Giacomo Pezzano – «Koinè»: Il vero punto filosofico da scavare è che cosa si voglia intendere con “progettualità”

Giacomo Pezzano

Koinè


Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx

Giacomo Pezzano

Il vero punto filosofico da scavare è
che cosa si voglia intendere con “progettualità”

«Provo allora ad andare avanti rispondendo a Luca, che intanto ringrazio per aver letto ciò che ho scritto, cosa mai scontata. Parto dal suo 3), che poi è anche collegato a un punto di 1). Davvero la conditio sine qua non è costruire un macroedificio? Come ho già detto, credo che spetti a chi sostiene che ciò possa o vada fatto di “tenere botta”. Soprattutto perché Luca ha un modo di intendere il macroedificio che è peculiare, quindi il macroedificio che io a oggi posso avere in mente (posto che sarò in grado di farlo o ne avrò la possibilità) potrebbe già essere non un macroedificio nella sua prospettiva.
E vado allora direttamente a 1). Ci si scontra proprio con il cuore della faccenda: si può avere uno stesso fine? E che cosa significa? Dubito anche io che i filosofi in quanto filosofi possano condividere un problema e un fine. Infatti è per questo che sono molto recalcitrante a entrare filosoficamente (sottolineo) in un tema come quello della progettualità, perché è già impostato a partire da una specifica cornice concettuale (quella di Luca, in questo caso), e come prima cosa richiederebbe proprio di discutere la progettualità stessa. Perché è proprio il perno (Costanzo avrebbe detto l’intuizione olistica di fondo) di tutto il discorso di Luca, ciò che Luca non spiega mai perché è proprio ciò che lo spinge a pensare.
Ma io è proprio quel perno lì che trovo non convincente, o perlomeno non accettabile senza essere tematizzato. E so bene che non è un lavoro che Luca può fare, perché un filosofo dice quel che dice, non può anche spiegare perché lo dice, cosa che in genere fa un altro filosofo di lui dopo di lui. Il che – sia chiaro – è proprio un modo per prendere filosoficamente Luca sul serio, riconoscendogli la specificità di un problema posto e affrontato.
In realtà credo che quanto ho appena scritto è troppo condensato per risultare davvero chiaro. E potrebbe sembrare un modo per dire “inutile avendo un problema diverso dire qualcosa su un altro problema”, ossia sulle specifiche posizioni di Luca. E potrebbe essere – ripeto – tacciato di essere un semplice “trucco ideologico”, tanto che Luca appunto dice che io sono protagonista di un’antipatia ermeneutica di origine storico-sociale. A dire: tu sei solo un figlio inconsapevole del tuo tempo.
Passo allora a 2), che è appunto l’ingresso più diretto in ciò che dice Luca.
…» [… Leggi tutto il saggio aprendo il PDF qui sotto]

Giacomo Pezzano

Giacomo Pezzano,
Il vero punto filosofico da scavare è
che cosa si voglia intendere con “progettualità”



Gli altri interventi
Luca Grecchi, Sulla progettualità
Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi
Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.
Antonio Fiocco, Difendere in tutti i modi la progettualità.
Alessandro Pallassini – Note marginali per la progettazione di un comunismo della finitezza a partire da Spinoza.
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
Claudio Lucchini – Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo
Giacomo Pezzano / Luca Grecchi – «Commenti» [Commento all’articolo di Luca Grecchi, Sulla progettualità – Commento all’articolo di Luca Grecchi, Perché la progettualità?]
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Lorenzo Dorato – «Koinè»: La progettualità come necessaria riflessione sui destini collettivi e sociali.

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Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. L’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo.

Ernesto Che Guevara05
«L’atteggiamento comunista di fronte alla vita
 è quello di mostrare
 con l’esempio
 la strada che bisogna seguire».

Ernesto Che Guevara, 1964

***

«Il salario è un male antico, che nasce con l’affermarsi del capitalismo, quando la borghesia prende il potere distruggendo la società feudale, e non muore neppure nella fase socialista. Ultima sopravvivenza, morirà, si esaurirà, per dir così, quando il denaro cesserà di circolare, quando si raggiungerà la società ideale: il comunismo» (15 aprile 1962, in un discorso al I Convegno nazionale dei sindacati; dal febbraio 1961 era stato nominato Ministro dell’Industria e dell’Economia della Repubblica di Cuba, carica che ricoprirà fino al 1965)

***

«Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si parla, come facciamo noi qui, o come si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi naturalmente dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. Non dobbiamo farci illusioni, pensare che queste cose sono semplici parole, che si possa credere che entrare nel comunismo sia come fare il biglietto per andare al cinema, dobbiamo pensare che è un processo molto lungo. Ma dobbiamo vedere qual è lo scopo finale, e tenerlo presente quandanche passino molti anni, e tutta la nostra generazione si consumi…» (Conferenza televisiva del 25 febbraio 1964 sui temi del pieno impiego).

