Salvatore A. Bravo – Pilocchio. Storia di un Pinocchio dei nostri giorni. Pinocchio, sintomo di un mondo disumanizzato, è la vitalità di chi cerca la guarigione, perché l’avventura della vita esige partecipazione, e la salvezza è sempre possibile, se si rinuncia ad un individualismo senza storia e bellezza.

Pinocchio - Collodi

Salvatore A. Bravo

Pilocchio. Storia di un Pinocchio dei nostri giorni

ISBN 978-88-7588-294-5, 2021, pp. 128, Euro 15

indicepresentazioneautoresintesi


Quarta di copertina

Rileggere Pinocchio è come trovarsi palesate, senza per questo cadere nella disperazione e nel pessimismo, le armi più efficaci che il potere usa per dominare. Le avventure di Pinocchio sono le nostre avventure, sono l’inquietudine che non si rassegna ad una vita anonima, sono l’incessante tensione per uscire dalla “caverna platonica degli inganni”. Pinocchio, sintomo di un mondo disumanizzato, è altresì la vitalità di colui che cerca la guarigione. I processi di identificazione con il burattino favoriscono il riattivarsi di energie critiche, per cui rileggere Pinocchio può significare l’inizio di un processo di emancipazione dalla “banalità del male” in cui siamo immersi, e che spesso rimuoviamo per cedere agli automatismi senza concetto. Il testo di Collodi ci invoca al dialogo, ci sollecita ad affinare lo sguardo nella profondità del buio delle “caverne in cui siamo inconsapevoli prigionieri”. All’antiumanesimo del pessimismo è necessario contrapporre la forza storica della vita, la quale non si lascia prosciugare dal sole nero del potere, ma sa leggere il presente utilizzando le categorie del pensiero, generatrici di possibilità. Solo la parola libera: ne è testimonianza la storia di Pinocchio. Il burattino insegna a bambini e adulti che l’avventura della vita esige partecipazione, che la salvezza è sempre possibile, se si rinuncia ad un individualismo senza storia e bellezza. La maieutica filosofica necessita di simboli che favoriscano il logos. L’opera di Collodi, quindi, si presta ad esse­re un insospettato veicolo di consapevolezza comunitaria.


