William Shakespeare (1564-1616) – Se la musica è l’alimento dell’amore, seguitate a suonare, datemene senza risparmio. Oh, spirito d’amore, quanto sei vivo e fresco! Così multiforme si presenta amore, da esser, lui solo, il trionfo della fantasia.

William Shakespeare_ Musica
Twelfth Night di William Shakespeare.

Nella commedia Twelfth Night di William Shakespeare composta tra il 1599 e il 1601, il Duca Orsino apre il suo celebre monologo con l’espressione “If music be the food of love, play on”, rivolgendosi forse ai musicisti sul palco,

 

If music be the food of love, play on,
Give me excess of it, that, surfeiting,
The appetite may sicken, and so die.
That strain again, it had a dying fall:
O, it came o’er my ear like the sweet sound
That breathes upon a bank of violets,
Stealing and giving odour. Enough, no more;
‘Tis not so sweet now as it was before.
O spirit of love, how quick and fresh art thou,
That notwithstanding thy capacity
Receiveth as the sea, nought enters there, of
what validity and pitch soe’er,
But falls into abatement and low price,
Even in a minute! So full of shapes is fancy,
That it alone is high fantastical.

 

Se la musica è l’alimento dell’amore, seguitate a suonare,
datemene senza risparmio, così che, ormai sazio,
il mio appetito se ne ammali, e muoia.
Ancora quell’accordo! Finisce su una nota melanconica.
Giungeva alle mie orecchie come dolce brezza che alita su un banco di violette,
carpendone il profumo e diffondendolo.
Basta! Non più. Non è più così dolce.
Oh, spirito d’amore, quanto sei vivo e fresco!
Sebbene tu sia immenso, come il mare,
niente può penetrare in te,
neppure il sentimento più potente e sublime, senza svilirsi e deprezzarsi,
in un istante. Così multiforme si presenta amore,
da esser, lui solo, il trionfo della fantasia.

Shakespeare anche in una successiva opera, il dramma storico Antony and Cleopatra di cui la prima rappresentazione è datata 1607, il personaggio di Cleopatra richiede della musica, proprio come il Duca Orsino:

Give me some music; music, the moody food of us that trade in love


William Shakespeare (1564-1616) – «Cesare non potrebbe fare il lupo se non fossero pecore, e nient’altro che pecore, i romani».
William Shakespeare (1564-1616) – La sua lezione di regia: «Tenetevi misurati, dovete ottenere e conservare quella sobrietà che consente morbidezza di toni. Accordate l’azione alla parola, la parola al gesto: lo strafare è contrario alla vocazione dell’arte teatrale. Il gigioneggiare quanto il recitarsi addosso non può che disgustare l’intenditore».
William Shakespeare (1564-1616) – Nell’uomo che non ha la musica in se stesso, i moti del suo cuore sono spenti come la notte.
William Shakespeare (1564-1616) – Date parole al dolore. La sofferenza interiore che non parla, sussurra al cuore troppo gonfio fino a quando si spezza.

Bibliografia

Enrico FUBINI, 2003: Estetica della musica, Bologna, il Mulino

Enrico FUBINI, 2002: L’estetica musicale dall’antichità al Settecento, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi

Stefano LA VIA, 2006: Poesia per musica e musica per poesia, Dai trovatori a Paolo Conte, Roma, Carrocci editore

David LINDLEY, 2006: Shakespeare and Music, London, The Arden Shakespeare

Pierpaolo MARTINO, 20012: Mark the Music, The Language of Music in English Literature from Shakespeare to Salman Rushdie, ARACNE editrice

Massimo MILA, 2010: Breve storia della musica, Torino, Einaudi

William SHAKESPEARE, 2006: Antony and Cleopatra, London, a cura di J. WILDERS, The Arden Shakespeare

William SHAKESPEARE, 2009: La dodicesima notte, a cura di N. D’AGOSTINO, Milano, Garzanti

Elvidio SURIAN, 2010: Manuale di storia della musica, vol. I, dalle origini alla musica vocale del Cinquecento, Milano, Rugginenti

Elvidio SURIAN, 2010: Manuale di storia della musica, vol. II, dalla musica strumentale del Cinquecento al “periodo classico”, Milano, Rugginenti

 

Sitografia

http://www.emmakirkby.com

http://imslp.org

The King’s Singers

http://oed.com

http://www.oxfordmusiconline.com

http://www.treccani.it

http://wbyeats.wordpress.com

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

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Henry Purcell (1659-1695) – Se la musica è cibo d’amore Canta fino a che io sarò colmo di gioia. I tuoi occhi, il tuo aspetto, la tua lingua proclamano Che tu sei musica in ogni parte.

