«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«La cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell’eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po’ il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità».
Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, a cura di A. Calaprice, Mondadori, Milano 1999.
Friedrich Hölderlin, A Neuffer, marzo 1794, in Id., Tutte le liriche, (trad. di Luigi Reitani), Mondadori, Milano 2001.
Se cerchi di rendere ciò che è nobile senza l’ordinario, esso se ne starà come il più innaturale di tutti, come il più insulso.
Il nobile, nella misura in cui giunge a espressione, porta i segni del destino sotto cui è sorto.
Il bello, per come si espone nella realtà effettiva, assume di necessità una certa forma in base alle circostanze entro cui sorge.
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Riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità
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L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna.
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Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo. Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa
«Il vivente nella poesia è adesso ciò che occupa maggiormente i miei pensieri e i miei sensi. Avverto con così tanta profondità quanto io sia ancora lontano dal coglierlo e tuttavia la mia anima intera vi si sforza affannosamente, e io ne sono spesso così commosso da dover piangere come un bambino quando sento come alle mie rappresentazioni, in questo e in quel punto, manchi il vivente. Ma non riesco a tirarmi fuori dagli errori poetici tra i quali vago […]. Mi manca meno la forza della leggerezza, meno le idee delle sfumature, meno un tono principale di una molteplicità ordinata di toni, meno la luce dell’ombra, e tutto ciò dipende da una sola ragione. Io rifuggo troppo dall’ordinario e dal comune della vita reale […].
Temo di raffreddare la calda vita che è in me al cospetto della storia gelata del giorno e questa paura deriva dal fatto che tutte le vicende distruttive in cui mi sono imbattuto sin da ragazzo, io le ho accolte in maniera più sensibile di altri, e tale sensibilità mi sembra che abbia in ciò il suo fondamento: che io, in rapporto alle esperienze che ho dovuto fare, non ero organizzato in maniera abbastanza solida e salda. Ora me ne rendo conto. […] Poiché sono più vulnerabile di altri, devo tanto più cercare di ricavare vantaggio dalle cose che agiscono in modo distruttivo su di me, non devo prenderle per come sono in se stesse, ma solo in quanto sono utili alla mia vita più autentica. Là dove le trovo, io devo già in anticipo assumerle come materia indispensabile, senza cui la parte più intima di me non potrà rappresentarsi mai completamente. Devo accoglierle in me stesso per disporle all’occasione (come artista se un giorno vorrò e dovrò essere artista) come ombre alla mia luce, per restituirle in quanto toni subordinati da cui emerge tanto più vivo il tono della mia anima. Il puro può rappresentarsi solo nell’impuro e se cerchi di rendere ciò che è nobile senza l’ordinario, esso se ne starà come il più innaturale di tutti, come il più insulso, e questo appunto perché il nobile, nella misura in cui giunge a espressione, porta i segni del destino sotto cui è sorto; perché il bello, per come si espone nella realtà effettiva, assume di necessità una certa forma in base alle circostanze entro cui sorge, e questa forma non gli è naturale: diventa naturale solo per il fatto di considerare, accanto al bello, appunto anche quelle circostanze che gli diedero necessariamente una tale forma. […] Dunque senza l’ordinario non si può rappresentare alcun nobile: e io voglio ripetermelo sempre, quando mi imbatto nell’ordinario nel mondo: ti è tanto necessario quanto ai vasai la colla, perciò accettalo sempre, non allontanarlo da te, non averne paura».
F. Hölderlin a Neuffer, 12 novembre 1798, in Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], a cura di M. Knaupp, vol. II, München-Wien 1992-1993, pp. 710-712; Friedrich Hölderlin, Tutte le opere. Prose, teatro e lettere. Tutte le liriche, a cura di L. Reitani, 2 voll., LXVII-3887 pp., Mondadori, Milano 2020.
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Riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità
«La mia riflessione e i miei studi si sono quasi esclusivamente limitati a ciò che anzitutto mi premeva, la poesia, in quanto essa è arte vivente e scaturisce a un tempo da genio, esperienza e riflessione ed è ideale, sistematica e individuale. Ciò mi ha condotto a riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento e la sua Bestimmung, nella misura in cui esso è ideale e attivamente formante. Ancora: [ho riflettuto] su come l’impulso formativo, consapevole del suo fondamento e della sua propria essenza a partire dall’ideale, ma istintivamente secondo la sua materia, agisce come arte e come impulso alla formazione ecc. Ho creduto, alla fine delle mie ricerche, di essere riuscito a porre in maniera più vasta e comprensiva di quanto non mi fosse noto precedentemente il punto di vista della cosiddetta umanità (almeno nella misura in cui si intende con esso l’elemento unificante e comune nella natura umana e nelle sue direzioni, piuttosto che l’elemento differenziante, di cui comunque è necessario che si tenga conto). Aver raccolto questi materiali mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che sia poetico anzitutto perché vi si pratica la poesia, ma che anche istruisca sulla poesia, sia dal punto di vista storico che da quello filosofico, e, in generale, approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità».
F. Hölderlin, Lettera a Schelling, scritta tra l’1 e il 6 luglio 1798, in Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II, pp. 792-794.
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L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna
«L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna, generalmente falsa, oppure non trovi la sua dimensione specifica o, se pure l’ha trovata, si fermi a metà strada, ai mezzi che dovrebbero condurlo al suo scopo […]. E la ragione generale del tramonto di tutti i popoli è sempre stata, infatti, che la loro originalità, la loro propria natura vivente (ihre eigene lebendige Natur) ha soggiaciuto alle forme positive e al lusso che i loro padri avevano prodotto».
Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II,, pp. 62-63.
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Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo. Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa
«Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo, […] per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa, e […] sono poi la singolarità e le circostanze ciò che in definitiva determinano l’uno verso una certa singolarità e l’altro verso un’altra. Questa singolarità, a dire il vero, è quella che più appare evidente, ma non è detto per questo che altri pregi, di cui avvertiamo la mancanza, manchino del
tutto in un carattere tipico, piuttosto rimangono in ombra».
Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II, p. 67
«Chi siamo? Da dove veniamo? Che cosa ci aspettiamo? E che cosa ci aspetta? Molti si sentono soltanto confusi. Il terreno vacilla, e non sanno perché e per che cosa. Una condizione d’angoscia, la loro, che diviene paura se assume più precisi contorni. […] L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario, perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all’aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. […] L’affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli. Non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all’esterno può essere loro alleato. Il lavoro di quest’affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando a cui essi stessi appartengono».
Ernst Bloch, Il principio speranza. Immagini di un mondo migliore, 3 vol., Garzanti, 1994, vol. I.
«Si è detto che l’arte è figlia del suo tempo. Un’arte simile può solo riprodurre ciò che è già nettamente nell’aria. L’arte che non ha avvenire, che è solo figlia del suo tempo ma non diventerà mai madre del futuro, è un’arte sterile. Ha vita breve e muore moralmente nell’attimo in cui cambia l’atmosfera che l’ha prodotta. Anche l’altra arte, suscettibile di nuovi sviluppi, è radicata nella propria epoca, ma non si limita ad esserne un’eco e un riflesso; possiede invece una stimolante forza profetica , capace di esercitare un’influenza ampia e profonda. La vita spirituale, di cui l’arte è una componente fondamentale, è un movimento ascendente e progressivo, tanto complesso quanto chiaro e preciso. È il movimento della conoscenza. Può assumere varie forme, ma conserva sempre lo stesso significato interiore, lo stesso fine. […] Allora però arriva un uomo, che ci assomiglia, ma ha in sé una misteriosa forza “visionaria”. Egli vede e fa vedere» (pp. 20-21).