A mo’ di introduzione

Perché rileggere Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino?
La risposta è nello sguardo che scruta il presente e guarda il futuro, un futuro in cui si addensano ombre che necessitano di essere pensate. Nel testo di Collodi sono presenti i pericoli della modernità.
L’obnubilamento della ragione oggettiva impedisce la razionalità critica, e senza razionalità oggettiva si è incapaci di dare una direttiva politica ed etica al vivere comunitario. Prodigiose scoperte si susseguono, ma le «passioni tristi» sono le protagoniste dell’Occidente globalizzato. La razionalità soggettiva che persegue fini puramente individualistici nel disprezzo di ogni vincolo comunitario ed etico è la norma dello stato presente. La solitudine dell’uomo globale è la verità perennemente occultata dalla pubblica ragione pervertita ed addomesticata in chiacchiera senza concetto. La scienza e l’economia – nella loro tragica alleanza – sono mezzi e strumenti per trasformare ogni ente, ogni vita, ogni contingenza in plusvalore. Tutto è possibile: anche convertire Pinocchio in asino da spettacolo, fino ad usare la pelle dell’asino Pinocchio per produrre un tamburo.
Pinocchio ci racconta della minaccia che incombe ad opera della tecnocrazia. Il Prometeo scatenato è tra di noi, ogni «euristica della paura» è dimenticata nel sonno della razionalità e cade nel nichilismo. H. Jonas, con l’euristica della paura, ci ha donato non solo un criterio etico per l’azione, ma anche ci ha invitati a pensare le prodigiose forze distruttive di cui disponiamo. Se un’azione comporta la possibilità di effetti incontrollabili e distruttivi bisogna, pertanto, astenersi dal compierla. Responsabilità ed etica sono un binomio non scindibile. Pinocchio è il racconto di un tortuoso cammino verso la responsabilità, la quale dev’essere responsabilità verso se stessi e verso la comunità nella quale si vive.
Senza tali fondamenti concreti ogni appello alla responsabilità è solo propaganda mediatica senza risultato. Dinanzi all’abisso si diseduca all’impegno civile, e si spingono popoli e nazioni ad abbandonarsi al consumo. Pinocchio è il segno di un pericolo che è tra di noi. Singoli, popoli e nazioni vivono l’esperienza di una regressione generale verso forme di immaturità collettiva social­mente indotta. Un mondo di omuncoli, “Pinocchi”, che vivono tra la menzogna e la bugia non può che generare dei mostri nella generale infelicità.
Pinocchio per diventare “persona” ha avuto un punto di riferi­mento costante: “Geppetto” che cerca e attende. L’attualità – senza riferimenti umani ed ideologici – rischia di abbandonare le nuove generazioni ad una deriva regressiva senza scampo e salvezza.
Ogni realtà – per il capitalismo – dev’essere tradotta in economia, in salto verso il PIL, unica divinità sopravvissuta nel crepuscolo del sacro e della razionalità oggettiva. Il contesto descritto da Collodi è governato dal profitto e dall’utile. Pinocchio, d’altra parte, è il sintomo della malattia della modernità, vuole «solo correre dietro le farfalle», rifiuta il suo radicamento nella storia con l’impegno necessario. È la divina indifferenza, l’individualismo che esige il mondo a sua misura. È una figura della crisi, e specialmente la soluzione non può che avvenire attraverso il «travaglio del negativo».
Collodi è ottimista, in quanto Pinocchio vivrà il male per uscirne “persona” che ha visto l’abisso in cui è possibile perdersi; e dunque ha trasceso il male: la tragedia di cui è stato protagonista non ha preso il sopravvento. Il mondo di Pinocchio è un’età senza pensiero, dove si calcola, ma non si pensa.
Il potere si mostra nella sua crudezza sugli ultimi, e specialmente vive e si consolida nella testa dei dominati (Maestro Ciliegia). Geppetto è l’antitesi di un mondo che sa solo calcolare, è il padre amorevole che ha rinunciato all’utile per creare.
Geppetto è trasgressivo, è l’antitesi dell’homo oeconomicus, è l’umanità che resiste, malgrado la povertà materiale, è la fonte sempre viva dell’universale che non può essere completamente negato, pur in una realtà senza cuore e senza scampo. Geppetto è la paternità assediata che si rigenera in solitudine.
Geppetto non ha mai rinunciato alla speranza di generare la vita. È il padre che deve donare il principio di realtà al figlio che antepone il principio di piacere al principio di realtà.
Le disavventure di Pinocchio sono acuite dal contesto che nega ogni vera formazione per corrompere ed usare, per deviare dal tempo profondo del progetto e sospingere verso il tempo frammentato, negli attimi che si susseguono sotto l’egida dell’eccesso, dell’Eden pronto a ribaltarsi in incubo ed a svelare la sua verità. Pinocchio vive gli anni della sua formazione in un mondo dominato dalla disuguaglianza e dall’arbitrio. Pinocchio deve ricreare “il mondo” per poter sfuggire alla distopia del quotidiano.

La storia di Pinocchio è comparabile alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel, in cui l’autocoscienza diviene consapevole di sé con l’errare dialettico, con la riflessione sull’esperienza che eleva dal particolare all’universale. Senza l’attraversamento delle contraddizioni e delle resistenze è impossibile attuare le potenzialità che ogni persona reca e serba nel suo scrigno. Tutto “lavora”, affinché la paideia di Pinocchio non si concretizzi e resti burattino tra le mani di un potere invisibile ed onnipresente.

