Goffredo Fofi ci ha lasaciati l’11 luglio 2025 (era nato il 15 aprile 1937). Come cittadino militante, ha vissuto e lottato per una democrazia reale, perché vera democrazia è affermazione della dignità di ogni essere umano, che non deve mai essere mercificato e reso servo acquiescente del consumismo oligopolistico del capitalismo mondializzato. Fofi ci rammenta che tutto ciò non è un destino, e invita a dare l’esempio di una vita non motivata dalla ricerca del denaro e dei consumi e non guidata dalla tecnica.




Salvatore Bravo

In questi giorni è venuto a mancare Goffredo Fofi



In questi giorni è venuto a mancare Goffredo Fofi. Sulle TV di Stato la notizia non è stata riportata. I libertari non trovano spazio nei media ufficiali privati e pubblici. Nei media statali l’informazione è stata sostituita dalle canzonette e dalla pubblicità dei concerti e delle produzioni musicali di cantanti, il cui vuoto siderale è abissale. In questo contesto in stile “panem et circenses” uomini come Goffredo Fofi non trovano spazio. La cultura della cancellazione avanza in una miriadi di modi. Si cancellano i vivi e i morti per trasformarli in “non nati”. Questo è il tempo del capitalismo senza limiti. Il deserto avanza annichilendo la memoria. Goffredo Fofi lottò per la democrazia radicale/reale e la sua vita è un testo da cui emergono domande profonde a cui diede risposte sperimentando l’alternativa al capitalismo. Uomini di tale valore culturale e politico sono presenze dialettiche, che il sistema capitale deve seppellire nel deserto delle canzonette e delle vuote parole senza concetto. Fu un cittadino militante in una realtà che produce in serie “consumatori” che possono assistere ad immagini di Gaza fumante, tra le cui macerie si alzano le urla di donne e bambini, a cui succedono con somma indifferenza gli spot agli spettacoli di cantanti di ultima generazione che inneggiano “all’amore e al successo nelle calde estati estive”. Goffredo Fofi ha donato la sua esistenza contro tutto questo. Democrazia è dignità di ogni essere umano, nel nostro tempo, invece, sono il denaro e il potere a dare rilevanza, così muore la democrazia e il pensiero politico. Goffredo Fofi ci rammenta che non è un destino, ma ciascuno di noi può testimoniare l’alternativa nel presente senza delegare ad altri l’alternativa. Ciascuno di noi può diventare con la sua storia un modello piccolo o grande che testimonia che un altro modo di vivere è possibile. Solo così si difende la dignità di tutti gli esseri umani dal consumismo pianificato che ha consumato anche “l’essere” e lo ha sostituito con la società dello spettacolo, nella quale attori e spettatori recitano un ruolo stabilito da potenze sempre più distanti e anonime.

 

 Decervellamento…

 

La vera urgenza della contemporaneità è la scomparsa della democrazia reale: al suo posto vi è la democrazia giuridica e formale. La più grande conquista culturale e politica dell’Occidente scompare ed agonizza sotto i colpi delle oligarchie e del loro immenso patrimonio che si traduce in controllo e sfruttamento. Il binomio controllo-sfruttamento non è da relegare nelle aziende ed ovunque vi sia lavoro, ma è la normale condizione quotidiana del cittadino-consumatore. Il tempo in cui non si è al lavoro è all’ombra dei media che orientano non solo l’opinione pubblica, ma anche i gusti e le attività. Il mondo mondializzato è un immenso campo per la produzione di plusvalore e guadagno: il tempo libero è organico a tale produzione. La guerra è solo una declinazione della produzione. Tutto è irrilevante. Si tratta di un’immensa macchina, i cittadini sono solo elementi dei suoi ingranaggi e devono accettare di poter essere immediatamente sostituibili. Il sistema macchinale non deve mai fermarsi, esso è preda di un automatismo produttivo che cela tra i suoi ingranaggi il terrore panico del tempo sottratto al profitto. La guerra, la pace, l’amore e la cultura devono produrre denaro altrimenti devono essere cancellati dal pubblico orizzonte di visibilità. A tal scopo i media producono le opinioni con la massiccia e invisibile manipolazione dei dati, e specialmente, con la capacità di oscurare e deprezzare pubblicamente informazioni, concetti e modelli sociali non organici agli interessi del sistema.

Non è necessario il campo di concentramento per rieducare la popolazione, ma è sufficiente lasciarla libera di muoversi nel solo spazio geografico senza frontiere, il quale è un’arena per i consumatori perennemente in competizione per consumare ogni esperienza. Il movimento produce denaro, l’omologazione globale non consente l’incontro tra culture diverse, ma solo il contatto fugace con esperienze e modelli di vita simili. La produzione di saperi come fossero merci permette all’eremita di massa di essere prodotto in serie mediante il flusso ininterrotto di informazioni unidirezionali, veri imperativi categorici del consumo. Gli appelli alla libertà e lo scandalo per le dittature sono parte integrante del “grande inganno”, si deve donare l’illusione di essere dalla parte giusta, sempre e comunque, al punto da giustificare con un postulato gli interventi contro i dissenzienti. La macchina del capitale non può che produrre consenso ai suoi imperativi mercificanti e sudditi passivamente fedeli al consumo.

