Juan Gelman (1930-2014) – Sogno il mio sogno preferito. La poesia è una forma di resistenza ad un mondo sempre più crudele, terribile, disumanizzante.

Juan Gelman 01

Non so perché ti amo.
So che per questo ti amo.
Juan Gelman

La poesia è una forma di resistenza.
Lo è scrivere.
Resistenza ad un mondo sempre più crudele, terribile, disumanizzante.
Juan Gelman

Nella prigione

caddero i miei anelli
non le mie dita
il mio splendore non è fatto di gemme
ho la mia fede
la mia dignità
la mia anima che brilla
il nome
con cui mio padre si chiamò
[…]

Sogno il mio sogno preferito

Sogno il mio sogno preferito
e la notte non finisce mai.
Gli alberi rivelano il loro alfabeto
e stelle che
parlano dell’infinito
di ogni soffio del vivere.
Costruisco madri passate
con la mano affondata nella notte.
Che bello era il suo angolo
dove echi vaghi la nominavano!
Così, di spalle a me,
fuggiva ad un paese baciato
dalla sua gelida gioventù.
Madre che
cucinavi distanze
nelle pentole del giorno.
Mi parli ancora
dalle crepe del tempo.

Juan Gelman

 traduzione di Laura Branchini

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Nazim Hikmet (1902-1963) – Se fossi porta mi aprirei ai buoni e mi chiuderei ai malvagi. Se fossi parola invocherei il bello, il giusto, il vero e direi il mio amore in un sospiro.

Nazim Hikmet 01

I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.

Nazim Hikmet,  Lettere dal carcere a Munevvér, 1942.

 

Se fossi platano, mi riposerei alla sua ombra.
Se fossi libro,
leggerei, senza annoiarmi, nelle notti insonni
matita non vorrei esserlo, neppure tra le mie dita
se fossi porta
mi aprirei ai buoni e mi chiuderei ai malvagi
se fossi finestra, una finestra spalancata, senza cortine
farei entrare la città nella mia stanza
se fossi parola
invocherei il bello, il giusto, il vero
se fossi parola
direi il mio amore in un sospiro.

Nazim Hikmet, Il neige dans la nuit et autres poèmes, Gallimard, Parigi 1999, p. 23.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Mario Vegetti (1937-2018) – Il sognatore che pensa,  il pensatore che sogna nel «Racconto del Saggio del Capitale».

Mario Vegetti, sognatore che pensa, pensatore che sogna
Platone, Repubblica, Libro XI – Lettera agli amici d’Italia, Guida-Falsi originali, 2018
Mario Vegetti

Mario Vegetti,
il sognatore che pensa,  il pensatore che sogna.

Il 4 gennaio 2020 Mario Vegetti avrebbe compiuto 83 anni. Era nato il 4 gennaio del 1937 (tre giorni prima del suo amico Diego Lanza, con il quale condividerà, in una straordinaria amicizia filosofica, fondamentali percorsi di ricerca, fino a quando – dopo che Diego ci aveva lasciato il 7 marzo 2018 – anche Mario ci ha lasciato, quattro giorni dopo, l’11 marzo 2018.
Vogliamo ricordare Mario con questo suo piccolo-grande scritto, la sua “Storia raccontata dal Saggio del Capitale“, in cui risuonano le note dell’Internazionale, un racconto da lui portato alla considerazione di Socrate, in questo “XI Libro” de La Repubblica di Platone, che immagina sia stato ritrovato nel 1937 in un convento dell’Armenia.

Mario Vegetti, sognatore che pensa e pensatore che sogna, ci ha insegnato che solo con una perseverante educazione umanistica l’uomo potrà realizzare la propria specifica “umanità”, e, con una strenua resistenza culturale, liberarsi da quella generica “animalità” che da secoli lo vincola ad una conflittuale sussistenza sociale, senza consegnare alle attuali modalità sociali la propria dignità,  e più in generale la propria vita.

Associazione culturale Petite Plaisance

Una storia raccontata dal Saggio del Capitale

«Lo Straniero di Treviri:
[…] Questa è dunque la storia che mi è stata narrata da un vecchio profeta delle mie parti che là chiamavano il Saggio del Capitale.

