Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.

prefazione greca
Il 14 aprile 2016, Costanzo avrebbe compiuto 73 anni.
Ed invece ha dovuto congedarsi dalla vita nel novembre 2013.
Ma ha pensato, lavorato, scritto fin che ha potuto.
Nel luglio del 2012 aveva preparato la prefazione alla edizione greca del suo
«Il Bombardamento Etico»,
tre pagine che proponiamo alla considerazione critica dei lettori.

Sono trascorsi 16 anni da quando pubblicammo questo suo importante testo,
che – come dice l'autore – non solo non è invecchiato, ma è ancora più attuale.
Sedici anni, eppure vivida è la memoria di quei giorni in cui,
ospitando Costanzo per qualche giorno a casa mia
 qui nella campagna intorno a Pistoia,
leggevamo il suo dattiloscritto, discutendone in modo appassionato,
per prepararne la pubblicazione
C. F.


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Prefazione di Costanzo Preve

alla traduzione greca de “Il Bombardamento Etico” (luglio 2012)

 

Sono molto contento che il mio saggio Il Bombardamento Etico, scritto negli ultimi mesi del 1999 e pubblicato in lingua italiana nel 2000, sia stato tradotto in greco. Rivedendo la traduzione, precisa, corretta e fedele, mi sono reso conto che purtroppo il saggio non è “invecchiato” in dieci anni, ma in un certo senso è ancora più attuale di dodici anni fa. E’ ancora più attuale, purtroppo. E su questo “purtroppo” intendo svolgere alcune rapide riflessioni. Dodici anni non sono pochi, ed è possibile capire meglio che l’uso strumentale e manipolatorio dei cosiddetti “diritti umani” ed il processo mediatico di hitlerizzazione simbolica del Dittatore che di volta in volta deve essere abbattuto (Milosevic, Saddam Hussein, Gheddafi, Assad, domani chissà?) inauguravano una fase storica nuova, che potremo definire dell’intervento imperialistico stabile nell’epoca della globalizzazione con l’uso massiccio della dicotomia simbolica di sicuro effetto Dittatore/Diritti Umani. [Leggi tutto]

 

Prefazione di Costanzo Preve
alla traduzione greca
de “Il Bombardamento Etico” (luglio 2012)

 


 

Il bombardamento etico

Costanzo Preve

Il bombardamento etico.

Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico
e sulla Menzogna Evidente

indicepresentazioneautoresintesi

Il titolo di questo saggio – ad un tempo storico, politico e filosofico – contiene quattro ossimori, espressamente concepiti per provocare intenzionalmente nel lettore quello “spaesamento” necessario per mettere in moto il suo autonomo processo di riflessione critica.
I primi tre sono il Bombardamento Etico, l’Interventismo Umanitario e l’Embargo Terapeutico. Il quarto ossimoro presente nel titolo rappresenta una sorta di denominatore unificante, il più corrotto e malvagio che esista, quello della Menzogna Evidente. Questo spaesamento è necessario per affrontare con animo libero gli enigmi dell’ideologia di legittimazione di questa inedita società capitalistica fondata sulla globalizzazione geografica coattivamente prescritta e sull’incessante innovazione culturale capillarmente imposta. Nel primo capitolo vengono richiamati i casi delle due scandalose guerre prevalentemente aeree e supertecnologizzate contro l’Irak nel 1991 e contro la Jugoslavia nel 1999.
In entrambi i casi i pretesti addotti dalle potenze imperiali, pretesti amplificati dal sistema giornalistico e culturale dominante, erano privi sia della legittimazione giuridica sia della plausibilità storica. In entrambi i casi però, come avviene nella favo!a del lupo e dell’agnello, la forza ha sostituito la ragione rispettiva.
Nel secondo capitolo, che è a tutti gli effetti centrale, si ricerca il fondamento metafisico segreto di questo comportamento, che è il trattamento differenziato di Auschwitz e di Hiroshima ed il conseguente pentimento diseguale e manipolato che ne è seguito. In questo caso, la metafisica laica del Giudeocentrismo è servita per imporre una nuova lettura storico-religiosa del Novecento, non per contribuire ad una corretta comprensione delle cause che hanno portato al genocidio ebraico, una comprensione che dovrebbe impedire nel futuro il ripetersi di simili catastrofici eventi.
Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, si individua in una cultura di resistenza il presupposto necessario per una futura costituzione di forze politiche e sociali, per il momento non ancora esistenti, in grado di sostenere il confronto futuro che certamente verrà, e non soltanto di ripetere in modo esasperante le mosse politiche, sociali e culturali di confronti ormai esauriti e tramontati con il venir meno del Novecento.


