assenza di proprietà privata dei mezzi della produzione sociale
(non ovviamente dei prodotti necessari alla quotidianità);

assenza di mercato
(le persone potranno fare e scambiare ciò che vogliono, ma in forme comunitarie);

assenza di denaro
in ogni società storicamente esistita questo strumento
non è mai riuscito a mantenersi al rango di mezzo di pagamento,
divenendo presto riserva di valore per l’accumulazione).

Luca Grecchi, Sulla progettualità

 


 

 

 


Aristotele: la rivoluzione è nel progetto.
La «critica» rinvia alla «decisione»
di delineare un progetto di modo di produzione alternativo.
Se non conosciamo il fine da raggiungere,
dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?

Chi non progetta
ciò che può essere progettabile,
lo avrà fatto diventare,
col proprio non progettarlo,
qualcosa di irrealizzabile,
e a cui non porta più nessuna strada.

***

Luca Grecchi,
Aristotele: La rivoluzione è nel progetto

***

S O M M A R I O


La scelta del soggetto e la scelta del titolo

Il messaggio aristotelico non è “conservatore”

“Rivoluzione“ e “progetto“ versus “ribellione”

Aristotele può essere considerato pensatore progettuale e rivoluzionario

Aristotele non è accostabile al “ribellismo” dei vari maîtres à penser
Il suo pensiero punta a costruire una vita buona per tutti

Aristotele sostenne che la crematistica conduce ad una vita innaturale

Che cosa è il “bene” per Aristotele? E il “bene comune”?

Per Aristotele, insomma, serve una sorta di rivoluzione
delle modalità socio-economiche dominanti

Platone ed Aristotele andavano all’essenziale. Oggi non lo si fa più

Oggi si mercifica e si include anche la critica ribellistica.
Non si accetta quella fondata sulla natura umana: progettuale

Come dovrebbe essere un modo di produzione sociale per essere migliore?

Capire come le cose devono essere, non solo come le cose sono
La kallipolis aristotelica.
Chi vive senza un fine e senza un progetto, conduce davvero una ben misera esistenza

Non basta il ribellismo.
La critica, anche etimologicamente, rinvia alla decisione

Chi vuole fare filosofia deve ragionare sull’intero. Ogni modo di produzione è storico

Preparare su solide fondamenta quanto meno il progetto

Marino Badiale – Problemi tra scienza e filosofia

Marino Badiale

1. Sintetizzare e interpretare.
A distanza di almeno tre secoli da quella Rivoluzione Scientifica che ha cambiato in profondità il mondo non sembra ancora raggiunto un accordo su quale debba essere il ruolo e il significato della scienza all’interno del più vasto campo delle creazioni intellettuali dell’umanità. Ancora oggi, dopo tanti tentativi di mediazione e di sintesi, dopo che alcune fra le migliori intelligenze della scienza e della filosofia hanno dedicato impegno ed energie a questo tema, ancora oggi il mondo della cultura sembra incapace di elaborare una visione chiara e condivisa della scienza, e di conseguenza appare agitato da polemiche aspre e forse non molto produttive, mentre il mondo della cultura di massa e del senso comune oscilla fra una fiducia fideistica nel progresso scientifico visto come soluzione di ogni nostro problema e una istintiva paura di fronte al potere, impensabile fino a poco tempo fa, che gli sviluppi della scienza mettono nelle mani dell’umanità.
In questo saggio discuterò qualcuno di questi problemi. In particolare vorrei proporre le linee generali di un lavoro di mediazione fra scienza da una parte e cultura esterna alla scienza dall’altra. La tesi principale che intendo sostenere è che questo lavoro di mediazione dovrebbe consistere in una attività razionale di sintesi e interpretazione delle idee e dei risultati della scienza… ´[continua a leggere cliccando qui]

Leggi e stampa il testo di 26 pagine in formato PDF:

Marino Badiale, Problemi tra scienza e cultura

 

Questo saggio di Marino Badiale è già stato pubblicato su Koinè, Periodico culturale, Anno X, nn. 1-2, Gennaio-Giugno 2002,  pp. 9-37; direttore responsabile Carmine Fiorillo; il volume collettaneo reca il titolo  Scienza cultura, filosofia.

