Andrzej Kobyliński – La presenza della riflessione filosofica nella società italiana di oggi

Andrzej Kobyliński

 

Nella patria di Dante la problematica filosofica è indubbiamente più presente, nella cultura e nella vita sociale, che nelle altre società europee. Questo fenomeno si inserisce nella lunga e ricca tradizione umanistica del Paese, che risale ad autori come Giambattista Vico, Francesco De Sanctis, Antonio Gramsci, Luigi Sturzo, Giovanni Gentile e Benedetto Croce. Una delle conseguenze di questa eredità culturale ed intellettuale così ricca consiste nella presenza della riflessione filosofica nelle università, nelle scuole, sulla stampa, nella cultura di massa e nella vita pubblica. [Leggi tutto]

 

Andrzej Kobyliński,
La presenza della riflessione filosofica nella società italiana di oggi

 


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Giorgo Penzo – Ingmar Bergman, Il Settimo Sigillo, Svezia, 1957

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Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman è uno dei capolavori del cinema mondiale, e non solo degli anni Cinquanta del Novecento. Il film è così denso e totalizzante che rappresenta una vera e propria sfida per lo spettatore.

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La trama è consona ad una cronaca storica medioevale da cui Bergman trae ispirazione per concentrare in un film tutti i temi che gli sono cari. Il cavaliere Block, che ritorna dalle Crociate con il suo scudiero, deve affrontare un ulteriore pellegrinaggio per rientrare nella propria dimora. Durante tale pellegrinaggio incontra persone e modi di essere che mettono a dura prova la propria fede. È un periodo di carestia, fame, peste. Fin dall’inizio il principale interlocutore del cavaliere è lei, la Morte, sfidata a una partita a scacchi, il cui premio non è la vita, ma solo il ritardare l’evento che è inevitabile.

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Mentre il cavaliere cerca risposte alla propria crisi (chi è Dio, cosa vuole e perché agisce in un certo modo), la Morte non dà risposte, ma agisce in base ad un Fato implacabile, come se tutto fosse predeterminato.

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Sul teatro di Bergman appaiono molti personaggi, e ciascuno dice la sua su Dio, sulla vita e sulla sua fine. L’elemento caratterizzante questo film è la potenza rappresentativa che ricorda certe immagini del potente cinema espressionista tedesco degli anni Venti. Ma qui in più c’è un linguaggio forte ed incisivo, che sottolinea le immagini e le rende ancora più intense. [Leggi tutto]

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Giorgo Penzo,
Ingmar Bergman, Il Settimo Sigillo, Svezia, 1957

 


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Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Quando un popolo ama il bello l’egoismo si scioglie. Se così non è, sempre più aridi e più desolati divengono gli uomini, cresce la sottomissione e con essa l’arroganza, l’opulenza cresce insieme alla fame e all’ansia per il cibo. Così il mondo intorno a noi diviene un deserto e il passato si sfigura in un cattivo auspicio per un futuro senza speranza.

Holderlin

«Che tutto cambi radicalmente!
Dalle radici dell'umanità germogli il nuovo mondo!».
 Iperione

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«Quando un popolo ama il bello […] lì soffia uno spirito universale come aura vitale, lì si apre la mente timida, l’egoismo si scioglie, pii e nobili sono tutti i cuori […]. Un tale popolo è patria per tutti gli uomini e volentieri vi soggiorna lo straniero. [Se così non è] spariscono le gioie migliori della vita e qualsiasi altro pianeta è migliore della Terra. Sempre più aridi, sempre più desolati divengono gli uomini che sono invece nati belli; cresce la sottomissione e con essa l’arroganza, l’ebbrezza aumenta insieme alle pene, l’opulenza cresce insieme alla fame e all’ansia per il cibo […]».

«Non dobbiamo consegnarci prigionieri al destino e ai nostri sensi, […] rinnegare la ragione e divenire animali […] strappando così il bel legame che ci unisce agli altri spiriti, rendendo un deserto il mondo ingtorno a noi […]».