«I periodi in cui […] manca il pane metaforico, sono periodi di decadenza spirituale. Le anime continuano a cadere dalle sezioni superiori a quelle inferiori […]. In queste epoche silenziose e cieche gli uomini danno importanza solo al successo esteriore, si preoccupano unicamente dei beni materiali, e salutano come una grande impresa il progresso tecnico, che giova e può giovare solo al corpo. Le energie spirituali vengono sottovalutate, se non ignorate. I pochi che hanno ideali e senso critico sono scherniti o considerati anormali. Le rare anime che non sanno restare avvolte nel sonno e sentono un oscuro desiderio di spiritualità, di conoscenza e di progresso, infondono una nota di tristezza e di rimpianto nel grossolano coro materiale. La notte diventa sempre più fitta. Il grigiore si addensa intorno a queste anime tormentate e sfibrate dai dubbi e dalle paure, che spesso preferiscono un salto improvviso e violento nel buio piuttosto che una lenta oscurità. L’arte, che in tempi come quelli ha vita misera, serve solo a scopi materiali. E poiché non conosce materia delicata cerca un contenuto nella materia dura. Deve sempre riprodurre gli stessi oggetti. Il “che cosa” viene eo ipso meno; rimane solo il problema di “come” l’oggetto materiale debba essere riprodotto dall’artista. Questo problema diventa un dogma. L’arte non ha più anima. Su questa via del “come”, l’arte procede. Si specializza e diventa comprensibile solo agli artisti, che cominciano a lamentarsi dell’indifferenza del pubblico. Poiché in tempi simili l’artista medio non ha bisogno di dire molto e gli basta un minimo di “diversità” per farsi notare e osannare da certi gruppetti di mecenati e conoscitori (il che può comportare grandi vantaggi materiali), una gran massa di persone superficialmente dotate si butta sull’arte, che sembra cosi facile. In ogni “entro artistico” vivono migliaia e migliaia di artisti, la maggior parte dei quali cerca solo una maniera nuova, e crea milioni di opere d’arte col cuore freddo e l’anima addormentata. La “concorrenza” cresce. La caccia spietata al successo rende la ricerca sempre più superficiale. I piccoli gruppi, che casualmente si sono sottratti a questo caos di artisti e di immagini si trincerano nelle posizioni conquistate. Il pubblico, che è rimasto arretrato, guarda senza capire, non ha interesse per un’arte simile e le volta tranquillamente le spalle» (pp. 24-25).
«In generale il colore è un mezzo per influenzare direttamente l’anima. li colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima. È chiaro che l’armonia dei colori è fondata solo su un principio: l’efficace contatto con l’anima. Questo fondamento si può definire principio della necessità interiore» p. 46).
Vasilij Vasil’evič Kandinskij,La vita spirituale nell’arte, a cura di E. Pontiggia, SE, Milano 1989.
«Ogni singolo individuo che si innalza dal suo essere propriamente naturale all’esistenza spirituale trova nella lingua, nei costumi e nelle istituzioni del suo popolo una sostanza preesistente che, come accade nell’apprendimento della lingua, deve far propria. Perciò l’individuo singolo è già sempre sulla via della cultura, ha già sempre cominciato a superare la propria naturalità proprio in quanto il mondo in cui si sviluppa è un mondo formato nella lingua e nei costumi».
Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano 1997, pag 37.
«la felicità ha […] bisogno di durata e di costanza, e di qui nasce il suo rischio. Se è certamente vero che non si tratta di un dono della sorte (tyche) ma di un premio spettante a una prassi tenacemente virtuosa, è altrettanto vero che essa è esposta alla vicenda del tempo. Poiché non si tratta di una condizione privata, chiusa nell’individualità, ma di un’attività tutta socializzata, essa risulta ulteriormente esposta ai colpi della sorte che la contingenza dei rapporti umani può in ogni momento inferire».
Mario Vegetti, L’etica degli antichi, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 175.
«Piana ha vissuto, nel confine tra anni Cinquanta e anni Sessanta, l’esperienza della fenomenologia di Husserl che costituì il centro d’interesse di un grande Maestro come Enzo Paci. Non è il caso qui di tracciare mappe di quelle vicende, credo però che non sarebbe sbagliato sostenere che Piana, in quel gioco delle parti, che è sempre l’apertura di un’esperienza plurale sul suggerimento di un filosofo autentico, si è preso quella del fenomenologo più prossimo ai temi ‘duri’ di Husserl, agli obbiettivi che stabiliscono la teoreticità della ricerca fenomenologica come tratto distintivo ed essenziale rispetto ad altre figure di pensiero».
«Piana è a mio parere uno dei pensatori maggiori del dopoguerra italiano: mai prono alle mode, sempre originale e innovativo, come dimostrano i suoi essenziali contributi alla filosofia della musica. In sintesi un maestro in cui si ritrovano sempre momenti di autentico pensiero».
Elio Franzini, Intervento ad un Convegno presso l’Università di Macerata il 12-13 novembre 2015.
È possibile fare riferimento al nuovo in un senso più ampio, più ricco e profondo di quanto lo sia quello che vincola la parola alla pura dimensione temporale.
L’apertura al nuovo si rivela così fin dall’inizio essere un’apertura al molteplice.
Afferrare tutto ciò che si chiama realmente in causa chiamando in causa il nuovo: è nuovo ciò che non appartiene alla cerchia delle cose familiari e note.
Novità vuol dire anche estraneità, differenza, sradicamento e viaggio.
