Goffredo Fofi ci ha lasaciati l’11 luglio 2025 (era nato il 15 aprile 1937). Come cittadino militante, ha vissuto e lottato per una democrazia reale, perché vera democrazia è affermazione della dignità di ogni essere umano, che non deve mai essere mercificato e reso servo acquiescente del consumismo oligopolistico del capitalismo mondializzato. Fofi ci rammenta che tutto ciò non è un destino, e invita a dare l’esempio di una vita non motivata dalla ricerca del denaro e dei consumi e non guidata dalla tecnica.


































Salvatore Bravo
In questi giorni è venuto a mancare Goffredo Fofi
In questi giorni è venuto a mancare Goffredo Fofi. Sulle TV di Stato la notizia non è stata riportata. I libertari non trovano spazio nei media ufficiali privati e pubblici. Nei media statali l’informazione è stata sostituita dalle canzonette e dalla pubblicità dei concerti e delle produzioni musicali di cantanti, il cui vuoto siderale è abissale. In questo contesto in stile “panem et circenses” uomini come Goffredo Fofi non trovano spazio. La cultura della cancellazione avanza in una miriadi di modi. Si cancellano i vivi e i morti per trasformarli in “non nati”. Questo è il tempo del capitalismo senza limiti. Il deserto avanza annichilendo la memoria. Goffredo Fofi lottò per la democrazia radicale/reale e la sua vita è un testo da cui emergono domande profonde a cui diede risposte sperimentando l’alternativa al capitalismo. Uomini di tale valore culturale e politico sono presenze dialettiche, che il sistema capitale deve seppellire nel deserto delle canzonette e delle vuote parole senza concetto. Fu un cittadino militante in una realtà che produce in serie “consumatori” che possono assistere ad immagini di Gaza fumante, tra le cui macerie si alzano le urla di donne e bambini, a cui succedono con somma indifferenza gli spot agli spettacoli di cantanti di ultima generazione che inneggiano “all’amore e al successo nelle calde estati estive”. Goffredo Fofi ha donato la sua esistenza contro tutto questo. Democrazia è dignità di ogni essere umano, nel nostro tempo, invece, sono il denaro e il potere a dare rilevanza, così muore la democrazia e il pensiero politico. Goffredo Fofi ci rammenta che non è un destino, ma ciascuno di noi può testimoniare l’alternativa nel presente senza delegare ad altri l’alternativa. Ciascuno di noi può diventare con la sua storia un modello piccolo o grande che testimonia che un altro modo di vivere è possibile. Solo così si difende la dignità di tutti gli esseri umani dal consumismo pianificato che ha consumato anche “l’essere” e lo ha sostituito con la società dello spettacolo, nella quale attori e spettatori recitano un ruolo stabilito da potenze sempre più distanti e anonime.
Decervellamento…
La vera urgenza della contemporaneità è la scomparsa della democrazia reale: al suo posto vi è la democrazia giuridica e formale. La più grande conquista culturale e politica dell’Occidente scompare ed agonizza sotto i colpi delle oligarchie e del loro immenso patrimonio che si traduce in controllo e sfruttamento. Il binomio controllo-sfruttamento non è da relegare nelle aziende ed ovunque vi sia lavoro, ma è la normale condizione quotidiana del cittadino-consumatore. Il tempo in cui non si è al lavoro è all’ombra dei media che orientano non solo l’opinione pubblica, ma anche i gusti e le attività. Il mondo mondializzato è un immenso campo per la produzione di plusvalore e guadagno: il tempo libero è organico a tale produzione. La guerra è solo una declinazione della produzione. Tutto è irrilevante. Si tratta di un’immensa macchina, i cittadini sono solo elementi dei suoi ingranaggi e devono accettare di poter essere immediatamente sostituibili. Il sistema macchinale non deve mai fermarsi, esso è preda di un automatismo produttivo che cela tra i suoi ingranaggi il terrore panico del tempo sottratto al profitto. La guerra, la pace, l’amore e la cultura devono produrre denaro altrimenti devono essere cancellati dal pubblico orizzonte di visibilità. A tal scopo i media producono le opinioni con la massiccia e invisibile manipolazione dei dati, e specialmente, con la capacità di oscurare e deprezzare pubblicamente informazioni, concetti e modelli sociali non organici agli interessi del sistema.
Non è necessario il campo di concentramento per rieducare la popolazione, ma è sufficiente lasciarla libera di muoversi nel solo spazio geografico senza frontiere, il quale è un’arena per i consumatori perennemente in competizione per consumare ogni esperienza. Il movimento produce denaro, l’omologazione globale non consente l’incontro tra culture diverse, ma solo il contatto fugace con esperienze e modelli di vita simili. La produzione di saperi come fossero merci permette all’eremita di massa di essere prodotto in serie mediante il flusso ininterrotto di informazioni unidirezionali, veri imperativi categorici del consumo. Gli appelli alla libertà e lo scandalo per le dittature sono parte integrante del “grande inganno”, si deve donare l’illusione di essere dalla parte giusta, sempre e comunque, al punto da giustificare con un postulato gli interventi contro i dissenzienti. La macchina del capitale non può che produrre consenso ai suoi imperativi mercificanti e sudditi passivamente fedeli al consumo.
