«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Mentre la scienza, secondo Aristotele, verte sul generale, la techne verte sul particolare e questo vale in special modo per la situazione nella quale l’arte medica interviene: la sofferenza umana. […] Considero precetto primo della saggezza pratica, esercitata sul piano medico, il riconoscimento del carattere singolare della situazione di cura, e innanzitutto di quella del paziente stesso. Questa singolarità implica il carattere non sostituibile di una persona con un’altra […]; la diversità delle persone umane fa sì che non sia la specie a essere curata, ma ogni volta un essere unico del genere umano».
Paul RICOEUR, Il giudizio medico, a cura di Domenico Jervolino, tr. di Ilario Bertoletti, Morcelliana, Brescia 2006, pp. pp. 29, 31, 35 (titolo originale: Les trois niveaux du jugement médical, «Esprit», 12 (1996), poi in Le Juste 2, Éd. Esprit, Paris 2001).
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Anna Magnani in una celebre sequenza di “Roma città aperta”, di Roberto Rossellini.
Salvatore Bravo
Una nuova Resistenza sotto la bandiera del bene e della verità
Esodo per una nuova cultura della Resistenza
Resistenza e riduzionismo
Il 25 Aprile è il giorno in cui la democrazia sociale afferma i propri valori sconfiggendo le forze oscure del nazifascismo. Nella liturgia annuale della ricorrenza però si tende da più parti ad occultare che il sistema capitalistico – già vigente in tutto il Novecento (prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale) e oggi globalizzatosi –, non è così antitetico al nazifascismo come sovente ama dipingersi: il nazifascismo è parte sostanziale della ormai lunga storia del capitalismo.
La multinazionale capitalistica della IBM, al servizio di Mussolini e di Hitler
In un articolo pubblicato il 14-02-2001 su “il manifesto” si poteva leggere a proposito di un libro di Edwin Black (La IBM e l’Olocausto. I rapporti fra il Terzo Reich e una grande azienda americana, Rizzoli, Milano 2001):
«[…] uno dei motivi che spiegano il putiferio scatenato dal libro di Black è proprio la generalizzata amnesia postmoderna. Negli ultimi due decenni non solo si è rimossa la memoria dei crimini del capitale in nome del profitto: il capitalismo si è persino trasfigurato in una istituzione “morale”, fonte dei valori che contano […]. Sul versante della casa madre IBM il libro mette in luce l’uso delle schede perforate non solo nella preparazione a tavolino della Shoah, ma anche nella gestione logistica dei campi di concentramento, del lavoro coatto, della macchina militare […]. Le schede perforate della IBM grondano di sangue […]. I manager americani sapevano benissimo che la loro tecnologia era usata nei campi di concentramento, che essa “agevolava l’oppressione e il genocifio”, “costituiva l’ossatura dell’infrastruttura nazista”. […] Thomas Watson [si vedano immagini cliccando qui], presidente della IBM, sfoggiava sul suo pianoforte una foto di Mussolini con dedica autografa, e parlava di Hitler con “simpatia” e “ammirazione”, e fu ricevuto dal Führer con tutti gli onori a Berlino nel 1937 [Si vedano le foto cliccando qui]. Ancora nel marzo del 1941 un manager IBM telegrafò soddisfatto a New York: “Il governo tedesco ha bisogno delle nostre macchine. I militari le usano per ogni possibile impiego”. […] Dopo l’entrata in guerra dell’America nel 1941 i rapporti con la filiale svizzera della IBM non si interruppero, e per questo tramite […] forniture americane arrivarono in Germania anche dopo quella data».[1]
Mettere a nudo la realtà capitalistica del presente
La vittoria del 25 Aprile e le sue celebrazioni ritrovano il proprio autentico significato se davvero riescono ad individuare le forze che oggi operano (in vario modo) nel controllare, soggiogare, silenziare ogni istanza comunitaria alternativa: è questo l’unico modo per resistere e non lasciarsi avvolgere e stritolare dai tentacoli del capitale. Se ci si limita ad una monumentale celebrazione del passato, e specialmente, se la giornata del 25 Aprile è usata ideologicamente dalle attuali forze capitalistiche per autocelebrarsi, la ricorrenza è svuotata del suo significato etico e politico. Costoro dicono che il nemico è stato sconfitto nel passato e affermano che ora regna il miglior sistema sociale e politico possibile, che bisogna “solo gestire” l’ordinario costituito dai bombardamenti etici e dalla flessibilità (sfruttamento) sul lavoro in nome della libertà del capitale. Resistere significa, invece, far emergere “il nemico” della democrazia e della libertà.
L’inganno del riduzionismo
La contemporaneità ha nel riduzionismo e nel capitalismo (nella sua forma globale) i nemici da combattere. La bestia selvatica del mercato, come l’ebbe a definire Hegel, produce riduzionismi in campo culturale, in modo da congelare le coscienze individuali e comunitarie condannate a ipostatizzarsi. Il feticismo dei mercati sta divorando le libertà mediante l’inganno del riduzionismo: si elimina ogni discorso sul bene e sulla verità per sfuggire allo sguardo critico e non svelare le dinamiche dei processi di accumulo e profitto.
Accogliere solo chi testimonia dialetticamente la verità
In tale clima infausto bisogna leggere e pensare autori che testimoniano dialetticamente la verità. Senza la ricerca veritativa il sistema capitale non si palesa nella sua miseria culturale, la quale si traduce in nichilismo e squallore antropologico. Il dialogo tra Carmelo Vigna e Luca Grechi dona uno sguardo critico e fuori dal coro accademico che consente di comprendere le dinamiche in atto. Si resiste al presente, se si introduce il parametro della qualità e del bene con cui giudicare e pensare la totalità. Il riduzionismo è il velo di Maya con il quale il capitale neutralizza il pensiero dialettico e la prassi. I riduzionismi devono essere letti nella loro valenza storica e ideologica per poterli smascherare nella loro verità strutturale e ideologica:
«Vigna: […] Questo riduzionismo si associa ad altre forme di riduzionismo: naturalistico, psicologico ecc. L’epistemologia è, comunque, sul piano filosofico, la fonte (e la forma) maggiore di questi riduzionismi, specie se coltivata senza la consapevolezza ch’essa è solo riflessione su un frammento dell’esperienza, e non sul senso della esperienza nella sua totalità».[2]
Resistere significa scegliere. Gli uomini e le donne che hanno resistito al nemico nazifascista hanno scelto la libertà, non sono stati “idioti” nel significato greco del termine. Gli idioti erano coloro che si occupavano solo degli affari privati e non avevano nessun senso del pubblico.
Resistere implica avere il senso etico del pubblico che si costruisce attraverso lo sguardo olistico con il quale si giudica il valore qualitativo della totalità, in cui siamo implicati:
«Vigna: […] La massa può solo fare i conti col proprio “starci dentro” quotidiano, cioè dentro la vita quotidiana. E, in questo quotidiano, si può vivere sostanzialmente in due modi: adattandosi passivamente oppure agendo criticamente dall’interno».[3]
Resistenza e flessibilità
La mercificazione totale dell’essere umano e della vita è il vero nemico. Il male è tra di noi e con noi, ogni tentativo di occultarne la verità va combattuto e denunciato. Bisogna tenere la posizione, non cedere all’adattamento che in questo caso è già assimilazione. Le gioie e le promesse del grande tentatore, il capitalismo, si stanno rilevando nella loro effettualità: gli esseri umani con le loro relazioni sono merce di scambio. Il dialogo ha ceduto il posto al solo calcolo utilitario, per cui si è tutti in pericolo e minacciati dal valore di scambio e dai processi di alienazione che producono l’infelicità generale e le guerre nel privato, nel pubblico e tra gli Stati nazionali:
«Grecchi: […] Tutto, nel modo di produzione capitalistico, diventa inevitabilmente merce: non più solo il lavoro, la natura, la moneta (come sottolineava K. Polany), ma anche tutte le relazioni umane, e in un certo senso perfino le strutture della personalità, che il capitale tende a produrre appunto come merci, funzionalmente al proprio valore processo di valorizzazione complessiva».[4]
Resistenza significa cambiarne i processi produttivi
Il nucleo del problema resta la produzione. Resistenza significa cambiarne i processi produttivi. Nela produzione capitalistica gerarchizzata i soggetti imparano la normalità del dominio, assimilano e riportano nel loro privato la logica dello sfruttamento e della negazione dell’altro. La produzione forma soggettività passive pur nella loro aggressività competitiva. Resistere, oggi, significa trasgredire gli inutili specialismi astratti per una critica argomentata al sistema capitale non scissa dalla prassi. L’aziendalizzazione delle istituzioni e della vita è la violenza legalizzata col sistema capitalistico. Bisogna spostare l’attenzione sul problema essenziale, il quale, non è la distribuzione, ma la produzione che si esplica con la gerarchizzazione e con la sussunzione. La produzione con la divisione tra dominatori e dominati addomestica ed insegna la passività. La genesi della passività è nella produzione la quale forma coscienze che ipostatizzano la gerarchizzazione produttiva con cui si nega l’attività politica. La produzione passivizzante vuole formare alla normalità della pratica del dominio. Resistere e sperare significa storicizzare i sistemi produttivi per emanciparli dalla normalità della violenza globale:
«Grecchi: […] Engels ha chiarito bene che la ridistribuzione della ricchezza dipende dalla forma (privatistica e sociale) della sua produzione, e oggi la forma produttiva è quella capitalistica privata dei gruppi transnazionali…».[5]
La fioritura della nostra umanità
Resistere significa coltivare nella lotta la speranza di una nuova fioritura nella vita e nella storia:
«Vigna: […] La fioritura della nostra umanità è sempre inizialmente un sogno, ed è un sogno che vuole (e che deve anche) farsi reale. Perciò è necessario coltivare cose come l’audacia e la speranza, fin da quando si è giovani».[6]
Il primo esodo per una nuova cultura della Resistenza è capire i significati delle nuove liturgie del sistema con il suo linguaggio falsamente libertario e orwelliano. La speranza è prassi critica e consapevolezza teorica del luogo-mondo in cui siamo. Bisogna trovare le ragioni per resistere e sperare, non vi è resistenza senza speranza. Gli adulti devono testimoniare non la flessibilità-adattamento al sistema capitale, ma la speranza critica in opposizione alla crematistica alienante e violenta. La speranza e la resistenza hanno la loro genealogia nella testimonianza critica a cui le nuove generazioni guardano per orientarsi in una realtà depressiva che li vuole perennemente flessibili e adattabili agli ordini del capitale.
La Ibm e l’Olocausto Il ramo tedesco del gigante informatico Usa fornì a Hitler il know how dello sterminio. Un libro lo svela, cinque scampati chiedono i danni GUIDO AMBROSINO – BERLINO
Che la macchina di sterminio nazista si fosse avvalsa della tecnologia meccanografica della Ibm, il gigante americano dell’informatica, non è una novità.
In Germania se ne discusse già nel 1983, quando un inedito movimento di protesta riuscì a far saltare il censimento progettato dal governo federale. Incombeva allora lo spettro del “grande fratello” che tutto controlla, come nel romanzo 1984 di George Orwell. Le stesse “iniziative civiche” che si battevano contro le centrali nucleari e i missili atomici a medio raggio temevano un salto di qualità nella schedatura elettronica dei cittadini, già sperimentata in grande scala dalla polizia durante la caccia ai guerriglieri della Rote Armee Fraktion. La corte costituzionale finì col dare loro ragione, proclamando il diritto dei cittadini “all’autodeterminazione informatica”, cioè al controllo sui dati che li riguardano. I Länder tedeschi e lo stato federale dovettero istituire dei garanti per la tutela dei dati personali. Solo molti anni più tardi queste tematiche vennero riprese anche in Italia.