Non possiamo fare a meno di notarlo: la musica del nostro secolo che così spesso ha meritato e vantato, secondo le più varie formulazioni e accentuazioni, soprattutto il suo essere nuova è ormai diventata, nell’ineluttabilità del tempo che passa, la musica di un secolo che ora volge al suo termine. Fra non più di una decina danni avremo tutti i diritti di rivolgerci ad essa con quel senso di passato che viene realmente avvertito forse soltanto quando possiamo parlare riferendoci al secolo scorso, per quanto un simile schema temporale possa essere ritenuto arbitrario e irrilevante. Ma richiamare l’attenzione su questa circostanza non vuole affatto essere la premessa, peraltro inconsistente, per un discorso sullinvecchiamento, ma al contrario per fissare questa novità come una delle caratteristiche interne della musica novecentesca. Di essa è del resto possibile fornire uninterpretazione che ha ben poco a che vedere con la dimensione puramente temporale, con lavvicendarsi del vecchio al nuovo. Gettiamo dunque uno sguardo dinsieme, già installati nel secolo appena futuro, alla musica del secolo XX. E allora avremmo forse ragione di notare: al di là della grande complessità intrinseca delle vie intraprese, della differenza dei progetti e dei pensieri che stanno alla loro base, vi sono certamente tratti comuni che in qualche modo sono in grado di tipicizzare la vicenda musicale novecentesca, ed a questo proposito proprio il parlare di novità coglie nel segno. Tuttavia occorre subito precisare: parlando di novità come una caratteristica della musica novecentesca, non vogliamo semplicemente ribadire ciò che essa ha continuato a dire ed a ridire di se stessa, ma vogliamo piuttosto e qui naturalmente i termini e il senso del problema mutano profondamente cogliere un atteggiamento verso il nuovo come un atteggiamento peculiare, che caratterizza la musicalità novecentesca, il modo dessere del Novecento nella musica e per la musica. Certo, siamo consapevoli di come sia arrischiata già la stessa pretesa di rintracciare qualcosa di simile a dei tratti caratteristici e come si possa, nel tentare di soddisfare questa pretesa, pervenire a formulazioni che possono apparire astratte e ben poco significative. Eppure abbiamo la sensazione che, annoverando tra essi l’atteggiamento verso il nuovo, non si abbia a che fare con una vuota generalità, ma con uno dei punti di vista che possono essere utilmente assunti per vedere da una diversa angolatura cose mille volte già viste, cominciando a scorgere problemi ricchi di senso e difficoltà inavvertite. Intanto dobbiamo essere in grado di afferrare tutto ciò che si chiama realmente in causa chiamando in causa il nuovo: è nuovo ciò che non appartiene alla cerchia delle cose familiari e note, andare verso il nuovo significa in qualche modo allontanarsi da casa, addentrarsi in un paese straniero. Novità vuol dire dunque anche estraneità, differenza, sradicamento e viaggio. Perciò non è affatto interessante chiedersi se e quando vi sia stata novità nella musica novecentesca domanda che diventerebbe forse ben presto oziosa quanto riconoscere in essa unesigenza fondamentale che la caratterizza in profondità. Ovunque, nelle più diverse e diversamente motivate proposte musicali, sembra potersi applicare limmagine di un cerchio come delineazione di un confine che deve essere oltrepassato. Ovunque si scorgono limitazioni, barriere che ci stringono da ogni parte e che esigono di essere superate, e proprio in esse consiste il vecchio a cui si contrappone il nuovo, nell’abbattimento di queste barriere consiste soprattutto l’innovazione. Ciò vale naturalmente per il superamento del linguaggio tonale il primo passo decisivo. Per quanto si possa mostrare la continuità di un processo in cui questo superamento può apparire come il suo esito coerente, è più interessante per noi portare ora lattenzione piuttosto sul momento della rottura, e quindi, se mai, su un processo di erosione progressiva che produce alla fine un varco dal quale si può uscire all’aperto. Ciò che la pratica musicale ha sempre mostrato di sapere che nessun privilegio intrinseco spetta al linguaggio della tonalit à dal punto di vista espressivo arriva infine alla più chiara consapevolezza teorica, e con ciò viene a cadere l’idea di un sistema fondamentale prossimo più di ogni altro all’essenza stessa della musica, come anche l’idea di un finalismo interno capace di operare la subordinazione di ogni forma di espressione musicale entro una prospettiva unitaria. L’apertura al nuovo si rivela così fin dallinizio essere un’apertura al molteplice. Non solo vi sono molti modi di intervenire nella crisi del tonalismo e di operarne un superamento – una circostanza che ancora oggi si tende a trascurare immiserendo con falsi schematismi la ricchezza di dimensioni della musicalità novecentesca – ma questo superamento va compreso e integrato in un più ampio processo di acquisizione delle esperienze musicali extraeuropee, dall’altra musica, che può perciò essere considerata anchessa musica nuova. Come abbiamo osservato poco fa, lidea della superiorità della musica europea, laddove non ha come conseguenza il puro e semplice disinteresse, comporta una sorta di distorsione finalistica, come se il linguaggio musicale europeo fosse anche situato al livello finale di uno sviluppo a cui non potevano che tendere anche le altre culture con maggiore o minore successo. Solo leffettivo venir meno di una simile idea può consentire un approccio che preservi l’autonomia dell’altra musica da quelle pratiche assimilatrici che ne annientano l’alterità e che, all’interno di un simile finalismo, potevano essere ritenute plausibili e senza problemi. Lo stesso si può dire per il modo in cui riemerge nella musica novecentesca ai suoi inizi il problema della musica popolare e della sua relazione con la musica colta. Questo problema fa parte della musica di sempre: ma solo nel nostro secolo la musica popolare viene assunta come un altro linguaggio da scatenare contro o da innestare come elemento esplosivo all’interno della musica colta. Il cerchio che chiude è qui rappresentato proprio dall’idea che il nuovo sia acquisito semplicemente esplicitando e dispiegando tensioni appartenenti al passato, in una sorta di logico sviluppo di una tradizione che pretende di bastare a se stessa e di attingere da se stessa l’energia per andare più avanti. Rompere il cerchio potrebbe allora significare acquisire di salto forme di espressione musicale nuove, che sono tali non già perché superano il passato prossimo, promuovendo un passo dopo l’altro il futuro, ma perché appartengono a un’altra dimensione storica, nella quale esse sono del resto ricche di passato. Diventa così sempre più chiaro in che modo sia possibile fare riferimento al nuovo in un senso più ampio, più ricco e profondo di quanto lo sia quello che vincola la parola alla pura dimensione temporale. Si consideri da questo punto di vista il problema delle nuove sonorità. In realtà, ogni epoca, ogni cultura musicale ha operato le proprie scelte anche sul terreno della materia sonora, manifestando preferenze verso certi tipi di sonorità piuttosto che verso altri. Eppure è certamente una caratteristica esclusiva della nostra epoca l’entusiasmo così spesso manifestato per la pura e semplice idea della possibilità di scoprire una suono nuovo, un suono mai prima udito. Ciò sembra riportare l’accento sull’aspetto temporale, prospettando un’esperienza di ascolto che dovrebbe essere considerata in via di principio eccezionale proprio per questa assoluta novità. Ma a uno sguardo appena un poco più penetrante appare invece che anche questo tema merita piuttosto di essere considerato alla luce delle nostre osservazioni precedenti. Veramente importante è infatti, anche in questo caso, la percezione di una limitazione che deve essere trascesa. Nuovi non sono solo i suoni inauditi, ma anche quelli che non appartengono alla chiusa cerchia di quelli che la nostra tradizione musicale ci ha reso familiari, dunque anche quei suoni