***

«I paesi socialisti hanno il dovere morale di farla finita con la loro tacita complicità con i paesi occidentali sfruttatori. […] Per noi, la sola definizione valida di socialismo è l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Finché ciò non avviene, si è nel periodo della costruzione della società socialista; e se questo fenomeno non si verifica, se la lotta per la soppressione dello sfruttamento ristagna o, addirittura, fa passi indietro, non è legittimo neppure parlare di costruzione del socialismo» (24 febbraio 1965, ritornato in Algeria, pronuncia il suo ultimo discorso politico al II seminario economico di solidarietà afro-asiatica).

***

«Il peso del Capitale di Marx, di questo monumento dell’intelligenza umana è tale che ci ha fatto dimenticare assai spesso il carattere umanista (nel senso più nobile della parola) delle inquietudini marxiane. La meccanica dei rapporti di produzione e la sua conseguenza, la lotta di classe, nasconde in una certa misura il fatto oggettivo che sono gli uomini a muoversi nell’ambiente della storia. Adesso c’interessa l’uomo, e perciò scegliamo questa citazione che non perde certo valore, come espressione del pensiero del filosofo, per il fatto che appartiene al suo periodo giovanile» [Febbraio 1964; segue la citazione del notissimo brano in cui Marx definisce il comunismo come reale appropriazione dell’essenza umana da parte dell’uomo e per l’uomo, attraverso la soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo]. «Marx pensava alla liberazione dell’uomo e vedeva il comunismo come la soluzione delle contraddizioni che hanno prodotto la sua alienazione, intendendola, tuttavia, come un atto cosciente. Il comunismo, cioè, non può essere visto unicamente come e il risultato delle contraddizioni di classe in una società altamente sviluppata, che dovrebbero essere risolte in una tappa di transizione per raggiungere la vetta: l’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo».

***

«La merce è la cellula economica della società capitalista, finché essa esiste i suoi effetti si faranno sentire nell’organizzazione della produzione, e quindi nella coscienza […]. C’è il rischio che gli alberi impediscano di vedere il bosco. Inseguendo la chimera di realizzare il socialismo con l’aiuto delle armi screditate che ci ha lasciato il capitalismo (la merce come cellula economica, la redditività, l’interesse materiale individuale come leva, ecc.), si può finire in un vicolo senza uscita. E vi si giunge dopo aver percorso molta strada, nella quale i cammini si incrociano molte volte, e in cui è difficile rendersi conto di quando si è sbagliato direzione. Nel frattempo la base economica adattata a quei modelli ha minato sotterraneamente lo sviluppo della coscienza. Per costruire il comunismo, contemporaneamente alla base materiale bisogna fare l’uomo nuovo […]. Da molto tempo l’uomo cerca di liberarsi dall’alienazione per mezzo della cultura e dell’arte. Egli muore ogni giorno durante le otto o più ore in cui agisce come merce, per poi risuscitare nella sua creazione spirituale. Però questo rimedio reca in sé i germi della stessa malattia: è un essere solitario colui che cerca la comunione con la natura. Difende la sua individualità oppressa dall’ambiente, e reagisce di fronte alle idee estetiche come un essere unico la cui aspirazione è rimanere immacolato» (lettera inviata nel marzo del 1965 al giornalista uruguayano Carlos Quijano, nota con il titolo Il socialismo e l’uomo a Cuba).

Ernesto Che Guevara

Firma di Che Guevara


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Lorenzo Dorato – «Koinè»: La progettualità come necessaria riflessione sui destini collettivi e sociali.