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Massimo Baldi – «Paul Celan. Una monografia filosofica». A rendere unica l’opera di Celan c’è la sua inesausta volontà di autocomprendersi e di correggersi, sempre nel cuore del poema, nella tensione che in esso si genera tra la lingua degli uomini e l’impiego spesso idiomatico che ne fa il poeta.

Celan

Paul Celan

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Massimo Baldi, Paul Celan. Una monografia filosofica,
Carocci editore, 2013, pp. 216, Euro 23.


«Nessun poeta del Novecento europeo ha attratto l’attenzione della critica filosofica quanto Paul Celan. Una delle peculiarità dell’opera di Celan e della sua ricezione sta forse proprio in questo continuo e duraturo interesse mostrato dai filosofi per la sua opera poetica.
Tra coloro che hanno dedicato impegnativi saggi e commenti alla sua poesia troviamo pensatori di assoluta rilevanza come Theodor W. Adorno, Maurice Blanchot, Jacques Derrida, Hans-Georg Gadamer, Emmanuel Lévinas, Peter Szondi. Non può essere poi taciuta la risonanza assunta, nella letteratura critica celaniana, dall’irrisolto rapporto tra il poeta e Martin Heidegger a partire dall’incontro che vi fu tra i due nell’estate del 1967 a Todtnauberg, quando Celan visitò il filosofo complice del nazismo nella sua Hütte nella Foresta Nera. All’antitesi delle domande che la stessa poesia di Celan pone al pensiero di Heidegger (non solo con l’omonima Todtnauberg, scritta come risposta a quanto in quell’incontro non trovò parola) vi è la profonda affinità tra la poetica celaniana e la filosofia di Benjamin. Un’affinità che trova un’esplicita conferma nel Meridiano, il celebre discorso che Celan pronunciò in occasione del conferimento del Büchner Preis». [Leggi tutto]

                                                                      Fabrizio Desideri, Prefazione

Prefazione di Fabrizio Desideri

 

 

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Celan nel 1938



 

«L’opera di Paul Celan, oggetto di questo libro, è una delle più complesse e affascinanti della storia della letteratura. Non a caso, tra quelle del secolo scorso, è una delle più studiate. Quale sia la sua peculiarità non è cosa facile da enunciare. In primissimo piano c’è la circostanza dell’appartenenza di Celan alla schiera delle vittime della “soluzione finale” – una circostanza che non ha mancato, tra l’altro, di dar luogo a equivoci e a letture sbrigative e cariche di sentimentalismo. Il significato dell’opus celaniano, infatti, non si esaurisce con il riferimento allo sterminio, per quanto in nessuno dei testi che lo compongono tale riferimento sia veramente assente.
Un altro elemento di risalto della poesia di Celan è stata la sua capacità di assorbire e rielaborare, non di rado in modo eminentemente critico, i dettami di tutti i grandi movimenti letterari e filosofici del XX secolo, dal simbolismo all’ermetismo, dalle avanguardie alla teoria critica.
Inoltre, a rendere unica l’opera di Celan c’è la sua inesausta volontà di autocomprendersi e di correggersi, di dar conto del proprio stesso procedere in forme mai didascaliche e spiacevolmente prosaiche, ma sempre nel cuore del poema, nella tensione che in esso si genera tra la lingua degli uomini e l’impiego spesso idiomatico che ne fa il poeta, di fatto problematizzandone le regole.
Va da sé che non si può cogliere il valore di un’opera così articolata e complessa se ci si costringe in un solo contesto disciplinare e se le armi del critico non si mettono al servizio del dettato poetico. Chi ha tentato di comprendere il testo celaniano con i soli strumenti della filologia, o della comparatistica, o – peggio ancora – di una spregiudicata ermeneutica filosofica ha sempre fallito nel suo intento. In Celan, infatti, tutto concorre alla costruzione di un senso: il richiamo ad altre opere letterarie del passato e del presente, il confronto con le altre forme di espressione artistica, la riflessione sulla storia e sull’attualità, il riferimento alle vicende biografiche». [Leggi tutto]

                                                                      Massimo Baldi, Introduzione

 

Introduzione di Massimo Baldi

 

Zur ausschließlichen Verwendung in der Online-Ausstellung "Künste im Exil" (www.kuenste-im-exil.de). Originaldateiname: Celan,Paul_02_Druck.jpg Eindeutiger Identifier: VA_KIE_FV_002.jpg



 

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Massimo Baldi è nato a Pistoia nel 1981, dove vive.
È autore delle raccolte poetiche
Dopoguerra delle vertebre. Poesie 2001-2007 (2008)
e di Perimetri domestici. Poesie 2007-2013 (2015).
Dottore di ricerca e professore abilitato in Estetica e Filosofia del linguaggio,
si è dedicato soprattutto allo studio del pensiero e della letteratura
della Germania del XX secolo,
con particolare attenzione a Walter Benjamin e Paul Celan.
Impegnato in politica, dal luglio del 2015 è consigliere regionale della Regione Toscana.