«L’ideale di tutto ciò che esiste
Dobbiamo custodirlo sacro e puro.
L’istinto che abbiamo, di dare forma
All’informe secondo il divino che è in noi,
Di sottomettere la natura recalcitrante
Allo spirito che ci governa,
Non deve mai fermarsi a mezza strada.
Ma ancora più acuto è allora il dolore
Della lotta, ancora più grande il pericolo
Che il combattente saguinante e sconfortato
Abbandoni le armi divine,
Si pieghi alla ferrea necessità,
Rinneghi se stesso e diventi bestiale …
O anche che, inasprito dalla resistenza,
Combatta la natura non come dovrebbe,
Per donarle pace e unità,
Ma solo per piegare la ribelle.
Così uccidiamo il bisogno più umano,
Rinneghiamo quella disponibilità
Che ci univa agli altri spiriti.
Così il mondo intorno a noi diviene un deserto
E il passato si sfigura in un cattivo auspicio
Per un futuro senza speranza».

Friedrich Hölderlin, Iperione o l’eremita in Grecia, Bompiani, 2015, pp. 307, 457, 661, 669.

Friedrich Hölderlin (1770-1843)– Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste. Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine. Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è soltanto come un supervisore.

Friedrich Hölderlin (1770-1843) – L’uomo che pensa deve agire, deve dispiegarsi. Egli può molto, stupenda è la sua parola che strasforma il mondo. Un potente anelito, con radici profonde, lo spinge verso l’alto.

 

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Politéia – B. Spinoza ad Arezzo: dialogo con A. Pallassini – Il fine della politica e la libertà umana: «Nulla di più utile all’uomo che l’uomo stesso. Gli uomini che sono guidati dalla ragione non appetiscono nulla per sé che non desiderino per gli altri uomini, e perciò sono giusti, fedeli e onesti».

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Politéia

Educazione filosofica e formazione politicaPalestra delle idee e del pensiero

B. Spinoza ad Arezzo

Dialogo con A. Pallassini

Frammento papiraceo della Repubblica

Frammento papiraceo de La Repubblica


«Aveva per la ricerca della verità
 una passione così forte da rinunciare,
 in una certa misura,al mondo,
 per meglio attendere ad essa».


Pierre Bayle,
 Dizionario storico e critico: Spinoza,
 Boringhieri, Torino 1958, p. 13.

«Vi è in lui una profonda coerenza
 tra l’uomo reale e quel modello umano che, con grande equilibrio,
 egli ha tracciato nell’Etica come regola o precetto
 di una vita che obbedisce alla ragione.
 […] Se Spinoza invita a non desiderare smodatamente
 il danaro e le cariche, il lusso e gli onori,
 questi precetti etici egli li mette in pratica
 e non si limita a enunciarli in astratto.
 Se raccomanda la mitezza, la cordialità,
 una gioia tranquilla e serena nei rapporti con se stesso e con gli altri,
 in questo modo si comporta lui stesso».
R. Cantoni, Introduzione a B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico,
 ed. a cura di R. Cantoni e F. Fergnani, Utet, Torino, 2013.

 

22 Marzo 2016, ore 17,30

nei locali di

La Feltrinelli Point

Via G. Garibaldi, 107 Arezzo

 

DIALOGO SU SPINOZA CON Alessandro Pallassini

Il fine della politica
e la libertà umana

     Presenta: Fabio Mori

Alessandro Pallassini, laureato a Siena con Alessandro Mazzone e André Tosel con una tesi sulla fondazione della libertà politica nella metafisica di Spinoza. I suoi interessi spinoziani vertono principalmente sul concetto di Fluctuatio Animi (Oscillazione dello Spirito Umano) come dispositivo che media la costituzione\dissoluzione del Corpus collectivum hominum et rerum (corpo collettivo sociale degli esseri umani e della natura). È docente di filosofia e storia nei licei. È stato Dottorando presso il Dipartimento di Scienze della formazione – Università di Firenze. Ha compiuto i suoi studi alla London School of English di Londra e all'Université de Paris VII “JUSSIEU”. Studi con André Tosel all'Université de Paris I “LA SORBONNE”. Pubblicazioni: Finitezza e Sostanza. Sulla fondazione della libertà politica nell'ontologia di Spinoza, Petite Plaisance, 2016).