Henry Purcell_Musica
Henry Purcell, If music be the food of love.

Henry Purcell: Z 379C. If music be the food of love – Kirkby (Hogwood)

Henry Purcell (1659-1695), autore di musica per il teatro, sacra e profana, odi e arie, compone tra le sue songs il brano If Music be the of Love (Z. 379) sul testo di H. Heveningham.

 

If music be the food of love,
Sing on till I am fill’d with joy;
For then my list’ning soul you move
To pleasures that can never cloy.
Your eyes, your mien, your tongue declare
That you are music ev’rywhere.

Pleasures invade both eye and ear,
So fierce the transports are, they wound,
And all my senses feasted are,
Tho’ yet the treat is only sound,
Sure I must perish by your charms,
Unless you save me in your arms.

Se la musica è cibo d’amore
Canta fino a che io sarò colmo di gioia;
poiché tu muovi la mia anima che ascolta
a piaceri che non possono mai saziare.
I tuoi occhi, il tuo aspetto, la tua lingua proclamano
Che tu sei musica in ogni parte.

I piaceri invadono l’occhio e l’orecchio,
e i sentimenti che provo sono così violenti che feriscono,
e tutti i miei sensi festeggiano
in un banchetto di suono,
Certo morirò per il tuo fascino
Se non mi salvi tra le tue braccia.

Salvatore Bravo – filosofia e ordine del discorso. La «passione durevole» di György Lukács per la filosofia è finalizzata a trascendere i condizionamenti del capitalismo che vuole anestetizzare la corrente calda del pensiero critico perché nella prefigurazione del fine la coscienza struttura la prassi dell’emancipazione.

György Lukács_ 12a
La statua di György Lukács rimossa da Orban dal parco San Istvan di Budapest.

Salvatote Bravo

Lukács: filosofia e ordine del discorso

La «passione durevole» di György Lukács per la filosofia è finalizzata a trascendere
i condizionamenti del capitalismo che vuole anestetizzare la corrente calda del pensiero critico perché nella prefigurazione del fine la coscienza struttura la prassi dell’emancipazione.

La libertà di pensare ed agire secondo coscienza non è solitudine

Si rimprovera a Lukács di aver contaminato Marx

Libertà e coscienza

La coscienza può trascendere i condizionamenti del capitalismo

Storia e libertà

Libertà e necessità

Come anestetizzare la corrente calda del pensiero critico

Coscienza e comunità

Coscienza e “falsa coscienza”

Alla coscienza nella storia spetta il compito della prassi

Nella prefigurazione del fine la coscienza struttura la prassi

La libertà non è ineluttabile, ma ha il suo fondamento nella vita della coscienza

Libertas philosophandi


Costanzo Preve, Il testamento filosofico di Lukács


*
***
*

La libertà di pensare ed agire secondo coscienza non è solitudine
László Rudas (1885-1950) direttore della Scuola centrale del Partito comunista ungherese, membro dell’Accademia ungherese delle scienze e difensore dell’ortodossia marxista, rappresenta la “disposizione” dei burocrati a rinchiudersi in rassicuranti caverne concettuali dalle quali giudicare e condannare coloro che deviano dal cammino stabilito dalle confraternite del pensiero unico ed unidirezionale. La filosofia per sua “natura” è uscita dalle caverne, è attività creativa e logica, è legein attività significante capace di generare concetti nuovi su tradizioni pregresse per trascenderle in nuove configurazioni speculative.
La distanza tra László Rudas e G. Lukács ben simboleggia l’incomprensione intellettuale che vi può essere tra il burocrate di partito ed il libero pensatore, il quale è parte di una storia politica, ideologica, filosofica, ma nello stesso tempo è sempre volto verso l’esodo, poiché “la vita come ricerca” lo porta a divergere dagli schemi, dai paradigmi del potere. L’ortodossia marxista non poteva perdonare a Lukács la sua inesausta aspirazione teoretica, la fedeltà a se stesso, quale condizione imprescindibile per poter aderire ad un progetto politico.
La libertà di pensare ed agire secondo coscienza non è solitudine, non è iattanza intellettuale, ma autonomia senza solitudine. Il potere è corrente fredda che congela l’ideologia, stabilisce il grado di purezza degli intellettuali, ed il livello di dissenso che si può tollerare.