 

 


I giusti
che furono vinti in guerra
saranno invisibili trionfatori
della guerriglia di ogni attimo,
loro sarà il pane
che i bambini troveranno sulla tavola,
loro l'infaticabile umiltà
di chi ha irragionevolmente amato
e in ogni luogo
ha perdonato agli uomini
il cuore bramoso e l'uopo sconveniente.


Perimetri domestici

Perimetri domestici

 

Il libro propone una figura adunca di sé, dura e nuda; è dotato di straordinaria autorità (non senza qualche delicata tregua) e accompagnato dall’invisibile movimento degli anni fattisi puri numeri, una cortese e anche accorata sequenza di invisibile sui molti asfalti di questo libro. Finalmente abbiamo un libro cattivo, molto cattivo, in grado di sostenere una durissima guerra civile. Guerra fra due avventi della parola, fra due mondi. […] Questi Perimetri domestici sono una battaglia civile, e io penso che vi risplenda una segreta vittoria.
(C.L. Paganelli)


Dopoguerra delle vertebre

Dopoguerra delle vertebre

Quello di Baldi è un alfabeto orfano che sperimenta su di sé la distanza incolmabile tra parola e senso: il dopoguerra è l’intraducibilità delle cose, la loro sensatezza. Tutto si rovescia, tutto si contraddice […]. Il poeta ora è solo in questa sua nekya, in questa sua discesa e risalita dall’ade. Non rimane che un interrogativo finale, ma non conclusivo, un senso penultimo che veste il tono tragico di queste poesie con il taglio che separa e divide speranza e disperazione: “Quale nome / per noi / oltre il dopoguerra?” .

 


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F. Desideri. M. Baldi, Benjamin, Carocci

«Tutti coloro che si sono occupati in qualche modo di Walter Benjamin conoscono la difficoltà di definirne il pensiero, inserendolo in orizzonti disciplinari ben definiti come la filosofia della storia, del linguaggio, l’ontologia, l’etica, l’estetica e così via. Talvolta si è stati addirittura indecisi se assegnare la sua opera al genere testuale della filosofia o a quello della letteratura. In questo libro, si affronta in particolare l’ultimo Benjamin, quello del messianismo e della conseguente percezione messianica del tempo, in base al quale ogni secondo sarebbe “la piccola porta attraverso la quale può entrare il messia”. E la stessa porta della giustizia di cui Benjamin parla nel grande saggio su Kafka del 1934. Tuttavia permane una differenza tra tempo messianico e giustizia. Se vi fosse coincidenza, la giustizia cesserebbe di agire come una potenza critica, la stessa potenza da cui scaturisce l’etico e diverrebbe oggetto di possesso, oggetto di storica realizzazione». (dall’Introduzione)

 


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Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) – Dignità dell’uomo e dignità della filosofia. La filosofia mi ha insegnato di dipender piuttosto dalla mia coscienza che dai giudizi altrui, e di pensar sempre non tanto a non esser giudicato male quanto a non dire o fare male io stesso.