Uno degli argomenti che favorì in Germania il successo della protesta contro il censimento del 1983 fu proprio la scoperta che le premesse “informatiche” per lo sterminio degli ebrei erano state fornite dall’Ufficio statistico del Reich e dalla filiale tedesca della Ibm, la società Dehomag (Deutsche HollerithMaschinen Gesellschaft), con i censimenti del 1933 e del 1939, i cui dati erano stati elaborati con il sistema delle schede perforate. Due storici della nuova sinistra, Karl Heinz Roth e Götz Aly, riversarono le loro ricerche nel libro Schedatura totale. Censimenti, controlli d’identità e selezione nel nazionalsocialismo (Berlino, 1984).
Un libro importante, che fece perdere l’innocenza alle tecniche di controllo statistico della popolazione. Ma le sue rivelazioni, più che sfociare in una denuncia delle responsabilità passate della casa madre americana, servirono a rafforzare un movimento per i diritti civili nella società contemporanea. Del resto la storiografia di sinistra aveva già tanto insistito sulla compromissione del capitale – anche di quello internazionale – nel nazismo, che il ruolo giocato allora dalla Ibm ne sembrava un corollario quasi scontato. Come che sia il libro di Roth e Aly è finito sulle bancarelle dell’antiquariato, senza fare né caldo né freddo ai manager della Ibm nella centrale di Armonk, vicino a New York.
Non andrà così col nuovo libro del pubblicista americano Edwin Black, La Ibm e l’Olocausto, pubblicato in contemporanea il 12 febbraio in otto paesi, con anticipazioni in esclusiva su settimanali e quotidiani. L’impatto è enorme, e non solo perché Black ha aggiunto molti nuovi dettagli alle ricerche di Roth e Aly, soprattutto sul versante americano della casa madre Ibm, e sull’uso delle schede perforate non solo nella preparazione a tavolino della Shoah, ma anche nella gestione logistica dei campi di concentramento, del lavoro coatto, della macchina militare.
Paradossalmente uno dei motivi che spiegano il putiferio scatenato dalla pubblicazione di Black è proprio la generalizzata amnesia postmoderna. Negli ultimi due decenni non solo si è rimossa la memoria dei crimini del capitale in nome del profitto: il capitalismo si è perfino trasfigurato in un’istituzione “morale”, fonte dei valori che contano, come innovazione e spirito d’impresa. Riscoprire dopo tanta apologia che le schede perforate della Ibm grondano sangue ha l’effetto di uno shock.
Ma è soprattutto l’esperienza organizzativa e giuridica accumulata negli ultimi anni in America dai sopravvissuti allo sterminio con le cause collettive di risarcimento a rendere esplosivo il libro di Edwin Black. Grazie alle class action la storiografia esce dagli scaffali delle biblioteche universitarie e piomba nelle aule dei tribunali. Ed ecco che il gigante Ibm trema: non tanto perché ferito nell’onore, ma perché minacciato nel portafoglio. Sono in gioco indennizzi per miliardi di dollari.
Sabato scorso cinque ebrei scampati ai Lager, due cecoslovacchi, un ucraino e due cittadini statunitensi hanno presentato una denuncia contro la Ibm accusandola di “complicità nell’Olocausto”, a nome dei circa centomila sopravvissuti. Il loro avvocato Michael Hausfeld vuole innanzitutto che i giudici costringano la Ibm a rendere accessibile tutta la documementazione conservata nei suoi archivi. Ma già adesso – sulla scorta dei libro di Edwin Black – ritiene di poter dimostrare che i manager americani sapevano benissimo che la loro tecnologia era usata nei campi di concentramento, che essa “agevolava l’oppressione e il genocidio”, “costituiva l’ossatura dell’infrastruttura nazista”.
Era stato Hermann Hollerith, un ingegnere americano di origine tedesca, a inventare le schede perforate che portano il suo nome, le antenate dei moderni computer. E grazie al possesso di questo brevetto la Ibm ha costruito le sue fortune. I dati, con delle punzonatrici, vengono tradotti in fori su delle schede di cartoncino. Le schede possono poi venire lette con degli aghi di metallo. Quando passano attraverso un buco gli aghi chiudono un circuito elettrico, che aziona dei contatori di scatti, in grado di tradurre le informazioni in serie numeriche.
I circuiti elettrici possono anche azionare delle macchine di smistamento delle schede, che depositano in un mucchietto separato quelle con i dati cercati. Per esempio le schede con i dati del censimento del 1933 prevedevano per gli ebrei un foro alla terza riga della 22esima colonna. La smistatrice ammucchiava una sull’altra le schede con questa informazione in un mucchietto a parte. Per passaggi successivi si poteva ricostruire quanti ebrei abitavano in un determinato quartiere o in una certa strada, o incrociare i loro dati anagrafici con le loro professioni. Negli anni ’40 lettori meccanografici più elaborati erano in grado di tradurre le schede in tabulati e liste di nomi.
Così all’interno della popolazione si potevano rapidamente individuare gruppi a seconda della caratteristica scelta: minorati fisici e mentali, asociali, comunisti, omosessuali. L’amministrazione dei Lager poteva smistare i prigionieri nella produzione a seconda della loro qualificazione professionale, oppure selezionarli per le camere a gas.
In Germania negli anni ’20 una società autonoma utilizzava, su licenza della Ibm, la tecnica Hollerith: la Dehomag di Willy Heidinger. Nel 1922, anno in cui la Germania fu funestata da una superinflazione, la Dehomag non fu in grado di pagare 100.000 dollari per l’uso del brevetto. Thomas Watson, presidente della Ibm, ne approfittò per inghiottirla. Offrì alla Dehomag la cancellazione del debito in cambio della cessione del 90% delle azioni. Da quel momento la fabbrica tedesca divenne a tutti gli effetti una filiale della Ibm, la più importante: il comparto tedesco realizzava quasi la metà del fatturato dell’intero gruppo.
L’ufficio statistico del Reich era uno dei migliori clienti. Watson, che sfoggiava sul suo pianoforte una foto di Mussolini con dedica autografa, e parlava di Hitler con “simpatia” e “ammirazione”, fu ricevuto con tutti gli onori dal Führer a Berlino nel 1937. Ancora nel marzo del 1941 un manager Ibm telegrafò soddisfatto a New York: “Il governo tedesco ha bisogno delle nostre macchine. I militari le usano per ogni possibile impiego”.
Solo dopo l’entrata in guerra dell’America nel 1941 la Dehomag fu posta dai nazisti sotto amministrazione controllata. Ma stranamente i rapporti con la filiale svizzera della Ibm non si interruppero, e per questo tramite, secondo Edwin Black, forniture americane arrivarono in Germania anche dopo quella data.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
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Sabrina Grimaudoi, Misurare e pesare nella Grecia classica, L’Epos, Palermo 1998.
Sabrina Grimaudo è docente presso l’Università di Palermo. I suoi studi soni principalmente rivoilti ad aspetti storico-epistemologici della scienza antica, al lessico greco della parentela e all’analisi del rapporto potere/violenza nei testi greci. Oltre avari contributi su riviste specializzate, ha pubblicato Misurare e pesare nella Grecia antica. Teorie, storia, ideologie, L’Epos, Palermo 1998.
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Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica
Prefazione di Gherardo Ugolini: L‘Anassagora di Diego Lanza.
ISBN 978-88-7588-343-0, 2022, pp. 368, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [142].
In copertina: Thanatos e Hypnos trasportano il corpo di Sarpedonte via dal campo di battaglia di Troia. L’autore, il cosiddetto Pittore di Thanatos, è vissuto nel V secolo a.C. ad Atene. Dettaglio da una lekythos attica a fondo bianco datata agli anni 440-430 a.C. circa. British Museum, Londra (Cat. Vases D56).
Il νοῦς (‘intelletto’, ‘mente’) è il principio che nel sistema cosmogonico di Anassagora dà origine al turbinoso movimento circolare da cui le sostanze si formano per separazione; θάνατος (‘morte’) è per Epicuro un semplice vuoto, mentre per Aristotele non era possibile intenderne il concetto altrimenti che in chiave biologica. Attorno a questi due temi ruota gran parte dell’analisi di Diego Lanza, presentata in alcuni saggi pubblicati tra il 1963 e il 2005 su riviste specializzate di studi classici e in miscellanee, ed ora raccolti nel presente volume. Nell’approccio al pensiero di Anassagora, come pure nell’indagine su concetti importanti della cultura greca antica quali σοφία, σωφροσύνη, ἀρετή etc., Lanza ricorre ad uno specifico approccio ermeneutico-filologico che muove dall’analisi linguistica e stilistica dei testi, e punta alla comprensione del contesto storico-culturale in cui inquadrare ogni singola testimonianza, con la finalità di smascherare e decostruire i modelli d’interpretazione che si sono costruiti e consolidati nel corso del tempo. Il tutto senza mai ostentare la presunzione di aver raggiunto un’interpretazione oggettivamente vera e definitiva, ma sempre nell’ottica di problematizzare le questioni illuminandole da molteplici punti di vista. Si tratta dello stesso metodo che Lanza ha utilizzato altrove per interpretare la tragedia greca, la figura del tiranno nel teatro, la Poetica e gli scritti biologici di Aristotele, gli snodi teorici della storia degli studi classici.
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Comprendere Marx significa spostarsi in modo sincronico nella sua complessiva impostazione teorica. Vi sono cesure, ma specialmente linee di continuità che vanno rintracciate per ricostruire il senso dell’opera marxiana nella sua ispirazione umanistica. Il comunismo abbozzato nel cantiere Marx ipotizza il soggetto emancipato dalle strutture di sussunzione materiale e formale, non più né obbediente né disobbediente, in quanto vive la pienezza delle sue possibilità e del suo conatus in un quadro politico senza le forme gerarchiche dell’obbedienza nella forma dello Stato, della proprietà capitalistica e della religione. La trinità dell’obbedienza non può che produrre negazione e alienazione.
Marx lettore spinoziano, dunque, in quanto il soggetto può relazionarsi al mondo in modo fecondo per ricrearlo soltanto se perviene a se stesso dopo un lungo processo dialettico nel quale ha vissuto, pensato e razionalizzato la liberazione dalle mordacchie delle superstizioni e della naturalizzazione del sistema capitale. Ogni feticismo è una forma di religione irriflessa e dunque non riconosciuta.
Nella formazione di Marx il Quaderno Spinoza del 1841 è rilevante non solo per comprendere la genealogia delle opere della maturità, ma l’opera giovanile può essere d’ausilio per capire il comunismo marxiano, nel quale importante – quanto e anche più dell’abolizione della proprietà privata – è il soggetto liberato dall’obbedienza che diviene soggetto attivo della storia. La proprietà privata è il ceppo che gerarchizza e ordina l’obbedienza associata e rafforzata dalla sovrastruttura con le sue manifestazioni culturali e sociali. La religione è il mezzo più potente con cui insegnare ideologicamente l’obbedienza e proiettare la speranza in un tempo sovrastorico.