Pinocchio è la tragedia nell’etico, è l’attraversamento delle caverne e delle false verità, in cui si inciampa nel cammino per diventare esseri umani. Pinocchio scende nella profondità di se stesso per ritrovarsi essere umano. La profondità di Pinocchio non è kantianamente astratta, ma concreta, poiché incontra nel suo “io” la collettività di cui è parte integrante. La parte e il tutto dapprima confliggono per poi ritrovarsi in una unità rispettosa delle differenze. Nella discesa conosce e riconosce il proprio creatore, Geppetto, è il figlio che cerca il padre per un nuovo incipit.
Creatore e creatura nel mondo della vita sono figure che albergano in ogni relazione umana. È il figlio che non si confonde con il padre, ma desidera averlo accanto, riconosce l’autorevolezza e l’autorità amorevole del padre in un mondo che già si delinea senza padri. Il riconoscimento dell’archetipo paterno non significa che il figlio non possa assumere comportamenti “paterni” verso il suo creatore. Prima di iniziare vorrei soffermarmi su una parola che ricorre spesso nel racconto: povertà.
Il racconto di Collodi è una denuncia della povertà, ma errano, credo, coloro che si limitano a dare a tale parola – nell’equilibrio del racconto – una valenza riferita alla sola povertà materiale. Pinocchio è divorato più volte dalla fame, al punto da mangiare ciò di cui mai avrebbe pensato di potersi nutrire. Denuncia delle condizioni delle classi subalterne nell’Italia di fine Ottocento.
Accanto a questo livello d’analisi, nello scorrere del testo si incontrano molte forme di povertà: l’animalità avida, del Gatto e della Volpe; la corruzione del potere del Giudice scimmia, fino al divertimento senza limite del paese dei balocchi. Le povertà sono il pericolo eterno dell’umanità. Il racconto, apparentemente per bambini, in realtà è capace di visualizzare – in una serie di immagini – l’eterno che accompagna ogni vita durante la sua formazione. L’eterno è simbolizzato, ma anche storicizzato, in quanto vi è la descrizione di un mondo nelle grinfie del guadagno.
Collodi denuncia le pratiche economiche finalizzate all’accumulo e scorge gli effetti futuri di una realtà senza fondamenti etici, che ha venduto l’anima per soddisfare i suoi desideri. Pinocchio e Geppetto sono due resistenti, non venderanno l’anima per i loro desideri inautentici, perché alla fine vivranno della comune radice che li unisce, senza la quale non vi è umanità, non vi è progetto, ma solo vita biologica senza senso. Alla fine del racconto Pinocchio sostiene passo passo Geppetto, incontrano il Gatto e la Volpe, ma Pinocchio non cade più nella trappola delle loro parole, perché «le povertà sono state sconfitte».
Le povertà sono il velo di Maya che occulta allo sguardo la sua profondità. Alla fine del racconto il velo di Maya cade e Pinocchio riconosce in Geppetto una parte di sé da amare e sostenere nella cura costante dell’amore vicendevole. Il velo di Maya che cade è la luce della ragione che si ritrova con l’emotività positiva, e ciò consente a Pinocchio di riconoscere la verità del Gatto e della Volpe e di soppesarne correttamente le parole. Imparare ad essere umani significa saper ascoltare le parole come parte di una totalità concreta che viene a noi e ci invoca ad una complessa ermeneutica. Pinocchio è la vita nella sua ricca potenzialità che si confronta con le povertà che ne minacciano lo splendore.
Pinocchio e Geppetto sono nella bocca del pescecane fin dall’inizio del racconto, sono all’interno di una realtà storica, in cui la sussunzione è un destino che divora gli ultimi ed i piccoli. L’incontro con il pescecane è l’incontro-scontro con “l’apparir del vero” senza il quale ogni inizio ed emancipazione sono impossibili.

S. Bravo


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Aldo Lo Schiavo – «Filosofia del mito greco». Il mito ha potuto esplicarsi e fiorire così liberamente in Grecia conservando il suo policentrismo, perché non ebbe un’ortodossia religiosa, non adottò libri sacri, non conobbe una casta sacerdotale chiusa, E ciò permise la più ampia libertà spirituale.

Aldo Lo Schiavo 05

Aldo Lo Schiavo

Filosofia del mito greco

In appendice: Themis, la dea del giusto consiglio

IISBN 978–88–7588-296-9, 2021, pp. 80, Euro 10

indicepresentazioneautoresintesi


Sommario

  1. I. Caratteri Distintivi
  2. Mito e religione
  3. Il policentrismo greco e la sua koine
  4. Una religione senza dogmi
  5. Ricchezza della riflessione mitica
  6. Il mito, unione di fantasia e razionalità
  7. Il divino, rappresentativo di tutti gli aspetti della realtà

  1. Il mondo preolimpico
  2. Il mostruoso in Omero e in Esiodo
  3. Permanenza del mondo preolimpico
  4. L’altra faccia dell’essere