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«[…] Queste son le ragioni […] che non soltanto mi animarono, ma mi costrinsero allo studio della filosofia: e ch’io non avrei certo esposto se non per rispondere a coloro i quali sogliono condannare lo studio della filosofia quasi del tutto negli uomini in alto stato e del tutto poi in quelli che vivonoin condizione mediocre. Tutta questa speculazione filosofica è infatti piuttosto ragion di disprezzo e d’oltraggio – infelicità del nostro secolo – che d’onore e di gloria. Tanto ha invaso le menti di tutti questo esiziale e mostruoso convincimento che niente affatto, o da pochi soltanto, abbia a coltivarsi la filosofia quasi che l’avere dinanzi agli occhi e alla mano esploratissimi i perché delle cose, le vie della natura, la ragione dell’universo […] a nulla giovi se uno non abbia a coglierne un qualche favore o a ricavarne per sé un qualche utile. Giacché si è, ahimè!, giunti al punto che non si stiman sapienti se non coloro che riducono mercenario lo studio della sapienza: talché si può vedere la pudica Pallade, dimorante per dono divino tra gli uomini, rigettata, cacciata, fischiata: non avere chi l’ami, chi le dimostri favore se non a patto quasi di prostituirsi ella stessa, e ricevuto il meschino provento della deflorata verginità, versar nello scrignetto dell’amante il mal procacciato denaro. Le quali cose tutte io non senza dolore grandissimo e indignazione dico […] contro quei filosofi che ritengono e vanno blaterando non esser il caso di accudire alla filosofia dal momento che nessuna mercede, nessun premio sono stabiliti al filosofo; quasi che non dimostrino, con questo soltanto, di non esser filosofi. Giacché, tutta la loro vita essendo posta nel lucro o nell’ambizione, non abbracciano la conoscenza della verità per se stessa. […] Io non ho mai filosofato per nessuna altra ragione che per filosofare, né ho mai sperato né cercato mai dai miei studi, dai miei pensamenti, altro guadagno o frutto se non la coltura dell’anima e la conoscenza della verità da me sopra tutto, sempre, desiderata. Della quale verità, sempre, fui tanto bramoso e amatissimo da dedicarmi tutto […] alla contemplazione, dal quale nessuna calunnia di invidiosi, nessun’invettiva dei nemici della sapienza né poteron fin qui né potranno poi distogliermi mai. La stessa filosofia mi ha insegnato di dipender piuttosto dalla mia coscienza che dai giudizi altrui, e di pensar sempre non tanto a non esser giudicato male quanto a non dire o fare male io stesso».

Giovanni Pico della Mirandola, De Hominis Dignitate (1486), Dignità dell’uomo, trad. di Bruno Cicognani, Le Monnier, Firenze, 1943,pp. 47-49.

 

 

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Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Dobbiamo uscire dalla pigra rassegnazione, dove non si vuole nulla, non ci sicura di nulla. L’originalità è intensità, profondità del cuore e dello spirito.

Holderlin

«Ero uscito dalla pigra rassegnazione,
dove non si vuole nulla, non ci sicura di nulla».
 Iperione

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«Ma questo nuovo colpo mi riportò comunque alla vita. Ero uscito dalla pigra rassegnazione, dove non si vuole nulla, non ci sicura di nulla, da quella calma di morte che, con tutta l’apparenza di saggezza con cui la difendono i vigliacchi, è la condizione più infame in cui l’uomo può ricadere. Nessuno si giustifichi dicendo che il mondo lo ha ucciso: è lui stesso che si è ucciso, in ogni caso».

«La Grecia fu il mio primo amore e non so se posso dire che sarà anche l’ultimo. […] Non mi interessa affatto che sia originale; originalità per noi significa novità, e le cose che amo di più sono invece quelle antiche come il mondo. Per me l’originalità è intensità, profondità del cuore e dello spirito. Ma di tutto questo, ora come ora, si vuol saper poco, almeno nell’arte […]».

«[…] soffrivi, quando ti conobbi, non tanto per una sventura precisa […] bensì per l’impotenza, per la volgarità; era l’insipido nulla che ti faceva soffrire, la morte insipida, l’insipida e mostruosa vacuità dei tuoi contemporanei […]».

Friedrich Hölderlin, Iperione o l’eremita in Grecia, Bompiani, 2015, pp. 759, 761, 877.

 

***

Friedrich Hölderlin (1770-1843) – L’uomo che pensa deve agire, deve dispiegarsi. Egli può molto, stupenda è la sua parola che strasforma il mondo. Un potente anelito, con radici profonde, lo spinge verso l’alto.

Friedrich Hölderlin (1770-1843)– Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste. Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine. Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è soltanto come un supervisore.

Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Quando un popolo ama il bello l’egoismo si scioglie. Se così non è, sempre più aridi e più desolati divengono gli uomini, cresce la sottomissione e con essa l’arroganza, l’opulenza cresce insieme alla fame e all’ansia per il cibo. Così il mondo intorno a noi diviene un deserto e il passato si sfigura in un cattivo auspicio per un futuro senza speranza.

 

 

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Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Quando un popolo ama il bello l’egoismo si scioglie. Se così non è, sempre più aridi e più desolati divengono gli uomini, cresce la sottomissione e con essa l’arroganza, l’opulenza cresce insieme alla fame e all’ansia per il cibo. Così il mondo intorno a noi diviene un deserto e il passato si sfigura in un cattivo auspicio per un futuro senza speranza.

Holderlin

«Che tutto cambi radicalmente!
Dalle radici dell'umanità germogli il nuovo mondo!».
 Iperione

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«Quando un popolo ama il bello […] lì soffia uno spirito universale come aura vitale, lì si apre la mente timida, l’egoismo si scioglie, pii e nobili sono tutti i cuori […]. Un tale popolo è patria per tutti gli uomini e volentieri vi soggiorna lo straniero. [Se così non è] spariscono le gioie migliori della vita e qualsiasi altro pianeta è migliore della Terra. Sempre più aridi, sempre più desolati divengono gli uomini che sono invece nati belli; cresce la sottomissione e con essa l’arroganza, l’ebbrezza aumenta insieme alle pene, l’opulenza cresce insieme alla fame e all’ansia per il cibo […]».