Si rimprovera a Lukács di aver contaminato Marx
Lukács – rispetto ai paradigmi del partito comunista – è stato sempre sull’orlo della colpevole deviazione: László Rudas ne critica lquello che lui, il burocrate, chiama l’«eclettismo» del filosofo, per aver innestato sulla metodologia di Marx la categoria della totalità hegheliana ed il pensiero di Max Weber, e dunque per essersi allontanato dal Marx del partito comunista in un percorso autonomo e, a suo parere, sincretico. In primis si rimprovera a Lukács di aver contaminato Marx con elementi culturali altri. Dunque, l’accusa è aver osato interpretare Marx in modo innovativo ed originale. Non gli si perdona la deviazione rispetto al Marx codificato ed utilizzato per giustificare il comunismo reale. Si rifiuta la dialettica del confronto per prediligere il purismo ideologico senza incontro dialettico:

«Fin da questo articolo voglio altresì dimostrare che Lukács è incoerente ed eclettico e non solo come idealista in generale, ma anche in problemi specifici di rilievo egli deriva elementi da filosofi o sociologi borghesi, tuttavia sempre senza le premesse e le conseguenze che nei pensatori borghesi rendono comprensibili questi concetti e teorie e senza le quali tali elementi rimangono del tutto indigesti e deturpano il marxismo come corpi estranei. Egli mescola il marxismo con elementi che lo contraddicono conseguenza non insolita dell’incoerenza».[1]

 

Libertà e coscienza
Una delle accuse più ricorrenti rivolte a Lukács è l’aver negato il prevalere della struttura sulla coscienza la quale, per l’ortodossia dei burocrati, non è che il riflesso della struttura. La coscienza è parte della natura e va spiegata secondo le leggi della natura, ha la sua genetica all’interno dei rapporti di causa ed effetto: si vuole così applicare alla storia la stessa dialettica della natura seguendo la “coerentizzazione” di Marx svolta da Engels. I fatti sociali sono giudicati alla stregua dei fenomeni naturali e dunque non solo sono spiegabili secondo leggi scientifiche, ma specialmente la storia diventa prevedibile esattamente come qualsiasi fenomeno naturale, nessuna libertà è lasciata alla coscienza, alla storia, nessuno effetto di sdoppiamento è considerato possibile:

«In generale, tanto nella scienza della natura quanto nella scienza marxista della società, la causalità (o l’interazione) è una forza realmente operante naturale o sociale che instaura un certo rapporto reciproco tra i fenomeni, rapporto che è dato nella realtà, non è modificabile e può essere analizzato empiricamente, ma non costruito secondo un “fine conoscitivo”. Si tratta pertanto di un rapporto generale, nel senso che non solo singoli fatti, ma intere serie si trovano in un nesso di reciproca dipendenza causale, espressa da una legge generale. Che può essere, per esempio, la legge darwiniana dell’evoluzione o la legge marxiana della dipendenza tra processo produttivo e processo politico spirituale delle società».[2]

La coscienza può trascendere i condizionamenti del capitalismo
Non vi è spazio per nessuna elaborazione. L’essere umano si forma nelle strettoie dell’economia che modella la coscienza. Quest’ultima, così si vuole credere, non può trascendere tale condizionamento: è costretta all’interno della sua storia. Si esclude la possibilità che la posizione ideologica in cui il soggetto è posto dalla sua storia personale, sociale e di classe possa essere ripensata, vissuta in modo da poter ricostruire orizzonti di senso che possano riorientare al superamento irriflesso dei propri interessi personali e di classe. Gli stessi giudizi di valore sono spiegati dalla classe di appartenenza, senza che essi possano essere l’effetto della riflessione sulla propria ed altrui condizione:

«Marx ed Engels si opposero sempre nella maniera più decisa alla lacerazione del marxismo per mezzo di “giudizi di valore” […]. Anche i giudizi di valore, infatti, pronunciati da un individuo o da un’intera classe, e nei quali qualcosa è eticamente approvato o condannato, devono essere spiegati causalmente. Possono essere sintomi di trasformazioni intervenute nel processo sociale, che vengono proclamate in questa forma (quando, per es., la schiavitù salariata viene condannata senza riconoscerne l’essenza), ma chi affermasse che la coscienza di classe del proletariato è costituita da tali giudizi di valore, potrebbe essere tutto meno che marxista».[3]

Storia e libertà
Si contesta la prassi della coscienza e specialmente l’umanesimo anomalo di Lukács che pone l’atto del pensiero consapevole quale fondamento ontologico della storia, ci si “assicura” vittoria e ruolo mediante un uso acritico ed ideologico della storia:

«Per Lukács il pensiero pensante è l’uomo reale; il mondo pensato il solo reale. Ora, è un fatto che gli uomini hanno una coscienza che svolge una funzione determinata, mai irrilevante. Ogni teoria della società deve fare in primo luogo i conti con questa realtà, sebbene essa sia stata il punto di partenza di tutti gli idealisti i quali ebbero un ruolo del tutto irrilevante nella storia dello spirito dell’umanità. Che cos’è questa coscienza e che funzione svolge nella storia? La risposta del marxismo è una risposta chiara e precisa: io constato il fatto che gli uomini hanno una coscienza; seguo la storia e constato che essa vi adempie questa o quella funzione. Ma non mi riesce di negarla! O di sostituirla mediante una coscienza “costruita”, che non si può cogliere da nessuna parte, di cui non si sa se sia un uccello o un pesce, che esiste solo nel mio concetto». [4]

Libertà e necessità
Per Lukács l’essere umano è un’unione indissociabile di libertà e necessità. Fa la storia in circostanze non scelte, ma è sempre ad un bivio, può scegliere se restare all’interno del confine sociale in cui si è formato o mettere in atto il riorientamento gestaltico. L’essere umano introduce con la teleologia (il fine) la storia della collettività. La storia è l’intreccio di finalità, i cui effetti non sono del tutto prevedibili.
La coscienza per l’ortodossia è solo un ente determinato che ha l’illusione di potersi determinare ed essere libera nelle scelte. Per Lukács le coscienze sono dinamiche, vivono e si formano all’interno del modo di produzione, interagiscono con esso, sono attività creante, quindi sono portatrici di un potenziale di emancipazione capace di portarle al di là degli spazi di significato delle strutture di sistema. Il logos, la razionalità, ha la possibilità di rigenerare la totalità della prospettiva storica di cui la persona è parte con nuovi significati. Per l’ortodossia comunista-marxista la coscienza è invece consegnata ad un determinismo controllabile e concluso:

«Gli uomini hanno idee, sentimenti, si pongono persino taluni scopi e giungono a immaginarsi che tali idee e sentimenti abbiano un ruolo importante e autonomo nella storia; che tali scopi siano i medesimi che vengono realizzati nella storia. I materialisti hanno sempre combattuto questo modo di pensare. A seconda della formulazione specifica della teoria materialista si è perciò ricondotta la coscienza degli uomini ora a questo ora a quello, finché il moderno materialismo marx-engelsiano l’ha collegata in ultima istanza alla struttura economica. Del resto, non si tratta di una coscienza costruita, ma di quella vivente realizzata nella mente degli uomini. Ma ogni materialismo, qualunque sia la sua formulazione, ha in comune l’idea che tra la coscienza degli uomini e il mondo (società) che la circonda sussiste una connessione causale! La coscienza degli uomini è il prodotto del mondo che li circonda. Si tratta di una verità elementare, ma purtroppo tutta la nostra polemica contro il compagno Lukács verte su verità elementari del materialismo marxista». [5]

Come anestetizzare la corrente calda del pensiero critico
La coscienza, per i marxisti-positivisti, è misurabile, è ridotta a mere qualità primarie, è quantificabile e dunque prevedibile. La si può addomesticare per anestetizzare la corrente calda del pensiero critico:

«Le leggi, che dominano nella natura, fanno dunque posto al volere cosciente. L’“atteggiamento che diventa attivo”, la coscienza degli uomini, è certo qualcosa di nuovo rispetto alla natura, pur essendo in egual misura scaturito dalla natura. Ma gli idealisti vogliono servircelo come l’elemento decisivo, l’elemento determinante “in ultima istanza” della storia». [6]

Per riportare la categoria del possibile nella storia è necessario distinguere i processi naturali dai processi storici. I primi seguono un ordine deterministico ed irreversibile, mentre i secondi non sono meccanicamente determinati: le condizioni storiche permettono di progettare l’alternativa al presente con la responsabilità del singolo e della collettività. Attribuire alla storia gli stessi processi della natura è tipico del capitalismo e della sua curvatura tecnocratica che ha l’obiettivo di omologare e sottrarre dalla storia il pericolo dell’indeterminato relativo:

«Le abitudini mentali proprie del capitalismo hanno impresso a tutti gli uomini, e soprattutto a quelli orientati verso gli studi scientifici, la tendenza a voler spiegare il nuovo sula base del vecchio, la realtà d’oggi riducendola ai dati della realtà di ieri». [7]

 

Coscienza e comunità
La coscienza è condizionabile, ma non determinabile. La coscienza individuale, e specialmente di classe, può disalienarsi attraverso la categoria della totalità che consente di ricostruire il dato all’interno di relazioni. Tale genealogia permette di riposizionarsi e di elaborare nuove potenzialità comunitarie, di ribaltare il condizionamento ideologico per un processo storico di liberazione ed emancipazione, introducendo una faglia sostanziale rispetto alla linearità deterministica:

«Infatti, “nel pensiero esso appare come processo di sintesi, come risultato, non come punto di partenza, benché esso sia il vero punto di partenza e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione”. Il materialismo volgare invece – per quanto possa assumere una maschera di modernità, come nel caso di Bernstein e di altri – resta prigioniero della riproduzione delle determinazioni immediate, delle determinazioni semplici della vita sociale. Esso crede di essere particolarmente “esatto” quando le assume semplicemente senza analisi ulteriore, senza sintesi nella totalità concreta, quando le mantiene nel loro astratto isolamento e le spiega unicamente mediante leggi astratte, non riferite alla totalità concreta. “La rozzezza e l’assenza del concetto – dice Marx – sta proprio nel fatto di porre in relazione tra loro in modo accidentale, di inserire in un contesto meramente riflessivo». [8]

Coscienza e “falsa coscienza”
Il proletariato, gli sfruttati, gli infelici, per il filosofo ungherese sono i portatori in potenza della verità della storia. Essi possono riportare la verità dove vige la falsa coscienza con la categoria della totalità, possono risolvere le contraddizioni dal “basso”, svelare l’orrido del sistema, perché lo vivono nel loro doloroso quotidiano, e non vi è partito o burocrazia che si può sostituire alla prassi della emancipazione che spetta solo a coloro che subiscono la violenza del sistema:

«Infatti, la situazione di classe del proletariato introduce direttamente la contraddizione nella sua stessa coscienza, mentre le contraddizioni che provengono alla borghesia dalla sua situazione di classe, dovevano necessariamente manifestarsi come limite esterno della coscienza. D’altro lato, questa contraddizione significa che nello sviluppo del proletariato la “falsa” coscienza ha una funzione del tutto diversa che nelle classi precedenti. Mentre cioè, nella coscienza di classe della borghesia, per via del suo modo di riferirsi all’intero della società, anche il corretto accertamento di singoli dati di fatto o momenti dello sviluppo mette in luce limiti presenti nella coscienza, scoprendosi come “falsa” coscienza, nella stessa “falsa” coscienza del proletariato si cela invece, persino nei suoi errori materiali, un’intenzione verso la verità».[9]

Alla coscienza nella storia spetta il compito della prassi
La coscienza nell’interconnessone attiva resta fondamentale anche nelle fasi successive del pensiero, poiché senza di essa le connessioni storiche non sono possibili: la coscienza non è certo astorica, ma è nella storia, ad essa spetta il compito della prassi, di essere portatrice del movimento decisionale nella storia. L’ontologia dell’essere sociale è in continuità con la fase hegeliano-marxista, non è una discontinuità epistemologica, ma un affinamento del metodo e dei contenuti dell’indagine filosofica:

«La coscienza umana, invece, viene messa in movimento da posizioni teleologiche che oltrepassano l’esistenza biologica di un essere vivente, quantunque poi esse finiscano per servire direttamente anzitutto alla riproduzione della vita, in quanto a tal fine producono sistemi di mediazioni che in misura crescente retroagiscono, dal punto di vista tanto della forma quanto del contenuto, sulle posizioni stesse, per ritrovarsi però, dopo questi giro fatto di mediazioni sempre più ampie, di nuovo al servizio della riproduzione della vita organica». [10]

Nella prefigurazione del fine la coscienza struttura la prassi
La coscienza umana si forma all’interno dei rapporti materiali, ma non è il suo semplice epifenomeno: l’interazione con la realtà materiale consente “il salto qualitativo”. Nell’interazione si forma la consapevolezza decisionale. Nel lavoro, nella prefigurazione del fine, nella trasformazione attiva, la coscienza struttura la prassi, poiché gli stimoli ricevuti sono rielaborati, ne svelano l’attività decisionale senza la quale nessuna struttura economica è trascendibile:

«L’essenza del lavoro consiste proprio nel suo andar oltre questo arrestarsi degli esseri viventi alla competizione biologica con il loro mondo circostante. Il momento essenzialmente separatorio è costituito non dalla fabbricazione di prodotti, ma dal ruolo della coscienza, la quale per l’appunto qui smette di essere un mero epifenomeno della riproduzione biologica: il prodotto, dice Marx, è un risultato che all’inizio del processo esisteva “già nella rappresentazione del lavoratore”, cioè idealmente». [11]

La libertà non è ineluttabile, ma ha il suo fondamento nella vita della coscienza
Il trionfo della libertà non è ineluttabile, ma ha il suo fondamento nella vita della coscienza, la quale nella storia impara a conoscere la realtà materiale, se stessa e a tessere percorsi teleologici collettivi. La coscienza è libera se trasforma un dato astratto in concreto. La reificazione (“rendere qualcosa di astratto una cosa concreta”) è la condizione da cui emanciparsi, ma tale processo dialettico nella storia dell’umanità non avviene in modo necessario: solo in natura i processi accadono secondo leggi a cui nulla può sfuggire. Costanzo Preve, con la sua capacità di scandaglio, coglie la complessità del concetto di libertà e coscienza di classe nel filosofo ungherese, palesando che in Lukács la libertà e la coscienza non sono atti puri, ma vivono nell’interazione attiva della storia:

«La coscienza proletaria invece lo può fare, perché il proletariato non aspira a divenire una nuova classe sfruttatrice, ma ad abolire tutte le classi. Detto altrimenti, per la borghesia l’universalismo è impossibile, mentre per il proletariato è invece possibile. A sua volta, la categoria di possibilità non deve essere intesa nel senso di scelta arbitraria (katà to dynatòn), ma nel senso di possibilità necessariamente iscritta in una potenzialità ontologicamente garantita (dynamei on)». [12]

Costanzo Preve interpreta e giudica G. Lukács il più grande marxista del Novecento che ha congiunto Marx con le conquiste teoriche di Fichte, e che ha testimoniato – con la sua produzione filosofica controcorrente – la passione durevole per il comunismo e dunque la libertà quale fondamento non contrattabile.

Libertas philosophandi
Lukács è la testimonianza della inevitabile frizione tra potere e filosofia, tra libertas philosophandi e burocrazia. Ogni filosofo è “fedele al proprio destino”, risponde a se stesso, all’esodo perenne che lo sostanzia, che lo trasforma in un problema o in un enigma per il potere. Lukács, e la sua vicenda tormentata, simboleggiano l’errare della filosofia fuori dalle caverne nelle quali si vorrebbe rinchiudere il pensiero teoretico.
Ancora oggi Lukács è oggetto di rimozione nella sua patria, l’Ungheria, al punto che il governo di Viktor Orban ha chiuso nel 2012 l’Archivio Lukács privandolo dello status di luogo di ricerca e nel 2017 ha rimosso, nell’indifferenza globale, la sua statua dal parco San Istvan di Budapest.
Il pensiero, e la teoretica della libertà continuano ad intimorire – nel passato come nel presente. Sono cambiate le forme con cui si effettua l’uccisione, ma i liberi pensatori continuano ad essere una minaccia inquietante per i padroni dell’ordine del discorso. La congiuntura storica attuale ha relegato Lukács tra gli autori da censurare. Ma il pensiero sopravvive alle congiunture nefaste, per cui la storia – nel suo dinamismo – gli restituirà ciò che il presente gli toglie.
La filosofia è libertà dialettica che si occupa e pensa il concreto nella sua espressione massima, è ontologicamente fondata nella necessaria potenzialità umana di pensare per poter costruire percorsi di senso nella storia.