III. Il pantheon olimpico

  1. Il mito teo-cosmogonico
  2. L’origine del mondo
  3. La successione delle generazioni divine

3.1. I primi nati

3.2. La prima generazione.

A: La linea Chaos-Notte

3.3. La prima generazione.

B: La linea Gaia-Urano

3.4. La seconda generazione

  1. Il governo di Zeus. La ripartizione delle timai
  2. L’ordinamento olimpico. Le spose di Zeus
  3. Un pantheon complesso

Schema teo-cosmogonico esiodeo

IV. Strutture razionali del mito greco

  1. Gli dèi, simbolo non causa dei fenomeni
  2. La ambivalenza del divino
  3. Il Pantheon, un sistema di relazioni aperte
  4. 4. L’incontro-scontro della coppia regale
  5. Relazioni oppositive. La battaglia degli dèi
  6. Associazioni divine
  7. L’unione-separazione dei contrari (gli amori di Ares e Afrodite)

V. Sophia, mythologia, philosophia

  1. Un governo aristocratico del mondo
  2. L’unità come equilibrio dinamico delle differenze
  3. Sophia, il sapere del fondamento
  4. La razionalità di sophia tra mythologia e philosophia

Bibliografia orientativa

 

Appendice

Themis, la dea del giusto consiglio


  1. Mito e religione

 

Il mito, storicamente considerato, è intimamente connesso allo spirito religioso di un popolo. Non è pura costruzione della fantasia, il gioco soggettivo di una mentalità ingenua. I racconti intorno agli dèi e alle loro imprese nascono dalla coscienza profonda di una comunità, e sono in qualche modo una risposta alle difficoltà, ai timori, ai bisogni di sicurezza della gente. A quei racconti si accompagna sempre una sicura credenza, un’adesione interiore, una partecipazione emotiva, ciò che costituisce l’essenza di una fede religiosa.
All’interno dello spirito religioso della comunità, il mito rappresenta il momento più riflessivo e più intensamente rappresentativo della sensibilità comune.
Naturalmente, quella fede religiosa, e i miti che l’accompagnano, si atteggiano diversamente nelle varie comunità, assumono connotazioni che sono proprie di ciascun popolo (nelle condizioni storico-ambientali in cui esso si trovi a operare) e della particolare mentalità che vi si è sviluppata.
La specifica religiosità di un popolo si riflette nelle sue rappresentazioni mitiche, e viceversa i tratti assunti dal pensiero mitico contrassegnano in una qualche misura l’atteggiamento religioso.

 

  1. Il policentrismo greco e la sua koine

Le condizioni storico-ambientali della Grecia antica hanno finito per incidere notevolmente nella formazione della mentalità dell’uomo greco. La componente etnica indoeuropea, proveniente dall’esterno, conflisse ma anche interagì con le genti mediterranee che dall’origine abitavano quei luoghi. Inoltre, le caratteristiche geografiche favorirono quel particolarismo politico proprio delle comunità greche, ognuna gelosa della sua indipendenza.
A differenza delle altre civiltà dell’Oriente antico, dove la vita si è evoluta in una realtà geo-politica relativamente uniforme, la Grecia arcaica non ha avuto un centro unico di irradiazione culturale, politica e religiosa. Le più compatte civiltà dei fiumi (l’egiziana, la mesopotamica, l’indo-iraniana) giunsero presto a dotarsi di un pantheon comune, abbastanza definito e mantenuto tale da una forte casta sacerdotale legata al potere centrale.
In Grecia, invece, Eoli, Ioni e Dori, portatori di culture e sensibilità diverse, divise per giunta in tante piccole comunità spesso in lotta fra loro, contribuirono sì insieme a creare una koine culturale e religiosa, nella quale tuttavia le particolarità e le differenze non vennero annullate o riassorbite in un tutto omogeneo.
Non a caso, sedi di culto come Olimpia, Delfi o Eleusi, centri di indubbia dimensione panellenica, servivano non soltanto a celebrare le comuni aspirazioni, ma anche a riaffermare nel confronto e nella competizione i tratti distintivi delle comunità che vi partecipavano.
L’onore conquistato dai singoli vincitori nelle diverse manifestazioni agonistiche si traduceva, come insegna Pindaro, nella gloria delle loro città di origine.