Per occupare ogni spazio della coscienza critica il capitalismo riduce la cultura ad intrattenimento con il quale far passare messaggi politici e sociali con i quali il sistema si rafforza, in tal modo l’eremita di massa (definizione di Günther Anders) è sfruttato senza sosta, è lo sgabello che regge il sistema, lo acclama senza comprenderlo. Lo schiavo di massa è il prodotto finale del totalitarismo liberista: il “decervellamento” è il risultato più clamoroso del neoliberismo come denunciato da Goffredo Fofi:

 

“La cultura, anche quella che si vuole migliore, perfino elitaria, è ridotta a merce, a intrattenimento e a mero consumo, serve a distrarre invece che a stimolare la riflessione individuale e a destare il senso di responsabilità che ciascuno dovrebbe sentire; la sua dovizia e la sua onnipresenza sono, avrebbe detto Jarry, l’arma centrale nell’azione di decervellamento dei singoli e delle masse[1]”.

 

 

 Accademiche menzogne

Non vi sono zone franche, il capitalismo deve penetrare ovunque, le Università da istituzioni che sin dal Medioevo sono stati “luoghi del sapere critico”, dove vigeva la dialettica, sono i docili strumenti con cui il sistema si riproduce. Si formano le future classi dirigenti nell’ottica del fanatismo del solo economicismo. Gli eventi che denunciano le contraddizioni del sistema con le sue tragedie umane e ambientali sono immediatamente convertiti in possibile business o in spettacolo. L’operazione di conversione delle contraddizioni in oro sonante è il mezzo più efficace per neutralizzare ogni spazio di pubblico uso della ragion critica:

 

“La cultura universitaria si morde la coda dentro a un suo limbo isolato, tra norme astruse e carriere esecrabili, e tutto fa fuorché emancipare i suoi studenti, anche se qualche professore riesce ancora a rispettarli e a proporre antidoti alla stupidità dilagante – favorita invece da pressoché tutta la cultura giornalistica, che ha finito, seguendo il modello offerto dalla televisione, per non depositare in nessuna coscienza la comprensione della gravità dei tempi e per fare invece di tutto, anche delle nostre paure, spettacolo e merce[2]”.

 

Il totalitarismo morbido del neoliberismo con la sua opera di omologazione e con la sua azione finalizzata ad eliminare ogni spazio dialettico ha un’immensa capacità di assimilazione. Le grandi conquiste libertarie e le libertà democratiche sono convertite in mercato. L’inclusione nel mercato è la fumisteria con cui si acceca la popolazione, poiché il mercato è pratica di antiumanesimo e sfruttamento non riconosciuto. Si include per addestrare tutti al catechismo liberista. Per impedire la vista della realtà si agisce omologando: le differenze sono solo quantitative. L’ultimo dei proletari e il primo dei capitalisti hanno gli stessi obiettivi e lo stesso modello di vita; si determina in un sistema gerarchizzato un piano liscio in cui l’apice, apparentemente, è simile alla base. Il sistema capitalistico non è “fuori”, esso abita nelle sue vittime, le quali possono diventare i carnefici più fedeli del capitalismo di guerra e sangue. Il sistema si rafforza con tale modalità, per cui lo sfruttamento, il vuoto ideologico e le tragedie del “benessere” non sono occasione per pensare la verità qualitativa del sistema, ma rientrano nella normalità del quotidiano:

 

“Il ventennio fascista, al paragone, aveva una vitalità diversa e aggressiva, una chiara proposta negativa, antidemocratica, mentre il trentennio recente si è affermato per via democratica presentandosi come sommamente razionale (ché il nostro è l’unico mondo possibile, anzi il migliore) ed è stato benedetto dal popolo – che rispetto a quello del ventennio non aveva identità e storia diverse da quelle del potere, non era piú composto da contadini, operai, artigiani, impiegati, in gran parte analfabeti e i cui bisogni erano inconciliabili con quelli del potere. La divisione in classi era un tempo netta, e la distanza del proletariato dalla borghesia e dalla nuova emergente piccola-borghesia era lampante. Nel trentennio, si è subita una mutazione radicale nel sistema economico-finanziario, nelle sue conseguenze sui comportamenti di massa, e la si è accettata essendo di fatto consenzienti: perché si è trattato di anni di vacche grasse per tutti o quasi tutti… La “nuova economia”, prima di mostrare il suo vero volto, ha retto e arricchito tutti[3]”.

 

Speranza e violenza

Malgrado la violenza appaia legalizzata e il consumismo disperato sia penetrato con la sua grammatica emotiva nelle coscienze, la natura umana resiste, non a caso lo stesso Goffredo Fofi in un’intervista affermò di intravedere movimenti dialettici. Vi sono giovani che hanno ripreso il percorso che conduce alla disobbedienza propositiva, non vogliono essere fruitori passivi del contesto storico, ma vogliono capirlo per elaborare processi di emancipazione. La verità qualitativa sul sistema può essere oscurata e posta in ombra, ma ciascuno la vive nella propria condizione materiale, pertanto riemerge nel sangue e nella carne pronta a diventare concetto:

 

“Oggi cosa fanno e chi sono i giovani?

«La storia è sempre andata avanti in un rapporto tra minoranze “virtuose”, innovatrici, e maggioranze più conformiste, sostanzialmente più egoiste. Ci sono però momenti in cui le minoranze influiscono in modo determinante sulla Storia, e sui comportamenti e le idee delle maggioranze. C’è una novità in questi ultimi anni: è rappresentata dai gruppi e gruppetti di ragazzi che sentono il dovere di occuparsi di chi soffre, degli immigrati, dei “subalterni”… Sentono il dovere di occuparsi della natura, dei rischi che comporta la violenza nei suoi confronti esercitata dal capitalismo – e dal consumismo che ci rende tutti suoi complici».

