«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Sempre meco stanno uomini periti, eloquentissimi, apresso di quali io posso tradurmi a serae occuparmi a molta notte ragionando […]. Se a me piace intendere cose utilissime a satisfare alle domestiche necessità, a servarsi sanza molestia, molti dotti, quanto io gli richieggio, mi raccontano della agricoltura, e della educazione de’ figliuoli, e del costumare e reggere la famiglia, e della ragion delle amicizie, e della amministrazione della repubblica, cose ottime e approvatissime. Se m’agrada conoscere le cagioni e principi di quanto io vedo vari effetti prodotti dalla natura, s’io desidero modo a discernere el vero dal falso, el bene dal male, s’io cerco conoscere me stesso e insieme intendere le cose prodotte in vita […] non a me mancano i […] filosofi, apresso de’ quali io d’ora in ora a me stesso satisfacendo me senta divenire più dotto anche e migliore».
Leon Battista Alberti, Theogenius, in ID., Opere volgari, vol. II , Rime e trattati morali, a cura di C. Grayson, Laterza, Bari 1966.
[…] la lettura è una forma di amicizia. Ma almeno è un’amicizia sincera, e il fatto che si rivolga a un morto, a un assente, le dà qualcosa di disinteressato, quasi di toccante. Per di più è un’amicizia sgombra da tutto ciò che fa la bruttezza delle altre. Siccome tutti noi, noi vivi dico, non siamo altro che morti non ancora entrati in funzione, tutti i convenevoli, tutti i salamelecchi da anticamera che chiamiamo deferenza, gratitudine, dedizione, e in cui infiliamo tante menzogne, sono sterili e faticosi […]. Nella lettura, l’amicizia è subito riportata alla sua primitiva purezza. Verso i libri, nessuna cortesia. Con questo genere di amici, se passiamo la serata insieme, è perché ne abbiamo davvero voglia. Sul serio, il più delle volte, li lasciamo solo a malincuore […]. Tutte le inquietudini dell’amicizia vengono meno sulla soglia di quell’amicizia pura e serena che è la lettura. Nessuna forma di deferenza, tra l’altro. Ridiamo di ciò che dice Molière solo nell’esatta misura in cui lo troviamo buffo […] e quando ne abbiamo decisamente abbastanza di stare con lui, lo rimettiamo a posto senza tanti complimenti, come se non avesse né genio né celebrità.
Marcel Proust, Il piacere della lettura, Feltrinelli, Milano 2016, pp. 77-83 .
Questi uomini rozzi si meravigliano ch’io osi disprezzare le delizie ch’essi considerano beni supremi, e non comprendono né la mia felicità né quel piacere che mi danno alcuni amici segreti, che da tutte le parti del mondo ogni età m’invia, amici illustri per lingua, ingegno, guerre, facondia; amici non difficili, che si contentano di un angolo della mia modesta casa, che nessuna mia domanda rifiutano, che premurosi mi assistono e non mai mi danno fastidio, che se ne vanno a un mio cenno e richiamati ritornano. Ora questi, ora quelli io interrogo, ed essi mi rispondono, e per me cantano e parlano; e chi mi dà ottimi consigli per la vita e per la morte, chi narra le sue e le altrui chiare imprese, richiamandomi alla mente le antiche età. E v’è chi con festose parole allontana da me la tristezza e scherzando riconduce il riso sulle mie labbra; altri m’insegnano a sopportar tutto, a non desiderar nulla, a conoscer me stesso, maestri di pace, di guerra, d’agricoltura, d’eloquenza, di navigazione; essi mi sollevano quando sono abbattuto dalla sventura, mi frenano quando insuperbisco nella felicità, e mi ricordano che tutto ha un fine, che i giorni corron veloci e che la vita fugge.
Francesco Petrarca, Rime. Trionfi e poesie latine, a cura di F. Neri, G. Martellotti, E. Bianchi e N. Sapegno, Ricciardi, Milano-Napoli 1951, traduzione e cura del testo di E . Bianchi.