 

 

“C’è un fantasma che si aggira per il mondo – il Fantasma del Comunismo. In molti hanno contribuito ad evocarlo – anche tu, Socrate – ma poi, spaventati dalla sua forza e dal suo aspetto terribile, si sono fermati a metà strada e hanno cercato di farlo nuovamente sparire con i loro falsi esorcismi. Ma una volta ridestato l’immenso fantasma non fermerà mai più il suo cammino. Talvolta agisce in piena luce, e il mondo conosce allora epoche grandi e tremende. Spesso invece lavora in segreto e in silenzio, e come una talpa erode sottoterra le fondamenta dell’ingiustizia. Esso combatte contro i mostri che dominano la nostra storia: vampiri che si alimentano del lavoro vivo di chi opera nei campi e nelle officine, orrendi feticci impastati di merce e di denaro. La sua bandiera è rossa e un giorno tutti gli sfruttati e gli oppressi del mondo si riuniranno sotto di essa, spezzeranno le loro catene e avanzeranno verso un nuovo sole che sorgerà sulle tenebre della storia. Allora non vi saranno più padroni e schiavi nobili e plebei, borghesi e proletari, ricchi e poveri, non vi saranno più stati e nazioni, imperi e colonie, e non vi saranno più guerre fra i popoli, riuniti finalmente in un’internazionale che sarà l’inizio della futura umanità. Tutti saranno liberi, uguali e fratelli tra loro. La vita tornerà ad essere davvero umana: non se ne dovrà più cedere ad alcuno il tempo in cambio dei mezzi di sussistenza, l’uomo tornerà al centro del mondo e non dovrà più ricorrere, per consolarsi, alle fole della religione e dell’aldilà. Chi lo vorrà, e quando lo vorrà, potrà essere filosofo e pescatore, politico e artigiano, artista e contadino. Fioriranno le arti e le scienze, non più poste al servizio del potere e della ricchezza. Le macchine libereranno gli uomini dalla fatica del lavoro necessario, la natura, non più sfruttata per arricchire i pochi che possiedono le terre, le acque, i cieli, tornerà a donare ad ognuno i suoi frutti copiosi, come diceva anche, credo, un vostro vecchio poeta. Non esisteranno più Stati né governi né eserciti né polizie, perché tutti vivranno liberi e autonomi, secondo giustizia. Il Fantasma avrà così compiuto la sua opera secolare, e il genere umano sarà finalmente liberato dai mali e dalle sciagure che l’hanno afflitto nel corso dei tempi. Ma non prima di allora”.

Lo Straniero di Treviri:
Io non so, Socrate, se questa storia potrà un giorno avverarsi. Ma di una cosa sono convinto: o la profezia del Saggio derl Capitale verrà realizzata, oppure il mondo precipiterà in una barbarie ancora peggiore di quella che conosciamo, in una notte di distruzione e di morte che neppure, forse, riusciamo ad immaginare.

Trasimaco
Ma per il Cane, eccone un altro che si mette a raccontarci le storie dei fantasmi, come se non ci bastassero quelle di Socrate. Care le mie nonnette, sappiate che siamo ormai adulti, e la verità non ci fa paura. E la verità, ma ormai mi sono stancato di ripetervelo, è che non ci sono né dèi né uomini, diavoli o fantasmi che tengano: chi è forte comanda, chi è debole subisce. E si consola con i sogni della giustizia in questo o nell’altro mondo.

Socrate
Trasimaco, ti ripeti davvero in un modo un po’ monotono. Su una cosa però io e lo Straniero qui siamo d’accordo: occorre ed è ogni giorno più urgente una straordinaria mutazione del corso del mondo, perché la barbarie è davvero alle porte, e l’ingiustizia di cui ora soffriamo non è più tollerabile per il genere umano.. Ben venga il tuo fantasma, Straniero, se potrà aiutarci in questo mutamento. Quanto a te, Trasimaco, forse un giorno potrai tu stesso allearti con noi, se il tuo personale spettro – intendo l’ossessione del potere – potrà servire come uno strumento utile a fornirci la forza per cambiare l’inerzia dei tempi. Io però ora, cari compagni, sono stanco: lascio ad altri il compito di raccogliere la bandiera che la vecchiezza e la sorte che mi attende, mi costringono a lasciar cadere a terra, su queste polverose strade del Pireo.