Hanno un peso sociale queste minoranze attive?

 «È difficile che queste minoranze alzino la testa in un anno pessimo come il 2020, di fronte a una minore tensione tra ceti sociali unificati da un sistema culturale pesantemente conformista se non reazionario. Però diversi segnali di un risveglio ci sono e il futuro, con le sue storture crescenti, spingerà le nuove leve a cercare nuovi modi di agire per contrastare il disastro»[4]”.

 

Per poter rompere la cappa di conformismo conservatore ogni tempo deve trovare il modo non solo per capire il proprio tempo e renderlo razionale, ma specialmente bisogna trovare i mezzi adeguati al proprio tempo per poter ricostruire una opposizione popolare e diffusa, e questa, è la sfida più grande del tempo presente. Per porre un limite al deserto della dimenticanza e riconquistare spazi di umanità è necessario ricordare i testimoni dialettici che non hanno atteso la rivoluzione, ma la loro esistenza è stata rivoluzionaria ogni giorno e con essa hanno lavorato per il futuro di ogni creatura umana. Sta a noi contrapporci contro gli imbonitori della cultura e riprendere a camminare per il difficile sentiero del comunismo libertario:

 

“Ma chi sono infine gli intellettuali? Oggi è scomparsa la generazione che attraversò fascismo guerra resistenza e ricostruzione e gli anni della democrazia e dei conflitti sociali che potevano preludere a una società migliore e che hanno fallito in parte per la povertà del nuovo e antagonista e in parte ben maggiore per la forza degli avversari, nel mondo e non solo in Italia e perfino là dove pareva si fosse vinto (il Vietnam, Cuba, l’Algeria e l’Africa post-coloniale). Sono scomparse quelle menti che, oltre a creare opere di grande valore e di piena sostanza, si preoccupavano del bene comune e dello stato del paese e della sua civiltà – e tanti sarebbero i nomi che si potrebbero fare, di una stagione unica nella nostra storia per ricchezza di capolavori e per energia e lucidità critica. Gli intellettuali di oggi figurano essere quasi esclusivamente giornalisti e professori, divi dei media imbonitori di se stessi, membri di un’istituzione come l’università che è certamente più mafiosa della mafia, membri delle corporazioni professionali dominanti, medicina, legge, architettura; sono solleciti passacarte, critici che non criticano, uffici stampa e propaganda, ciarlatani e narcisi immensamente innamorati di sé; sono «denunciatori» e ricattatori professionali – ciascuno per sé e per il proprio clan in un attento gioco di alleanze variabili e opportune[5]”.

 

Per combattere riprendiamoci spazi di silenzio nel quale elaborare e pensare l’alternativa senza narcisismi. Ribaltiamo le logiche, come ci ha insegnato, disertiamo il superfluo per tornare ad ascoltare la voce di tutti silenziata dal sistema mediatico:

 

“La televisione (oggi il digitale?): la distruzione della mente attraverso la comunicazione di massa usata a fine di dominio e non di emancipazione, non per la conoscenza di sé e del mondo ma per la loro dimenticanza, nell’acquiescenza alla visione che ne dà chi dirige il gioco, chi guida la danza. Non solo, dunque, la tv[6]”.

 

Torniamo ad essere i pensanti dell’agire.

Salvatore Bravo

 

 

[1] Goffredo Fofi, Elogio della disobbedienza civile, nottetempo, 2015, p. 6.

[2] Ibidem, pp. 7, 8.

[3] Ibidem, 9, 10.

[4] Goffredo Fofi: si stanno risvegliando i giovani. Intervista a Goffredo Fofi, a cura di Mirella Serri, in “La Stampa”, del 21 dicembre 2020.

[5] Goffredo Fofi, Il cinema del no: visioni anarchiche della vita e della società, Elèuthera, pp. 10-11.

[6] Ibidem, p. 14.





Associazione culturale Petite Plaisance

La contraddizione
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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Lucio Russo, fisico, matematico, storico della scienza, ci ha lasciati il 12 luglio 2025, a Bologna (era nato a Venezia il 22 novembre 1944). La sua profonda sensibilità culturale, la sua straordinaria vastità di conoscenze, la poliedricità dei suoi interessi scientifici, l’umanesimo che ha contraddistinto sempre il suo alto magistero universitario, sono e rimarranno un dono prezioso per tutta la società, in particolare poi per «Petite Plaisance», con cui ha collaborato per molti anni, dai suoi scritti pubblicati su «Koinè», al rapporto solidale con la rivista da lui diretta «Punti critici», i cui vari numeri volle fossero messi in rete attraverso il nostro blog: «Invito alla lettura». Sapremo conservare la memoria di un uomo che ha vissuto intensamente la “passione durevole” della ricerca, sapendone trasmettere i contenuti innovativi soprattutto alle nuove generazioni.



















Alcuni dei libri di Lucio Russso














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Salvatore Bravo – Rodolfo Mondolfo tra K. Marx e G.B. Vico.

Rodolfo Mondolfo, Sulle orme di Marx.

ISBN 978-88-7588-359-1, 2022, pp. 416, formato 170×240 mm., Euro 35 .