«Non dobbiamo consegnarci prigionieri al destino e ai nostri sensi, […] rinnegare la ragione e divenire animali […] strappando così il bel legame che ci unisce agli altri spiriti, rendendo un deserto il mondo ingtorno a noi […]».

«L’ideale di tutto ciò che esiste
Dobbiamo custodirlo sacro e puro.
L’istinto che abbiamo, di dare forma
All’informe secondo il divino che è in noi,
Di sottomettere la natura recalcitrante
Allo spirito che ci governa,
Non deve mai fermarsi a mezza strada.
Ma ancora più acuto è allora il dolore
Della lotta, ancora più grande il pericolo
Che il combattente saguinante e sconfortato
Abbandoni le armi divine,
Si pieghi alla ferrea necessità,
Rinneghi se stesso e diventi bestiale …
O anche che, inasprito dalla resistenza,
Combatta la natura non come dovrebbe,
Per donarle pace e unità,
Ma solo per piegare la ribelle.
Così uccidiamo il bisogno più umano,
Rinneghiamo quella disponibilità
Che ci univa agli altri spiriti.
Così il mondo intorno a noi diviene un deserto
E il passato si sfigura in un cattivo auspicio
Per un futuro senza speranza».

Friedrich Hölderlin, Iperione o l’eremita in Grecia, Bompiani, 2015, pp. 307, 457, 661, 669.

Friedrich Hölderlin (1770-1843)– Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste. Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine. Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è soltanto come un supervisore.

Friedrich Hölderlin (1770-1843) – L’uomo che pensa deve agire, deve dispiegarsi. Egli può molto, stupenda è la sua parola che strasforma il mondo. Un potente anelito, con radici profonde, lo spinge verso l’alto.

 

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Friedrich Hölderlin (1770-1843)– Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste. Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine. Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è soltanto come un supervisore.

Holderlin

«Chi si accontenta
del profumo della mia pianta
non la conosce,
e non la conosce nemmeno
chi la raccoglie soltanto per istruirsi».
 Iperione

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«Capite ora perché gli ateniesi in particolare dovevano essere un popolo di filosofi?
Gli egiziani non avrebbero potuto. Chi non vive un amore ricambiato alla pari con il cielo e la terra, chi non vive in questo senso unito all’elemento in cui si muove, non è così unito in se stesso per natura, e non sperimenta quindi la bellezza eterna così facilmente come un greco. […] L’egiziano si è consumato prima di diventare un tutto, e di conseguenza non sa nulla del tutto, nulla della bellezza, e la cosa più alta che conosce è un potere velato, un enigma spaventoso; la cupa e muta Iside è per lui l’alfa e l’omega, un’infinità vuota da cui non è mai venuto nulla di sensato. Anche dal nulla più sublime nasce solo il nulla.
Il Nord invece ritira troppo presto i suoi germogli, e se lo spirito passionale dell’egiziano se ne va subito per il mondo desideroso di viaggiare, lo spirito nel Nord si appresta a ritirarsi in se stesso ancora prima di essere pronto a partire. Nel Nord bisogna sviluppare l’intelletto ancora prima che i sentimenti siano maturi, ci si fa carico di tutte le colpe prima che si sia concluso il tempo felice della spensieratezza; bisogna essere razionali, consapevoli prima ancora di diventare uomini, persone intelligenti prima di essere bambini; non si lasciano crescere e maturare nell’uomo l’unità e la bellezza prima che egli inizi la sua formazione e il suo sviluppo. L’intelletto, la ragione soltanto sono i signori incontrastati del Nord.
Ma l’intelletto da solo non ha mai prodotto cose intelligenti, la ragione da sola non ha mai prodotto cose razionali.
Senza la bellezza dello spirito, l’intelletto è come un aiutante servizievole che dal legno grezzo ricava una staccionata seguendo le istruzioni, inchiodando insieme i paletti che ha preparato per il giardino che il padrone vuole costruirsi.
L’intelletto si occupa del minimo indispensabile. Ci protegge dal nonsenso e dall’ingiustizia, in quanto mantiene l’ordine; ma essere al sicuro dal nonsenso e dall’ingiustizia non è la condizione più alta dell’ eccellenza umana.
Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è come un supervisore che il padrone di casa ha posto sopra i suoi servitori, che non sa quale sarà il risultato di tutto quel lavoro infinito, proprio come non lo sanno i servitori, e si limita a gridare: «sbrigatevi», ma allo stesso tempo non vede di buon occhio l’avanzamento dei lavori, perché alla fine non avrebbe più nulla da fare e il suo ruolo si esaurirebbe.
Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste.
Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine nell’unione e nella divisione di ogni materia possibile».