Lo Straniero di Treviri:
Ripresi allora finalmente (era ormai giorno fatto) la salita che mi conduceva in città. Gli altri, credo, continuarono a far onore al buon vino di Cefalo».


Mario Vegetti, Platone, Repubblica, Libro XI – Lettera agli amici d’Italia, Guida-Falsi originali, 2018, pp. 31-33.

Questo volume presenta due testi inediti di Platone, a lungo dimenticati poiché considerati apocrifi: il libro XI (nonché ultimo) della Repubblica, e la Lettera XIV agli amici d’Italia sulla giustizia. Entrambi i testi suscitano uno straordinario interesse perché documentano una svolta imprevista nel pensiero del grande filosofo: l’incontro di Socrate con l’enigmatica figura dello “straniero di Treviri”, nel quale è forse possibile riconoscere un antico precursore di Karl Marx. Questo incontro è drammaticamente descritto nel libro XI della Repubblica. La Lettera invece documenta un episodio della storia d’Italia finora sconosciuto: un piccolo avventuriero, demagogo spregiatore della giustizia, esercita la tirannide con l’appoggio di alcune selvagge tribù di barbari del Nord. Entrambi gli scritti platonici sono accompagnati da ampi commenti critici e filologici.


Enrico Berti – Luciano Canfora – Bruno Centrone
Franco Ferrari – Francesco Fronterotta – Silvia Gastaldi

La filosofia come esercizio di comprensione

Studi in onore di Mario Vegetti

indicepresentazioneautorisintesi

Introduzione di
Giovanni Casertano e Lidia Palumbo


Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

Enrico Berti

Aristotele: quinto nucleo tematico di interesse per Vegetti?

Vedi pubblicazioni di Berti Enrico



Luciano Canfora

Mario Vegetti nei «Quaderni di storia»

Vedi pubblicazioni di Canfora Luciano



Bruno Centrone

Quindici lezioni e non solo.
La Lezione (metodologica) di Mario Vegetti su Platone

Vedi pubblicazioni di Centrone Bruno



Franco Ferrari

Al di là dell’essere: la dynamis tou agathou.
Gli studi di Mario Vegetti sull’idea del Buono in Platone

Vedi pubblicazioni di Ferrari Franco



Francesco Fronterotta

L’anima, il corpo, il medico

Vedi pubblicazioni di Fronterotta Francesco



Silvia Gastaldi

Gli studi di Mario Vegetti sull’etica antica: un approccio innovativo

Vedi pubblicazioni di Gastaldi Silvia



Giovanni Casertano

Introduzione

Vedi pubblicazioni di Casertano Giovanni



Lidia Palumbo

Introduzione

Vedi pubblicazioni di Palumbo Lidia



Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Fiorinda Li Vigni

Nota di saluto

Vedi pubblicazioni di Li Vigni Fiorinda


Mario Vegetti – La filosofia e la città: processi e assoluzioni .

Mario Vegetti – Il lettore viene introdotto a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d’Occidente.

Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele: la potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci.

Mario Vegetti – Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica.

Mario Vegetti (1937-2018) – «Scritti sulla medicina galenica». Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività.

Mario Vegetti (1937-2018) – Il tempo, la storia, l’utopia. Cè il tempo dell’utopia, cioè della realizzazione della kallipolis attuata. L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile).

Berti, L. Canfora, B. Centrone, F. Ferrari, F. Fronterotta, S. Gastaldi – «La filosofia come esercizio di comprensione. Studi in onore di Mario Vegetti». Introduzione di G. Casertano e L. Palumbo


Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti

Massimo Stella – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti

Casa della cultura di Milano – «Per Mario Vegetti» * Scritti di: Ferruccio Capelli, Michelangelo Bovero, Eva Cantarella, Fulvia de Luise, Franco Ferrari, Silvia Gastaldi, Alberto Maffi, Fulvio Papi, Valentina Pazé, Federico Zuolo.