Salvatore A. Bravo

Rodolfo Mondolfo tra K. Marx e G.B. Vico

L’Umanesimo marxiano ha i suoi eroi. Rodolfo Mondolfo1 nella sua lunga vita ha lottato contro il totalitarismo fascista, ma la democrazia non gli ha donato giustizia. Pensatore fuori da schemi e da correnti politiche ha vissuto la sua lunga parabola culturale all’ombra della società dello spettacolo, e ciò gli ha consentito di sviluppare una visione di Marx e del comunismo divergente e originale. Sin da subito espresse dubbi sulla dittatura del proletariato in Unione Sovietica, constatando che tale “configurazione politica” avrebbe eroso il comunismo dall’interno. Fu critico verso i crollisti e i deterministi, in quanto riducevano l’essere umano e la storia e semplice effetto delle leggi economiche, in tal modo il semplicismo fatalistico si sostituiva alla storia degli uomini e delle donne.

L’Umanesimo marxiano è la via della complessità e della correlazione nella quale l’essere umano non è il semplice prodotto di forze superiori, ma è coscienza che risponde e si forma nella realtà materiale. Si tratta di una relazione olistica nella quale il soggetto pensa il proprio tempo e la propria condizione al fine di porre in atto ciò che è in potenza. Marx dunque fu hegeliano e vichiano, in quanto la storia è il “mondo degli esseri umani”, e in essa gli esseri umani, pur condizionati, pensano la propria condizione per poterla trasformare. Decodificare Marx è un’operazione ermeneutica che ci deve condurre sulle sue “orme” attraverso una difficile ricostruzione per approssimazione del “cantiere Marx”. Prassi e materialismo storico sono dunque i nuclei irrinunciabili, nella lettura di Rodolfo Mondolfo per accostarsi a Marx e smentire coloro che ne fecero “un positivista”.

La storia è processo vitale e concettuale, in cui l’umanità si modifica qualitativamente. La storia è il luogo e il tempo in cui la speranza del ribaltamento dialettico è progettualità politica, in quanto la trasformazione sociale non è mai atto e gesto solo individuale ma corale e di classe. La storia è nell’interiorità dell’essere umano, è pensata, è concettualizzata, pertanto senza tali processi nulla è possibile, non vi è storia, ma solo attesa alienante. La storia è la dimensione dell’uomo nella quale l’essere umano conosce se stesso e pone significati. La prassi è questo processo di liberazione dai condizionamenti che sussistono senza determinismo. La fatica del concetto è l’apertura all’orizzonte del “possibile”. La liberà prende forma gradualmente attraverso il superamento del dato immediato:

La mentalità rivoluzionaria pertanto, secondo Marx, è la sola capace di affermare e possedere il vero concetto storico (che è poi per Marx l’unico vero concetto della realtà) in quanto contro ogni Selbstentfremdung dell’umano torna alla raffermazione dell’interiorità di esso; e può così sostituire alla separazione degli elementi la concezione della loro unità, alla interruzione dei momenti successivi la visione della loro continuità2”.

L’interpretazione di Marx coglie un aspetto, spesso poco noto e poco studiato nella ricostruzione genetica del pensiero di Marx, ovvero la “presenza risemantizzata” di G. B. Vico nella concezione della storia e della prassi nel pensatore di Treviri.

Marx idealista, dunque, poiché la prassi è categoria della filosofia idealista. La prassi in Vico è la storia posta dagli esseri umani, non è “vuoto ciarlare” o “attivismo dell’insensato”, in quanto è la traduzione del vero nella realtà e tale operazione spetta unicamente agli esseri umani. Nulla accade senza l’intervento consapevole e fattuale di essi, anzi è il “fare concettualizzato” che determina il progresso. Marx vichiano, dunque, malgrado i cedimenti al positivismo e all’economicismo. Rodolfo Mondolfo individua nella prassi il filo rosso senza il quale Marx diviene filosofo non compreso nella sua struttura portante. Marx è “il filosofo della libertà” mediante la prassi:

Marx riprende il principio di Vico: il vero si converte col fatto; la realtà è nella praxis3”.

 

 

Prassi e storia

Ancor più chiaramente Rodolfo Mondolfo definisce il concetto di prassi, esso è un processo interiore che si esplica nella storia. I bisogni e le condizioni storiche devono attraversare un lungo viaggio interiore per diventare concetto. L’immediatezza è l’astratto, mentre il concreto è la coscienza che risemantizza i dati, li configura in concetti per porli nella storia. In tal modo l’individualità si eleva dal particolare all’universale e dall’ideologia alla filosofia. Tale viaggio è la libertà degli esseri umani. Interiorità ed esteriorità sono una unità inscindibile, ogni divisione è artificiale ed astratta; la storia è processo interale:

La praxis è sviluppo, è storia che nasce dall’impulso perenne del bisogno; e le condizioni che stimolano il bisogno, siano date dalla natura o siano costituite dai risultati, della attività umana precedente, non sono esteriori all’umanità, in quanto o debbono entrare nella vita del suo spirito per rimuoverla e darle l’impulso alla sua attività, o di questa vita ed attività espressione e prodotto: un prodotto che è anche produttore, creatura e creatore insieme nel processo indefinito della unwälzende Praxis4”.