 

  1. Una religione senza dogmi

Il mito ha potuto esplicarsi e fiorire così liberamente in Grecia, come in nessuna altra civiltà antica, perché la Grecia, conservando gelosamente il suo policentrismo, non ebbe un’ortodossia religiosa, non adottò libri sacri, non conobbe una casta sacerdotale chiusa.
E ciò costituì, se vogliamo, la sua maggiore fortuna, ossia permise la più ampia libertà spirituale. Ogni comunità venerava i suoi dèi, ma i suoi culti non erano esclusivi.
Persino i riti misterici erano collegati alla città, e addirittura avevano una impronta panellenica. Poiché le divinità e i culti più importanti erano poliadi, non si poneva alcun conflitto tra religione e politica (diremmo ora, tra foro interno e foro esterno).
La religione greca non era ripiegata sulla coscienza, non richiedeva un’intima e privata comunione con la divinità, poiché per la cultura greca l’uomo non era un peccatore (mancò l’idea di un peccato originale) e non avvertiva alcun bisogno di redenzione (R. Parker). L’anima individuale e quella collettiva vanno quasi all’unisono nella polis greca arcaica (S. Mazzarino).
La religiosità seguiva l’ortoprassi, il corretto modo di venerare gli dèi, piuttosto che l’ortodossia, cioè l’adesione incondizionata a determinati principi.
Poiché non vi era ortodossia, neppure si conoscevano eresie. Quei processi intentati ad Atene contro alcuni filosofi (Anassagora, Protagora, Socrate), dietro l’accusa di empietà (asébeia), nascondevano degli obiettivi politici. Il che non significa che i Greci non temessero la divinità, non nutrissero per essa sentimenti di lealtà e di fiducia.
E tuttavia la pietà religiosa (eusébeia) era piuttosto una forma di rispetto che di onore. Inoltre, agli dèi greci «mancava la santità, ossia quella qualità che avrebbe dovuto farne dei modelli della moralità umana» (J. Burckhardt). La moralità non era il punto forte di questi dèi, che spesso anzi scandalizzavano con i loro comportamenti.

 

  1. Ricchezza della riflessione mitica

Dati questi caratteri della religiosità greca, si comprende perché il mito abbia potuto svilupparsi colà con una libertà, una ricchezza e una varietà di racconti che non hanno equivalenti altrove.
Di fronte ai misteri della vita, ai sorprendenti scenari della natura, agli eventi più inusitati dell’esistenza, i Greci s’interrogano, come tutte le altre popolazioni antiche, ma lasciano sempre la risposta aperta.
Si affidano di volta in volta alle evocazioni contenute negli antichi inni rituali, ai canti degli aedi e dei poeti, alle massime dei sapienti, alle elaborazioni teo-cosmogoniche dei teologi; più tardi guarderanno stupiti anche alle opere degli artisti e dei pittori vascolari. Costoro si sentono quasi del tutto liberi di sviluppare questo o quel tratto della personalità di un dio o di un eroe, di dare versioni diverse di uno stesso racconto o epifania, di stabilire connessioni nuove fra eventi leggendari e circostanze della vita reale.
Non c’è un modello fisso o una versione ortodossa dei singoli miti. Ognuno di loro ha la possibilità di interpretare il mito a proprio modo, e il pubblico non è obbligato a prendere per vero ciò che ascolta: l’importante è che la versione data risponda a un bisogno sentito, a una esigenza della gente o della città.
È in base a ciò che si forma piano piano una tradizione, che però mai diventa rigidamenrte canonica.

 