«Desiderio naturale, necessario, e perpetuo nell’uomo, di un futuro miglior del presente, per buono che il presente possa essere. Importanza quindi dell’avere una prospettiva e una speranza, per esser felice. Importanza del sapersi fare, comporre e propor da se stesso tal prospettiva. Non sempre le circostanze, l’età ec. permettono una prospettiva di miglioramento e di avanzamento nello stato ec. Oltracciò gli avanzamenti e miglioramenti grandi sono di difficile conseguimento, e non conseguendosi, e ingannata la speranza, restiamo turbati. Utilità somma del sapersi proporre di giorno in giorno un futuro facile, o anche certo, ad ottenere; dei beni che avvengono d’ora in ora; godimenti giornalieri, di cui non v’ha condizione che non sia fornita o capace: il tutto sta sapersene pascere, e formarne la propria aspettativa, prospettiva e speranza, ora per ora: questo è ufficio del filosofo, ed è pratica incomparabilmente utile al viver felice».
Giacomo Leopardi, Zibaldonedi pensieri, Edizione tematica condotta sugli Indici leopardiani, a cura di F. Cacciapuoti, Volume 1, Donzelli, Roma, 2018, pp. 231-232).
«Dove vi sono maggiormente ragione (nous) e intelletto (logos), vi è minimamente fortuna (tyche) e dove vi è massimamente fortuna vi è minimamente ragione».
Aristotele, Etica Eudemia, II, 8,1207 a.
«Poiché tu fosti simile a uno che pur soffrendo ogni cosa, non soffre nulla, ed ha bene accetti, con la stessa riconoscenza, insieme le offese e i premi della sorte. E beati son davvero coloro i cui impulsi e il cui giudizio si offron così mescolati, ch’essi non assomigliano per nulla a una zampogna su cui le dita della Fortuna possan suonare il tasto che le aggrada».
William Shakespeare, Amleto, atto III, scena II, tr. it. in Opere complete,vol. III, p. 744.
«Ciò che ho perduto non è una figura (la Madre), ma un essere, e non solo essere, ma una qualità (un’anima): non già l’indispensabile, bensì l’insostituibile».
Roland Barthes (a proposito della morte della madre Henriette Binger), Dove lei non è, Einaudi, Torino 2010.
È bello questo libro per almeno due motivi. Da un lato esso disegna l’immagine di una donna e madre straordinaria, in un discorso che ha sia l’aspetto di una ricostruzione ordita con sapienza, sia quello di un racconto fatto con immediatezza. Questo tono duplice dello stile dà fascino alla lettura di questa Lettera, che infatti solleva lo spirito e lo riempie di pensieri buoni e di ammirazione per la protagonista, in quanto exemplum di sapienza e bontà, e dunque di bene. Dall’altro, esso illustra con un esempio concreto la storia dell’Italia del dopoguerra e dei sacrifici straordinari fatti dagli italiani, anche attraverso le ben note migrazioni interne, e ci ricorda che la scuola italiana fino a pochi decenni or sono è stata un motore di promozione sociale e non un parcheggio degradante.
Inoltre, questo libro contiene molti tesori di saggezza: ne citerò soltanto due. Il primo è nella frase «la morte è quel che dà senso alla vita». E nel merito mi limito a rimandare a una serie di scritti pasoliniani, raccolti in ”Empirisco eretico”, dove questa frase viene chiarita nei saggi ”Osservazioni sul piano-sequenza”, ”Essere è naturale?” e ”I segni viventi e i poeti morti”. Il secondo tesoro è contenuto nella frase «la vita si vive nel futuro». Anche mi limitito a fare riferimento al libro di Massimo Bontempelli ”Tempo e Memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro”. Entrambi questi tesori sono a mio avviso di una profondità inattingibile ai giovani, perché solo l’esperienza insegna veramente il loro significato.
Il libro contiene un riferimento alle ragioni del degrado della scuola italiana. Anche qui un testo di Massimo Bontempelli ci è di aiuto, ed è ”L’agonia della scuola italiana”.
Fausto Di Biase
«Sei una creatura dell’eterno presente» dice l’autore della madre mentre ne traccia l’itinerario esistenziale, con ammirato stupore per il suo equilibrio e la sua fermezza, e con gratitudine per la sua serena generosità: per averlo messo al mondo non in un attimo o in un’ora ma attraverso una lunga consuetudine di solidarietà e collaborazione, di accoglienza e fiducia. Scoprendo infine che a quel presente, all’invariabile presenza che la madre ha dentro di lui, manca ora un futuro, e che questa è la sorgente del suo strazio: di un dolore che abbatte ogni barriera e si manifesta come assoluta intimità.