Silvia Gastaldi, Una rivoluzione negli studi di antichistica

Eva Cantarella, MADRE MATERIA, Studi pioneristici sul femminile nell’antichità

Franco Ferrari, L’inattualità di Platone. Politica e utopia

Fulvia de Luise, La scrittura dell’utopia. Come mettere in moto un paradigma normativo

Alberto Maffi, Trasimaco fra Platone e Aristotele

Fulvio Papi, Per Mario Vegetti

Michelangelo Bovero, Pensare la politica con Mario Vegetti

Valentina Pazé, La schiavitù tra natura e artificio

Federico Zuolo, Radicalità e attualità. Sull’uso contemporaneo dei classici

Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico

Silvia Fazzo – Grazie Mario Vegetti! Per la lucidità luminosa delle tue intuizioni. Amavi la vita per tutto ciò che ha di più vero. Hai formato una intera generazione di allievi e di allievi degli allievi.

Ricordo di Mario Vegetti – Rai Filosofia
 Addio a Mario Vegetti, l’utopia di Platone e i suoi chiaroscuri – La Stampa
Mario Vegetti,  filosofo studioso di Platone – Corriere della Sera

ADDIO A MARIO VEGETTI

Mario Vegetti – La filosofia e la città: processi e assoluzioni .
Mario Vegetti – Il lettore viene introdotto a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d’Occidente.
Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele: la potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci.
MARIO VEGETTI filosofi al potere – YouTube
Mario Vegetti e Mauro Bonazzi “LO SPECCHIO DI ATENE” – YouTube
Mario Vegetti: SAPERE E SAPER AGIRE: sophia e … – YouTube
Mario Vegetti “Festival Filosofia” – YouTube
Mario Vegetti – YouTube
Associazione Marx XXI – Mario Vegetti – YouTube
Mario Vegetti – Aventino Frau: Socrate contro Trasimaco … – YouTube
Mario Vegetti: “La filosofia e la città greca” FILOSOFIA E … – YouTube
Le domande dei non credenti – YouTube

Mario Ricciardi, Simona Forti e Mario Vegetti “il Novecento … – YouTube

Mario Vegetti – Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica.

Mario Vegetti (1937-2018) – «Scritti sulla medicina galenica». Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività.

Mario Vegetti (1937-2018) – Il tempo, la storia, l’utopia. Cè il tempo dell’utopia, cioè della realizzazione della kallipolis attuata. L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile).

Franco Ferrari, «Vegetti, inattualità di Platone e del comunismo». Filosofia antica. La città perfetta del filosofo greco letta come utopia progettuale: un ritratto di Mario Vegetti a due mesi dalla morte, mentre esce da Carocci l’ultimo libro.

Fulvio Papi, MARIO VEGETTI, ELLENISTA E FILOSOFO “INATTUALE”

Casa della cultura di Milano – «Per mario vegetti» * Scritti di: Ferruccio Capelli, Michelangelo Bovero, Eva Cantarella, Fulvia de Luise, Franco Ferrari, Silvia Gastaldi, Alberto Maffi, Fulvio Papi, Valentina Pazé, Federico Zuolo.

E. Berti, L. Canfora, B. Centrone, F. Ferrari, F. Fronterotta, S. Gastaldi – «La filosofia come esercizio di comprensione. Studi in onore di Mario Vegetti». Introduzione di G. Casertano e L. Palumbo

Vincenzo Damiani – Tra scienza e filosofia, epistemologia e società: Mario Vegetti sulla medicina antica.

Fulvia De Luise – Un «Paradigma in cielo» di Mario Vegetti. Platone ci insegna a vedere nell’uso del paradigma una forma di educazione del pensiero che taglia i legami collusivi con l’esistente, liberando la capacità di progettare un mondo nuovo.

Mario Quaranta – L’avvincente lettura del libro «Scritti con la mano sinistra» di Mario Vegetti che, per sostenere l’attualità del discorso filosofico, mette in campo alcune cruciali questioni.

Vincenzo Damiani – Tra scienza e filosofia, epistemologia e società: Mario Vegetti sulla medicina antica.

Casa della cultura di Milano – «Per mario vegetti» * Scritti di: Ferruccio Capelli, Michelangelo Bovero, Eva Cantarella, Fulvia de Luise, Franco Ferrari, Silvia Gastaldi, Alberto Maffi, Fulvio Papi, Valentina Pazé, Federico Zuolo.

Mario Vegetti – Il lettore viene introdotto a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d’Occidente.


Mario Vegetti

Scritti sulla medicina galenica

ISBN 978-88-7588-215-0, 2018, pp. 464, Euro 35 .