 


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L'indice di un'edizione storica dell'Etica, che mostra la divisione dell'opera in cinque parti: Dio, la mente, gli affetti, la schiavitù dell'uomo rispetto alle passioni e la sua libertà dovuta all'intelletto.

«Nulla, dunque, di più utile all’uomo che l’uomo stesso: nulla, dico, di più eccellente per conservare il proprio essere gli uomini possono desiderare se non che tutti si accordino in tutto in modo che le menti e i corpi di tutti formino quasi una sola mente ed un solo corpo, e tutti si sforzino insieme, per quanto possono, di conservare il proprio essere, e tutti cerchino insieme per sé l’utile comune di tutti; donde segue che gli uomini che sono guidati dalla ragione, cioè gli uomini che cercano il proprio utile sotto la guida della ragione non appetiscono nulla per sé che non desiderino per gli altri uomini, e perciò sono giusti, fedeli e onesti».

Baruch Spinoza, Etica dimostrata con metodo geometrico (o Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico; nell'originale latino: Ethica more geometrico demonstrata o Ethica ordine geometrico demonstrata; nota anche semplicemente come Etica o Ethica), pubblicata postuma nel 1677, lo stesso anno della morte dell'autore.

 

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Locandina

Studioso


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Friedrich Hölderlin (1770-1843)– Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste. Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine. Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è soltanto come un supervisore.

Holderlin

«Chi si accontenta
del profumo della mia pianta
non la conosce,
e non la conosce nemmeno
chi la raccoglie soltanto per istruirsi».
 Iperione

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«Capite ora perché gli ateniesi in particolare dovevano essere un popolo di filosofi?
Gli egiziani non avrebbero potuto. Chi non vive un amore ricambiato alla pari con il cielo e la terra, chi non vive in questo senso unito all’elemento in cui si muove, non è così unito in se stesso per natura, e non sperimenta quindi la bellezza eterna così facilmente come un greco. […] L’egiziano si è consumato prima di diventare un tutto, e di conseguenza non sa nulla del tutto, nulla della bellezza, e la cosa più alta che conosce è un potere velato, un enigma spaventoso; la cupa e muta Iside è per lui l’alfa e l’omega, un’infinità vuota da cui non è mai venuto nulla di sensato. Anche dal nulla più sublime nasce solo il nulla.
Il Nord invece ritira troppo presto i suoi germogli, e se lo spirito passionale dell’egiziano se ne va subito per il mondo desideroso di viaggiare, lo spirito nel Nord si appresta a ritirarsi in se stesso ancora prima di essere pronto a partire. Nel Nord bisogna sviluppare l’intelletto ancora prima che i sentimenti siano maturi, ci si fa carico di tutte le colpe prima che si sia concluso il tempo felice della spensieratezza; bisogna essere razionali, consapevoli prima ancora di diventare uomini, persone intelligenti prima di essere bambini; non si lasciano crescere e maturare nell’uomo l’unità e la bellezza prima che egli inizi la sua formazione e il suo sviluppo. L’intelletto, la ragione soltanto sono i signori incontrastati del Nord.
Ma l’intelletto da solo non ha mai prodotto cose intelligenti, la ragione da sola non ha mai prodotto cose razionali.
Senza la bellezza dello spirito, l’intelletto è come un aiutante servizievole che dal legno grezzo ricava una staccionata seguendo le istruzioni, inchiodando insieme i paletti che ha preparato per il giardino che il padrone vuole costruirsi.
L’intelletto si occupa del minimo indispensabile. Ci protegge dal nonsenso e dall’ingiustizia, in quanto mantiene l’ordine; ma essere al sicuro dal nonsenso e dall’ingiustizia non è la condizione più alta dell’ eccellenza umana.
Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è come un supervisore che il padrone di casa ha posto sopra i suoi servitori, che non sa quale sarà il risultato di tutto quel lavoro infinito, proprio come non lo sanno i servitori, e si limita a gridare: «sbrigatevi», ma allo stesso tempo non vede di buon occhio l’avanzamento dei lavori, perché alla fine non avrebbe più nulla da fare e il suo ruolo si esaurirebbe.
Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste.
Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine nell’unione e nella divisione di ogni materia possibile».