Nel Quaderno Spinoza il commento marxiano al Trattato teologico-politico e alle lettere di Spinoza destruttura la religione, rendendola intellegibile, smascherando la sua essenza ideologica e il suo essere funzione del potere. Nei rapidi passaggi dell’opera, Marx (che pur avrà comunque un rapporto lui stesso controverso con la filosofia), specifica che la filosofia è radicale nella sua essenza, perché cerca, vuole e dimostra la verità. La filosofia non scende a compromessi, perché la verità non la si può accogliere parzialmente: in tal caso è già menzogna. La religione è obbedienza e pratica della pietà che non trasforma il mondo, ma lo conserva con le sue piaghe dolenti e le sue contraddizioni:
«[25] Resta infine da dimostrare come tra la fede, o teologia, e la filosofia non esista alcun rapporto né alcuna affinità, cosa che non può fingere di non sapere nessuno che conosca il fondamento e lo scopo di queste due discipline, le quali sono tra loro totalmente diverse. Lo scopo della filosofia, infatti, non è altro che la verità; mentre quello della fede [come abbiamo diffusamente dimostrato] è solamente l’obbedienza e la pietà. I fondamenti della filosofia, per di più, sono le nozioni comuni, sicché essa deve essere ricavata dalla sola natura; mentre i fondamenti della fede sono i racconti e la lingua, ed essa deve essere tratta soltanto dalla Scrittura e dalla rivelazione (§ 348)».1
Disobbedire per esserci
La disobbedienza non è un atto di protesta: con essa piuttosto l’essere umano riconquista la sua natura e la sua dignità. La libertà è prassi non scissa dalla teoria, il pensiero è potenza creatrice incoercibile e non in toto controllabile: il potere dunque non può cancellare definitivamente la libertà. Si può fingere di obbedire per calcolo opportunismo o vigliaccheria, si possono ripetere le parole del potere, riprodurre atti e comportamenti, ma nessun potere può impedire il pensiero, vero baluardo della “naturale libertà” dell’essere umano che attende di venire al mondo non per semplice stimolazione delle circostanze storiche, ma per l’interazione tra condizioni storiche ed azione-reazione del soggetto. Dove vi è l’umanità l’impossibile è possibile:
«[36] Se, dunque, nessuno può rinunciare alla propria libertà di giudicare e di pensare quello che vuole, ma ciascuno è, per diritto incontestabile della natura, padrone dei suoi pensieri, da ciò deriva che in un ordinamento politico non è mai possibile, se non con tentativi destinati a fallire miseramente, voler imporre a uomini di diverse e opposte opinioni l’obbligo di parlar e esclusivamente in conformità alle prescrizioni emanate dal sommo potere (§ 420).2
Il potere può costringere alla temporanea obbedienza, ma non può conquistare interamente l’essere umano, il quale con il pensiero resiste al controllo. Da un punto di vista fenomenico può obbedire, ma l’atto di obbedire, l’obbedienza carpita o concessa non significa che sia stato sconfitto e conquistato.
Potere e pensiero
Il potere nella nostra contemporaneità quantifica il numero degli ubbidienti per poter usare la quantificazione quale mezzo di persuasione coercitiva verso gli indecisi. Ma in realtà il potere, anche quando trionfa con i grandi numeri è più fragile di quanto si possa ipotizzare. Tra gli ubbidienti vi è un grande numero di persone già propense alla disobbedienza non appena il dominio allenti la sua morsa. I dubbi serpeggiano anche tra i più disponibili all’obbedienza. Non è possibile trasformare l’essere umano in automa meccanicamente passivo. La psiche e l’intelligenza restano potenzialmente libere, anche se si obbedisce per costrizione, disperazione o indifferenza. Marx sembra dirci che non dobbiamo disperare. Oltre l’omologazione c’è vita, e più vita di quanto le nostre singole e fragili intelligenze possano immaginare.
La libertà – conformemente al pensiero spinoziano – è un processo nel quale si incontrano stratificazioni di libertà e qualità diverse di libertà. Certo, si deve ammettere l’esistenza di gruppi umani che “pensano” – erroneamente ritengono – di agire autonomamente, ma in realtà sono parlati e agiti dal potere, è una possibilità dell’umano; ma non è l’unica e la coscienza, comunque, è sempre una variabile dinamica pronta a evolversi e/o ad involversi. Il rivoluzionario non deve arretrare dinanzi all’obbedienza gregaria, ma deve agire più fortemente per l’emancipazione, perché l’obbedienza è un dato storico e culturale:
«[53] Dal fatto che l’uomo agisca secondo la sua deliberazione, non si deve dunque concludere che egli operi secondo il proprio diritto, anziché secondo quello dello Stato (§ 374)».3
Marx attraversa i secoli per parlarci e suggerirci che la storia non è chiusa e l’omologazione è solo apparente. La potenza del pensiero lavora per la storia e per un nuovo inizio anche quando la storia sembra una palude la cui acqua appaia immobile, senza alcuna crespatura. Il pensiero è discrepante e divergente, accumula e si carica di onde di esperienze; può temporaneamente rimuoverle, ma esse si riattivano in circostanze storiche favorite da innumerevoli atti di disobbedienza, apparentemente innocui e di poco conto, i quali preparano la “grande storia”. Le tempeste della storia possono essere precedute da decenni intrisi di un apparente generale insensibile distacco, in cui i piccoli gesti di una quotidianità pur desiderosa di cambiamento rimangono silenti, ma preparano il vento della storia. Le storie dei singoli possono passare e cadere nella transitoria dimenticanza del tempo, ma i gesti e le parole restano, si moltiplicano, prendono forma nelle circostanze preparate da un silenzio carico di esperienze e linguaggi insopprimibili. Nessuna forma di alienazione, quindi, potrà mai cancellare il pensiero dei popoli che si vorrebbero tenere alla catena:
«La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l’operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci».4
Se il potere avesse la possibilità di trasformarsi in dominio assoluto, la storia e il mondo già sarebbero diventati immense macchine di sfruttamento per produrre profitto. Tra i meccanismi della macchina, invece, sopravvive l’essere umano, che può pensare ed ascoltare l’alienazione che lo costringe ad una esistenza disumana.
Il dolore vissuto è già individualità potenzialmente pronta all’esodo.
Pertanto il pensiero è fonte di resistenza collettiva inesauribile che apporta il nuovo nelle acque apparentemente stagnanti dell’omologazione.
Salvatore Bravo
1 K. Marx, Quaderno Spinoza, Bompiani 2022, Capitolo XIV: Che cosa sia la fede e …
2Ibidem, Capitolo XX: Della libertà di insegnamento.
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L. Napolitano Valditara, Filosofi sempre. Immagini dalla filosofia antica, QuiEdit, 2021
«Occorre che chi dialoga non solo metta lealmente a disposizione dell’interlocutore quanto creda di sapere – prestandosi a esser interrogato (eròtesis), esaminato (exètasis) e semmai confutato (elènchos) – ma che lo faccia con una disposizione affettivo-morale anch’essa opposta a quelle del tiranno-lupo […]. Il filosofo non può né deve nutrir invidia dei beni (risposte e verità comprese) che semmai possedesse e non condividerle con altri, né dei beni altrui (risposte e verità comprese) essendo pronto ad arraffarli, come il tiranno trasimacheo, “con l’inganno o con la violenza”: è infatti proprio lo phthònos, l’autodistruttivo sguardo invìdens, l’anticamera emotivo-morale della pleonexìa, della smisurata, ‘lupesca’ aggressività tirannica.
Il filosofo ha già, pur non abitando insieme ad altri, una “vita in comune” (un syzén) con essi: con quanti, come lui, sappiano di non sapere, continuino ad amare il sapere e siano disposti perciò a dialogare e cercare, ancora e ancora. La benevolenza (eumèneia) reciproca che fonda questa speciale vita in comune, l’assenza d’invidia (phthònos), l’amore costante per la verità e il bene son forse quei “desideri migliori” che possono contenere in ognuno quelli superflui o parànomoi, prevenendone la distruttiva insaziabilità e dando all’anima una forma armonica naturale. Come la scelta libera di leggi che regolino la vita di ognuno e di tutti permette di allontanare il pericolo della ‘licenza’ (exousìa), la libertà individualistica ed eccessiva mutantesi in tirannide. Desideri migliori e buone leggi per una misurata armonia dell’anima: di ognuno e di tutti. E poi buone narrazioni, immagini ‘belle’ e arricchenti, nostre e altrui, che alimentino in ognuno il fuoco della ricerca e diano forma alle emozioni che l’accompagnano e che guidano alle azioni.
Ma solo il lògos filosofico sopporta la fatica (pònos) di questo esercizio perché esso solo vede il valore di tutto ciò: perché sa ch’è solo questo sapere a poter far brillare la scintilla della verità, alimentata dal fuoco dell’amor-di-sapienza nutrito da tutti, esso ch’è il “massimo sforzo” possibile al sapere umano. Molti altri saperi continuano certo aristotelicamente ad essere più necessari di questo, ma nessuno è “migliore” per gli esseri umani che siamo. Occorrono però, per praticarlo, senso lucido e profondo del nostro limite umano; relazionalità dialogante ed esplorativa con ogni altro; vita in comune intesa come ricerca mite, non invidiosa, non predatoria di un vero ogni volta condiviso, nell’intreccio continuo di racconti narrati uno all’altro e di argomentazioni verificate uno con l’altro.
È una postura sapienziale difficile, rara, per cui non stupisce che, quando essa si dica filosofica, si continui a bollarla come inutile e ‘sciocca’. Ma essa pare oggi più che mai necessaria per non incatenarsi, come il prigioniero platonico, in fondo a un antro a gioire di pure ombre, o per non nutrire compulsivamente, nella buia solitudine di un sotterraneo, ogni proprio desiderio, come il Gollum tolkieniano.
Ravvisando l’odierna necessità di questa postura filosofica, si deve però chiedersi quanti, che pure si dicono filosofi, abbiano saputo dopo Socrate non solo teorizzare un tale sapere, ma, come lui, testimoniarlo sempre, nel ragionare, nel sentire, nell’agire e nell’inter-agire: perché forse, finché questo non è fatto da quanti si professano filosofi, il loro sapere continuerà ad apparire solo inutile phlyarìa e potrà ancora – più grave e pericoloso – indurre altri demagoghi (portatori di statue della caverna platonica) ad allevare nuovi temibili ‘lupi’» (Filosofi sempre, pp. 283-285).
Linda M. Napolitano è Professore Ordinario di Storia della filosofia antica e co-responsabile del Centro di ricerca “Asklepios. Filosofia, cura, trasformazione”, presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Verona. Suoi studi: Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i Dialoghi di Platone, Mimesis 2010; ‘Prospettive’ del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, Mimesis 2013; Virtù, felicità e piacere nell’etica dei Greci, AemmeVerona 2014; Il dialogo socratico. Fra tradizione storica e pratica filosofica per la cura di sé, Mimesis 2018. Suoi sono anche studi sulle MedicalHumanities: Pietra filosofale della salute. Filosofia antica e formazione in medicina, QuiEdit 2012. Nel 2019 ha vinto il Bando di ricerca dottorale di CariVerona PHILCARE (Philosophical Care of Emotions in the Platonic and Socratic Literature).