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Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività. La selezione dei saggi qui pubblicati è stata realizzata dall’Autore negli ultimi mesi della sua vita. A causa della sua morte, avvenuta il giorno 11 marzo 2018, l’Autore non ha potuto rivedere le bozze.

Questo libro, cui l’Autore teneva tanto, ci consente di mantenere vivo il ricordo anche di questa parte della sua opera; ecco dunque il motivo per cui siamo lieti, insieme alla sua famiglia, di offrire ai lettori, soprattutto a quelli più giovani, la presente raccolta. Per la quale, innanzitutto, dobbiamo ringraziare Mario.


Mario Vegetti

Scritti sulla medicina ippocratica

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ISBN 978-88-7588-225-9, 2018, pp. 416, uro 30

I saggi raccolti in questo volume ripercorrono gli ultimi cinquant’anni di ricerca ippocratica. Gli entusiasmi iniziali, ben motivati dalla “scoperta” di un grande territorio del sapere scientifico fino ad allora relativamente inesplorato, dei suoi metodi e della sua efficacia terapeutica, hanno via via ceduto in parte il campo a un più equilibrato atteggiamento critico-storico. Nel suo insieme, una lettura di questi testi può continuare ad offrire un panorama intellettuale utile a comprendere le coordinate metodiche e sociali che hanno consentito la comparsa di uno dei fenomeni più rilevanti dell’antica tradizione scientifica dell’Occidente. I saggi sono disposti in ordine cronologico, ad eccezione delle due introduzioni al volume ippocratico (1964 e 1973) che sono poste al termine per il loro carattere riassuntivo.


Mario Vegetti

Il coltello e lo stilo

Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica

Petite Plaisance, ISBN 978-88-7588-228-0, 2018, pp. 192, Euro 20

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«La stagione culturale cui appartiene Il coltello e lo stilo va certo messa in contesto ma non può venire rimossa né esser soggetta ad alcuna damnatio memoriae; può anzi darsi che essa continui a restarci indispensabile, tanto sul piano intellettuale quanto appunto su quello dell’ethos».

Mario Vegetti

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Premessa alla nuova edizione del 2018

 Il coltello e lo stilo fu pubblicato nella primavera del 1979. Fin dalla sua comparsa, suscitò un vivace interesse, non solo, e non tanto, fra gli specialisti di antichistica, quanto presso un pubblico composito di lettori che frequentavano i territori che allora si chiamavano “cultura critica”: epistemologia, antropologia, psicoanalisi, ed eventualmente movimenti come quello femminista e animalista. Ne uscirono naturalmente diverse interpretazioni del senso e degli intenti del libro (dalla critica irrazionalistica ai fondamenti “violenti” della scienza, a una rivisitazione moderata di Foucault).
Nell’introduzione all’edizione del 1996, riprodotta in questo volume, ho tentato di delineare le coordinate culturali entro le quali Il coltello e lo stilo era stato concepito, e di indicare un punto di vista d’autore sulla collocazione del libro. Ha fatto però bene l’editore a ristampare qui la prima edizione, quella del 1979. Da un lato, questo restituisce ai primi lettori la possibilità di un rinnovato incontro con il testo; dall’altro, e soprattutto, consente a nuovi lettori l’accesso alla forma originale del libro ormai da gran tempo esaurita. Non è immotivato pensare che questa ristampa possa apparire a qualcuno come una riscoperta, e ridestare almeno in parte l’interesse e la discussione così vivaci tanti anni or sono. Se così fosse, potremmo augurare “bentornato” al Coltello e lo stilo.

Mario Vegetti

Febbraio 2018


Mario Vegetti

Tra edipo e Euclide. Forme del sapere antico

ISBN 978-88-7588-227-3, 2018, pp. 208, Euro 20

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L’Edipo re di Sofocle e gli Elementi di Euclide costituiscono in un certo senso i confini entro i quali si svolge il percorso della razionalità antica. La tragedia del V secolo è anche un conflitto drammatico di saperi: quello profano e indagatore di Edipo, quelli sacri di Apollo e Tiresia, quello critico e sfuggente di Giocasta. All’opposto, il trattato euclideo propone l’idea di una scienza pacificata, senza conflitti e soggettività, tutta affidata al potere della dimostrazione. Tra questi limiti, il libro indaga una costellazione di forme del sapere antico, con i loro valori antropologici: dalle metafore politiche della medicina ippocratica a un oggetto scientificamente disturbante come la scimmia, dal problema del bambino cattivo nell’antropologia stoica alla zoologia immaginaria di Plinio. Il confronto tra l’idealismo di Galeno e la sfida materialistica proposta dalla medicina metodica, e l’indagine sugli stili epistemologici della scienza ellenistica concludono i saggi raccolti nel volume.