che si odono ogni giorno, facendoci più o meno caso, integrati come sono nelle immediate circostanze della nostra vita quotidiana. La ricerca di nuove sonorità tende così a fare tuttuno con l’idea di un ampliamento del campo dei suoni utilizzabili all’interno della composizione. La concezione secondo la quale vi sarebbero suoni predestinati ad un impiego musicale deve essere giudicata come priva di fondamento. Questa idea si ripresenta in numerose varianti che del resto esplicitano la ricchezza del suo contenuto. Intanto si tende a ribaltare o comunque a modificare le «gerarchie» tradizionali degli strumenti, si promuove e si degrada; si propongono modifiche e alterazioni delle pratiche strumentali tali da produrre effetti rari e inusitati. E anche in questi casi non dobbiamo dimenticare l’area dei sensi entro cui si agita questa tensione alla novità: ciò che ora si esalta o che si pone al centro dell’interesse musicale sono sonorità reiette, lontane, marginali. Che importanza hanno avuto, ad esempio, le percussioni nella tradizione musicale europea? Solo una nuova consapevolezza di altre civiltà musicali e quindi della necessità di operare un superamento dei limiti imposti al materiale sonoro della nostra tradizione può portare ad una valorizzazione degli strumenti percussivi. Di contro si sa come il pianoforte, punto culminante ed emblema di una civiltà musicale, venga spesso «degradato» a ciò che di fatto esso è innanzitutto, e cioè uno strumento percussivo. Si assiste così a operazioni di particolare complessità, nelle quali spesso le dimensioni temporali e le dimensioni culturali tendono a intrecciarsi. È il caso qui di rammentate in un lampo come in Ionisation di Varèse all’arcaismo dei suoni percussivi, appartenenti a civiltà lontane ed a paesaggi desertici, si contrapponga il suono perforante di una sirena che ci riporta di colpo al centro della città operaia, al presente della fabbrica metropolitana. All’ambito della problematica delle nuove sonorità appartiene naturalmente la riflessione musicale sulla produzione elettronica del suono benché naturalmente il suo raggio di azione sia molto più ampio. In realtà questa riflessione è stata guidata per un buon tratto dall’idea di poterci liberare una volta per tutte dagli strumenti non solo della tradizione europea, ma dagli strumenti, come dire? umani in genere: dalle pesantezze, rigidità, incapacità, dai limiti derivanti non solo dalla costituzione meccanica e materiale dello strumento, ma soprattutto dal fatto che esso può produrre suoni solo attraverso l’azione dello strumentista educato in un lungo esercizio. E per quanto quell’esercizio sia stato perseguito ostinatamente, per quante abilità siano state in esso acquisite, il flautista dovrà pure, almeno una volta, tirare il fiato, e il violinista non potrà arrampicarsi sulla tastiera più velocemente di quanto lo consenta l’osso delle sue dita. Per non dire poi della rozzezza, approssimazione, grossolanità delle capacità psicologiche, dei limiti invalicabili che rendono impossibile, ad esempio, una suddivisione temporale realmente fine, il mantenimento esatto delle durate e la differenziazione dei piccoli intervalli. All’improvviso tutti gli strumenti in genere ci appaiono invecchiati, anzi ci appaiono vecchi cadenti. Rammentando ancora Varèse. Contro il violino: «gracile, misero, penoso». «Il violino non esprime la nostra epoca». «Con le attuali possibilità di amplificazione del suono è stupido mettere venti primi violini in unorchestra». Contro gli strumenti a fiato: «E nonostante che nella vita quotidiana abbiamo scoperto qualcosa di più efficace e di più conveniente della pompa a mano, siamo ancora lì a soffiare come matti negli strumenti a fiato». Qualunque cosa oggi si possa pensare di affermazioni come queste, esse fanno certamente parte della storia del problema. Ed è sempre all’interno di questa storia che si va affermando la convinzione non solo di possedere un mezzo per produrre suoni mai prima uditi, e nemmeno soltanto di realizzare un ampliamento dei materiali della musica, ma soprattutto di poter dominare l’intero campo dei fenomeni uditivi in generale possibili. Un atteggiamento verso il nuovo che è essenzialmente caratterizzato dall’esperienza di un limite contiene indubbiamente nelle sue pieghe il pensiero di un dominio e di un controllo che ha di mira la totalità stessa. Ed è il caso forse di attirare lattenzione sul fatto che si tratta di un pensiero che in passato non è mai stato formulato, nemmeno in una prospettiva utopica.
Giovanni Piana, Filosofia della musica, Introduzione, Editore Angelo Guerini e Associati, Milano 1991; versione digitale del 2005 in Archivio di Giovanni Piana, pp. 7-13.
Le sue Opere complete, in ventinove volumi, sono racchiuse nei seguenti volumi, disponibili via Amazon: Vol. I – Elementi di una dottrina dell’esperienza Vol. II – Strutturalismo fenomenologico e psicologia della forma. Vol. III – La notte dei lampi. Parte prima Vol. IV – La notte dei lampi. Parte seconda Vol. V – Le regole dell’immaginazione Vol. VI – Filosofia della musica Vol. VII – Intervallo e cromatismo nella teoria della musica Vol. VIII – Alle origini della teoria della tonalità Vol. IX – Teoria del sogno e dramma musicale. La metafisica della musica di Schopenhauer Vol. X – Mondrian e la musica Vol. XI – Saggi di filosofia della musica Vol. XII – Problemi di teoria e di estetica musicale Vol. XIII – Introduzione alla filosofia Vol. XIV – Interpretazione del “Mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer Vol. XV – Immagini per Schopenhauer Vol. XVI – Interpretazione del “Tractatus” di Wittgenstein Vol. XVII – Commenti a Wittgenstein Vol. XVIII – Commenti a Hume Vol. XIX – I problemi della fenomenologia Vol. XX – Fenomenologia, esistenzialismo, marxismo Vol. XXI – Saggi su Husserl e sulla fenomenologia Vol. XXII – Stralci di vita Vol. XXIII – Conversazioni sulla “Crisi delle scienze europee” di Husserl Vol. XXIV – Fenomenologia delle sintesi passive Vol. XXV – Numero e figura Vol. XXVI – Frammenti epistemologici Vol. XXVII – Barlumi per una filosofia della musica Vol. XXVIII – Album per la teoria greca della musica. Parte prima Vol. XXIX – Album per la teoria greca della musica. Parte seconda
“La fenomenologia come metodo filosofico”, Introduzione al volume P. Spinicci, La visione e il linguaggio, Guerini e Associati, Milano 1992. English version: Phenomenology as philosophical method, PDF disponibile qui.
“Immaginazione e poetica dello spazio”, in: Metafora Mimesi Morfogenesi Progetto, a cura di E. D’Alfonso e E. Franzini, Guerin e Associati, Milano 1991, pp. 93–100.
“Considerazioni inattuali su T. W. Adorno”, “Musica/Realtà”, XIII, n. 39, (Dicembre 1992), pp. 27–53.
“Figurazione e movimento nella problematica musicale del continuo”, in: Autori Vari, La percezione musicale, Guerini e Associati, Milano, 1993, pp. 11–36.
“Fenomenologia dei materiali e campo delle decisioni. Riflessioni sull’arte del comporre”, in: Il canto di Seikilos, Scritti per Dino Formaggio nell’ottantesimo compleanno, Guerini e Associati, Milano 1995, pp. 45–55.
I compiti di una filosofia della musica brevemente esposti, html, De Musica, 1997.
Elogio dell’immaginazione musicale, De Musica, 1997.
La serie delle serie dodecafoniche e il triangolo di Sarngadeva, De Musica 2000.
Immagini per Schopenhauer (2001)
Il canto del merlo (1999) – Versione PDF completa dei suoni.
“Occorre riflettervi ancora”. Considerazioni in margine a Fantasia e immagine di Edmund Husserl (2018). PDF
Leggere i poeti. Note in margine a Giovanni Pascoli (2018) – articolo per De Musica
Traduzioni
G. Lukács, Scritti di sociologia della letteratura (Milano, 1964)
H M. Enzensberger, Questioni di dettaglio ( Milano, 1965)
G. Lukács, Storia e coscienza di classe (Milano, 1967)
E. Husserl, Ricerche logiche (Milano, 1968)
E. Husserl, Storia critica delle idee (Milano, 1989)
Multifocal approach. Una contestualizzazione storico-sociale. Occorre porsi con critica consapevolezza progettuale all’interno della totalità sociale.