Vico “insegna” a Marx l’eccellenza dell’essere umano. Gli animali non umani si sviluppano mediante l’evoluzione degli organi, come Darwin ha dimostrato, ma la specificità umana è il concetto e la conoscenza della verità che si svelano e rilevano nella storia. La verità consente il discernimento, di conoscersi e progettare il futuro a misura di essere umano. L’esperienza storica è resa viva nel pensiero e da essa si astrae l’eterno, ovvero la verità, in un lungo processo che conosce contraddizioni, lotte e avanzamenti:

In questa applicazione, pertanto, come della stessa teoria naturalistica, dalla quale ora Marx viene a prende le mosse, due caratteri appaiono essenziali: la concezione economica del processo di sviluppo, inteso nella sua rispondenza ai bisogni vitali; e la interpretazione attivistica di esso, come risultante della continuità della prassi. Ma se il primo carattere nella storia umana non appare con maggior rilievo che in quella delle specie di animali, il secondo al contrario si accentua per la consapevolezza, che Marx trae da G.B. Vico, che noi possiamo aver scienza solo di ciò che facciamo, e che ciò vale precisamente per la storia, in quanto essa è opera nostra5”.

La storia è l’unica scienza concreta, perché è dell’uomo, ne è la sostanza dinamica che non lo imprigiona in strutture inviolabili o in gabbie d’acciaio che diventano il letale sepolcro dell’essere umano, ma la storia è esperienza di libertà, è esodo dalle oppressioni e dal fatalismo in tutte le sue formule evidenti e criptiche:

E la scienza dell’uomo parimenti può essere concreta, cioè storica, quando concentri, sì, la sua attenzione soprattutto sulla storia degli organi produttivi, ma non dimentichi, per coglierla il suo farsi, e, così, veramente intenderla e conoscerla, che, secondo quanto insegnava G. B. Vico, siamo noi, noi uomini a fare tutta la storia della società umana6”.

Libertà e prassi

La libertà marxiana è nei produttori associati che gestiscono dal basso le attività economiche e sociali. La libertà solidale comunista non è solo condizione materiale, ma è prima di tutto atto interiore e della coscienza nella storia materiale senza il quale nulla è possibile. La coscienza di classe è consapevolezza, è l’in sé per sé realizzato, e dunque la coscienza di classe è agire che ringiovanisce la storia, in quanto le dona senso e finalità oggettiva. La speranza non è nelle leggi della storia, ma nell’uomo che pensa, lotta e realizza il progetto comunista. In questo processo i servi diventano soggetti della storia e compiono la Rivoluzione, la quale se non è, in primis condizione interiore (concetto) ricade su se stessa e riapre le porte alla reazione conservatrice:

Sicché la coscienza della condizione presente del proletariato, ossia la sua coscienza di classe, implica questa concezione di una società di liberi produttori, organizzata non per il profitto individuale, ma per la produzione sociale in vista dei bisogni sociali: coscienza della realtà attuale ed aspirazione ad un diverso ideale si implicano a vicenda; e per ciò la coscienza di classe, viene ad unificarsi con l’azione7”.

Rodolfo Mondolfo compie dunque una operazione di critica oggettiva, poiché compara il comunismo sovietico con il pensiero marxiano, dopo aver individuato il nucleo vivente e sostanziale del pensiero di Marx: la prassi. Da tale indagine filosofica si deduce in modo manifesto che l’esperienza sovietica è altro rispetto alle autentiche finalità marxiane. La dittatura del proletariato è capitalismo di Stato che ha reso i proletari sudditi e dunque sottoproletari oggetto del dominio dell’oligarchia rossa al potere. Il comunismo, in quanto filosofia della prassi, è forza emancipatrice dalle catene che gravano con le loro miserie sugli ultimi. Il comunismo reale non ha corrispondenza col pensiero marxiano:

Oggi invece nel concetto di dittatura del proletariato (che del resto lo stesso Manifesto dei comunisti affermava) sembra talora quasi volersi esprimere piuttosto un nuovo dominio di classe, che una abolizione delle classi stesse; e c’è chi l’interpreta nel senso che si voglia la riduzione della classe oggi a una specie di Lumpenproletariat, condannato all’abiezione e alla servitù peggiore8”.

Rileggere Rodolfo Mondolfo nel nostro tempo segnato dal fatalismo tecnocratico è esercizio paideutico di libertà. In “Lui” ricerca, libertà e testimonianza biografica sono coincidenti e, probabilmente, nel tempo della “servitù volontaria e della disperazione”, la sua libertà non gli è stata perdonata. Il dominio agisce per censure mediante forme di ostracismo e rimozioni che dobbiamo imparare ad attraversare per ritrovarci nel concetto con filosofi e autori trasgressivi rispetto all’ordine vigente. Ritrovarsi per riprendere con il dialogo il sentiero della libertà e dell’esodo, oggi poco battuto, ma di cui si sente il vuoto depressivo e acefalo e che rischia di essere l’Apocalisse incompresa del nostro tormentatissimo presente, è urgenza etica non più procrastinabile. Riappropriarsi della storia e rientrare in essa significa effettuare l’esodo da forme di pessimismo e di fatalismo che nel nostro tempo, come allora, sono gli strumenti più efficaci della reazione conservatrice:

Un programma di azione storica di un partito rivoluzionario deve dunque, se vuol tradursi nella realtà concreta, superare l’oscillazione incoerente fra volontarismo e determinismo, e poggiare sopra una concezione critico-pratica della storia9”.