Paola Manuli – Mario Vegetti

Cuore, sangue e cervello.
Biologia e antropologia nel pensiero antico. In Appendice:
Galeno e l’antropologia platonica.

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La questione del ruolo da assegnare nell’organismo al cuore, al sangue e al cervello, e in particolare di stabilire a quale, o quali, di essi tocchi il rango di principio egemone, la signoria nell’organismo stesso, sta al centro di una delle vicende più tormentate della storia della biologia greca. Il suo interesse va oltre quello della genesi di una teoria biologica, l’encefalocentrismo, che pure avrebbe consegnato al sapere occidentale tutta una serie di certezze durevoli e di importanza fondamentale. Questa vicenda è un caso tipico, metodologicamente esemplare delle questioni connesse alla storia della scienza antica, e più in generale alle fasi di gestazione di una teoria scientifica: in essa elementi e vettori exstrascientifici si compongono in un intreccio indissolubile con i “dati” positivi e pilotano la stessa costruzione della teoria.
Qui ogni decisione presa all’interno del discorso biologico circa il “principio” dell’organismo interagisce con le esigenze di una psicologia e di una antropologia le quali, di norma, si costruiscono al di fuori di quel discorso, e in ogni caso rappresentano istanze ideologiche molto più generali, concezioni complessive sull’uomo, sulla società, sul mondo.


Mario Vegetti

Scritti con la mano sinistra

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Questi testi si caratterizzano per la loro coerenza, nei suoi aspetti di insistenza e resistenza. Insistenza, nel senso di continuare tenacemente a porre problemi e domande, senza variare disinvoltamente il punto di vista da cui l’interrogazione viene posta, rifiutando la convinzione secondo la quale sconfitte storiche sono di per sé la prova di errori nella teoria. E resistenza: che significa accettare i mutamenti imposti dalla riflessione e dalle cose stesse su cui ci si interroga, ma invece rifiutare pentitismi compiacenti, cedimenti corrivi alle mode correnti o alle “luci della ribalta”; restare fedeli, insomma, a ciò che di noi hanno fatto la nostra storia intellettuale e morale e la nostra collocazione.
Scritti con la mano sinistra, appunto. Nel doppio senso che si tratta, da un lato, di scritti marginali, parerga, rispetto al mio impegno professionale di studioso della filosofia antica; dall’altro, di scritti che rispecchiano più direttamente la mia collocazione politica, la mia presa di partito (la scelta “da che parte stare”). “A sinistra”, dunque. Una posizione alla quale mi consegnano la mia tradizione familiare, il mio percorso intellettuale e morale, la mia convinzione di un futuro possibile alternativo alla barbarie che attraversa il nostro tempo e ne minaccia l’orizzonte. E la stessa tensione razionale, lo stesso sforzo di comprensione e argomentazione, ispirano e sorvegliano (o almeno dovrebbero sorvegliare) sia il lavoro di ricerca sia la “presa di partito” che coinvolge l’uomo prima che il ricercatore.
Il libro è diviso in tre parti. Nella prima, Tra filosofia e politica, si discutono alcune problematiche filosofiche rilevanti dal punto di vista di interrogazioni che vengono, in senso lato, dalla politica. Nella seconda, Tra politica e filosofia, l’oggetto di indagine sono le prospettive della politica considerate da un punto di vista filosofico. Nella terza, Tra gli antichi e noi, si torna ad una riflessione sulla società e il pensiero dell’antichità dal punto di vista delle prospettive filosofico-politiche delineate.
Grandi interrogativi, dunque, per piccoli scritti, nell’intento di tenere aperto lo spazio dell’incertezza, di riproporre l’urgenza della riflessione, resistendo sia al cedimento di fronte all’omologazione del pensiero, sia alla rassegnazione di fronte all’estrema durezza dell’epoca. Non si tratta di un compito esclusivo del filosofo, e tanto meno dell’antichista, perché esso coinvolge la responsabilità morale e intellettuale di ognuno.