Da alcuni anni, ad opera di quella che è oramai possibile definire come la “Scuola di Macerata”, guidata da Maurizio Migliori e Arianna Fermani, sta prendendo forma un nuovo paradigma interpretativo della realtà, definito Multifocal approach (d’ora in poi MA). In merito ad esso vorrei chiarire innanzitutto la mia posizione, che è quella di una sostanziale vicinanza, soprattutto con il fine di questo approccio, consistente nella composizione teoretica delle varie parti della realtà. Queste parti infatti rischiano oggi -per il crescente specialismo degli studi scientifici volti a descriverle -di rimanere fra loro fortemente isolate, con l’esito della estrema frammentazione del sapere. In un periodo storico in cui le costruzioni teoriche generali costituiscono il grande assente del pensiero filosofico, un progetto così serio e articolato, che riprende le grandi categorie metafisiche della parte e dell’intero, del divenire e dell’essere, della molteplicità e della unità per rielaborarle dialetticamente, merita di sicuro un plauso. Ho già dedicato al MA un saggio piuttosto articolato, intitolato Multifocal Approach. Una critica costruttiva ad un paradigma in costruzione, attualmente in corso di pubblicazione per il «Giornale di Metafisica», in cui mi sono soffermato su alcuni dei principali snodi teoretici ed ermeneutici di questo paradigma. In questa sede cercherò di svolgere una operazione differente, che di solito non si effettua, in quanto è mal vista in termini accademici: quella di analizzare quegli snodi alla luce del contesto storicosociale in cui viviamo e delle relative idee dominanti. Ogni filosofia, infatti, è inevitabilmente influenzata dal proprio tempo, sicché raggiungere una maggiore consapevolezza circa il medesimo, e su come esso possa determinare strutture e atteggiamenti anche in paradigmi teoretici apparentemente astratti, può essere una operazione piuttosto utile.
Luca Grecchi, Multifocal approach. Una contestualizzazione storico-sociale, in «Humanitas», Rivista bimestrale di cultura, fondata nel 1946, Anno LXXV – N. 1-2 – Gennaio-Aprile 2020, pp. 140-148.
Sommario
Il modo di produzione capitalistico Alcuni snodi teoretici ed ermeneutici del Multifocal approach La metafora del prisma Nell’inconscio del Multifocal approach
In copertina: Paul Klee, Revolution des Viaducts (Rivoluzione del viadotto), 1937. Hamburger Kunsthalle, Amburgo.
In uno dei disegni praparatori dell’opera Klee aveva indicato il titolo provvisorio: Le arcate dei ponti rompono le righe. Una rivoluzione dunque, un auspicio di profondo mutamento, alla radice, di sistemi fossilizzati. Gli archi si ribellano all’uniformità del viadotto e avanzano “rompendo le righe”, per superare ogni incatenamento teorico e artistico.
«Migliori e Grecchi sono due metafisici che si ispirano alla tradizione greca e la custodiscono con cura, anche se Migliori guarda soprattutto a Platone e Grecchi soprattutto ad Aristotele. Entrambi amano la verità e il bene». Carmelo Vigna
Questi i temi del dialogo
La genesi della filosofia / L’amore per Platone / “La filosofia si fa, non si impara” / Il Multifocal Approach / Possibili critiche al Multifocal Approach / Uomo: una natura razionale e morale? / Sul timore della definizione / Su ciò che non è stato ritrovato / Presocratici: una lettura multifocale? / Chi fu il “primo filosofo”? / Sulla definizione della filosofia e la differenza con le scienze / Socrate sofista? / Sulla filosofia ellenistica e post-ellenistica / I Greci cercavano per trovare risposte utili / Sul bene / Sulla verità: questione logico-fenomenologica o (anche) onto-assiologica? / Utopia e progettualità / Sul trascendente / La dolcezza come virtù filosofica / L’anticrematistica: filo conduttore delpensiero antico? / Stato dell’arte della filosofia antica in Italia / Oltre alla filosofia… / Su Platone Primo Ministro… / Sulla educazione dei giovani / Sulla morte
Maurizio Migliori si è laureato in filosofia (1967) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e poi specializzato presso la stessa università (1969) sotto la guida di Giovanni Reale, con cui ha continuato a collaborare fino alla morte del Maestro (2014). Docente di Scuola secondaria superiore per oltre 20 anni (1968-1991), poi professore di Storia della filosofia antica presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata per oltre 20 anni, prima come associato (1991-2001), poi come ordinario (2001-2015). In pensione, continua a svolgere attività didattica nella stessa Università. Autore di numerosissimi articoli su riviste italiane e straniere e di numerosi libri, tra cui la nuova edizione di Aristotele, La generazione e la corruzione, Bompiani, Milano 2013; Il disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone, 2 voll., Morcelliana, Brescia 2013. Con Petite Plaisance ha pubblicato La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni (2019, pp. 592).
Per tutti gli scritti di Maurizio Migliori, cliccare qui. (oppure: autore, M. Miglori)
Luca Grecchi, Luca Grecchi svolge attività di insegnamento e di ricerca presso le Cattedre di Storia della Filosofia e di Filosofia Morale della Università di Milano Bicocca. Ha pubblicato, nella collana Questioni di filosofia antica delle Edizioni Unicopli i libri Natura (2018) e Uomo (2019), e, per l’editore Morcelliana, Leggere i Presocratici (2020). È curatore dei volumi Sistema e sistematicità in Aristotele, Immanenza e trascendenza in Aristotele, Teoria e prassi in Aristotele (Petite Plaisance, rispettivamente 2016, 2017, 2018).
Opportunità e utilità di un approccio multifocale. Un contributo alla lotta contro il relativismo e contro la semplificazione che caratterizza l’orizzonte dell’attuale “cultura di massa”.