Il proletariato necessita della prassi marxiana per emanciparsi dalla sussunzione formale e materiale e di questo Rodolfo Mondolfo fu assertore in tutta la sua produzione culturale e politica. Il materialismo storico10 afferma che l’essere umano è il fattore della storia ed insegna che ogni scissione è solo astrazione. L’unità olistica e dinamica è la prassi sempre mediata dall’interiorità del soggetto, pertanto Rivoluzione, prassi, umanesimo e materialismo sono il corpo materiale che si concretizza nella storia. La libertà necessita del faticoso lavoro dello spirito nella coscienza di classe. Lo spirito è la storia divenuta concetto nell’interiorità singolare e di classe. Ogni salto non può che tradursi in pericoloso fallimento, pertanto è necessaria una profonda azione paideutica e politica per dare futuro alla rivoluzione.

 

Note

1 Rodolfo Mondolfo (Senigallia, 20 agosto 1877 – Buenos Aires, 16 luglio 1976) è stato un filosofo italiano. Fu esule durante il fascismo perché ebreo. In Argentina visse l’esperienza tragica della dittatura militare. Si interessò della Grecia antica e dell’Umanesimo marxiano. Rilevanti sono gli studi su Engels nei quali mostra il nucleo filosofico di Engels, non più ritenuto dunque “secondo violino” rispetto a Marx.

2 Rodolfo Mondolfo, Spirito rivoluzionario e senso storico in Sulle orme di Marx, Petite Plaisance Pistoia, 2022 pag. 151.

3 Ibidem, pag. 151.

4 Ibidem.

5 Ibidem, Feuerbach e Marx pag. 340.

6 Ibidem, pag. 341.

7 Ibidem, pag. 343.

8 Ibidem, Il problema sociale contemporaneo, pag. 92.

9 Ibidem, pag. 85.

10 Ibidem, Il Materialismo storico, pag. 102.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Mauro Armanino (Niger) – La guerra di cui non si parla. Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

Mauro Armanino

La guerra di cui non si parla.
Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento
nella grammatica della vita quotidiana,
sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

Miete più vittime delle altre registrate nel mondo. L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti tali erano 61. Quest’unica guerra uccide più che tutte i conflitti messe assieme. Si tratta della povertà o, se vogliamo, della miseria che porta con sè, troppo spesso nel silenzio, milioni di persone. Un pò come le cosiddette ‘morti bianche’ cioè quelle sul lavoro. Un’altra vera e propria battaglia quotidiana che vede come protagonista chi non è certo di tornare a casa dopo esserne uscito per lavoro, il mattino. Si calcola che l’anno scorso le ‘morti bianche’ hanno raggiunto i tre milioni.

La povertà è peggio perchè per gli economisti si perde nelle statistiche mentre per la gente è una sparizione continua che passa inosservata. Ad essere cancellati sono i poveri. Le tracce della miseria durano a lungo perchè coinvolgono i bambini, le donne e i giovani. La miseria è il frutto più immediato di guerre, movimenti forzati di popolazione, avversità climatiche ma soprattutto di classi politiche ammalate di potere e spogliamento del popolo nel più breve tempo possibile. Cause esterne, interne e purtroppo ‘eterne’ si perpetuano perchè abbiamo smarrito la vergogna.

Sembra davvero scomparsa, la vergogna, dal lessico e soprattutto dal volto, le parole e le azioni. Si tratta di un sentimento, innato e allo stesso tempo culturale, che manifesta l’inadeguatezza tra ciò che è giusto e il nostro agiree sentire. La crescita, tutta occidentale, dell’individualismo e del fin troppo citato relativismo, non possono che produrre l’esilio della vergogna. Gli atti, le scelte, le parole e financo l’abbigliamento non tengono più in conto lo sguardo dell’altro. Il ‘principo responsabilità’ è stato spazzato via dall’utilitarismo capitalista che tutto mercifica e traduce, senza vergogna, in denaro.

Investire somme abissali, destinate (invece che ai servizi sociali) ad armi, ordigni letali studiati e programmati allo scopo di uccidere il ‘nemico’ fa ormai solo vergognare i pochi irriducibili ‘idealisti’. Nel frattempo nel Sahel imperversa la vulnerabilità alimentare per milioni di persone, l’indigenza al quotidiano, la carenza di strutture educative e sanitarie. Mancano dispositivi che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo lavorativo. Irréductibles. La classe politica non si vergogna di nulla e così gli intellettuali attirati dalla retorica che sembra promettere loro un futuro. Persino i leader religiosi, senza vergogna, puntellano il sistema fatiscente.

Il Fondo Monetario Internazionale che non è un ente di beneficenza, ha rilasciato un documento che, prendendo in considerazione il Prodotto Interno Lordo dei Paesi, stila la lista dei 10 Paesi col reddito pro capite più basso in Africa. Con tutti i limiti che questa operazione sappiamo comporta, rimane utile affacciarsi su questa strana e drammatica classifica che nasconde ciò che mostra ed evidenzia ciò che nasconde. Ci sono numeri che offuscano le cause e facilitano l’azione di sminamento del sentimento di vergogna che dovrebbe toccare i politici per primi.