… tra alcuni dei libri di Linda Napolitano Valditara…
Le idee, i numeri, l’ordine. La dottrina della «Mathesis universalis» dall’Accademia antica al Neoplatonismo, Biblopolis, 1988
Lo sguardo nel buio. Metafore visive e forme grecoantiche della razionalità, Laterza, 1994
Platone e le «ragioni» dell’immagine. Percorsi filosofici e deviazioni tra metafore e miti, Vita e pensiero, 2007
La caverna, la skiagraphìa o ‘pittura d’ombra’, il mito degli androgini, il sofista che crea un mondo ruotando attorno uno specchio che lo rifletta, Socrate tafano e torpedine marina: le immagini celeberrime del corpus platonico sono qui rimeditate alla ricerca delle ‘ragioni’ che consentono di leggerle non quali semplici tratti decorativi, ma come veicoli di verità.
Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i dialoghi di Platone, Mimesis, 2010,.
Dai Dialoghi di Platone emergono strutture espressive e teoriche ricorrenti. Si esaminano qui in particolare: la struttura del sé (heautòn), di cui vanno saputi lo stato cognitivo e la natura fondante, essenzialmente psichica (il proprio esser anima); la struttura dell’alterità, manifestantesi soprattutto nell’esposizione alla morte e all’aggressività altrui e che trova però mediazione nella pratica del rapporto dialogico. Non c’è in Platone unità che non sia bilanciamento armonico di diversi ed opposti: il rapporto sé-altro è base dinamica di ogni possibile intero, cifra costitutiva della realtà umana e del cosmo stesso nella sua interezza. Un esame puntuale dei Dialoghi e dei loro contesti linguistici ed argomentativi pone in luce tale visione dell’intero quale dinamizzazione armonica del rapporto oppositivo sé-altro: una visione che, fra l’altro, non si riduce a dato archeologico erudito, ma, recuperata oltre consolidali fraintendimenti, perfino sconcerta per la sua parlante attualità.
Le idee, i numeri, l’ordine. La dottrina della «Mathesis universalis» dall’Accademia antica al Neoplatonismo, Bibliopolis, 2010.
‘Prospettive’ del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, I ed., Edizioni Università di Trieste, 2011
Pietra filosofale della salute. Filosofia antica e formazione in medicina, QuiEdit, 2011
Il volume rielabora i contributi offerti da una filosofa nell’arco di sei anni ad operatori sanitari (medici e infermieri). I testi meditati sono tratti per lo più dal pensiero antico e mostrano come vi si trovi materia proficuamente utilizzabile anche nell’approccio a problemi odierni. Sono trattate anzitutto le nozioni di ‘salute’ e ‘cura’ e quella di una distribuzione equa del bene stesso ‘salute’; si riflette poi sull’impiego in campo sanitario della ‘narratività’ (medicina narrativa) e sui problemi del dolore e della morte. Il volume, diretto non solo ad addetti ai lavori (filosofi od operatori sanitari), documenta una ‘pratica filosofica’: cioè l’impiego di testi e nozioni propri della filosofia antica in un campo – quello della salute, del dolore e della stessa morte – che ci coinvolge tutti in modo profondo e dove occorre oggi riguadagnare un modo dell”esser sani’ e dello stesso ‘darsi cura’ non declinabili in senso solo tecnologico.
Prospettive del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, Mimesis, 2013
Virtù, felicità e piacere nell’etica dei Greci, Aemme, 2014
Il dialogo socratico. Fra tradizione storica e pratica filosofica per la cura di sé, Mimesis, 2018
Il dialogo è oggi rinvio costante di varie discipline umanistiche e perno di molte delle cosiddette pratiche filosofiche. Frequente è anche il rinvio, da parte di autori e filoni odierni, a “Socrate” come testimone di una “modalità dialogica del comunicare”, creduta oggi più che mai necessaria e utile. Si cerca qui anzitutto di verificare in modo non generico, ma preciso, che cosa si possa intendere per “dialogo” rinviando sia alla nascita, tra fine V e inizio IV sec. a.C., del genere letterario del “sokratikòs lògos”, cui gli stessi Dialoghi platonici appartengono, sia a filoni novecenteschi che fanno perno o sul dialogo (pensiero dialogico) o sul ‘metodo socratico’ (scuola nelsoniana) o sullo scambio dialogico stesso (Morineau e teoria della mediazione). Son poi ripresi alcuni dei ‘Socrate’ del ‘900, soprattutto di quei pensatori (Arendt, Patocka, Hadot, Nussbaum) che, da punti di vista e con intenti diversi, valorizzano il metodo dialogico, come espressione propria della natura umana, metodo del ragionare filosofico o mezzo di una formazione democratica. Nella II parte (“Esercizi dialogici”) son esaminati e meditati 20 passi centrali dei Dialoghi platonici, nella presupposizione – se ne sia conscio no – che sia stato e sia tuttora “il Socrate di Platone” a far storia in filosofia. Si cerca per tale via di rispondere ad alcune domande di ricerca: quanto e cosa sappia chi interroga nel dialogo socratico; per quale ragione, per quale fine e con che tipo di domande lo faccia; quali effetti cognitivi ed emozionali inducano nell’interlocutore il domandare e confutare; se vi sia e quale sia la differenza fra pensare e dialogare; quale sia l’esito finale del dialogo. Ciò non solo per chiarire (storicamente) come operasse il dialogo socratico originario, sciogliendo consolidati fraintendimenti in merito, ma anche (teoreticamente) per mostrarne l’attualità quale “pratica filosofica per eccellenza”, da potersi iniziare proprio meditando i testi – quelli dialogici di Platone – che ne fecero non per caso la propria base: non solo letteraria, ma “filosofica”.
Curare le emozioni, curare con le emozioni, Mimesis, 2020
Il libro è dovuto a filosofi, psicologi, sociologi e pedagogisti del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Verona: seguendo le linee di ricerca dipartimentali e riprendendo le emozioni, tema già assai trattato in sede internazionale e nei singoli campi di ricerca, essi avviano qui un nuovo studio interdisciplinare, paragonando linguaggi, problemi, metodi, soluzioni. Focus è riprendere le emozioni, positive e negative, e approfondirne i modi di possibile “regolazione” o “governo” entro la “cura”, di sé e dell’altro. Il tema suppone questioni complesse, ancora discusse: anzitutto che una simile postura di cura esiga un impegno non solo razionale, ma anche emotivo; e, prima ancora, che un’emozione sia non soltanto passivamente subita (secondo il suo archetipo linguistico, pàthos, da pàschein), ma anche attivamente esperita e dunque trasformabile, in quantità e qualità. Che di curar se stessi, l’altro, il mondo si possa anche “coltivare la passione”.
Filosofi sempre. Immagini dalla filosofia antica, QuiEdit, 2021
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Il dialogo che trasforma. Per una filosofia appassionatache dischiuda comuni orizzonti di libertà.
ISBN 978-88-7588-295-2, 2022, pp. 360, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [147].
In copertina: Dame de Brassempouy (28.000-22.000 anni fa). Saint-Germain-en-Lay (Francia), Musée d’Archéologie Nationale, dalla Grotte du Pape di Brassempouy.
Perché è necessario il dialogo? Partendo da Socrate e Platone e arrivando al dibattito contemporaneo sull’epistemologia delle virtù, passando per Giordano Bruno, Minna Specht e Luce Irigaray, Laura Candiotto sostiene che senza il dialogo non si possa cambiare, né a livello individuale, né collettivo. Affinché il cambiamento sia positivo, il dialogo mette in atto una trasformazione che purifica non solo gli errori di giudizio ma anche lo stile di vita. Il dialogo tende così alla creazione di spazi per una relazione con la differenza dove l’intreccio continuo di gesti, emozioni e parole si coniuga con la fiducia nelle capacità di miglioramento di sé stessi, degli interlocutori e del contesto che si abita. Ma come è possibile trasformarsi grazie al dialogo? Attraverso lo studio di una dialettica incarnata e situata nel contesto relazionale, Candiotto offre strumenti concettuali ed esempi concreti che spingono il lettore a sperimentare una dialogica appassionata in prima persona plurale.
Dialogare in prima persona plurale
L’individualismo epistemico è un’invenzione moderna. Prima non c’era forse un soggetto che rifletteva sul proprio agire, interpretava situazioni problematiche e cercava di comprendere cause ed effetti? La risposta è ovviamente affermativa, ma la questione cruciale è capire come si realizzasse il pensare. L’ipotesi di questo volume è che l’epistemologia antica fosse fatta di un pensiero incarnato e situato nel contesto dialogico relazionale. In particolare, la tipica assunzione moderna di un individuo che pensa, si pone domande e conosce in maniera solitaria trova una strabiliante alternativa nel pensare filosofico di tipo dialogico. Questa prospettiva che può sembrare molto contemporanea è invece molto antica, ma non moderna. Una buona parte dell’epistemologia contemporanea, sia continentale sia analitica, è tanto distante da un modello di conoscenza individualistica, quanto invece intimamente legata alla dialogica socratica.
In questo volume propongo uno studio della dialogica socratica come una delle migliori interlocutrici per la filosofia della conoscenza contemporanea. La dialogica socratica in quanto presentata da Platone mira a una trasformazione del soggetto e del contesto proprio attraverso una comunicazione fatta di domande e risposte, ma anche di esempi ed emozioni. È il dialogare ciò che trasforma il soggetto e lo rende filosofo. Questo perché la trasformazione messa in atto dal dialogo è una trasfigurazione del soggetto. La parola trasfigurazione deriva dal latino transfiguratio che richiama il greco metamorphosis. Queste parole sono centrali per il mito ma richiamano anche il contesto teatrale di cui il dialogo platonico è erede. In questo studio assumo la parola trasfigurazione nel contesto dialogico per evidenziare quel movimento della conoscenza in prima persona plurale che si oltrepassa trasformandosi, come una aleturgia, ovvero una manifestazione maieutica di una conoscenza libera dall’ignoranza. Ma è anche una trasformazione della mente che si incarna in nuovi stili di vita, una liberazione dall’individualismo in nome di una società dialogica e plurale. Questo ultimo aspetto non deve trarre in inganno. La trasfigurazione è anche portatrice di “salti” – non è un semplice accordo senza tensioni. L’inquietudine della confutazione è ciò che permette la purificazione dall’errore. I salti sono delle conversioni, dei capovolgimenti che direzionano lo sguardo verso ciò che va pensato. In queste trasformazioni epistemiche, il coinvolgimento di alcune passioni è fondamentale.
Come analizzerò in questo volume, vergogna, eros, e meraviglia sono i motori principali di una trasformazione non solo cognitiva, ma integrale. Ciò significa che il dialogare socratico va oltre la tipica settorializzazione che divide, per esempio, l’epistemologia dall’etica. Il dialogo che trasforma è quindi un dialogo che mette in discussione il soggetto nella sua interezza e che richiede una trasformazione non solo concettuale, ma anche del sentire e dell’agire. La trasformazione come trasfigurazione è quindi ciò che permette a un altrimenti di manifestarsi e farsi mondo.
La trasformazione del soggetto conoscente di cui parlo in questo libro deve quindi tenere conto della configurazione immediatamente sociale della dialogica platonica. La conoscenza non è semplicemente condivisa tra diversi soggetti: si nutre delle interazioni con un ambiente sociale nel quale e attraverso il quale il soggetto si trasforma e può mettere in atto una trasformazione del contesto stesso. L’anti-individualismo epistemico non è dunque solo ciò che caratterizza la modalità dialogica, ma anche la sua finalità. A questo riguardo, la dialogica di Minna Specht che tratto in questo volume è esemplare. Attraverso l’educazione al dialogo, Minna Specht promuoveva una resistenza al nazionalsocialismo di tipo propulsivo attraverso la creazione di scuole di vita dove bambini ebrei, tedeschi e rom imparavano a dialogare assieme e quindi ad avere fiducia nei confronti delle proprie e altrui capacità critiche.