Questo testo tenta di chiarire e di articolare un quadro teorico che il gruppo di antichisti dell’Università di Macerata sta elaborando da molti anni, a partire da un terreno essenzialmente ermeneutico. Lo studio di Platone, affrontato sulla base della proposta avanzata dalla Scuola di Tubinga-Milano, ci ha portati a un atteggiamento di grande attenzione ai paradigmi e alle metodologie che i vari interpreti utilizzano, a volte del tutto inconsapevolmente; inoltre, la filosofia platonica ci ha permesso di cogliere l’importanza della dialettica, in particolare dei processi di unificazione e separazione, soprattutto in relazione alla coppia intero-parti. Questo studio pluridecennale ci ha portati a completare il percorso della suddetta scuola, evidenziando come le tante “contraddizioni” che le interpretazioni tradizionali trovano nei dialoghi siano solo l’espressione di una filosofia che riconosce la complessità del reale, che accetta i limiti della condizione conoscitiva umana e che, di conseguenza, ritiene che la verità possa essere raggiunta cogliendo 1. per quanto possibile 2. con un atteggiamento multifocale 3. il maggior numero possibile di aspetti diversi dell’oggetto. Abbiamo mostrato che la visione platonica del reale è “coerentemente multifocale”; pertanto, solo un ‘ermeneutica multifocale è in grado di dame una interpretazione corretta e non dipendente da qualche “intelligente” invenzione dell’ interprete. Questa interpretazione, che ci porta ora a parlare di una proposta di Tubinga-Milano-Macerata, è poi stata integrata da una seconda scoperta del tutto imprevista. Aristotele, accusato a sua volta di aver avuto una evoluzione radicale nel suo pensiero, sottoposto a un esame prolungato e approfondito ha manifestato il medesimo atteggiamento del maestro Platone. A questo punto, individuato un analogo comportamento anche in altri autori dell’antichità, il Multifocal approach ha cominciato ad apparirci come una chiave interpretativa di valore generale, in funzione antidogmatica e antirelativista. In quanto tale, può essere utilizzato anche nella attuale congiuntura storica, che vede il prevalere di atteggiamenti relativisti, spesso basati su una confusione tra la pervasività delle strutture relazionali e il relativismo, concetti che restano indistinti a causa di una scarsa attenzione alla concettualizzazione, rafforzata dai processi di semplificazione diffusi a livello di massa. […] Come ha evidenziato Kuhn nei suoi studi di storia del pensiero scientifico, l’assunzione di un paradigma è, nella sua fase iniziale, un gesto che si colloca a metà strada tra convinzione razionale e atto di fede, una sorta di scommessa sulla validità della scelta operata. Anche il presente tentativo di un approccio multifocale ha tali caratteristiche. Per questo occorre premettere una sorta di quadro d’insieme che, proponendo lo sfondo entro cui si svolge il ragionamento, consenta di articolare successive trattazioni più analitiche. Queste dovranno verificare nei vari ambiti quanto qui proponiamo su un piano “formale/astratto” con poche esemplificazioni di tipo “materiale/concreto” e, nello stesso tempo -primo esempio di “multifocalità” -dovranno modificare lo stesso quadro nella misura in cui forniscono nuovi dati e nuovi elementi che lo arricchiscono, e quindi lo cambiano. Il primo dato che occorre sempre ricordare, infatti, è che l’analisi della realtà modifica la realtà stessa, in quanto aggiunge un dato -l’analisi -che la realtà oggetto dell’analisi prima non possedeva. Per tentare di svolgere un percorso dobbiamo almeno delineare la nostra meta ideale. Non riteniamo possibile ipotizzare l’elaborazione di metodologie comuni (o addirittura uniche) per delineare una nuova “unità del sapere” o anche solo una più facile comunicazione tra le varie discipline. Fatte salve alcune somiglianze, non si vede come scienze radicalmente diverse (ad esempio sociologia e chimica) possano avere metodologie molto simili. Il nostro tentativo non mira a processi di unificazione, ma al contrario a una più consapevole diversificazione dentro un orizzonte comune. La nostra ambizione non è dunque quella di realizzare una qualche “rottura epocale”, ma quella di inserirci con la massima coerenza possibile in un processo che, pur minoritario, ci sembra già avviato e che è, ai nostri occhi, del tutto necessario. Il che non vuoi dire che si realizzerà. Con il senso del limite che dovrebbe sempre caratterizzarci speriamo solo di contribuire alla lotta contro il relativismo, dando un contributo utile contro la semplificazione che caratterizza l’orizzonte dell’attuale “cultura di massa”. Il termine che tradizionalmente designa questo orizzonte è Weltanschauung, “visione del mondo”. Questa è oggi segnata da una grave contraddizione. Da una parte abbiamo una realtà sempre più complessa, dall’altra una diffusa preoccupazione per questo dato, affrontato con strumenti inadeguati. Ciò determina effetti culturalmente, socialmente e personalmente ambigui, per non dire pericolosi, all’interno della tradizione culturale occidentale. Si tratta dunque di lavorare per l’affermazione di visioni del mondo che accettino la complessità e che consentano atteggiamenti, strutture educative, paradigmi sufficientemente articolati e capaci di farci comprendere il reale nei suoi molteplici e spesso diversissimi aspetti. Questo sforzo deve essere accompagnato da una accettazione dei limiti della natura umana, rifiutando la visione apocalittica/escatologica che ha tanto spesso caratterizzato la modernità. Limite vuoi dire ricordare che una visione è sempre parziale, che i risultati raggiunti sono validi “fino a prova contraria”, che siamo spesso di fronte a tante verità, tutte rigorosamente scritte con la “v” minuscola».
Maurizio Migliori,Opportunità e utilità di un approcciomultifocale, in «Humanitas», Rivista bimestrale di cultura, fondata nel 1946, Anno LXXV – N. 1-2 – Gennaio-Aprile 2020, pp. 3-38.
Sommario
Premessa Introduzione Alcune precisazioni
Parte prima L’universalità del divenire
Il reale è uni-molteplice Il nesso intero-parti Presenze dell’intero e modo d’essere delle parti Il gioco delle relazioni Separazioni e nessi Identico e diverso Polemos: la nostra realtà non è mai pacificata Realtà e determinazioni
Parte seconda Alcune riflessioni sulle forme della conoscenza
Sulla verità Su possibili eccessi dell’ermeneutica La “cosa”, il “dire” e il”detto” L’onnipresenza delle relazioni non implica l’approdo relativistico Riaffermare la presenza di molte verità e di approcci differenziati Sulle varie forme di multifocalità Multifocalità debole Multifocalità paradigmatica Multifocalità ermeneutica Il pensiero occidentale, “naturalmente” ostile alla visione multifocale
In copertina: Paul Klee, Revolution des Viaducts (Rivoluzione del viadotto), 1937. Hamburger Kunsthalle, Amburgo.
In uno dei disegni praparatori dell’opera Klee aveva indicato il titolo provvisorio: Le arcate dei ponti rompono le righe. Una rivoluzione dunque, un auspicio di profondo mutamento, alla radice, di sistemi fossilizzati. Gli archi si ribellano all’uniformità del viadotto e avanzano “rompendo le righe”, per superare ogni incatenamento teorico e artistico.
«Migliori e Grecchi sono due metafisici che si ispirano alla tradizione greca e la custodiscono con cura, anche se Migliori guarda soprattutto a Platone e Grecchi soprattutto ad Aristotele. Entrambi amano la verità e il bene». Carmelo Vigna
Questi i temi del dialogo
La genesi della filosofia / L’amore per Platone / “La filosofia si fa, non si impara” / Il Multifocal Approach / Possibili critiche al Multifocal Approach / Uomo: una natura razionale e morale? / Sul timore della definizione / Su ciò che non è stato ritrovato / Presocratici: una lettura multifocale? / Chi fu il “primo filosofo”? / Sulla definizione della filosofia e la differenza con le scienze / Socrate sofista? / Sulla filosofia ellenistica e post-ellenistica / I Greci cercavano per trovare risposte utili / Sul bene / Sulla verità: questione logico-fenomenologica o (anche) onto-assiologica? / Utopia e progettualità / Sul trascendente / La dolcezza come virtù filosofica / L’anticrematistica: filo conduttore delpensiero antico? / Stato dell’arte della filosofia antica in Italia / Oltre alla filosofia… / Su Platone Primo Ministro… / Sulla educazione dei giovani / Sulla morte
Maurizio Migliori si è laureato in filosofia (1967) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e poi specializzato presso la stessa università (1969) sotto la guida di Giovanni Reale, con cui ha continuato a collaborare fino alla morte del Maestro (2014). Docente di Scuola secondaria superiore per oltre 20 anni (1968-1991), poi professore di Storia della filosofia antica presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata per oltre 20 anni, prima come associato (1991-2001), poi come ordinario (2001-2015). In pensione, continua a svolgere attività didattica nella stessa Università. Autore di numerosissimi articoli su riviste italiane e straniere e di numerosi libri, tra cui la nuova edizione di Aristotele, La generazione e la corruzione, Bompiani, Milano 2013; Il disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone, 2 voll., Morcelliana, Brescia 2013. Con Petite Plaisance ha pubblicato La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni (2019, pp. 592).