Lorenzo Dorato

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Lorenzo Dorato

La progettualità come necessaria riflessione
sui destini collettivi e sociali

«Ho letto con attenzione le pagine scritte da Luca Grecchi sul tema della progettualità come elemento necessario di una prospettiva filosofica e politica profonda. Ho poi letto a seguire la risposta di Alessandro Monchietto e la nuova replica articolata di Luca. Ho avuto anche il piacere di leggere tutti gli altri interventi e ringrazio tutti per il loro prezioso contributo. Molti interventi hanno fortemente sollecitato il mio interesse e la mia riflessione.  Reputo infatti la questione trattata della massima importanza per almeno due motivi.
In primo luogo perché la progettualità è l’assente per eccellenza nella gran parte delle visioni antagoniste oggi egemoni nell’ultraminoritario panorama delle idee e delle proposte politiche di opposizione al sistema di relazioni sociali dominante. Un vuoto che, come avrò modo di argomentare, ha comportato gravi conseguenze sulla capacità delle proposte antagoniste di ritagliarsi uno spazio sociale di esistenza.
In secondo luogo la questione trattata è decisiva perché un chiarimento sul significato, sui confini e sui contenuti della progettualità è la condizione necessaria per poter camminare insieme, in modo proficuo e sensato, su un percorso serio di ricerca e proposta filosofica e  politica non accontentandosi di condividere una pur sincera, ma generica opposizione al capitalismo.
Le righe che seguono, e che cercherò di rendere più brevi possibili compatibilmente con il fine della chiarezza e dell’esaustività, cercheranno di seguire il duplice binario aperto da Luca Grecchi  nel primo intervento in modo implicito e poi esplicitato da Alessandro e nuovamente seguito dagli altri interventi: la natura umana e la verità come premessa filosofica e la conoscibilità, i contenuti e i limiti della progettualità filosofico-politica.
Premetto subito che, per via della mia formazione non strettamente filosofica, fatico a seguire il dibattito sul terreno della ricostruzione del pensiero filosofico dei grandi autori classici. Cercherò quindi di evitare di impegalarmi nella “corretta” interpretazione del concetto di verità in Hegel o in Platone e Aristotele, e procederò, con un linguaggio meno filosofico alla radice del concetto per come lo intendo cercando di apportare anche utili esempi. Sia chiaro che questo “abbassamento” o meglio “semplificazione” del piano dialogico non vuole sottointendere una presunta inutilità del dibattito filologico o dell’ispirazione filosofica legata a sistemi di pensiero che la storia della filosofia ci insegna. È solo il mio personale modo di procedere dovuto principalmente ai limiti della mia formazione, ma anche ad una esigenza di immediatezza del confronto che sento impellente …» [… Leggi tutto il saggio aprendo il PDF qui sotto]

Lorenzo Dorato

Lorenzo Dorato,
La progettualità come necessaria riflessione sui destini collettivi e sociali



Gli altri interventi
Luca Grecchi, Sulla progettualità
Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi
Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.
Antonio Fiocco, Difendere in tutti i modi la progettualità.
Alessandro Pallassini – Note marginali per la progettazione di un comunismo della finitezza a partire da Spinoza.
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
Claudio Lucchini – Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo
Giacomo Pezzano / Luca Grecchi – «Commenti» [Commento all’articolo di Luca Grecchi, Sulla progettualità – Commento all’articolo di Luca Grecchi, Perché la progettualità?]
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]

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Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”

Marx e i routinari

 

Lettere Marx-Engels

«Quando il ragionamento
si discosta dai binari consueti,
si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”;

è l’unica arma di difesa che i routinari
sanno maneggiare
nel loro primo sconcerto».

 

Karl Marx a Ferdinand Nieuwenhuis, 22 febbraio 1881, in Marx-Engels, Lettere 1880-1883 (marzo), Lotta comunista, Milano 2008, p. 50.



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Italo Calvino (1923-1985) – La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso.

Italo Calvino_Palomar

 

 

Palomar

 

«Un uomo si mette in marcia per raggiungere,
passo dopo passo,
a saggezza.
Non è ancora arrivato».
Italo Calvino

***

Di fronte a ogni persona uno dovrebbe sapere come situarsi in rapporto a essa, esser sicuro della reazione che ispira in lui la presenza dell’altro – avversione o attrazione, ascendente subìto o imposto, curiosità o diffidenza o indifferenza, dominio o sudditanza, discepolanza o magistero, spettacolo come attore o come spettatore –, e in base a queste e alle controreazioni dell’altro stabilire le regole del gioco da applicare nella loro partita, le mosse e le contromosse da giocare. Per tutto questo uno prima ancora di mettersi a osservare gli altri dovrebbe sapere bene chi è lui. La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso,  ed è proprio questa che manca a Paolomar. Non solo conoscenza ci vuole, ma comprensione, accordo con i propri mezzi e fini e pulsioni, il che vuol dire possibilità d’esercitare una padronanza sulle proprie inclinazioni e azioni, che le controlli e diriga ma non le coarti e non le soffochi. Le persone di cui egli ammira la giustezza e naturalezza d’ogni parola e d’ogni gesto sono, prima ancora che in pace con l’universo, in pace con se stesse».