Friedrich Hölderlin, Iperione o l’eremita in Grecia, Bompiani, 2015, pp. 293, 295.

 

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Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) – La stupidità è un nemico del bene assai più pericoloso della malvagità

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Resistenza e resa

 

Dietrich Bonhoeffer, prima di essere ucciso per ordine diretto dello stesso Hitler, il 9 aprile 1945, nel campo di concentramento di Flossenburg , scriveva: «La stupidità è un nemico del bene assai più pericoloso della malvagità. Contro il male si può protestare, si può smascherarlo, se è necessario ci si può opporre con la forza: il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione e lascia sempre un senso di malessere nell’uomo. Ma contro la stupidità siamo disarmati. […]». Se il male può essere combattuto e, forse, anche sconfitto, per il teologo luterano la stupidità richiede un «atto di liberazione» interiore ed esteriore e concludeva il suo pensiero con queste parole su cui tutti, e in particolare molti politici e molti religiosi dovrebbero ben riflettere: «Ogni forte manistestazione di potenza esteriore, sia di carattere politico sia di carattere religioso, investe sulla stupidità [e produce] una privazione dell’indipendenza interiore dell’individuo, sopraffatto dall’impressione che su di lui esercita la manifestazione di potenza».

 

 

Atto ed essere

 


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Paranormal Creativity: Giovani Vertigini Creative – Incontro con giovani artisti – Lettura e interpretazione di testi scritti da giovani esordienti – Mostra di Paolo Di Noto – Mostra di Nilowfer Awan Ahamede – Balli delle Chejà Celen coordinate da Vania Mancini e delle Ragazze di Spin Time coordinate da ICBIE Europa onlus

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propongono un incontro interamente gestito dai giovani
per valorizzare le forme espressive e i talenti delle nuove generazioni

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Giovedì 17 Marzo – Ore 18

presso

SPIN TIME LABS

Via Santa Croce in Gerusalemme, 59  – Roma

Incontro con giovani artisti

Giacomo Buonafede (attore)
Gertrude Cestiè (giornalista)
Alessandro Cicone (cantautore)
Cloe Curcio (scrittrice)
Francesco Ferrone (scrittore)
Alessio Imparato (poeta e rapper)
Simone Proietti Gaffi (attore)

Edilson Araujo (attore)
Marianna Arbia (attrice)
Silvio Impegnoso (attore)

leggono e interpretano testi scritti da giovani esordienti


Mostra di disegni di Paolo Di Noto


Mostra di fotografie di Nilowfer Awan Ahamede


Balli delle Chejà Celen coordinate da Vania Mancini

e delle Ragazze di Spin Time coordinate da ICBIE Europa onlus


 

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Romano Guardini (1885-1968) – Chi non ama la vita non ha pazienza con essa: la pazienza è l’uomo in divenire che comprende giustamente se stesso, è una forza tranquilla e profonda