Per occupare ogni spazio della coscienza critica il capitalismo riduce la cultura ad intrattenimento con il quale far passare messaggi politici e sociali con i quali il sistema si rafforza, in tal modo l’eremita di massa (definizione di Günther Anders) è sfruttato senza sosta, è lo sgabello che regge il sistema, lo acclama senza comprenderlo. Lo schiavo di massa è il prodotto finale del totalitarismo liberista: il “decervellamento” è il risultato più clamoroso del neoliberismo come denunciato da Goffredo Fofi:
“La cultura, anche quella che si vuole migliore, perfino elitaria, è ridotta a merce, a intrattenimento e a mero consumo, serve a distrarre invece che a stimolare la riflessione individuale e a destare il senso di responsabilità che ciascuno dovrebbe sentire; la sua dovizia e la sua onnipresenza sono, avrebbe detto Jarry, l’arma centrale nell’azione di decervellamento dei singoli e delle masse[1]”.
Accademiche menzogne
Non vi sono zone franche, il capitalismo deve penetrare ovunque, le Università da istituzioni che sin dal Medioevo sono stati “luoghi del sapere critico”, dove vigeva la dialettica, sono i docili strumenti con cui il sistema si riproduce. Si formano le future classi dirigenti nell’ottica del fanatismo del solo economicismo. Gli eventi che denunciano le contraddizioni del sistema con le sue tragedie umane e ambientali sono immediatamente convertiti in possibile business o in spettacolo. L’operazione di conversione delle contraddizioni in oro sonante è il mezzo più efficace per neutralizzare ogni spazio di pubblico uso della ragion critica:
“La cultura universitaria si morde la coda dentro a un suo limbo isolato, tra norme astruse e carriere esecrabili, e tutto fa fuorché emancipare i suoi studenti, anche se qualche professore riesce ancora a rispettarli e a proporre antidoti alla stupidità dilagante – favorita invece da pressoché tutta la cultura giornalistica, che ha finito, seguendo il modello offerto dalla televisione, per non depositare in nessuna coscienza la comprensione della gravità dei tempi e per fare invece di tutto, anche delle nostre paure, spettacolo e merce[2]”.
Il totalitarismo morbido del neoliberismo con la sua opera di omologazione e con la sua azione finalizzata ad eliminare ogni spazio dialettico ha un’immensa capacità di assimilazione. Le grandi conquiste libertarie e le libertà democratiche sono convertite in mercato. L’inclusione nel mercato è la fumisteria con cui si acceca la popolazione, poiché il mercato è pratica di antiumanesimo e sfruttamento non riconosciuto. Si include per addestrare tutti al catechismo liberista. Per impedire la vista della realtà si agisce omologando: le differenze sono solo quantitative. L’ultimo dei proletari e il primo dei capitalisti hanno gli stessi obiettivi e lo stesso modello di vita; si determina in un sistema gerarchizzato un piano liscio in cui l’apice, apparentemente, è simile alla base. Il sistema capitalistico non è “fuori”, esso abita nelle sue vittime, le quali possono diventare i carnefici più fedeli del capitalismo di guerra e sangue. Il sistema si rafforza con tale modalità, per cui lo sfruttamento, il vuoto ideologico e le tragedie del “benessere” non sono occasione per pensare la verità qualitativa del sistema, ma rientrano nella normalità del quotidiano:
“Il ventennio fascista, al paragone, aveva una vitalità diversa e aggressiva, una chiara proposta negativa, antidemocratica, mentre il trentennio recente si è affermato per via democratica presentandosi come sommamente razionale (ché il nostro è l’unico mondo possibile, anzi il migliore) ed è stato benedetto dal popolo – che rispetto a quello del ventennio non aveva identità e storia diverse da quelle del potere, non era piú composto da contadini, operai, artigiani, impiegati, in gran parte analfabeti e i cui bisogni erano inconciliabili con quelli del potere. La divisione in classi era un tempo netta, e la distanza del proletariato dalla borghesia e dalla nuova emergente piccola-borghesia era lampante. Nel trentennio, si è subita una mutazione radicale nel sistema economico-finanziario, nelle sue conseguenze sui comportamenti di massa, e la si è accettata essendo di fatto consenzienti: perché si è trattato di anni di vacche grasse per tutti o quasi tutti… La “nuova economia”, prima di mostrare il suo vero volto, ha retto e arricchito tutti[3]”.