Senza sorpresa, l’Africa subsahariana domina la classifica. I conflitti cronici, la debolezza istituzionale e una élite politica sempre più spesso militarizzata, non sembra in grado di offrire alternative coerenti ed efficaci alla precarietà di vita dei popoli che dovrebbe servire. Nell’ordine della lista si trova il Sudan del Sud, lo Yemen, il Burundi, la Repubblica Centrafricana, il Malawi, il Madagascar, il Sudan, il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di trovarmi. Tutto ciò dovrebbe far vergognare chi profitta della miseria degli altri per arricchirsi o per illudere i poveri con vuote e false promesse di un domani migliore.

Finchè la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

Mauro Armanino, Niger, giugno 2025


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Il nemico peggiore si trova all’interno di ciascuna nazione. Questo mostro a cento teste si chiama imperialismo. La civiltà occidentale consuma i popoli che invade; stermina o annienta le stirpi che ostacolano la sua marcia di conquista. Una civiltà di cannibali che erige idoli mostruosi nei templi dedicati al Guadagno, il dio ch’essa adora.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Con le riflessioni di Tomaso Montanari e la scultura di Giovanni Pisano anche a Pistoia donne e uomini possono aprire gli occhi sulla “Strage degli innocenti” a Gaza, perpetrata dal nuovo Erode genocida isreaeliano Netanyahu.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Lucia Palpacelli – La prospettiva inedita e straordinariamente feconda del poderoso studio di Ernesto Crivellato: «La nascita del pensiero anatomico nella cultura greca. I poemi omerici. Gli scritti ippocratici».





M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Mauro Armanino – L’omertà dei “buoni” sulle reali motivazioni delle guerre nel mondo

Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso barabaramente ucciso a causa del suo impegno per smascherare la violenza della menzogna nel suo Paese.

Era ciò che più dispiaceva a Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso barabaramente ucciso a causa del suo impegno per smascherare la violenza della menzogna nel suo Paese. Temeva l’omertà dei buoni, il loro colpevole silenzio, più che le azioni dei malvagi. Difficile dargli torto, soprattuto dopo la pubblicazione del recente rapporto realizzato dall’Istituto di Ricerca sulla Pace di Oslo, in Norvegia. L’anno scorso, nel mondo, sono stati registrati 61 conflitti, divisi in 36 paesi. L’Africa resta il continente più toccato con 28 conflitti implicando almeno uno Stato, segue l’Asia, il Medio Oriente, l’Europa e le Americhe. Il numero dei morti è stato, sempre secondo il documento, di circa 129 mila vittime.



L’omertà appare come una forma di solidarietà tra consociati, volta alla copertura di condotte delittuose celando l’identità di chi ha commesso un reato o comunque tacendo circostanze utili per le indagini. In altri termini possiamo parlare di riserbo assoluto per complicità spesso per timore di vendetta. Norbert Zongo non aveva torto a temere l’omertà dei buoni consociati a proteggere soprattutto la propria innoqua e banale tranquillità di vita. Essa non va confusa con chi è preso come ostaggio dai gruppi armati che operano nel Sahel, designato come il teatro della violenza di gruppi ‘islamisti’ militanti più letale in Africa per il quarto anno consecutivo. Si parla di 10 400 morti.



Resta da evidenziare, rispetto all’aumento dei conflitti armati nel mondo, la lista aggiornata dei Paesi produttori di armi che, non casualmente sono membri del Consiglio di (In) Sicurezza delle Nazioni Unite per grazia divina. Stati Uniti (43 per cento della produzione mondiale), Francia, Russia, Cina, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Corea del Sud e Israele. In questo ambito l’omertà diventa assoluta e coinvolge i partiti politici, i sindacati, la società civile, i credenti, i cittadini qualunque e le autorità religiose. Si coprono condotte delittuose come l’antietico e vergognoso aumento delle spese per gli armamenti che coinvolge Paesi e continenti senza differenze politiche, ideologiche o religiose.


La produzione di armi nel mondo
è sotto gli occhi di tutti coloro
che vogliano “vedere”, “udire”, “conoscere”:
basta leggere i dati su Wikipedia,
la fonte da cui sono tratte le seguenti tabelle


L’amico Ouoba di Makalondi, a un centinaio di kilometri da Niamey, non ha potuto raggiungere la capitale perchè gli autisti temono attacchi dei gruppi armati. Qualche giorno fa un veicolo è stato bruciato e la gente viaggia ormai solo con la scorta armata. Droni, aerei, blindati, nuove reclute formate alla guerra e armi per combattere e ‘neutralizzare’ il nemico sembra l’unica narrazione del momento nel Paese. Lo ribadisce peraltro anche il testo del nuovo inno della Confederazione degli Stati del Sahel…’Soldati lo siamo tutti… Intrepidi e sovrani… per la parola e per le armi… col sangue e il sudore tu scriverai la storia’. Come comprovato dall’esperienza proprio questa è una storia che si ripete da troppo tempo . Come abbandonare definitivamente il mito della violeza sacrificale.

Spezzare la copertura di azioni delittuose, ossia l’omertà dei buoni non è impossibile. Un esempio è il discorso d’addio del capo redattore del New York Times, John Swinton. Afferma che i gionalisti non sono altro che… ‘Marionnette e vassalli di magnati che si nascondono dietro la scena. Tirano le fila e noi danziamo… Il lavoro del giornalista consiste a distruggere la verità, a mentire senza limiti, a pervertire i fatti e gettarsi ai piedi di Mammona: siamo dei prostituti intellettuali’. L’omertà è spezzata.