L’esito del dialogare non è dunque un possesso individuale ma è una conoscenza che si rende viva e a servizio degli altri. La trasformazione che avviene con il dialogo tende quindi non solo alla trasformazione del soggetto ma anche e specialmente a quella dei mondi che il soggetto abita.
Lo sfondo teorico per questa indagine sulla dialogica è quindi una prospettiva relazionale nella quale la relazione è ciò che viene prima. La relazione non deve essere intesa in maniera quantitativa e sommativa, ma qualitativa e differenziale.1 Il dialogo come espressione della relazionalità è dunque ciò che fa la differenza, è il motore della trasfigurazione del soggetto e dei luoghi dove il soggetto si trova ad operare.
In questo volume analizzo alcune delle mosse attraverso cui questa trasformazione può realizzarsi. Ho raccolto qui alcuni lavori che ho scritto e pubblicato negli ultimi dieci anni. Alcuni hanno un’esplicita finalità concettuale, altri sono più di carattere storico ed ermeneutico, e altri ancora si rivolgono specialmente all’ambito delle pratiche filosofiche. Considerando il lasso di tempo intercorso si noteranno diversità di stile compositivo e argomentativo. Raccogliere questi contributi è stato un intenso esercizio autobiografico che mi ha permesso di cogliere la plasticità e l’articolazione di un pensiero in fieri e in dialogo con i gruppi di ricerca e i luoghi che ho abitato nel corso di questi anni. Nonostante questa diversità ritengo che questi studi si compongano armoniosamente in una visione della dialogica come trasformazione che è sempre stata al centro della mia prospettiva filosofica. Al contempo, reputo che essi possano stimolare non solo la ricerca di nuovi percorsi al di là dell’individualismo epistemico ma anche a sperimentare metodologie e contesti dialogici e partecipati. Ringrazio quindi Luca Grecchi per avermi spinto a raccogliere questi lavori e invitato a pubblicarli nella collana da lui diretta per Petite Plaisance, di cui Carmine Fiorillo è direttore e che a sua volta ringrazio per la gentilezza, competenza ed entusiasmo filosofico.
Il volume è composto da quattro sezioni. Nella prima, intitolata “La rilevanza etico-politica della dialogica socratica”, compaiono cinque contributi. I primi due, “Socrate: il dialogo come farmaco” e “Platone: la ricerca della verità nel dialogo”, presentano i tratti caratterizzanti la dialogica socratica. In questi due capitoli analizzo in particolare la funzione purificatrice del dialogo nel Carmide di Platone e il contesto amicale e comunitario alla base dell’impegno filosofico in quanto presentato da Platone nell’Epistola 7. Nel terzo capitolo intitolato “Incantamenti” studio la funzione retorica del dialogare socratico attraverso un’analisi dello Ione per chiarire la differenza tra la dimensione emotiva attivata dalla parola filosofica e da quella poetica.
Nel quarto e nel quinto capitolo mi concentro sul dialogo contemporaneo. Nel capitolo quarto, “La contemporaneità del dialogo socratico antico”, dopo aver evidenziato le differenze tra il dialogo socratico antico e contemporaneo, propongo alcune indicazioni per inserire la dimensione etico-politica, così centrale nel dialogo antico, nelle pratiche filosofiche contemporanee, specialmente focalizzandomi sulla funzione catartica della vergogna. Il capitolo quinto, “Promuovere la fiducia nell’umanità durante il massacro: la resistenza dialogica di Minna Specht” è un esempio della rilevanza etica e politica di un’azione dialogica nei tempi di maggiore crisi. In particolare sostengo come la tenacia del continuare a dialogare e di costruire contesti dialogici sia espressione di una fiducia nell’umanità anche quando una trasformazione sembra impossibile.
Nella seconda sezione, “La dialettica della trasformazione”, discuto il nucleo concettuale necessario per comprendere come il dialogo sia trasformativo. Nel capitolo sesto, “Da cacciator divenne preda”, studio la trasfigurazione del soggetto conoscente attraverso un’analisi degli Eroici Furori di Giordano Bruno in dialogo con altri autori del lignaggio platonico, specialmente Plotino. Da questo studio emerge con potenza la funzione trasformatrice di eros.
Nei capitoli sette, otto, nove e dieci discuto la dimensione dialettica della trasformazione. Nel capitolo sette, presento un confronto tra Eraclito e Platone rispetto alla composizione degli elementi e la legge armonica. Nel capitolo otto, rilevo la capacità manifestativa della negazione secondo l’interpretazione di Heidegger del Sofista di Platone in confronto con la dialettica hegeliana. Nel capitolo nove, riporto questa concettualità nella dimensione della pratica dialogica applicata all’ambito della comunicazione tra medico e paziente come composizione dialettica di armonie. Per finire, nel capitolo dieci intitolato “Intreccio continuo”, considero la dimensione metafisica, etico-politica e spirituale della relazionalità attraverso un dialogo con la prospettiva filosofica di Luigi Vero Tarca.
Nella terza sezione, denominata “In prima persona”, sono raccolti studi sulla dimensione incarnata e situata della ricerca dialogica. Nel capitolo undici, “Nous e phren: conoscenza intellettuale, razionalità discorsiva e saggezza erotica in Socrate e Platone”, discuto la proceduralità dialogica attraverso lo studio della dimensione incarnata ed affettiva delle diverse funzioni dell’anima. Nel capitolo dodici, “Amore per il sapere”, argomento in favore del valore epistemico delle emozioni, intrecciando la dimensione aporetica dello thaumazein alla scoperta del valore della verità in Platone e Aristotele.
Il dialogo tra Platone e Aristotele continua nei capitoli tredici e quattordici, “La vita politica e la vita contemplativa nella concezione aristotelica della felicità” e “La maturità come akmé”. Qui la trasformazione epistemica viene analizzata secondo il paradigma dello sviluppo di virtù e del progresso epistemico e morale come perfezionamento e maturazione. Interpreto questa trasformazione nel suo carattere generativo, superando così anche un dualismo tra contemplazione filosofica e azione politica.
L’ultima sezione, intitolata “Liberi dal dualismo”, approfondisce uno dei fattori centrali che impediscono la trasformazione dialogica, il dualismo come ostacolo alla condivisione. Il dualismo inteso come separazione viene qui analizzato in alcune sue istanziazioni, ovvero in quelle forme di violenza strutturale che conducono all’oppressione delle donne (capitolo sedici, “Il dualismo strutturale e la natura-cultura della violenza contro le donne”) e allo sfruttamento degli animali (capitolo diciassette, “La violenza originaria. Il dualismo uomo-natura come radice della tortura sugli animali”). Come antidoto propongo una filosofia della differenza (capitolo quindici, “Filosofia della differenza”) e un impegno a cercare degli spiragli di trasformazione anche all’interno di scenari dove ciò sembra essere impossibile (capitolo diciotto, “La vulnerabilità dell’impossibile”). In questa ultima sezione la dialogica assume una valenza prettamente contemporanea e viene discussa con riferimenti ad altre tradizioni filosofiche, specialmente la filosofia francese, in particolare quella di Luce Irigaray e Gilles Deleuze.
Questo volume è dedicato a tutte le amiche e gli amici dei gruppi dialogici di cui ho fatto parte in questi anni. Li ringrazio per avermi permesso di sperimentare la realizzabilità e la generatività di una conoscenza in prima persona plurale. Possano anche i lettori godere della forza trasformatrice del dialogo.
L. C.
Pardubice, 29 gennaio 2022
1 Vedasi a questo proposito quanto ho sostenuto in Filosofia delle relazioni, il melangolo, Genova 2019, scritto a quattro mani con Giacomo Pezzano.
Indice del volume
Introduzione
Dialogare in prima persona plurale
I. La rilevanza etico-politica della dialogica socratica
Capitolo 1 : Socrate: il dialogo come farmaco
Introduzione
Commento
Invito alle pratiche filosofiche: l’Imitatio Socratis
Capitolo 2 : Platone: la ricerca della verità nel dialogo
Introduzione
Commento
Invito alle pratiche filosofiche: il dialogo socratico
Capitolo 3 : Il potere della parola in Socrate e i rapsodi e l’invenzione platonica della performance filosofica
Introduzione
Socrate e i rapsodi: la performance
Ispirazione improvvisa versus conoscenza stabile
Dynamis magnetica versus trasferibilità della conoscenza
Interpreti e strateghi
Conclusione
Capitolo 4 : La contemporaneità del dialogo socratico antico. Il ruolo delle emozioni
Introduzione
L’interpretazione maieutica
Emozioni e retorica
Le emozioni: una via di contatto con il pubblico
Il caso della vergogna: la purificazione elenctica
Le emozioni e la concezione dell’anima platonica
Il dialogo socratico integrale
Conclusione. Verso un’affettività condivisa
Capitolo 5 : Promuovere la fiducia nell’umanità durante il massacro. La resistenza dialogica di Minna Specht
Introduzione
L’etica della cura nell’esperienza politica di Minna Specht
Il genocidio: prevenzioni e risposte
La forza dell’evento: vulnerabilità e resistenza
La cura del nostro mondo: il ruolo delle emozioni
Conclusione: dialogo e diritti umani
II. La dialettica della trasformazione
Capitolo 6 : «Da cacciator divenne preda». La trasfigurazione delsoggetto conoscente, tra ricerca appassionata e coglimento estatico, nel lignaggio platonico
Introduzione
La trasfigurazione
La via della conoscenza e il fuoco della visione
Il rilucere della bellezza e la divina follia
La dimensione maschile e femminile della ricerca
Il cammino della trasfigurazione
Conclusione
Capitolo 7 : La legge dell’armonia nella composizione degli elementi. Tra immanenza e trascendenza. Platone interprete di Eraclito
Introduzione
Krasis e Armonia
Trascendenza della legge e presenza dell’invisibile
Il soggetto della tecnica
Conclusione
Capitolo 8 :Il negativo è insieme anche positivo.La trasfigurazione della negazionetra immediatezza e mediazione
Introduzione
Il laboratorio platonico della negazione
Heidegger: negazione e apparire
In che modo la negazione fa apparire?
Hegel: la mediatezza dialettica
La trasfigurazione tra mediazione e immediatezza
La natura trasfigurante dell’apparire
e la temporalità come suo carattere costitutivo
La relazione nella negazione
Pragmatica ed elenchos del negativo
Conclusione
Capitolo 9 : Comporre armonie. La cura delle relazioninelle pratiche filosofiche integrali
Introduzione
La promozione della relazionalità. Perché?
Medicina ed armonia. Alcune suggestioni platoniche
Il giusto equilibrio tra vicinanza e distanza
Come promuovere la relazionalità?
Il medico filosofo
Capitolo 10 : Intreccio continuo
Introduzione
Intreccio esteso e pura differenza
La via metafisica
La via etico-politica
La via mistico-spirituale
Conclusione: la via della pura differenza
III. In prima persona
Capitolo 11 : Nous e Phren. Conoscenza intellettuale, razionalità discorsiva e saggezza erotica in Socrate e Platone
Introduzione
Phronesis e nous
La modalità conoscitiva della phronesis socratica
La ricerca della definizione e la visione dell’aporia
In ascolto del phren
Phren e daimonion
La modalità conoscitiva del nous platonico
Dialettica e noein
Nous e eros
Eros e trasparenza
Conclusione
Capitolo 12 : Amore per il sapere. Le emozioni epistemiche e ilvalore della verità
Introduzione
Le emozioni epistemiche
Ma cosa significa riconoscere all’emozione
un carattere epistemico?