Speranza e violenza
Malgrado la violenza appaia legalizzata e il consumismo disperato sia penetrato con la sua grammatica emotiva nelle coscienze, la natura umana resiste, non a caso lo stesso Goffredo Fofi in un’intervista affermò di intravedere movimenti dialettici. Vi sono giovani che hanno ripreso il percorso che conduce alla disobbedienza propositiva, non vogliono essere fruitori passivi del contesto storico, ma vogliono capirlo per elaborare processi di emancipazione. La verità qualitativa sul sistema può essere oscurata e posta in ombra, ma ciascuno la vive nella propria condizione materiale, pertanto riemerge nel sangue e nella carne pronta a diventare concetto:
“Oggi cosa fanno e chi sono i giovani?
«La storia è sempre andata avanti in un rapporto tra minoranze “virtuose”, innovatrici, e maggioranze più conformiste, sostanzialmente più egoiste. Ci sono però momenti in cui le minoranze influiscono in modo determinante sulla Storia, e sui comportamenti e le idee delle maggioranze. C’è una novità in questi ultimi anni: è rappresentata dai gruppi e gruppetti di ragazzi che sentono il dovere di occuparsi di chi soffre, degli immigrati, dei “subalterni”… Sentono il dovere di occuparsi della natura, dei rischi che comporta la violenza nei suoi confronti esercitata dal capitalismo – e dal consumismo che ci rende tutti suoi complici».
Hanno un peso sociale queste minoranze attive?
«È difficile che queste minoranze alzino la testa in un anno pessimo come il 2020, di fronte a una minore tensione tra ceti sociali unificati da un sistema culturale pesantemente conformista se non reazionario. Però diversi segnali di un risveglio ci sono e il futuro, con le sue storture crescenti, spingerà le nuove leve a cercare nuovi modi di agire per contrastare il disastro»[4]”.
Per poter rompere la cappa di conformismo conservatore ogni tempo deve trovare il modo non solo per capire il proprio tempo e renderlo razionale, ma specialmente bisogna trovare i mezzi adeguati al proprio tempo per poter ricostruire una opposizione popolare e diffusa, e questa, è la sfida più grande del tempo presente. Per porre un limite al deserto della dimenticanza e riconquistare spazi di umanità è necessario ricordare i testimoni dialettici che non hanno atteso la rivoluzione, ma la loro esistenza è stata rivoluzionaria ogni giorno e con essa hanno lavorato per il futuro di ogni creatura umana. Sta a noi contrapporci contro gli imbonitori della cultura e riprendere a camminare per il difficile sentiero del comunismo libertario:
“Ma chi sono infine gli intellettuali? Oggi è scomparsa la generazione che attraversò fascismo guerra resistenza e ricostruzione e gli anni della democrazia e dei conflitti sociali che potevano preludere a una società migliore e che hanno fallito in parte per la povertà del nuovo e antagonista e in parte ben maggiore per la forza degli avversari, nel mondo e non solo in Italia e perfino là dove pareva si fosse vinto (il Vietnam, Cuba, l’Algeria e l’Africa post-coloniale). Sono scomparse quelle menti che, oltre a creare opere di grande valore e di piena sostanza, si preoccupavano del bene comune e dello stato del paese e della sua civiltà – e tanti sarebbero i nomi che si potrebbero fare, di una stagione unica nella nostra storia per ricchezza di capolavori e per energia e lucidità critica. Gli intellettuali di oggi figurano essere quasi esclusivamente giornalisti e professori, divi dei media imbonitori di se stessi, membri di un’istituzione come l’università che è certamente più mafiosa della mafia, membri delle corporazioni professionali dominanti, medicina, legge, architettura; sono solleciti passacarte, critici che non criticano, uffici stampa e propaganda, ciarlatani e narcisi immensamente innamorati di sé; sono «denunciatori» e ricattatori professionali – ciascuno per sé e per il proprio clan in un attento gioco di alleanze variabili e opportune[5]”.
Per combattere riprendiamoci spazi di silenzio nel quale elaborare e pensare l’alternativa senza narcisismi. Ribaltiamo le logiche, come ci ha insegnato, disertiamo il superfluo per tornare ad ascoltare la voce di tutti silenziata dal sistema mediatico:
“La televisione (oggi il digitale?): la distruzione della mente attraverso la comunicazione di massa usata a fine di dominio e non di emancipazione, non per la conoscenza di sé e del mondo ma per la loro dimenticanza, nell’acquiescenza alla visione che ne dà chi dirige il gioco, chi guida la danza. Non solo, dunque, la tv[6]”.
Torniamo ad essere i pensanti dell’agire.
Salvatore Bravo
[1] Goffredo Fofi, Elogio della disobbedienza civile, nottetempo, 2015, p. 6.
[2] Ibidem, pp. 7, 8.
[3] Ibidem, 9, 10.
[4] Goffredo Fofi: si stanno risvegliando i giovani. Intervista a Goffredo Fofi, a cura di Mirella Serri, in “La Stampa”, del 21 dicembre 2020.
[5] Goffredo Fofi, Il cinema del no: visioni anarchiche della vita e della società, Elèuthera, pp. 10-11.
[6] Ibidem, p. 14.

































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