Italo Calvino, Palomar,
Mondadori, 2015, p. 105.

 


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Albert Einstein (1879-1955) – Il mondo si è lentamente abituato a questi sintomi di decadenza morale. Non dobbiamo sfuggire alla lotta, quando essa è inevitabile, per conservare il diritto e la dignità dell’uomo! Non dobbiamo semplicemente sopportare le differenze fra gli individui e i gruppi, ma anzi accoglierle come le benvenute, considerandole un arricchimento della nostra esistenza.

Albert Einstein 003

Pensieri degli anni difficili, 1977

Pensieri degli anni difficili, ed. del 1977

***

«Solo una vita vissuta per gli altri
è una vita degna di essere vissuta».
Albert Einstein

***

«Regime di arbitrio, oppressione, persecuzione di persone, di fedi religiose e di comunità intere, vengono apertamente messi in pratica in quei paesi ed accettati come giustificabili o inevitabili. Il resto del mondo si è lentamente abituato a questi sintomi di decadenza morale. Si perde la capacità elementare di reagire all’ingiustizia e per la giustizia, reazione, questa, che a lungo andare rappresenta l’unica protezione dell’uomo contro una ricaduta nella barbarie.
Sono fermamente convinto che il desiderio appassionato di giustizia e di verità ha contribuito a migliorare la condizione dell’uomo più di quanto non abbiano fatto le sottigliezze del calcolo politico che a lungo andare alimentano soltanto la sfiducia generale. […]
Dobbiamo pensare, sentire e agire […] rifiutandoci di accettare dei compromessi fatali! Non dobbiamo neppure sfuggire alla lotta, quando essa è inevitabile, per conservare il diritto e la dignità dell’uomo! Se faremo cosi ritorneremo presto a condizioni che ci permetteranno di rallegrarci dell’umanità».

Albert Einstein, Anno 1937, in Id., Pensieri degli anni difficili,
Boringhieri, 1977, p. 86.

 

 

«A mio avviso, vi è una considerazione che sta alla base di ogni insegnamento morale. Se gli uomini, in quanto individui, si arrendono al richiamo dei loro istinti elementari, sfuggendo il dolore e cercando il piacere solo per sé stessi, il risultato per tutti gli uomini considerati insieme non può che essere uno stato di insicurezza, di paura, e di confusa sofferenza. Se, oltre a ciò, essi usano la loro intelligenza partendo da presupposti individualistici, vale a dire egoistici, costruendo la propria vita sull’illusione di un’esistenza felice e libera, difficilmente le cose andranno meglio. […]
La soluzione di questo problema, se considerato senza pregiudizi, è abbastanza semplice, e sembra anche echeggiare in maniera uniforme dall’insegnamento dei saggi del passato: gli uomini dovrebbero lasciare che la loro condotta fosse guidata dagli stessi principi: principi tali che seguendoli ne deriverebbero a tutti la massima sicurezza e soddisfazione e la minima sofferenza possibili.
[…]
La vera difficoltà […] è piuttosto questa: in che modo possiamo rendere il nostro insegnamento tanto potente nella vita emotiva dell’uomo che la sua influenza sopporti la pressione delle forze psichiche elementari dell’individuo? Non sappiamo, naturalmente, se i sapienti del passato si siano veramente posti questa domanda, consapevolmente e sotto questa forma; ma sappiamo come essi hanno cercato di risolvere il problema.
[…]
Questa concezione presuppone una condizione sopra tutte: che ogni individuo abbia la possibilità dì sviluppare i doni naturali che possono essere latenti in lui. Soltanto in questo modo l’individuo può ottenere la soddisfazione cui giustamente ha diritto; e soltanto in questo modo la comunità può raggiungere la sua piu ricca prosperità. Infatti tutto ciò che di veramente grande ed esaltante esiste, è creazione di un individuo che può operare in piena libertà. Restrizioni a questa libertà sono giustificate soltanto per necessità di sicurezza riguardanti l’esistenza stessa.
Vi è un altro punto che segue da questa concezione: non dobbiamo semplicemente sopportare le differenze fra gli individui e i gruppi, ma anzi accoglierle come le benvenute, considerandole un arricchimento della nostra esistenza. Questa è l’essenza della vera tolleranza, intesa nel suo significato piu ampio, senza la quale non si può porre il problema di una vera moralità.
La moralità intesa in tal senso non è un sistema determinato, in sé rigido. Si tratta piuttosto di un punto di vista dal quale ogni questione che sorga nella vita umana potrebbe e dovrebbe essere giudicata. È un compito mai concluso, qualche cosa sempre presente a guidare il nostro discernimento e a ispirare la nostra condotta. Si può immaginare che un uomo qualsiasi, veramente compreso di questo ideale, sarebbe soddisfatto di ricevere dai suoi simili beni e servizi in misura molto maggiore di gran parte degli altri uomini? Sarebbe soddisfatto se il suo paese, per il fatto di sentirsi per il momento militarmente sicuro, non si accostasse all’idea di creare un sistema sopranazionale di sicurezza e di giustizia? Potrebbe assistere passivamente, o magari con indifferenza, quando altrove, nel mondo, gente innocente fosse brutalmente perseguitata, privata dei propri diritti o addirittura massacrata?
Porsi questi problemi significa risolverli!».