Emozioni, virtù e conoscenza
Divenire filosofo
L’etica della conoscenza
Conclusione: per una cura epistemica
Capitolo 13 : La vita politica e la vita contemplativa nella concezione aristotelica della felicità
Introduzione
La felicità, la forma di vita e l’attività specifica
Le due forme di vita principali
La felicità come azione virtuosa
La politica come attuazione della contemplazione
Vita contemplativa e vita politica:
due forme inconciliabili nella stessa persona?
La politica «buona»
Capitolo 14 :La maturità intellettuale come ἀκμὴ
Introduzione
La παιδεία tradizionale e il modello educativo platonico
La pluralità dei culmini e lo sviluppo delle virtù
La maturità come virtù
Conclusione
IV. Liberi dal dualismo
Capitolo 15 :Filosofia della differenza
Il pensiero della differenza sessuale
Il magistero femminile
Il dualismo oggettivante
Differenza e pluralismo
Capitolo 16 : Il dualismo strutturale e la natura-cultura, della violenza contro le donne. Una lettura filosoficadel preambolo alla Convenzione di Istanbul
Introduzione
Definizione di violenza contro le donne
La violenza strutturale
Il dualismo è il fondamento
della violenza strutturale contro le donne
L’inglobamento come violenza simbolica
Uguaglianza, parità e differenza nella Convenzione di Istanbul
Alcune prospettive a mo’ di conclusione
Capitolo 17 : La violenza originaria. Il dualismo uomo-natura come radice della tortura sugli animali
Introduzione
Il dualismo e la violenza originaria
La tortura sugli animali come violenza strutturale
Il valore intrinseco della natura e il riconoscimento di principio dell’animale
La relazione uomo e animale all’interno del paradigma della differenza
Capitolo 18 : La vulnerabilità dell’impossibile
Resistenza e aspirazione
Nell’impossibile: sporgenze per la trasformazione
La resistenza appassionata
Conclusione
Bibliografia
Indice dei nomi
Laura Candiottoè Professore Associato in Filosofia Teoretica presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pardubice, Repubblica Ceca, dove contribuisce alle attività di ricerca del Centro di Etica con un progetto sul ruolo delle emozioni nella responsabilità epistemica. Precedentemente ha svolto attività di ricerca presso l’Università di Edimburgo (Marie Curie Individual Fellowship), la Libera Università di Berlino (Fondazione Alexander von Humboldt), l’Università d’Aix-Marseille (Centro di Studi Avanzati Iméra) e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Fa parte anche dell’Accademia Intercontinentale sull’Intelligenza Artificiale (ICA4) di UBIAS ed è docente di Etica dell’Intelligenza Artificiale presso il Master “IA, Mente e Impresa” dell’Università di Brescia.
Studiosa di Platone ed esperta di filosofia delle emozioni ha pubblicato Le vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone (2012) e Filosofia delle relazioni (2019, con G. Pezzano). Ha curato Senza dualismo. Nuovi percorsi nella filosofia di Platone (2015) e Filosofia delle emozioni (2020, con I. Adinolfi). Con Luigi Vero Tarca ha curato diversi volumi dedicati alle pratiche filosofiche, tra i quali Primum Philosophari. Verità di tutti i tempi per la vita di tutti i giorni (2013) e Le radici della scelta (2015). Ha un’ampia produzione in lingua inglese, tra cui i volumi The Value of Emotions for Knowledge (2019) ed Emotions in Plato (2020, con O. Renaut), ma anche francese, spagnola e portoghese. Alcuni dei suoi contributi sono disponibili online in academia.edu e www.emotionsfirst.org.
Un tuffo …
… tra alcuni dei libri di Laura Candiotto …
Essere in relazione. Verso l’unità di sensibile e intellegibile, di teoria e di pratica, Alpinia, 2007
Presentazione di due saggi: comparazione, dal punto di vista teoretico, della struttura dell’identità nel pensiero di Platone e di Emanuele Severino; possibili sinergie tra la Philosophy for Children e il Teatro dell’Oppresso. Entrambi i saggi presentano tematiche caratterizzati da un fondamento comune ovvero la relazionalità del reale e, soprattutto, la relazionalità tra piano intelligibile e piano sensibile, seguendo il lessico platonico; entrambi sono caratterizzati dalla convinzione della necessità di tenere in stretto dialogo reciproco il piano teoretico e quello pratico.
Vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone, Mimesis, 2012
Primum philosophari. Verità di tutti tempi per la vita di tutti i giorni, con Luigi Tarca, Mimesis, 2013
Il volume presenta una selezione di brani antologici, con relativi commenti, che possono esser d’ispirazione per le pratiche filosofiche contemporanee. Si passa da filosofi classici antichi (Socrate e Platone), a pensatori contemporanei (Bateson e Foucault), da mistici orientali (Krishnamurti) a santi occidentali (Francesco), da temi classici della filosofia (Severino) alla questione del pensiero delle donne (Irigaray) e così via. Il lettore potrà così, grazie alla panoramica proposta, scegliere di praticare e di approfondire le vie che sente più vicine alla propria esperienza e di mettersi in discussione grazie al riconoscimento di una prospettiva differente. “Primum philosophari” è quindi un esercizio di ascolto, di pensiero critico e di pratica filosofica. Il classico adagio per il quale “primum vivere, deinde philosophari” è qui rovesciato per esprimere nel titolo un invito a individuare nella filosofia una pratica per la vita quotidiana. Il pensiero, e in particolare quello filosofico, se autenticamente compreso, appartiene infatti alla dimensione di ciò che è primo all’interno dell’esperienza della vita vissuta nella sua pienezza.
Comunicare in medicina. L’arte della relazione, con Luigi Vero Tarce, Mimesis, 2014
La deumanizzazione in medicina, che regola le relazioni tra i medici, i pazienti e i familiari secondo i bisogni dell’apparato sanitario, spesso in contrasto con quelli degli umani, e la medicina difensiva, che crea un clima di sospetto reciproco tra il medico e il paziente, minano alle fondamenta ogni possibilità di costruire relazioni efficaci. Il volume ha l’ambizione di raccogliere riflessioni teoriche e prospettive pratiche che siano in grado di rispondere a tali problematiche sempre più urgenti, riconoscendo il valore centrale della comunicazione. La filosofia si configura quindi, nel suo connubio con la medicina, come un’arte della relazione. “Prendersi cura di chi cura” è quindi il motto che accompagna le pratiche filosofiche per la medicina.
Le radici della scelta. La vocazione per la professione medica, con Luigi Vero Tarca, Prefazione di Maurizio Scassola, Mimesis, 2015
Il problema che qui viene affrontato è quello relativo alla scelta professionale del medico che è indissolubilmente legata alla sua vocazione. La filosofIa va a toccare proprio le radici di tale vocazione, le quali si rivelano – forse un po’ sorprendentemente, ma non casualmente – vicine alle proprie. La vocazione comune è quella di aiutare gli umani a vivere bene; la scelta professionale è ciò che conferisce capacità operativa alla realizzazione di questo scopo. I contributi che compaiono in questo libro vogliono quindi fornire un aiuto alla migliore comprensione del rapporto tra la scelta professionale e la vocazione di fondo in campo medico. La prima sezione (Vocazione e professione) getta uno sguardo di carattere generale sulla vocazione riconducendola alle sue radici esistenziali e antropologiche, e il pensiero fi losofi co viene applicato ai fenomeni storici e istituzionali che investono oggi il mondo medico. La seconda sezione (Cura di sé e cura di noi) propone alcune possibili risposte fi losofi che alla domanda su come affrontare concretamente problemi così complessi. Il volume porta al centro dell’attenzione alcune testimonianze, narrate in prima persona dai medici, nelle quali vocazione e professione si intrecciano in maniera indissolubile. La vita reale è quindi il fil rouge che compone tra loro le diverse esperienze.
Laura Candiotto, Phd, è assegnista di ricerca in Filosofia teoretica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con un progetto sulla nozione di relazione. Vincitrice della borsa di ricerca Marie Curie IF 2014 per la realizzazione del progetto Emotions First presso l’Università di Edimburgo (UK).È Autrice di Le vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone (2012), curatrice con Luigi Vero Tarca di Primum Philosophari. Verità di tutti i tempi per la vita di tutti i giorni (2013) e di Comunicare in medicina. L’arte della relazione (2014).
Luigi Vero Tarca, già professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Allievo di Emanuele Severino, ha elaborato una originale prospettiva filosofica che ha implicazioni anche nel campo delle pratiche filosofiche. Tra le sue opere ricordiamo: Differenza e negazione. Per una filosofia positiva (2001); La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche (2003; scritto con R. Màdera); A lezione da Wittgenstein e Derrida. Ovvero come diventa reale un dialogo impossibile (Milano-Udine 2012 scritto con I. Cannonieri). Hanno partecipato al volume come autori: Marco Ballico, Massimiliano Cabella, Laura Candiotto, Giuseppe Dal Ben, Christian Doni, Franco Fabbro, Elisabetta Favaretto, Chiara Fornasiero, Mario Galzigna, Ornella Mancin, Leonardo Marcato, Bruna Marchetti, Tiziana Mattiazzi, Gian Luigi Paltrinieri, Sara Patuzzo, Mattia Pontarollo, Annalisa Rossi, Maurizio Scassola, Luigi Vero Tarca, Fabrizio Turoldo, Roberto Valle.
Senza dualismo. Nuovi percorsi nella filosofia di Platone, Mimesis, 2015
Il volume intende rilanciare la discussione in merito al cosiddetto “dualismo platonico”, vero luogo comune dell’interpretazione del pensiero di Platone e vero luogo del pensiero che interroga e mette in questione l’intera esperienza della filosofia. Importanti specialisti del pensiero platonico e pensatori contemporanei esplorano nuovi percorsi nella filosofia di Platone che evidenziano, ognuno nella sua specificità, un modo nuovo per intendere la “dualità” , la partecipazione tra idee e sensibili, la relazione di anima e corpo e la finalità della conoscenza filosofica. È di vitale importanza riuscire a pensare un oltrepassamento della concezione dualista che non si riduca a un monismo indifferenziato o a un immanentismo della presenza che nega ogni forma di trascendenza: lo sforzo è cioè quello di pensare la dualità senza dualismo. Prefazione di Giovanni Casertano.