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«Per la pazienza occorre forza, molta forza […]. Solo l’uomo forte può esercitare una pazienza davvero viva: può riprendere su di sé sempre di nuovo ciò che è, e di continuo ricominciare. La pazienza senza la forza è pura passività, supina subordinazione, abitudinarietà cosificata.
E occorre amore, a una pazienza autentica, amore per la vita.
Giacché le cose vive crescono lentamente, hanno la loro ora, fanno giri e rigiri numerosi. Esse hanno così bisogno di fiducia.
Chi non ama la vita non ha pazienza con essa. Allora arrivano le furie e i cortocircuiti. E ne nascono ferite e cocci.
La pazienza autenticamente viva è tutto l’uomo esistente nella tensione fra ciò che vorrebbe avere e ciò che ha; fra ciò che vorrebbe fare e ciò che riesce a fare di volta in volta; tra ciò che desidera essere e ciò che realmente è.
Il reggere in questa tensione, il raccogliersi continuo verso la possibilità dell’ora: questa è la pazienza.
Si può allora dire che la pazienza è l’uomo in divenire che comprende giustamente se stesso.
Solo nelle mani della pazienza riesce la creatura che ci sia stata eventualmente affidata […]. In qualsiasi modo ci sia stata affidata la vita, il nostro lavoro per la sua crescita avrà successo soltanto se lo si fa con questa forza tranquilla e profonda. Esso assomiglia al modo con cui la vita cresce da sé».

  Romano Guardini

 

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Alessandro Monchietto – Le molte facce del neoliberismo: squilibrio distributivo e crisi finanziaria. Intervista a cura di Luigi Tedeschi

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  1. Il principio dominante di ogni società liberale è quello della fondamentale libertà dell’individuo, quale soggetto titolare di diritti civili, politici ed economici. Il riconoscimento di tali diritti comporta la necessaria non ingerenza dello stato rispetto alla libera determinazione politica ed economica dell’individuo. Ma tali diritti, in palese contraddizione con i fondamentali diritti dell’uomo, oggi vengono ad essere negati nella società globalizzata del nostro secolo. Infatti l’odierno capitalismo è la negazione del laissez – faire del liberismo classico. Oggi il capitalismo si identifica con l’egemonia pressoché assoluta degli oligopoli delle multinazionali e delle holding finanziarie. Il capitalismo attuale è estremamente elitario e dirigista, impone riforme strutturali in campo politico e sociale, rigide regolamentazioni finanziarie che annullano di fatto le libertà politiche ed economiche. Ai poteri sovrani degli stati nazionali, in via di estinzione, si sostituisce la governance degli organismi internazionali: la democrazia viene ad essere esautorata dalle oligarchie economiche. La liberal democrazia ha dunque subito una eterogenesi dei fini creando un ordine mondiale che è l’opposto di essa stessa, oppure tale nuovo ordine rappresenta il logico, conseguente risultato di un processo di evoluzione di una ideologia liberale che di per sé stessa conduce al totalitarismo economico attuale?

 

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L’idea comune di molte spiegazioni mainstream è che la crisi in atto, nata nella finanza, trovi spiegazione – e soluzione – dentro la finanza stessa, nelle sue regole e nei comportamenti degli operatori.

La tesi predominante (nei media come nell’accademia) attribuisce tutta la colpa alla “finanza cattiva” la quale, complice l’inadeguatezza dei regolatori, ha trascinato nel suo fallimento anche l’economia reale. Insomma, se non ci fosse stato il Lupo Cattivo Finanza il Cappuccetto Rosso Impresa sarebbe in ottima salute.

A mio parere quella che vede la causa della crisi solo nell’avidità dei banchieri, negli errori della regolazione, nei prodotti finanziari opachi è una spiegazione alquanto parziale, utile a distogliere l’attenzione dagli squilibri reali.

La crisi attuale, pur essendosi indubbiamente resa visibile nella sfera finanziaria, non per questo trova una spiegazione al suo interno: il rischio sistemico della finanza ha invece origine dall’attacco al lavoro degli ultimi decenni. La finanza è infatti stata il modo singolare ma efficace per rispondere alla tendenza alla stagnazione da domanda, che è l’altra faccia della massiccia precarizzazione del mercato del lavoro.