Albert Einstein, Morale ed emozioni, in Id., Pensieri degli anni difficili,
Boringhieri, 1977, pp. 89-92.

 


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Giacomo Coccolini – Riflettere su Giuseppe Gangale con il libro di Domenico Segna.

Giacomo Coccolini_Domeico Segna

255 ISBN

Domenico Segna

Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

 


Il Regno 01

 

«Riflettere su Giuseppe Gangale (1898-1978) significa ripercorrere un periodo della storia passata che, molti, considerano ormai definitivamente chiusa ma che, in verità, come mostra il bel lavoro di Domenico Segna, rimane alle nostre spalle come una sorta di futuro
che l’autore non si esime dal tratteggiare e per il quale, per certi aspetti, egli parteggia accorato.
Segna ricolloca la complessa, e ancora poco conosciuta, vicenda umana e intellettuale di Gangale nel contesto del suo tempo, dove questi, come filosofo, giornalista e glottologo ma, soprattutto, come credente, testimonia un altro modo di praticare la propria fede, politica e religiosa, che si trasforma in un «caso di coscienza …» [Leggi tutto il testo della recensione aprendo il PDF]

Giacomo Coccolini, Il Regno (attualità 16 – 2016)

Il Regno 02

Giacomo Coccolini, Recensione a Giuseppe Gangale

 

 



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Lewis Henry Morgan (1818-1881) – La proprietà è diventata una potenza in sé, sfuggita al controllo della popolazione. La mente umana assiste sconcertata agli sviluppi della sua stessa creazione.

Lewis Henry Morgan

Morgan_La società antica

 

«cum prorepserunt primis animalia terris,
 mutum et turpe pecus, glandem atque cubilia propter
 unguibus et pugnis, dein fustibus atque ita porro
 pugnabant armis, quæ post fabricaverat usus,
 donec verba, quibus voces sensusque notarent,
 nominaque invenere; dehinc absistere bello,
 oppida coeperunt munire, et ponere leges».

Orazio, Satire, I, 3, vv. 100-105

 

«Quando sulla terra dei primordi strisciarono fuori gli animali, gregge senza parola e bellezza, per ghiande e tane combattevano con le unghie e coi pugni, poi coi bastoni, e così di seguito con le armi che l'esperienza aveva fabbricato, finché trovarono le parole ed i nomi, con cui individuare suoni e significati; da qui in avanti, cominciarono a desistere dalla guerra e si diedero a consolidare i villaggi, a stabilire leggi»

 

Ancient Society

 

«Fin dall’avvento della civiltà, lo sviluppo della proprietà è stato così gigantesco, le sue forme così variamente articolate, i suoi usi così continuamente allargati, e la sua amministrazione (management) tanto abile nel favorire gli interessi dei proprietari, che la proprietà stessa è diventata una potenza in sé che è sfuggita al controllo della grande massa della popolazione.
La mente umana assiste sconcertata agli sviluppi della sua stessa creazione.
Verrà, tuttavia, il tempo in cui l’intelligenza umana si eleverà a riacquistare il dominio sulla ricchezza, ridefinendo i rapporti tra lo Stato e la proprietà, di cui esso è protettore, nonché gli obblighi e le limitazioni dei diritti dei proprietari. Gli interessi della società precedono quelli dell’individuo e il problema è di stabilire un rapporto giusto e armonico tra questi due.