Friedrich Hölderlin, Iperione o l’eremita in Grecia, Bompiani, 2015, pp. 293, 295.

 

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Margherita Guidacci, Margherita Pieracci Harvell – «Specularmente. Lettere, studi, recensioni». A cura di Ilaria Rabatti

specularmente

252 ISBN

Margherita Guidacci – Margherita Pieracci Harvell

 

Specularmente. Lettere, studi, recensioni

A cura di Ilaria Rabatti

ISBN 978-88-7588-173-3, 2016, pp. 144, Euro 15, Collana “Egeria” [18].

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Margherita Guidacci ricorda così l’incontro con Margherita Pieracci Harwell, avvenuto a Firenze il 25 agosto 1988: «[…] a Firenze mi aspettava una mia amica che vive ed insegna in America e che perciò posso rivedere solo durante l’estate, quando torna in Italia in vacanza. Se il mio sogno americano non fosse tramontato, l’avrei rivista anche nel giro che dovevo fare fra un mese circa in alcune Università statunitensi fra le quali, naturalmente, era inclusa anche la sua (che è Chicago); ma almeno ci siamo riviste ieri. È una donna molto sensibile e intelligente e ha scritto su di me alcune delle pagine più penetranti che mi sia capitato di leggere. Ci vogliamo bene anche perché abbiamo fra di noi una certa “specularità” e quando ci salutiamo, ci par di salutare l’eco».

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Margherita Pieracci Harwell – In lode della lettura: si legge per veder meglio in sé, riflessi in un altro.

 


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Georg Büchner (1813-1837) – La drammaturgia critica di un rivoluzionario: La morte di Danton – Leonce e Lena – Woyzeck

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La morte di Danton

Georg Büchner

Teatro

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Risvolto di copertina

«L’autore drammatico non è altro, ai miei occhi, che uno storico, ma sta al di sopra di quest’ultimo, perché egli ricrea per noi la storia una seconda volta: invece di fornirci un racconto secco e spoglio, ci introduce immediatamente nella vita di un’epoca, ci dà caratteri invece di caratteristiche, personaggi anziché descrizioni». Così Büchner, autore drammatico, definisce il proprio compito in una lettera alla famiglia del 1835. Aveva appena terminato La morte di Danton, il suo primo lavoro letterario, e neanche venti mesi lo separavano dalla morte in esilio a Zurigo, a soli 24 anni, spesi quasi interamente nell’attività rivoluzionaria e negli studi scientifici. Delle altre due opere, Leonce e Lena e Woyzeck – pubblicate parecchi anni dopo la sua morte –, Büchner non parla, almeno nelle lettere di lui che ci sono rimaste. Tanto maggiore ci sembra il prodigio nel vedere come quel giovane abbia potuto precorrere – in queste opere che costituiscono forse il tentativo più audace di rinnovamento che la storia del teatro del XIX secolo conosca – motivi formali e ideologici la cui riscoperta ad opera del naturalismo, e soprattutto dell’espressionismo alla vigilia della prima guerra mondiale, sarebbe stata definita da Walter Benjamin come uno dei «pochi avvenimenti politico-letterari dell’epoca la cui attualità deve apparire di una luce accecante alla presente generazione». Dalla prima rappresentazione di La morte di Danton, curata da Max Reinhardt nel 1916, a quella di Vogt del 1921 con Alessandro Moissi nella parte di Danton, il teatro di Büchner è entrato ormai a far parte del repertorio classico, sia in Germania, sia in Francia, sia in Italia.


Risvolto di copertina
Sotto l’apparenza del dramma storico Morte di Danton nasconde i nervi scoperti della condizione umana, cosí come sarà rivelata e rappresentata un secolo dopo, nel Novecento, con quella stessa incandescenza, la stessa disillusione, lo stesso urlo soffocato. Per Büchner, come per Leopardi, la Storia non è che una macchina celibe, anche se le ragioni per scatenare la rivoluzione sono sempre tutte vive e presenti. Quello che commuove, in Morte di Danton, è la fragilità: sembra un paradosso, trattandosi di vicende che raccontano i protagonisti di un tempo in cui si è sprigionata una forza di cui ancora oggi sentiamo la spinta. Eppure nessuno di quegli uomini ha potuto sottrarsi, oltre che alla ghigliottina, alla verifica della propria impossibilità di invertire la rotta assegnata (da Dio? dalla Natura? dal Nulla?) agli esseri umani, nonché di porre rimedio all’ingiustizia che da sempre regna sovrana.