  1. Il mito, unione di fantasia e razionalità

Il racconto mitico può avere, e spesso ha, valori simbolici diversi, esprimere livelli di significato o gradi differenti di approfondimento. Un esempio molto semplice è quello della storia del rapimento di Persefone ad opera di Ade, della discesa della dea fra gli Inferi, della sua ricomparsa annuale a primavera: vi è chiaramente espresso un originario mito agrario o della vegetazio­ne, che diventa poi un mito iniziatico della rinascita nell’oltretomba (il seme che muore e rinasce sui campi suggerisce l’idea di una vita felice dopo la morte). Le Horai sono divinità del tempo atmosferico, come tali dettano i ritmi delle stagioni e dei lavori adatti al loro succedersi; ma sono anche intese da Esiodo come indicanti i criteri adatti al buon governo della città.
Da Omero ai grandi lirici, dai tragediografi ad Apollonio Rodio, affiorano pensieri più profondi intorno al destino dell’uomo, ai suoi rapporti con la divinità, alle ragioni della giustizia o del potere.
Tali pensieri cercano una spiegazione più organica nelle cosmogonie e teo-cosmogonie, comprese quelle orfiche, dove si avverte una certa influenza di fonti orientali (miti sumerici, assiro-babilonesi, iranici), che vengono tuttavia ampiamente rielaborati e talora svolti in una chiave che sembra già filosofica o che anticipa la filosofia.
Fondamentale, in questo senso, la Theogonia di Esiodo, con la sua storia delle generazioni divine succedutesi al governo del mondo e con altri miti di rilievo quali la titanomachia e la vicenda di Prometeo.
Qui, come altrove, l’opera della fantasia si coniuga con un bisogno evidente di razionalità.
La prima anima, quella fantastico-immaginativa, assume in Grecia (e solo lì) forte coloritura estetica, che lascia nello sfondo i valori morali per rispondere a un fondamentale piacere degli occhi e della mente, talché gli dèi vengono ammirati soprattutto in quanto dotati di sovrana bellezza, di eterna giovinezza, di immortale felicità.
L’altra anima, quella razionale-speculativa, si aggiunge a quella fantastica, senza entrare in contrasto con essa, ed anzi la svolge quasi fisiologicamente nella vocazione tutta greca alla conoscenza e alla contemplazione disinteressata.
Lo scambio o l’incontro frequente dell’elemento estetico e di quello teoretico è uno dei caratteri distintivi del mito greco.

 

  1. Il divino, rappresentativo di tutti gli aspetti della realtà

Il divino, per i Greci, è dappertutto. Si accompagna a ogni manifestazione della vita o della natura (componenti cosmiche, fenomeni fisici, moti psichici).
«Tutto è pieno di dèi», dirà Talete. Ma non si tratta di panteismo, semmai di realismo: le forme divine sono rappresentative dei molteplici aspetti del reale.
La realtà tutta (cosmica, fisica, psicologica, sociale, politica) è un caleidoscopio di situazioni, di tensioni, di contraddizioni. E gli dèi, in effetti, indicano ora le forze attive del mondo (Zeus, Hera, Efesto ecc.), ora quelle latenti e minacciose (quali Gaia, Poseidone, Tifone); ora gli aspetti più luminosi (Apollo, Helios, Eos, ecc.), ora quelli più oscuri (Nyx, Ade, le Kere, ecc.); e ancora le potenze attrattive e unitive (Afrodite, Eros, Himeros) oppure quelle violente o distruttive (Ares, la Contesa-Eris, la Rovina-Ate, ecc.); infine, le rappresentanti dell’ordine (Themis, Dike, Nomos, ecc.) o quelle del disordine (Dioniso, Hybris, Bia, ecc.); le forme della bellezza (ancora Afrodite, le Charites, le Muse) e quelle della bruttezza (le Graie, l’orribile Stige, la spaventosa Echidna).
Il mito antico è rappresentativo dell’essere, non del dover essere. E per questo, la divinità non identifica soltanto il lato positivo del mondo, ma sta dietro ed evoca anche il lato negativo o nefasto.
Il fatto è che il politeismo in generale, non solo quello greco, è frutto di una concezione naturalistica in un senso universale, onnicomprensivo.


Aldo Lo Schiavo (n. 1934) è stato ispettore centrale nel Ministero della pubblica istruzione per l’insegnamento della filosofia. È stato redattore capo e poi direttore della rivista «Annali della Pubblica Istruzione». Ha presentato un’interpretazione critica del pensiero gentiliano nel saggio La religione nel pensiero di G. Gentile («La Cultura», 1968, pp. 333-378) e nei due volumi La filosofia politica di G. Gentile (Roma 1971) e Introduzione a Gentile (Roma-Bari 1974, collana «I Filosofi»). Si è poi dedicato allo studio del pensiero greco, ed ha pubblicato a riguardo: Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico (Roma 1979) e Omero filosofo. L‘enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco (Firenze 1983).