La dissoluzione della società promette di essere l’unico possibile risultato di un corso storico in cui la proprietà e la ricchezza continuassero a essere il fine e l’obiettivo dell’umanità; questo perché un cosiffatto corso storico contiene in sé gli elementi dell’autodistruzione.
Democrazia nel governo, fratellanza nei rapporti sociali, eguaglianza di diritti e privilegi, e istruzione per tutti senza discriminazioni: così ci dobbiamo prefigurare [la] futura condizione della società verso cui ci spingono […] l’intelligenza e le conoscenze finora accumulate».

 

Morgan_Ancient Society

Lewis Henry Morgan, Ancient Society or Researches in the Lines of Human Prohgress From Savaegery Through Barbarusm to Civilization, 1877; tr. it. La società antica, Feltrinelli, Milano, 1970, p. 403.

 



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In ricordo di Antonio Melis. Testimonianze di: Martha Canfield, Flavio Fiorani, Manuel Plana .

Melis Antonio_03

 

Centro Studi e Iniziative America Latina

Centro studi Jorge Elelson

Circolo Vie Vuove

Centro Studi e Iniziative America LatinaCentro studi Jorge EielsonCircolo “Vie Nuove”

 

melis antonio

In ricordo di Antonio Melis

 

 

 

Testimonianze di

Martha Canfield

Università di Firenze

Flavio Fiorani

Università di Modena

Manuel Plana

Università di Firenze

 

 

Martedì 8 novembre 2016, dalle ore 21,00

Centro Studi America Latina
Circolo “Vie Nuove”

Viale Donato Giannotti, 13 Firenze
Tel. 055.683388

Tre sudiosi dell’America Latina faranno rivivere la dimensione umana e l’opera del grande letterato drammaticamente scomparso, con l’affetto e la riconoscenza di chi non solo ne apprezzava l’eccezionale valore scientifico, ma anche l’impegno civile che l’ha da sempre caratterizzato.

In ricordo di Antonio Melis_Locandina

 



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Friedrich Engels (1820-1895) – Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili (in morte di K. Marx).

La morte di Kal Marx

 

Lettere Marx-Engels

«Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili. […] Forse, l’abilità dei medici gli avrebbe potuto assicurare ancora qualche anno di esistenza vegetativa; la vita di un essere impotente, il quale, per il trionfo della medicina, non muore d’un sol colpo, ma soccombe a poco a poco. Tuttavia, il nostro Marx non lo avrebbe mai sopportato. Vivere con tutti quei lavori incompiuti davanti a sé, anelando, come Tantalo, a portarli a termine senza poterlo fare, sarebbe stato per lui mille volte più amaro della dolce morte che lo ha sorpreso. “La morte non è una disgrazia per colui che muore, ma per chi rimane”, egli soleva dire con Epicuro. E vedere quest’uomo geniale vegetare come un rudere a maggior gloria della medicina e per lo scherno dei filistei che lui, quando era nel pieno delle sue forze, aveva tanto spesso stroncato … no, mille volte meglio le cose così come sono andate. Mille volte meglio che dopodomani lo porteremo nella tomba dove riposa sua moglie. […]
Sia come sia. L’umanità ora possiede una mente in meno, quella più importante che poteva vantare oggi. Il movimento proletario prosegue il proprio cammino, ma è venuto a mancare il suo punto centrale, quello verso il quale francesi, russi, americani e tedeschi si volgevano automaticamente nei momenti decisivi, per ricevere quel chiaro e inconfutabile consiglio che solo il genio e la completa cognizione di causa potevano offrire loro. I parrucconi locali, i piccoli luminari e forse anche gli impostori si troveranno ad avere mano libera. […] Bene, dovremo cavarcela. Altrimenti che cosa ci stiamo a fare? E, comunque, siamo ben lontani dal perdere il nostro coraggio».

Friedrich Engels a Friedrich Sorge, 15 marzo 1883, in Marx-Engels, Lettere 1880-1883 (marzo), Lotta comunista, Milano 2008, pp. 360-361.



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