Home-made violence, con Sara De Vido, Mimesis, 2016
l titolo richiama provocatoriamente la creazione domestica della violenza. Qualcosa che è “home-made” di solito è genuino, sano, semplice e acquista una connotazione positiva proprio perché “fatto in casa”. Nel nostro caso, invece, ciò che è fatto in casa è tutt’altro che positivo, è infatti la violenza domestica, un fenomeno complesso, che appartiene al mondo del privato e che si origina nelle relazioni – o ex relazioni – di coppia. Un fenomeno che era destinato a rimanere oscuro, se non fosse che lo sviluppo del diritto internazionale ha consentito di superare il “public/private” divide che impediva di identificare dei precisi obblighi in capo agli Stati con riguardo alla prevenzione e alla lotta alla violenza domestica. I contributi che qui vengono presentati, frutto del lavoro di studiose e studiosi di cinque nazionalità diverse (Florence Benoît-Rohmer, Bruna Bianchi, Maria Ida Biggi, Laura Candiotto, Alisa Del Re, Sara De Vido, Edlira Grabova, Bonita Meyersfeld, Manfred Novak, Ivana Padoan, Ines Testoni) ruotano attorno alla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa entrata in vigore il 1 agosto 2014 e attraversano diverse discipline: dalla storia al diritto, dalla filosofia alla scienza dell’educazione, dalla psicologia al teatro.
l diritto alla filosofia. Quale filosofia per il terzo millennio?, con Francesca Gambetti, Diogene multimedia, 2016
Il volume riprende i temi di un fortunato libro dallo stesso titolo di Jacques Derrida e raccoglie saggi di numerosi autori, provenienti tanto dal mondo accademico quanto da quello delle pratiche filosofiche. D’altra parte, se c’è un diritto alla filosofia, o è per tutti o non è, e per tutti vuol dire anche per i cittadini non filosofi e persino per i bambini con la philosophy for children. Una filosofia per la cittadinanza, dunque. Ma quale filosofia? Per rispondere a questa domanda è nato questo libro, che apre una nuova collana della casa editrice Diogene Multimedia, di livello accademico ma rivolta anche alle professioni filosofiche all’esterno dell’accademia.
Socrate a L’agora. Que Peut La Parole Philosophique?, con Dries Boele et al., Vrin, 2017
Les années 80 ont vu émerger un art de philosopher, plus soucieux de pratique de vie que de construction spéculative. Ce regain d’intérêt pour la philosophie pratique, et notamment pour la discussion et la délibération philosophiques, renouant avec le dialegesthai socratique, conduit à une réflexion fondamentale sur la fonction de la parole philosophique, une parole qui est aujourd’hui amenée à se produire en des lieux nouveaux et sur des questions qui sont d’abord de nature éthique et politique. Le présent collectif, issu d’un colloque qui s’est tenu à Aix-en-Provence, recueille diverses contributions qui toutes s’interrogent sur ce « renouveau » et s’efforcent d’en apprécier le sens et l’ambition, en le rapportant à la figure exemplaire de Socrate philosophant sur l’agora. Cette rencontre d’une philosophie de nature académique et d’une pratique philosophique ouverte à chacun contribue à une meilleure compréhension des « dialogues socratiques » et à une meilleure intelligence du temps présent.
È tutto vero! Saggi e testimonianze in onore di Luigi Vero Tarca, con Francesco Berto, Mimesis, 2018
Dalla discussione dell’onnialetismo – la tesi filosofica secondo la quale ogni proposizione è vera – all’analisi della trappola del negativo – per cui il positivo è identificato con il negativo del negativo -, dalla testimonianza della filosofia come stile di vita all’approfondimento della nozione di pura differenza, il volume raccoglie trenta contributi di allievi e colleghi di Luigi Vero Tarca che si confrontano con la sua prospettiva filosofica.
Il genocidio. Declinazioni e risposte di inizio secolo, Giappichelli, 2018
l genocidio. Declinazioni e risposte di inizio millennio, a cura di Lauso Zagato e Laura Candiotto, sviluppa i contributi anticipati dal Convegno svoltosi sul tema a Ca’ Foscari, Venezia, nel febbraio 2014. Non diversamente dall’evento che lo ha preceduto, il volume presenta uno spiccato tratto interdisciplinare, all’insegna di un dialogo prevalente tra giuristi e filosofi, ma arricchito dall’apporto importante di altre discipline: politologiche e storiche, con attenzione al dialogo interreligioso e alla psicologia del conflitti. Un quarto dei contributi, si noti, è in lingua inglese. Scandito da una suddivisione in parti – nozione, prevenzione, risposta – il volume Il genocidio. Declinazioni e risposte di inizio millennio rappresenta uno strumento di lavoro utile nel suo rigore a docenti e studenti (e non solo universitari), ma prezioso pure – con la sua articolazione estesa ed approfondita ad un tempo – ad associazioni e imprese, funzionari pubblici, operatori attivi nel campo dei diritti umani in genere, specie ove si trovino a confrontarsi con gross violations di tali diritti.
Filosofia delle emozioni, con Isabella Adinolfi, Il Nuovo Melangolo, 2019
L’orizzonte valoriale dischiuso dalla conoscenza affettiva è un importante ambito di ricerca per l’epistemologia, l’etica, la politica e la teologia. Le emozioni contribuiscono alla definizione del valore dell’oggetto al quale si riferiscono ed esprimono l’orizzonte dí significato all’interno del quale il soggetto che sente, pensa e agisce costituisce la propria identità in relazione con il mondo. Le emozioni svolgono un ruolo centrale nella creazione di giudizi di valore e hanno la capacità di attivare processi motivazionali, in quanto sono inserite in una costellazione di funzioni conoscitive, dall’immaginazione all’aspirazione, dal sentire corporeo alla deliberazione.
Filosofia delle relazioni, con Giacomo Pezzano, Il Nuovo Melangolo, 2019
Siamo abituati a vedere intorno a noi oggetti, la cui esistenza sembra la cosa da dare più per assodata. Eppure, le nostre vite sono sempre più immerse in reti di interazioni: che cosa accadrebbe allora, se cominciassimo ad accorgerci che siamo invece innanzitutto circondati da relazioni e processi, prima che da cose e oggetti? È possibile cominciare a guardare al mondo come se fosse percorso da rapporti e trasformazioni? Filosofia delle relazioni offre degli strumenti linguistici e concettuali per comprendere la natura e il funzionamento delle relazioni, elaborando una prospettiva in grado tanto di tenere conto di alcune sollecitazioni provenienti dalla scienza contemporanea, quanto di rendere conto di alcuni aspetti che fanno parte della nostra esperienza, anche se spesso in maniera inavvertita.
The Value of Emotions for Knowledge, palagrave macmillan, 2019
This innovative new volume analyses the role of emotions in knowledge acquisition. It focuses on the field of philosophy of emotions at the exciting intersection between epistemology and philosophy of mind and cognitive science to bring us an in-depth analysis of the epistemological value of emotions in reasoning.
With twelve chapters by leading and up-and-coming academics, this edited collection shows that emotions do count for our epistemic enterprise. Against scepticism about the possible positive role emotions play in knowledge, the authors highlight the how and the why of this potential, lucidly exploring the key aspects of the functionality of emotions. This is explored in relation to: specific kinds of knowledge such as self-understanding, group-knowledge and wisdom; specific functions played by certain emotions in these cases, such as disorientation in enquiry and contempt in practical reason; the affective experience of the epistemic subjects and communities.
Emotions in Plato, con Olivier Renaut, Brill Academic Pub, 2020
“Emotions (patháe) such as anger, fear, shame, and envy have long been underestimated in Plato’s philosophy. The aim of Emotions in Plato is to provide a consistent account of the role of emotions in Plato’s psychology, epistemology, ethics and politicaltheory. The volume focuses on three main issues: taxonomy of emotions, their epistemic status, and their relevance for the ethical and political theory and practice. This volume, which is the first edited volume entirely dedicated to emotions in Plato’s philosophy, shows how Plato, in many aspects, was positively interested in these affective states in order to support the rule of reason”—
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Male quotidiano. Resistere di fronte agli esecutori. Silenzio e parole : La pietra perifrastica
Il male non è nei grandi eventi, ma nella normalità del quotidiano. Le grandi manifestazioni della violenza sono la punta dell’iceberg della normalità del male e del suo radicarsi nel quotidiano. Associare il male esclusivamente a malvagie intenzioni è una trappola in cui non bisogna cadere, l’intenzione malvagia è un’eccezione nella pratica del male, essa è piuttosto indifferenza e pensiero acritico. L’indifferenza non è casuale, è coltivata nel sistema mediante l’addestramento competitivo il cui scopo a trasformare ogni occasione in profitto, ciò si radica e si introietta fino a diventare la seconda natura dell’essere umano che tutto guida. Dall’orizzonte emotivo l’alterità è oscurata e con essa scompare il pensiero critico ed il giudizio qualitativo. L’indifferenza verso la comunità diviene giudizio acritico, si può vivere nel male, ma essere superficialmente convinti di essere nel bene. L’inganno dei totalitarismi è sempre eguale, si parte da un postulato da cui tutto dedurre logicamente deduttivamente senza che vi sia nella catena logica dubbio o riflessione sulle asserzioni logiche. Vi è lo scollamento tra verità e logica, quest’ultima è il protocollo i ogni agire indiscusso, e pertanto mai oggetto di giudizio critico. Il liberismo è totalitarismo capzioso, poiché parte dalla premessa della naturale predisposizione dell’essere umano al profitto, la libertà nell’assecondare il banale egoismo è la legge logica di ogni azione, parola e comportamento giornaliero. L’attenzione è solo sull’io e sull’interesse privato, non rientrano nel calcolo le conseguenze dell’azione e specialmente l’abitudine a perseverare nell’interesse privato congela ogni riflessione sul dato e sull’ipotetica possibilità dell’alternativa. L’oscuramento del giudizio critico è l’eclissi della ragione oggettiva, non resta che una soggettività spogliata della sua capacità di giudizio e resa conforme alla logica che tutto muove. La soggettività è, così, interna alla concatenazione logica e degli stimoli, non li governa, ma è l’esecutrice di logiche che non ha deciso, pertanto implicitamente il male è una nuova innocenza edenica senza gioia. La passività deresponsabilizza, si è sempre innocenti, non si è mai toccati dal male, esso è sempre degli altri, è in un fuori irraggiungibile. La logica che la Arendt ha applicato al nazismo e al comunismo staliniano è ora applicabile al liberismo, poiché l’integralismo dell’azienda con la adamantina logica del profitto ha occupato ogni spazio del quotidiano, al punto che ha sostituito la verità, è diventata pratica del male irriflessa che si materializza nella vita dei singoli come nelle relazioni internazionali. Il male avanza non solo sulla punta delle baionette, ma specialmente nel declino del giudizio critico sostituito banalmente dalla logica della potenza distruttrice:
“La logica non si identifica col ragionamento ideologico, ma indica la trasformazione totalitaria delle diverse ideologie. Se caratteristica principale delle ideologie fu di trasformare un’ipotesi scientifica, quale poteva essere ad esempio la sopravvivenza del più forte in biologia o della classe più progressista nella storia, in un’«idea» che potesse applicarsi all’intero corso degli eventi, allora è proprio della trasformazione totalitaria cambiare l’idea nella premessa logica, cioè in qualche affermazione, autoevidente da cui tutto si possa dedurre con implacabile coerenza logica1”.