Aldo Lo Schiavo – Il sapere filosofico, quando non si isola in un formalismo tecnico fine a se stesso, trae sostanziale giovamento dall’analisi delle origini e del radicamento delle rappresentazioni mentali nel fitto tessuto di esigenze, sentimenti, reazioni individuali e collettive espresse nelle concrete situazioni in cui gli uomini operano e costruiscono la loro civiltà.
Aldo Lo Schiavo – Themis sa guardare all’avvenire del mondo, per il quale auspica un ordinamento al tempo stesso stabile e giusto, senza prevaricazioni e violenze. Themis pertanto esprime una normatività non costrittiva, non cieca, perché portatrice di una specifica sapienza cosmica.
Aldo Lo Schiavo – La condanna platonica della tirannide è radicale. Per Platone la città perfetta è un prodotto della ragione filosofica. La politeia ideale è il coerente progetto di trasformazione etico-politica della società temperato dal concetto di unità nella diversità. Il manifesto del filosofo laico.
Aldo Lo Schiavo – Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico

Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Aldo Lo Schiavo…














M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Aldo Lo Schiavo – Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico

Aldo Lo Schiavo 04

Aldo Lo Schiavo

Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico

ISBN 978–88–7588-286-0, 2021, pp. 96, Euro 10

indicepresentazioneautoresintesi


Sommario

Prologo

Il pátei mátos ovvero il razionalismo religioso di Eschilo

Ambiguità del pensiero sofocleo

La critica euripidea della religione

L’illuminismo di Euripide

Appendice

Polimorfia della methis e problematicità del nous


I saggi qui riuniti tentano di cogliere alcuni aspetti salienti del rapporto tra mito e riflessione razionale nel teatro greco quale si è venuto svolgendo nell’Atene del V secolo ad opera di Eschilo, di Sofocle e di Euripide. Si tratta di un momento di una più generale ricerca sulla storia del razionalismo antico, che si sviluppa in quattro saggi: Il pátei mátos, ovvero il razionalismo religioso di Eschilo, Ambiguità del pensiero sofocleo, La critica euripidea della religione, Lilluminismo di Euripide.

Nel quadro della stessa ricerca si colloca anche il testo Polimorfia della methis e problematicità del nous – qui inserito in appendice –, una importante analisi dell’Autore che prende le mosse dal libro Les ruses de l’intelligence. La metis des Grecs di M. Detienne e J.-P. Vernant.


Aldo Lo Schiavo (n. 1934) è stato ispettore centrale nel Ministero della pubblica istruzione per l’insegnamento della filosofia. È stato redattore capo e poi direttore della rivista «Annali della Pubblica Istruzione». Ha presentato un’interpretazione critica del pensiero gentiliano nel saggio La religione nel pensiero di G. Gentile («La Cultura», 1968, pp. 333-378) e nei due volumi La filosofia politica di G. Gentile (Roma 1971) e Introduzione a Gentile (Roma-Bari 1974, collana «I Filosofi»). Si è poi dedicato allo studio del pensiero greco, ed ha pubblicato a riguardo: Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico (Roma 1979) e Omero filosofo. L‘enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco (Firenze 1983).


Aldo Lo Schiavo – Il sapere filosofico, quando non si isola in un formalismo tecnico fine a se stesso, trae sostanziale giovamento dall’analisi delle origini e del radicamento delle rappresentazioni mentali nel fitto tessuto di esigenze, sentimenti, reazioni individuali e collettive espresse nelle concrete situazioni in cui gli uomini operano e costruiscono la loro civiltà.
Aldo Lo Schiavo – Themis sa guardare all’avvenire del mondo, per il quale auspica un ordinamento al tempo stesso stabile e giusto, senza prevaricazioni e violenze. Themis pertanto esprime una normatività non costrittiva, non cieca, perché portatrice di una specifica sapienza cosmica.
Aldo Lo Schiavo – La condanna platonica della tirannide è radicale. Per Platone la città perfetta è un prodotto della ragione filosofica. La politeia ideale è il coerente progetto di trasformazione etico-politica della società temperato dal concetto di unità nella diversità. Il manifesto del filosofo laico.

Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Aldo Lo Schiavo…














M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.