A partire dalla fine degli anni ottanta si è affermato un meccanismo di accumulazione capace di spingere verso l’alto la produzione senza aumentare i salari, capace di accrescere l’occupazione senza aumentare l’inflazione. Il risultato è stata la quadratura del cerchio, il sogno di ogni capitalista: un lavoratore che vede diminuire il proprio salario, ma che nonostante questo consuma come (se non più) di prima.

Si è così affermato un nuovo sistema finanziario che non solo svolge la consueta funzione di infrastruttura a supporto della produzione, ma che provoca un “effetto ricchezza” attraverso cui è possibile allargare il debito privato delle aziende e dei consumatori.

Da questo punto di vista, la finanza non è la malattia, ma il sintomo della malattia e al tempo stesso la droga che ha permesso di non avvertirla (e che quindi l’ha cronicizzata). Non è dunque un problema di instabilità finanziaria: è un problema di domanda effettiva, che nasce dalla organizzazione della produzione e del lavoro. Se le economie avanzate dell’Occidente vogliono continuare a svilupparsi nella democrazia devono tornare a far oscillare il pendolo della storia nella direzione contraria. [Continua a leggere]

Alessandro Monchietto,

Le molte facce del neoliberismo- squilibrio distributivo e crisi finanziaria.

Intervista a cura di Luigi Tedeschi

Intervista già pubblicata su:

Italicum_2015_0910 1Periodico di cultura, attualità e informazione del Centro Culturale ITALICUM


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Daniele Orlandi – Nostalgie semiserie di un medievista senza Eco

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All’uscita di una straniante lezione di filologia bizantina, una ragazza a me cara mi chiese di colpo che ne pensassi di lui. Senza attendere risposta aggiunse che quel libro – piuttosto complesso, bisognava pur ammetterlo – lo aveva divorato in tre giorni, e una sera si era persino imposta di non andare a ballare proprio per scoprire finalmente l’assassino di tutti quei monaci.

Dodici anni dopo, nell’apprendere la notizia della scomparsa mi piazzo davanti allo scaffale dove abitano i suoi libri in ordine di editazione, e penso: nel nostro tempo si diventa noti per qualcosa di noi in cui altri possano identificarsi ma non ha più nessuna importanza il conoscere, conta solo riconoscere. Delle molteplici cose immaginate, sognate, programmate, sofferte, solo una – quella realizzata, e non sempre la migliore – sarà per molti l’irrinunciabile riferimento da accostare al nostro nome. Non è colpa di nessuno, anzi, è statistica, se è vero quel che c’insegnavano all’università, vale a dire che la “moda” è quel valore non estremo di una distribuzione a cui corrisponde la massima frequenza. E di mode noi viviamo, più che di apici, di medie e di inferenze, più che di approfondimenti. Perché era chiaro che lei stesse parlando di quel libro. Quelle pagine coltissime che avevano spinto – roba da non credere, anche per lei stessa! – una ex ragazzina tutto pepe a rimanere in casa per vedere come andava a finire. Non ho mai più risposto a quella domanda né forse avrei potuto, consapevole che per il grosso della mia generazione Umberto Eco “è” quel romanzo che nato come L’abbazia del delitto, un giallo di ambientazione fascista, divenne poi Il nome della rosa sul set di un Medioevo al tramonto. Il capolavoro o il mattone, tertium non datur. Uno dei libri più venduti del Novecento, che apparso nell’Ottanta, tra la vertenza Fiat e le Brigate Rosse, tra Ustica e il riflusso berlusconiancraxiano, in Italia chiudeva definitivamente il secolo breve. E lo faceva con un killeraggio di preti.

Disiecta Membra 03[Continua a leggere]

 

Daniele Orlandi,
Nostalgie semiserie di un medievista senza Eco

 


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