Per tutti gli scritti di Maurizio Migliori, cliccare qui. (oppure: autore, M. Miglori)
Luca Grecchi, Luca Grecchi svolge attività di insegnamento e di ricerca presso le Cattedre di Storia della Filosofia e di Filosofia Morale della Università di Milano Bicocca. Ha pubblicato, nella collana Questioni di filosofia antica delle Edizioni Unicopli i libri Natura (2018) e Uomo (2019), e, per l’editore Morcelliana, Leggere i Presocratici (2020). È curatore dei volumi Sistema e sistematicità in Aristotele, Immanenza e trascendenza in Aristotele, Teoria e prassi in Aristotele (Petite Plaisance, rispettivamente 2016, 2017, 2018).
Al centro di questa foto sta H.G. Gadamer; a sinistra H. Kramer e G. Reale; a destra Th. Szlezak e M. Migliori. La foto è stata fatta il 3 settembre 1996 a Tubinga, nell’intervallo di un incontro con Gadamer degli studiosi di Platone della Scuola di Tubinga e di quella di Milano. Immagine tratta dal volume: G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle “Dottrine non scitte”, Vita e Pensiero, 1977.
Al centro (fra G. Reale e H. Kramer) sta Th. A. Szlezak (i cui libri su Platone sono, come quelli di Kramer e di Gaiser, in Italia ben noti e molto diffusi). È il successore di K. Gaiser alla direzione del Piaton-Archiv. In piedi, alle spalle di Szlezak, sta M. Migliori (allievo di Reale e professore all’Università di Macerata, autore di alcuni dei più recenti e impegnativi lavori sui dialoghi dialettici di Platone). Questo gruppo rappresenta quella che Kramer chiama Scuola di Tubinga e Scuola di Milano. Questa fotografia è stata scattata a Tubinga, nel Platon-Archiv, il 30 aprile del 1994, a conclusione del convegno platonico in onore di H. Kramer, per festeggiare il suo sessantacinquesimo compleanno. Sul tavolo sta il dattiloscritto della traduzione di V. Cicero del volume di K. Gaiser, La dottrina non scritta di Plalone, con Presentazione di G. Reale e Introduzione di H. Kramer. Immagine tratta dal volume: G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle “Dottrine non scitte”, Vita e Pensiero, 1977.
Invito alla lettura
Pubblichiamo qui di seguito come invito alla lettura l’ultimo capitolo del libro «La bellezza della complessità», dal titolo: “Maurizio Migliori, Un paradigma ermeneutico per la storia della filosofia antica. L’approccio multifocale“. Si tratta di un PDF, e può essere letto a video, e/o scaricato e stampato (pp. 29). Per l’indice del volume cliccare qui: indice
Dedico questa raccolta alle allieve e agli allievi che ho incontrato nell’arco di cinquant’anni, nella scuola e nell’Università, e a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggermi e di ascoltarmi, dando un ulteriore senso al mio lavoro di ricerca con l’amato Platone.
M. M.
Questa è l’affermazione che considero come la formula sintetica di quello che Platone pensa della realtà cosmica e del suo “disordinato ordine” (Maurizio Migliori, Uni-molteplicità del reale e dottrina dei Principi):
«Sarà quindi meglio affermare, come più volte abbiamo detto, che nell’universo c’è molto illimitato (ἄπειρόν) e sufficiente (ἱκανόν) limite, e, al di sopra di essi, una causa non da poco, la quale, ordinando e regolando gli anni, le stagioni e i mesi, può, a buon diritto, essere chiamata sapienza e intelligenza» (Platone, Filebo, 30 C 3-7).
Questo testo mette a disposizione del lettore importanti studi, alcuni proposti qui per la prima volta in italiano, altri ormai quasi introvabili. Migliori, studioso di Platone internazionalmente riconosciuto, svolge una trattazione che parte da Eraclito e, attraverso la sofistica, raggiunge il filosofo ateniese, che è oggetto di una serie di contributi di assoluto interesse. Molti dialoghi risultano scandagliati in modo approfondito, soprattutto il Fedro e tutti i dialoghi dialettici (Parmenide, Sofista, Politico e Filebo). In effetti, Migliori ha un particolare interesse per la dialettica, il che spiega gli studi su Eraclito e Gorgia. La dialettica è alla base della filosofia platonica, qui ricostruita in modo chiaro e profondo. Le tesi proposte, originali, ma mai svolte per il gusto della novità, manifestano una testarda fedeltà al testo. Lo prova la abbondanza di citazioni presenti in questi articoli, che costituiscono una delle ricchezze offerte al lettore interessato. Anche quando affronta un tema particolarmente dibattuto, come la scrittura filosofica di Platone, Migliori non si limita ad evidenziare l’importanza decisiva del “gioco protrettico” proposto nel Fedro, ma offre una serie di esempi testuali che mostrano nel concreto le tecniche utilizzate dal filosofo. Tra questi saggi non mancano trattazioni etiche e politiche, al cui interno l’Autore affronta anche tematiche rischiose, come l’analisi del libro X della Repubblica. Mentre vari studiosi vorrebbero quasi espungerlo, Migliori si impegna a mostrare le ragioni che lo rendono utile e necessario per completare questo grande dialogo. Ciò gli dà anche la possibilità di demolire una serie di diffusi luoghi comuni, ad esempio sulla condanna dell’arte, sulle Idee e sull’anima. Quest’ultimo tema è poi affrontato in un saggio, che evidenzia la differenza tra la concezione dell’anima, una delle più grandi “invenzioni” greche, e la visione biblica, centrata sulla resurrezione. Infine, Migliori fa una proposta ermeneutica e filosofica di fondo, che definisce “approccio multifocale”. Questo paradigma consente, da una parte di capire il pensiero classico che pratica normalmente questo tipo di lettura della realtà, dall’altra di avere una visione che rispetta le relazioni e la complessità del nostro mondo, senza cadere nelle trappole logiche e pratiche del relativismo.