Mario Martone

 

 

La visione di Danton. Mario Martone porta in scena una riuscita quanto inquietante riflessione sulla politica

01-morte-di-danton-img-2106

 

La drammaturgia critica di un rivoluzionario: Büchner
La morte di Danton: autopsia di una rivoluzione

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  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore) al 04-03-2016


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


 

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Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.

Preve marxiano

Costanzo


Straniamento è il concetto brechtiano adottato da Preve come metafora dell’operazione filosofica e dello scopo della propria opera: mettere in moto un riorientamento, uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo. Fare ingresso nel pensiero di Preve significa invitare a familiarizzare con lo straniamento, a prendere confidenza con la problematizzazione del proprio tempo. I contributi del presente volume mirano a produrre tale risultato, cercando di fornire al lettore alcune coordinate utili per orientarsi nel laboratorio filosofico che Preve ha costruito intorno al suo confronto con Marx e il marxismo.

In onore di Costanzo Preve

 

Straniamento due cop


 

Invito allo Straniamento

I. Costanzo Preve filosofo

211 Coperta

ISBN 978-88-7588-111-5, 2014, pp. 176, Euro 15 – Collana “Il giogo” [57]

A cura di Alessandro Monchietto e Giacomo Pezzano
Contributi di:
Alessandro Monchietto, Giacomo Pezzano, Stefano Sissa, Alessandro Volpe, Piotr Zygulski, Diego Fusaro, Andrea Bulgarelli, Luca Grecchi.

indicepresentazioneautoresintesi

 

Invito allo Straniamento

II. Costanzo Preve marxiano

254 ISBN

ISBN 978-88-7588-152-8, 2016, pp. 176, Euro 15 – Collana “Il giogo” [67]

A cura di Alessandro Monchietto
Contributi di:

Andrea Bulgarelli, Oliviero Calcagno, Diego Fusaro, Luca Grecchi, Gianfranco La Grassa, Diego Melegari, Rodolfo Monacelli, Giacomo Pezzano, Francesco Ravelli, Franco Toscani.

indicepresentazioneautoresintesi

  Costanzo Preve marxiano

 

Erwin-Piscator-pic

Il volume omaggia la filosofia di Costanzo Preve (1943-2013), uno dei pensatori più originali e meno riconosciuti del nostro tempo.

Straniamento è il concetto brechtiano adottato da Preve come metafora dell’operazione filosofica e dello scopo della propria opera: mettere in moto un riorientamento, uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.

Fare ingresso nel pensiero di Preve significa invitare a familiarizzare con lo straniamento, a prendere confidenza con la problematizzazione del proprio tempo. I contributi del presente volume mirano a produrre tale risultato, cercando di fornire al lettore alcune coordinate utili per orientarsi nel laboratorio filosofico che Preve ha costruito intorno al suo confronto con Marx e il marxismo.

 

Brecht 's 'Verfremdungseffekt' theory.

Brecht ‘s ‘Verfremdungseffekt’ theory [Teoria effetto straniamentodi Brecht].


Alcuni libri di Costanzo Preve:

Un secolo di marxismo. Idee e ideologie.
Hegel Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia contemporanea.
Marxismo, Filosofia, Verità.

Storia dell’etica.
Storia del materialismo.
Storia della dialettica.
Marx e gli antichi Greci.

Lettera sull’Umanesimo.
Filosofia della verità e della giustizia. Il pensiero di Karel Kosík.
Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia.


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 logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore) al 27-02-2016


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John Dos Passos (1896-1970) – Scrivere per denaro è almeno altrettanto stupido che scrivere per autoesprimersi. L’anima di una generazione è il suo linguaggio.