Ermanno Bencivenga è distinguished professor di filosofia e scienze umane all’Università di California. Logico di fama, ha dato importanti contributi alla filosofia morale, alla filosofia del linguaggio e alla storia della filosofia. In Oltre la tolleranza, Manifesto per un mondo senza lavoro e Parole che contano ha elaborato un’utopia politica. Per il grande pubblico ha pubblicato recentemente La filosofia in ottantadue favole, La stupidità del male e L’arte della guerra per cavarsela nella vita. È autore del romanzo Il giorno in cui non tornarono i conti, delle raccolte di racconti I delitti della logica, Case e Amori, delle tragedie Abramo, Annibale e Alessandro e di sette raccolte di poesie, le ultime delle quali sono Le parole della notte (Di Felice 2015) e Amore per Milla (Di Felice 2019).
Julia von Lucadou, La tuffatrice, Carbonio Editore, 2020.
«Il modo in cui le società capitaliste feticizzano il corpo umano e lo valutano in termini economici come produttività ottimizzante è qualcosa che mi interessa, così anche la bellezza intesa rigidamente misurabile in un algoritmo. […] Mettere in discussione il capitalismo e gli elementi che ne costituiscono il sistema è per me anche un’analisi del grado soggettivo di conformazione. […] Spesso associamo il voyeurismo alle preferenze e perversioni sessuali, ma è molto più di questo. Il voyeur ha una posizione di potere, penso ai contributi sul tema di Laura Mulvey. Spiare, osservare qualcuno che non sa di esserlo lo spoglia violentemente della propria privacy. Una volta esposto, non è possibile annullare tale violazione. Quando i tuoi dati personali sono stati resi pubblici, non puoi recuperarli. Dispositivi digitali come i nostri telefoni accedono al nostro spazio privato in modo semplice e discreto, spesso senza il nostro consenso deliberato. I dati raccolti mettono le aziende – e in alcuni casi anche i governi – in una posizione di potere da cui possono manipolare e controllare il comportamento. […] Non possiamo sfuggire all’enorme corredo della nostra infanzia, chi ha subito un trauma può testimoniarlo. Ciò significa anche che il modo in cui trattiamo l’infanzia è vitale per il tipo di società che immaginiamo praticabile. Se sottoponiamo i bambini a questa dittatura della prestazione competitiva, come i personaggi del mio romanzo (Riva e soprattutto Hitomi) insegnano, è molto difficile fare marcia indietro».
Intervista a Julia von Lucadou, il manifesto, 17-5-2020, p. 10.
Descrizione
In un mondo futuristico in cui si vive per accumulare punteggi, le emozioni vengono misurate da un dispositivo applicato al braccio, le giornate scandite da iper-efficienza, ferree regole comportamentali e una dose prestabilita di esercizio fisico, Riva Karnovsky, campionessa di Highrise Diving, tuffandosi dai grattacieli è riuscita a diventare una celebrità con schiere di fan e contratti milionari. Eppure, nel suo lussuoso attico al centro della metropoli, un giorno decide di mollare tutto, senza una ragione apparente. Non si allena più, non parla, scompare dai social assetati di foto e notizie. Per rimotivarla viene chiamata una giovane e ambiziosa psicologa, Hitomi Yoshida, che dovrà sorvegliarla giorno e notte attraverso telecamere nascoste in ogni angolo della casa. Finché Hitomi si accorge di essere lei stessa una prigioniera. Julia von Lucadou costruisce una distopia claustrofobica e ossessionante, resa attraverso atmosfere asettiche e una scrittura asciutta che inchioda il lettore a una realtà virtuale da cui è difficile scappare, e che assomiglia terribilmente alla nostra.
«Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa,
mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa».
Jerome David Salinger, Il giovane Holden (The Catcher in the Rye, 1951), cap. XXIV, traduzione di Adriana Motti, Giulio Einaudi editore, Torino, 1961, p. 219.
Stravaganze quarte e supreme, Venezia, Neri Pozza, 1951.
Vecchie e nuove pagine stravaganti di un filologo, Firenze, F. De Silva, 1952.
Lingua nuova e antica. Saggi e note, a cura di Gianfranco Folena, Firenze, Le Monnier, 1964.
Scritti filologici (I: Letteratura greca; II: Letteratura latina, cultura contemporanea, recensioni), a cura di Fritz Bornmann, Giovanni Pascucci, Sebastiano Timpanaro, Firenze, Olschki, 1986.
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