Indice
Introduzione di Luca Grecchi
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Note sulla dialettica in Eraclito Premessa La presenza assente del logos Il contenuto del logos L’esito finale dell’eraclitismo
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Gorgia quale sofista di riferimento di Platone Il problema del rapporto tra Gorgia e Platone Un primo nesso tra Gorgia e Protagora Gorgia retore e sofista Il Gorgia Il Parmenide Il Teeteto e il Sofista Conclusioni
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La filosofia dei sofisti: un pensiero posteleatico Diversi possibili itinerari di ricerca Il quadro descrittivo del Sofista Il problema del non essere Il riferimento a Gorgia Il rapporto filosofico con Protagora Intreccio e differenze nell’uso dei due sofisti
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Come scrive Platone. Esempi di una scrittura a carattere “protrettico” Alcune premesse di metodo Un errore volontario Una maturità precoce? Il rinvio della trattazione del Bene Un esercizio infinito Una necessaria diffidenza L’architettonica di un dialogo Allusioni e inserimenti “estemporanei” Il (cauto) utilizzo di altri dialoghi L’utilità del metodo proposto
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La struttura polifonica del Fedro Una situazione paradossale Elementi introduttivi alla lettura del dialogo Un incontro particolare La struttura del dialogo Il motivo dominante: la tecnica di comunicazione orale e scritta e la responsabilità di colui che comunica Il centro tematico dell’opera: il vero tra filosofia e mania Il tema più importante: l’anima e il rapporto uomo-Dio Conclusioni
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L’unità della Repubblica come esempio di scrittura platonica: il libro X Prologo Alcune riflessioni di valore generale La fine del libro IX e il collegamento con il libro X La condanna dell’arte mimetica Primo punto Secondo punto Terzo punto Il problema delle Idee Le Idee dei manufatti Primo problema Secondo problema La divinità e la produzione delle Idee Il problema dell’anima La partizione dell’anima Immortalità dell’anima e sopravvivenza Il mito di Er Conclusione
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Dialettica e Teoria dei principi Nel Parmenide e nel Filebo di Platone Prologo Alle fonti della dialettica Dialettica e filosofia L’identità uno–molti Un sistema di postulati risolutivi Originarietà della dialettica La dialettica come metodo Natura del metodo dialettico L’indicazione metodica I passaggi metodici Una metodologia complessa La dialettica come filosofia Necessità della struttura polare. La negazione dell’Uno–Uno Due processi per una sola realtà La Polarità originaria Uno e Non Uno Limite e Illimitato Polivalenza funzionale dei Principi Limite, Uno e Bene La Misura La visione dialettica del reale Tutto è Misto Misto e Idee Essere e tempo, divenire e atemporalità. L’inutilità della dialettica dell’Essere senza Uno Il Divenire e l’Istante L’articolazione della dialettica platonica: Tutto e parte Un rapporto dialettico, ma non paritetico Conseguenze della dialettica intero–parte Dialettica e aporie delle Idee La dialettica platonica Una dialettica né binaria né trinaria Metodo dialettico e Principi primi
***
Alcune riflessioni su misura e metretica (il Filebo tra Protagora e Leggi, passando per il Politico e il Parmenide) Prologo Una premessa di metodo. lo scritto platonico come “gioco” La trattazione metafisica del Filebo Prima parte del dialogo: Processo ontogonico e Causa Premessa: la realtà è uni-molteplice Le radici metafisiche di questa realtà uni-molteplice L’Apeiron Il Peras Il misto La causa Conseguenze e conferme sul piano cosmo-ontologico Ordine e disordine del Cosmo alla luce del Politico La causalità ideale alla luce del Parmenide Prime conclusioni Seconda parte del dialogo: il Bene e la Misura Premessa: la trattazione del Bene è necessaria
Alcune “anticipazioni” sul Bene
Le “allusioni” alla natura del Bene
Il segno del Bene-Misura
Le due trattazioni a confronto
La metretica
La metretica nelle prime opere
Le due metretiche del Politico
L’applicazione della “misura” nell’azione del politico
Un breve riferimento alle Leggi
La vita buona e misurata
Due tipi di uguaglianza L’importanza del modello trinario
Appendice I Le Idee sono composte da altre Idee Appendice II La trattazione di cause e concause Fedone Politico Timeo
Due brevi osservazioni finali
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Cura dell’anima. L’intreccio tra etica e politica in Platone La natura bivalente della politica L’intreccio tra etica e politica Il parallelo tra anima e polis Potere politico e dominio di sé Elementi di antropologia platonica L’anima Beni e virtù Due “Idee” di piacere Il Bene L’azione del politico Il ruolo ordinatore delle leggi Le responsabilità dei soggetti politici Centralità dell’impianto educativo Politica e retorica Il fine della politica: ordine e felicità Il Bene come fine Due modelli di vita a confronto Il piacere e i beni umani Virtù e felicità Un necessario approdo escatologico
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Polivalenza strutturale della filia in Platone La semanticità di filia nei dialoghi La funzione socio–politica dell’amicizia L’esempio dei conviti Due specifiche applicazioni Critone o dell’amicizia Il rinvio al Primo amico Una riflessione finale
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La domanda sull’immortalità e la resurrezione. Paradigma greco e paradigma biblico Prologo L’evoluzione del paradigma greco La tradizione orfica e il suo sviluppo filosofico Platone Una duplice valutazione Una riflessione razionale sull’anima Le prove dell’immortalità dell’anima Tripartizione dell’anima e sua sopravvivenza Anima e corpo in Aristotele Immortalità dell’anima ed etica Immortalità dell’anima ed opere essoteriche La concezione ebraica Una visione mitica Una visione unitaria dell’essere umano La condizione dopo la morte Lo stacco tra immortalità dell’anima e resurrezione Socrate e Cristo L’incontro nell’ellenismo e nel cristianesimo Filone di Alessandria Il primo cristianesimo Conclusioni
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Un paradigma ermeneutico per la storia della filosofia antica: l’approccio multifocale Una situazione straordinaria Il senso e le ragioni di una scelta diversa L’emergere del multifocal approach Il contributo della sofistica L’esperienza platonica L’elaborazione aristotelica Il valore attuale di questa visione dell’antico
In copertina: Vasilij Kandinskij, Verso l’alto (Empor), 1929, olio su cartone. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. L’energia del pensiero nella ricerca della bellezza si protende verso l’alto (empor). Le forme geometriche astratte disegnano il volto di profilo di una persona: il personaggio è sorretto – in un punto di equilibrio ideale – da un trapezio e da una lettera E (empor). L’occhio, lo sguardo, è rivolto verso un’altra grande E a destra, in alto.
«Se sottoponiamo alla considerazione del nostro pensiero la natura o la storia umana o la nostra specifica attività spirituale, ci si offre anzitutto il quadro di un infinito intreccio di nessi, di azioni reciproche, in cui nulla rimane quel che era, dove era e come era, ma tutto si muove, cambia, nasce e muore. Noi quindi, in un primo tempo vediamo il quadro d’insieme nel quale i particolari più o meno passano in seconda linea e badiamo più al movimento, ai passaggi, ai nessi, che a ciò che si muove, passa e sta in connessione. […] Ma questa concezione, sebbene colga giustamente il carattere generale del quadro d’insieme dei fenomeni, pure non è ancora sufficiente per spiegare i particolari di cui questo quadro d’insieme si compone, e sino a quando non sapremo far questo, non saremo chiaramente edotti neppure del quadro stesso. Ma per conoscere questi particolari dobbiamo staccarli dal loro nesso naturale o storico ed esaminarli ciascuno per sé, nella sua natura, nelle sue cause, nei suoi effetti particolari ecc. [ … ]. L’analisi della natura nelle singole sue parti, la ripartizione dei diversi fenomeni e degli oggetti della natura in classi determinate, l’indagine dell’interno dei corpi organici nelle loro molteplici conformazioni anatomiche sono state la condizione principale dei progressi giganteschi che nella conoscenza della natura gli ultimi quattrocento anni ci hanno portato. Ma questo metodo ci ha del pari lasciata l’abitudine di concepire le cose e i fenomeni della natura nel loro isolamento, al di fuori del loro vasto nesso d’insieme; di concepirli perciò non nel loro movimento, ma nel loro stato di quiete, non come essenzialmente mutevoli, ma come entità fisse e stabili, non nella loro vita, ma nella loro morte. […] Questa maniera di pensare ci appare a prima vista estremamente plausibile per il fatto che essa è proprio quella del cosiddetto senso comune. Solo che il senso comune, per quanto sia un compagno tanto rispettabile finché sta nello spazio compreso tra le quattro pareti domestiche, va incontro ad avventure assolutamente sorprendenti appena si arrischia nel vasto mondo dell’indagine scientifica […]. Una rappresentazione esatta della totalità del mondo, del suo sviluppo e di quello dell’umanità, nonché dell’immagine di questo sviluppo quale si rispecchia nella testa degli uomini, può quindi effettuarsi solo per via dialettica, prendendo costantemente in considerazione le azioni reciproche del nascere e del morire, dei mutamenti progressivi o regressivi».
Friedrich Engesls,Antidühring, Rinascita, Roma 1950, p. 27-30.
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