Intanto l’amico Ouoba scrive in un sms che farà di tutto per arrivare domani a Niamey.

Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Arianna Fermani – Sinfonia danzante del kairos «all’apparir del vero». Declinazioni filosofiche e rifrazioni concettuali su pieghe e intrecci di kairos e apparenza.



Arianna Fermani
Sinfonia danzante del καιρός «all’apparir del vero».
Declinazioni filosofiche e rifrazioni concettuali
su pieghe e intrecci di καιρός e apparenza
.
ISBN 978-88-7588-433-8, 2025, pp. 72, Euro 10
In copertina:Joan Miró i Ferrà,Dancer, olio su tela, 1925.

In copertina

In copertina:  Joan Miró i Ferrà, Dancer, olio su tela, 1925.

Il dipinto è stato ispirato da un ballerino che Miró ha visto esibirsi a Barcellona in un bar chiamato Eden Concert. La sfera lunare in alto ne raffigura la testa, da cui si diparte la linea del corpo, che procede verso il basso animandosi nel cuore rosso, da cui guizza in movimento danzante una gamba curva verso l’alto, mentre l’altra è tesa verso il basso; i piedi sono raffigurati da note stilizzate, metafora iconica della musica che si diffonde intorno all’altra linea sul lato destro, attraverso i cerchi punteggiati di giallo che dal basso risalgono verso l’alto fino a rendere possibile la metamorfosi della linea, appena vibrante, in una danzante flessuosa e armonica curva sinusoidale.


Ma tu chi sei?

Ma tu, chi sei?
Σὺ δὲ τίς;
Sono il Momento opportuno, signore di ogni cosa.
Καιρὸς, πανδαμάτωρ.
[…]
Perché i capelli sono solo davanti agli occhi?
Ἡ δὲ κόμη τί κατ᾽ὄψιν;
Perché chi viene incontro l’afferri.
Ὑπαντιάσαντι λαβέσθαι.
Non hai capelli dietro, perché?
Τἀξόπιθεν πρὸς τί φαλακρὰ πέλει;
Perché, una volta che io gli sia sfrecciato accanto sugli alati piedi, nessuno, per quanto lo desideri, mi afferra da dietro!
Τὸν γὰρ ἅπαξ πτηνοῖσι παραθρέξαντά με ποσσὶν  οὔτις ἔθ᾽ ἱμείρων δράξεται ἐξόπιθεν».
Antologia Palatina, 16, 275.

Indice

Preludio

«Sono il Momento opportuno, signore di ogni cosa».

Riflessioni iniziali su pieghe e intrecci di καιρός e apparenza

1. Brevi postille su due nozioni (apparentemente) “leggerissime”

2. Perché il καιρός è buono e perché saperlo vedere e attuare fa bene (anche alla salute)

3. Dall’attimo fuggente al luogo giusto: il καιρός che si vede

4. Quando le cose sono come sembrano, ovvero quando la verità è quella che appare: il καιρός come accettazione della sfida del visibile

Sinfonia danzante del καιρός «all’apparir del vero»:
la sfida del visibile, la cattura del bene.

Declinazioni filosofiche e rifrazioni concettuali

1. Riflessioni introduttive

2. Pieghe linguistiche e concettuali del καιρός

3. Il καιρός come “luogo giusto”

4. Il καιρός come “tempo giusto”

4.1. Il καιρός, il suo mancato coglimento

e la responsabilità dell’apparire

5. Riflessioni conclusive

5.1. Il καιρός è nel tempo e fuori dal tempo

5.2. Dinamiche di cattura e di produzioni del καιρός, tra rapidità e lentezza

5.3. Spazi e tempi del καιρός: tra bene, giusta misura e felicità

Indice dei nomi


L’autrice

Arianna Fermani insegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: Aristotele, Il giudizio etico. Imparare a distinguere il bene e il male per vivere felici, a cura di A. Fermani, Morcelliana, Brescia 2023; Virtù, Unicopli, Milano 2021; Aristotele e l’infinità del male. Pa­timenti, vizi e debolezze degli esseri umani, Morcelliana 2019; Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele, prefazione di S. Natoli, Eum 2019; L’etica di Aristotele. Il mondo della vita umana, Morcelliana 2012; By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach, E. Cattanei, A. Fermani, M. Migliori (eds.), Academia Verlag 2016. Ha tradotto integralmente le Etiche di Aristotele (Aristotele, Le tre Etiche, Bompiani 2008, Giunti 2018, più volte riedito), Topici e Confutazioni Sofistiche (in Organon, Bompiani 2016). Insieme a Maurizio Migliori ha curato il manuale Filosofia antica. Una prospettiva multifocale, Morcelliana Brescia 2020. Con “petite plaisance” ha già pubblicato, tra gli altri, Equità e giustizia dal volto umano. Aristotele tra νόμος e φρόνησις; Economia e felicità. Del buon uso della ricchezza in Aristotele (2023); Concedetemi di diventare bello dentro. Viaggio alato nel Fedro di Platone; Desiderio. Navigazioni filosofiche tra le parole greche di desiderio (2024)

 Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni


Alcuni dei libri di Arianna Fermani


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Lucia Palpacelli – Un libro potente («Disvelare l’inosservabile», di Enrico Crivellato) che riesce a spiegare un’intuizione, quella dell’invisibile, intuizione altrettanto potente e fondamentale per spiegare il nostro mondo e il suo continuo divenire.






M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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