Salvatore Bravo

Costanzo Preve, Il testamento filosofico di Lukács

[1] AA.VV., Intellettuali e coscienza di classe. Il dibattito su Lukacs. 1923-24, Feltrinelli, Milano 1977, pag. 76.

[2] Ibidem, pag. 79.

[3] Ibidem, pag. 80.

[4] Ibidem, pag. 89.

[5] Ibidem, pag. 90.

[6] Ibidem, pag. 103.

[7] G. Lukács, L’uomo e la Rivoluzione, Edizioni Punto Rosso, Milano 2013, pag. 133.

[8] G. Lukács, Storia e coscienza di classe, Mondadori, Milano 1973, pagg. 12-13.

[9] Ibidem, pagg. 94-95.

[10] G.Lukács, Ontologia dell’essere sociale, volume II, Editori Riuniti, Roma 1981, pag. 267

[11] G. Lukács, L’uomo e la Rivoluzione, op. cit., pag. 13.

[12] C. Preve, Il testamento filosofico di Lukács, IV parte, paragrafo 14, kelebek.


La statua di György Lukács rimossa da Orban dal parco San Istvan di Budapest.
Il governo ungherese odia la filosofia: rimossa la statua di Lukàcs, ebreo e marxista

Il governo ungherese di Orban ha deciso di rimuovere la statua del filosofo ungherese hegelo-marxista György Lukács, autore di pietre miliari della filosofia del Novecento. Un gesto criminale, che denota non solo ignoranza, ma anche un chiaro intento politico.

La statua di György Lukács rimossa da Orban dal parco San Istvan di Budapest.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Orhan Pamuk – Il segreto dello scrittore sta nello “scavare un pozzo con un ago”. Scrittori e lettori, usando la fantasia, avvertono quanto tutti gli uomini hanno in comune.

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«Il segreto dello scrittore non sta nell’ispirazione, che arriva da fonti ignote,
ma nella sua ostinazione e nella sua pazienza.
“Scavare un pozzo con un ago!”.
È un bel modo di dire turco che descrive il lavoro dello scritore.
[…] Chi scrive parla di cose che tutti conscono
ma che non sanno ancora di conoscere.
Così, scrittori e lettori, usando la fantasia,
avvertono quanto tutti gli uomini hanno in comune».

Orhan Pamuk, La valgia di mio padre, Einaudi, Torino 2207

Qual è il senso della letteratura? Come nasce un romanzo? In tre appassionate conferenze tenute nell’arco di un anno, fino al discorso di accettazione del Premio Nobel 2006, Orhan Pamuk disegna un ritratto dello scrittore nel mondo contemporaneo. La letteratura inizia dal gesto di chi si chiude in una stanza, si ripiega in se stesso e tra le proprie ombre costruisce un mondo nuovo con le parole. Proprio quell’isolamento nasconde in realtà un’apertura, la certezza che tutti gli uomini si somiglino e che il mondo sia privo di un centro. Essere scrittori, infatti, significa prendere coscienza delle proprie ferite interiori, e raccontarle ai lettori che le riconoscono per averle provate in prima persona, magari senza esserne consapevoli. E poiché ricordano ai lettori la loro fragilità, la loro vergogna e il loro orgoglio, gli scrittori suscitano ancora oggi nel mondo “molta rabbia” e “inaspettati gesti di intolleranza”. Ma i romanzi sono uno strumento indispensabile che le comunità hanno per riflettere sulla propria identità. “L’arte del romanzo mi ha insegnato che condividendo le nostre segrete vergogne diamo avvio alla nostra liberazione”.