Totalitarismo liberista
Il totalitarismo liberista non contemplato dalla Arendt come il ministero della verità del testo di Orwell 1984 vorrebbe riscrivere la storia, vorrebbe rappresentare la storia come la lunga marcia che porta al liberismo, oltre non vi è nulla, vi è solo la conferma nell’allargamento pervasivo geografico e temporale del turbocapitalismo. Ogni totalitarismo vorrebbe neutralizzare la storia, per questo la deve riscrivere e mutilare delle sue possibilità. Controllare la storia significa riordinare il tempo delle coscienze secondo una rigida concatenazione causale con la quale gli esseri umani sono ridotti ad enti che obbediscono alle leggi scientifiche. Nulla di nuovo deve emergere dalle coscienze, ma tutto deve essere sterilmente preordinato. La società aperta liberista si svela nella sua verità, se si pongono in epochè le libertà formali e si pensa il quotidiano in cui siamo invischiati, nel quale ogni gesto è finalizzato al profitto, in tale logica avanza l’impotenza rabbiosa generale, poiché le potenzialità di ogni persona sono asservite al solo profitto, e dunque sono negate. L’individuo fondamento del liberismo è negato. Nulla è vissuto con spontaneità e creativa gratificazione, anzi queste ultime sono vissute come patologie da curare. Dalla coscienza del soggetto come dalla storia nulla di nuovo deve emergere, ma tutto dev’essere sussunto alla logica del profitto e della guerra:
“Chiunque nelle scienze storiche creda sinceramente nella causalità, nega in realtà lo stesso oggetto della sua scienza. Tale credo può esser celato nell’applicazione di categorie generali, come sfida e risposta, all’intero corso degli avvenimenti, o nella ricerca di tendenze generali che si suppone siano gli strati più profondi da cui nascono gli eventi di cui essi sarebbero sintomi accessori. Tali generalizzazioni e categorizzazioni spengono la luce «naturale» che la stessa storia offre e, per ciò stesso, distruggono la vera storia, la sua unicità e il suo significato eterno che ogni periodo storico esprime. Nel quadro di tali categorie preconcette, la più cruda delle quali è la causalità, nessun evento, nel senso di qualcosa di irrevocabilmente nuovo, può apparire e la storia senza eventi di diventa la morta monotonia dell’unicità che si svolge nei tempi, l’eadem sunt omnia semper di Lucrezio2”.
Il nichilismo è la negazione del pensiero critico, l’unica logica a cui obbedisce è la libertà nella forma della soddisfazione dei propri interessi personali. La premessa è il profitto, il risultato è il suo conseguimento, le proposizioni intermedie sono solo tattica per la conclusione. La libertà consiste nell’abbattere gli ostacoli senza pensare-immaginare non solo le conseguenze, ma specialmente se tali azioni sono fonte di vero bene per il soggetto e per la comunità. L’utile divora l’idea di bene fino a renderla archeologica presenza lessicale. L’idea del bene deve scomparire dalla parole e dalle intenzioni, il sistema la rappresenta come divisoria e conflittuale, fonte e causa dei conflitti nel passato. L’assurdo logico è che la perenne lotta di tutti contro tutti, pur nella sua drammatica evidenza, è rappresentata come il paradigma che divide il mondo della libertà dal mondo dell’oppressione. Chiunque non voglia essere incluso nel liberismo è il male, ma ogni discussione sul bene è neutralizzata sul nascere, in tal modo il sistema si protegge dai crimini e tragedie commessi in nome del profitto. L’immaginazione, facoltà con cui ci si ritrae dagli stimoli, per ripensarli e creare il “mondo” è rigettata e vilipesa, si consolida l’uomo nuovo del liberismo con immense capacità tecniche, ma incapace di pensare, se rispondono al bene autentico delle comunità come dei singoli:
“Solo l’immaginazione ci permette di vedere le cose sotto il loro vero aspetto, di porre a distanza ciò che è troppo vicino in modo da comprenderlo senza parzialità né pregiudizi, di colmare l’abisso che ci separa da ciò che è troppo lontano in modo da comprenderlo come se ci fosse famigliare3”.
Il totalitarismo liberista si svela, se l’azione è sospesa e si pensa la logica che esso persegue. La verità del liberismo globale è nella negazione del suo fondamento: l’individuo con i diritti, in realtà è niente, poiché sussunto alla logica del profitto, è mezzo, e non fine, per cui il soggetto è un protocollo codificato dal sistema e dalla logica del profitto. Uscire dal totalitarismo significa riconoscerlo nella sua metamorfica capacità di mascherarsi e di assumere forme nuove. Il grande compito storico degli uomini e delle donne di buona volontà e di pensiero è smascherare le nuove forme di totalitarismo implicito per favorire l’emancipazione politica collettiva.
*** ***
Esecutori
La politica della globalizzazione non ha statisti o veri protagonisti, ma ha solo esecutori. Gli oligarchi governano, i politici eseguono, la politica agonizza e scompare, essa è solo uno spettro, non ha profondità, poiché è l’economia a tirare le fila. Gli esecutori, ciò malgrado, non sono tra di loro eguali, si può eseguire un ordine mediando il comando con le circostanze. L’intervento del Presidente del Consiglio Draghi con cui ha ringraziato Zelensky, è la dimostrazione di un tipo di esecutore incapace di mediare il comando con il contesto. Dopo il discorso del leader ucraino trasversalmente applaudito al Parlamento italiano, il Presidente del Consiglio ha tenuto il suo discorso in cui senza mediazione si è schierato, a nome degli italiani, con gli ucraini al punto da dichiarare la disponibilità della nazione ad inviare armi. Un non eletto decide in nome degli italiani, e ciò è già inquietante, ma dichiarare l’invio d’armi per aiutare la pace è come gettare benzina per spegnere un incendio. In questo caso l’esecutore degli ordini atlantista non ha mediato il comando con la Costituzione italiana. Nel discorso con i quotidiani e squallidi bizantinismi a cui siamo abituati, si poteva eseguire il comando rispettando minimamente la Costituzione, invece nulla. I dubbi su un’azione di guerra in sostegno ad una Ucraina in odore di nazionalismo fascista, che ha dichiarato illegale il partito comunista e limita l’uso della lingua russa, non sono pensati, ma occultati. In tali ambigue circostanze la mediazione era d’obbligo, invece il Presidente del Consiglio riporta gli ordini in Parlamento a sua volta sussunto all’esecutore. Resta un dubbio ulteriore, il mediocre esecutore non ha saputo mediare, o non ha voluto, in quanto ha voluto rassicurare gli oligarchi americani della fedeltà canina del Parlamento al disegno atlantista, al punto da palesare un sostanziale disprezzo verso la cultura della resistenza, la quale è il fondamento invisibile del Parlamento e della Costituzione. In entrambi i casi si è consumata una rottura tra Parlamento e popolo. Il Parlamento è sempre più simile ad una Versailles lontana dai sudditi. Non spirano venti rivoluzionari, ma la cesura tra i cittadini e il Parlamento spinge la nazione verso la disperazione: non vi è speranza nel futuro e nessuna fiducia verso le istituzioni. Il vuoto politico ed etico è potenza di possibilità imprevedibili. Il grande pericolo è tra di noi, siamo ad un passo dall’abisso, o forse già in caduta libera, per cui, forse, solo lo schianto potrà risvegliarci dal sonno ipnotico in cui stiamo precipitando. Gli esecutori sono in palese contraddizione logica, non rispettano i principi logici, si autonegano continuamente, ma ciò malgrado le loro menzogne non sono oggetto di critica. Il Presidente del Consiglio dichiara di essere per la pace, ma invia armi, afferma di volere l’Ucraina nell’unione europea, ovvero nella NATO, mentre si ricercano soluzioni diplomatiche. Si spinge alla guerra, si eseguono ordini senza nessun obiettivo reale, l’unico scopo è conservare il potere della plutocrazia, pertanto ci si adatta alle circostanze con una velocità sbalorditiva dimenticandosi quanto detto ieri, il risultato è la sfiducia dei cittadini nelle parole delle istituzioni. Gli esecutori come giocolieri usano le parole per mettere in atto ordini: non c’è pensiero, non c’è concetto, ma solo flatus vocis. Disabituare i cittadini all’ascolto e alla fiducia nelle parole è criminale, significa destabilizzare il fondamento della civiltà: il dialogo e la ricerca della verità. Non resta che ricostruire la resistenza del pensiero per contenere il nulla che avanza con i suoi venti di guerra. Resistere significa non lasciarsi prendere dal nulla dell’ateismo dei spregiatori della verità, ma restare in piedi tra le macerie ed unirsi per fermare il deserto che già abita tra di noi.
Silenzio e parola
Kiki Dimoulá poetessa greca scomparsa nel 2020 con la poesia La pietra perifrastica ci conduce nel silenzio della nostra epoca. La poesia non appartiene all’autore, ma parla attraverso l’autore materiale, è contatto con l’universale, per cui le parole del poeta sfuggono allo stesso per riposizionarsi nell’eccedenza creativa. La polisemia della poesia è fenomenologica, le parole non riescono a colmare la profondità del mondo, ma giocano con l’abisso per restituirci aspetti di verità. La pietra perifrastica reca con sé il silenzio del mondo, il ritiro del logos, eppure l’invocazione che ritmicamente evoca la risposta, implora la comunicazione è il segno di un’impossibile rinuncia. Senza parole la notte del mondo si sporge a noi, ma il bisogno di parole vere che recano l’impronta del tocco, ci rammenta che nessuna notte è totale. Il pensiero arretra, il nichilismo avanza con le sue ambigue promesse, ma vi è un’innocenza che sopravvive, sembra sul punto di farsi travolgere, ma sopravvive e ci indica con la sua cocciuta presenza che continueremo a porre domande, a cercare il modo esatto di porle in modo che il movimento delle parole ci tocchi per ricostruire processi di verità. La parola non è mai astratta, ma essa è interna ad una cornice di rimandi che la rendono concreta e trascendente, l’arco temporale delle parole sfugge il presente per aprirsi allo splendore del passato e del futuro che convivono nella soglia del presente. Ogni parola che riemerge dalla profondità della domanda è nuova pur con la sua storia che ci invita alla parassi, a ricreare l’ordine delle parole che ci stringono nella stretta mortale:
La pietra perifrastica (1971), di Kikì Dimulà
Parla Dì qualcosa, una qualsiasi. Soltanto non stare come un’assenza d’acciaio Scegli una parola almeno, che possa legarti più forte con l’indefinito. Dì “ingiustamente” “albero” “nudo” Dì “vedremo” «imponderabile», «peso». Esistono così tante parole che sognammo una veloce, libera, vita con la tua voce Parla Abbiamo così tanto mare davanti a noi Dove noi finiamo inizia il mare Dì qualcosa Dì «onda», che non sta arretra Dì «barca», che affonda se troppo la riempi con periodi Dì «attimo», che urla aiuto affogo, non lo salvare, Dì, «non ho sentito» Parla Le parole hanno inimicizie, hanno antagonismi se una ti imprigiona, l’altra ti libera. Tira a sorte una parola dalla notte. La notte intera a sorte Non dire «intera», Dì «minima», che ti permette di fuggire. Minima sensazione, tristezza intera di mia proprietà Intera notte Parla Dì «astro», che si spegne Non diminuisce il silenzio con una parola… Dì «pietra», che è parola irriducibile Così, almeno che io possa mettere un titolo a questa passeggiata lungomare.
Conservare l’invocazione alle parole è la breccia che può far tremare il mondo. Il capitale con le sue pratiche vorrebbe cancellare i linguaggi, perché teme le domande, vuole orizzonti che si chiudono nel deserto di un mondo di cose dove la parola si infrange per restare muta. Dinanzi all’avanzare del deserto non possiamo che piantare parole come fossero alberi per l’inverno dello spirito che sembra avanzare ineluttabile, ma solo il movimento delle parole nella sua purezza che si eleva dalle ambiguità della storia può condurci fuori dalla spelonca dei silenzi “capitali”. Solo i linguaggi liberano, perché mostrano la complessità olistica del mondo. Contro i semplicismi del nuovo totalitarismo non riconosciuto la poesia ci spalanca mondi che il capitale vorrebbe seppellire sotto il silenzio delle merci.
Salvatore Bravo
1 Hannah Arendt, La disobbedienza civile e altri saggi, Giuffrè editore 1985, pag. 103
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