Dos Passos

ThreeSoldiers

Il ricordo dell’opera che avrei voluto scrivere non è ancora impallidito al punto da rendermi facile il leggere l’opera che ho scritto. Né è abbastanza impallidita la memoria della primavera 1919. Ogni primavera è tempo di cambiamenti, ma allora Lenin era vivo, lo sciopero generale di Seattle era sembrato l’inizio dell’inondazione anziché l’inizio del calo della marea, gli americani a Parigi erano sbronzi di teatro e pittura e musica; Picasso avrebbe ricostruito l’occhio, Stravinskij faceva risuonare nelle nostre orecchie le steppe russe, correnti d’energia sembravano irrompere d’ogni dove mentre baldanzosi giovani emergevano dalle loro uniformi, l’America imperiale era tutta un luccichio nell’idea del nuovo Ritz, da ogni parte i paesi del mondo si protendevano affamati ed arrabbiati, pronti a tutto purché fosse nuovo e turbolento; dovunque andassi vedevi Charlie Chaplin. Il ricordo della primavera 1919 non è impallidito abbastanza da rendere appena più facile la primavera del 1932. Non che l’oggi fosse allora piu piacevole di quel che è adesso, era forse il domani che sembrava piu vasto; tutti sanno come crescere sia il processo di cogliere i germogli di domani. Molti di noi, giovanissimi in quella primavera, ci siamo fatti un giaciglio e vi abbiamo giaciuto; un bel mattino ti svegli e scopri che quel che avrebbe dovuto essere solo una molla per spingerti nella realtà è una professione, che l’organizzazione della tua vita che avrebbe dovuto servire a farti vedere di più e più chiaramente si è rivelata una sorta di paraocchi costruiti in base a uno schema predestinato: il giovane che pensava di fare il vagabondo si ritrova miope intellettuale borghese (o vagabondo, va male comunque). Va bene, sei un romanziere. E allora? Che te ne fai? Che scusa trovi per non vergognarti di te stesso? Non che vi sia una qualche ragione, suppongo, per vergognarsi del mestiere di scrittore. Un romanzo è un bene di consumo che risponde ad una determinata esigenza; la gente ha bisogno di comprare sogni ad occhi aperti come ha bisogno di comprare gelati o aspirina o gin. Qui e là hanno perfino bisogno di comprare un pizzico di intellettualismo per ravvivare i propri pensieri e qualche goccia di poesia per stimolare i propri sentimenti. Quel che basterà a farti sentire soddisfatto del tuo lavoro sarà tirar fuori il miglior prodotto possibile, soddisfare il mercato di lusso e al diavolo tutto il resto […].
Guadagnarsi da vivere vendendo sogni ad occhi aperti, sensazioni, pacchetti di stimolanti mentali, va benone, ma ritengo che pochissimi la ritengano vita adatta ad un adulto sano. Naturalmente ci puoi fare quattrini ma, anche a parte la caduta del capitalismo, il profitto tende ad essere motivo consunto, destinato sempre più ad essere soffocato dal suo stesso potere e complessità.
Scrivere per denaro è almeno altrettanto stupido che scrivere per autoesprimersi […].
E allora per che cosa scrivi? Per convincere la gente di qualcosa? Questo è predicare ed è parte del mestiere di chiunque abbia a che fare con le parole: il non ammetterlo equivale a giocare con un fucile per poi blaterare che non sapevi che era carico. Ma al di là della predica c’è qualcosa come lo scrivere per lo scrivere. Un ebanista si diverte ad incidere il legno perché è un ebanista; così ciascun tipo di lavoro ha il suo inerente vigore. L’anima di una generazione è il suo linguaggio. Uno scrittore rende duraturi taluni aspetti di questo linguaggio stampandoli. Afferra le parole e le frasi di oggi e ne fa forme per forgiare l’anima della generazione di domani. Questa è storia. Uno scrittore che scrive direttamente è architetto di storia […]. Né sarebbe necessario ripetere cose di questo genere qualora non ci avvenisse di appartenere ad un paese e ad un’epoca di così peculiare confusione allorché la sensibilità dell’uomo medio alla carta stampata è stata prima accesa dal nebuloso sentimentalismo dei professori di letteratura che sostituiscono i classici con «buoni libri moderni», e poi atrofizzata dall’abbaiare degli imbonitori delle case editrici su un qualunque piatto di spazzatura contrabbandato tra una portata e l’altra. Oggi noi scriviamo per la prima generazione americana che non è stata educata sulla Bibbia, e nulla l’ha finora sostituita in termini di disciplina letteraria.
Questi anni di confusione, quando tutto deve essere rietichettato e le parole perdono di settimana in settimana il loro significato, possono essere veleno per il lettore ma sono cibo per lo scrittore […].
Chi di noi è sopravvissuto ha visto come questi anni abbiano strappato una ad una le grandi illusioni del nostro tempo; noi dobbiamo avere a che fare con la nuda struttura della storia ora, dobbiamo farlo presto, prima che sia essa a imprimerci il suo stampo e a metterci fuori gioco.

Dall’Introduzione di John Dos Passos alla edizione della Modern Library di Three Soldiers, 1932.

DosPassos3GIs1937

Three Soldiers (1921, romanzo), tr. Lamberto Rem Picci, Il mondo fuori casa, Jandi Sapi, Roma 1944; tr. Luigi Ballerini, I tre soldati, Casini, Roma 1967.


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