Di Marino Badiale si legga anche l’articolo:

Quale cultura nella decadenza

pubblicato su Sinistrainrete.

Koiné

Scienza, Cultura, Filosofia

indicepresentazioneautoresintesi

Problemi tra scienza e cultura
Sintetizzare e interpretare/Darsi dei limiti/Sulla diffidenza per la filosofia/Una confutazione dello scientismo/I problemi della divulgazione/Specializzazione parcellizzante/Una catastrofe culturale?/Uno sguardo sulla cultura/Linee di resistenza/E se fosse colpa del capitalismo?/Conclusioni. Una modesta utopia.

Lucio Russo
Cosa sta accadendo alla scienza?
Premessa/Cos’è la scienza? La scienza esatta/Scienza esatta e tecnologia /Scienze biologiche (e altre scienze empiriche)/Il problema della verità/Divulgazione scientifica e imposture intellettuali/La crisi attuale/Il nuovo ruolo della biologia: le biotecnologie/Complessità /Quale futuro?

Marcello Cini
C’è ancora bisogno della filosofia per capire il mondo?
Introduzione/La svolta nella scienza dal XX al XXI secolo/L’epistemologia delle scienze della materia inerte/Una epistemologia delle scienze del mondo vivente/Il problema corpo/mente/Scienza e valori/Conclusioni.

Alberto Artosi
Lettera a uno scienziato sulla ragione, la razionalità e il razionalismo
Caro Scienziato/Bisogna guardarsi da un’immagine ingenuamente razionalistica della scienza/Anche gli scienziati più aperti sono dei razionalisti (e degli elitisti) ingenui/Bisogna sottrarsi al culto delle argomentazioni “razionali” /Il caso dell’archeoastronomia/ Il razionalismo ingenuo è intollerante/Sulla “cultura di massa”/Commiato.

Massimo Bontempelli
Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea
Popper: la teoria come congettura/Hegel e la filosofia della scienza/La teoria della verità come idealità matematica/Gödel: la logica matematica non può giustificare il proprio principio di coerenza/Matematica senza fondamento/Barrow: la base teorica universale della matematica/Hegel: la quantità come “qualità tolta”/Il gran libro della Natura è scritto in caratteri matematici?/Il risultato culturale della rivoluzione scientifica/La semplificazione galileiana del mondo reale/La quantità matematizzabile come dominabilità del mondo/I limiti del meccanicismo/La fisica delle particelle come pura astrazione teorica/Le teorie del tutto/Il determinismo dell’elettrodinamica quantistica/Feynman: la Natura è assurda/La povertà conoscitiva del determinismo matematico della fisica/Il crollo del determinismo fisico di fronte alle forme biologiche/La concezione biologistica della verità/La povertà della moderna coscienza antimetafisica /Il pregiudizio antimetafisico della mentalità odierna/Realtà e verità nella filosofia ontologic/La sapienza di Platone.

Fabio Bentivoglio
Scienza, Natura e destino dell’uomo. Riflettiamo con Aristotele
Che cosa è, oggi, la sapienza?/La Natura/Le onde e la scogliera/Un’etica per la civiltà tecnologica/Dogmi di ieri e dogmi di oggi/L’elogio del senso comune.

Jean Bricmont
Contro la filosofia della meccanica quantistica
Riassunto/Introduzione/Realismo e positivismo/Il problema della meccanica quantistica/La non località/Soluzioni possibili al problema della misura/Conclusioni/Appendice I: Il problema della misura/Appendice II: Il teorema di Bell/Appendice III: La teoria di Bohm/Appendice IV: Bibliografia/Ringraziamenti/Riferimenti.

Fabio Acerbi
Concetto ed uso dei modelli nella scienza greca antica
Il concetto di modello/La controversia storiografica: strumentalismo versus realismo/Cenni al dibattito epistemologico in età ellenistica/L’approccio per modelli nella scienza antica: alcuni esempi: a. Astronomia; b. Meccanica; c. Ottica; e. Teoria musicale; f. Medicina/Conclusioni.

Jules-Henri Poincaré
La matematica e la logica

 

 

 

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