 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Sergio Rinaldelli – Vento di sogni. Note di pittura (1976-2018). Una conoscenza che si alimenta in un divenire ciclico nel quale si realizza la pienezza dell’espressione.

Rinaldelli, Vento di sogni

Sergio Rinaldelli,

Vento di sogni. Note di pittura (1976-2018).

ISBN 978-88-7588-170-2, 2020, pp. 120, Euro 10.

In copertina: Sergio Rinaldelli, Vento di sogni sulla parete antica, 2005, olio su faesite, 70×80.

La riflessione è un complemento importante del mio lavoro; da sempre ho l’abitudine di annotare – quasi una sorta di ‘diario di lavoro’ – pensieri e sensazioni che accompagnano la genesi dei quadri, con esiti d’importanza variabili in relazione all’esperienza maturata nel corso del tempo, ma comunque essenziali per la genesi di un percorso. Pensieri e sensazioni talvolta immagini essi stessi, ma sempre utile strumento di verifica, di conoscenza che si alimenta di se stessa in un divenire ciclico nel quale si realizza la pienezza dell’espressione.

Ricollegandomi idealmente alla precedente pubblicazione, Come una foglia a primavera, nella quale le note di pittura erano parte del tessuto narrativo generale, i testi raccolti nel presente volume rappresentano un itinerario specifico nell’insieme delle riflessioni riguardanti la mia pratica pittorica.

Itinerario che, partendo dal bizantinismo della figurazione degli anni ’70, snodandosi attraverso stilemi gotico-quattrocenteschi e simbolisti negli anni ’80 per uno sguardo personale sul mito greco delle origini in chiave junghiana, approda al progressivo superamento della figurazione, che ancora all’inizio degli anni ’90 vede una breve, quanto intensa immersione nelle atmosfere oniriche di una Venezia della mente e del cuore, tra suggestioni alchemiche e orientali che si risolvono, verso la metà degli stessi anni, in senso luministico e decisamente esoterico.

Successivamente l’attenzione si concentra sui soli elementi naturalistici, espressi secondo una disposizione spaziale che prelude all’astrazione simbolica degli anni 2000 e costituisce l’essenza del linguaggio attuale.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Paul-Ludwig Landsberg (1901-1944) – In Heidegger il “con-essere” è e rimane una categoria estremamente formale. La sua filosofia non contiene l’amore.

paul ludwig landsberg - Martin Heidegger

È stato pubblicato il prezioso piccolo libro sulla morte di Landsberg, volume di apertura di una nuova collana della casa editrice trentina «Il Margine», “Piccola biblioteca”. Il testo, ritenuto da molti il più intenso lavoro filosofico sulla morte uscito nel Novecento, ha conosciuto una storia travagliata legata alle vicende drammatiche della biografia dell’autore in fuga dalla persecuzione nazista (uscirà nel ’35 in spagnolo, nel ’36 in francese e – finalmente – nel ’37; su quest’ultima versione si basa la traduzione a cura di Fabio Olivetti). Paul-Ludwig Landsberg, filosofo tedesco di origine ebraica approdato al cattolicesimo ed esponente di punta del personalismo francese (Mounier lo riteneva l’intellettuale più brillante del circolo di “Esprit”), nasce a Bonn nel 1901 e muore nel campo di sterminio nazista di Sachsenhausen nel 1944. Allievo di Scheler e di Husserl, Landsberg era destinato ad una brillante carriera accademica stroncata dall’avvento del nazismo. Nel ’33 gli viene negata la possibilità di continuare a insegnare all’Università di Bonn dove aveva una cattedra dal ’28; riparò a Barcellona e poi a Parigi. Di lui rimangono molte opere, ora sistematiche ora frammentarie, ma certamente quella sulla morte è la più celebre e tradotta.

In essa si cerca di superare le tesi del maestro Scheler e di replicare ad Heidegger.

Tutto, nella visione di Landsberg, ruota intorno al concetto di “esperienza della morte”. Non è vero, come sosteneva Epicuro, che la morte è al di fuori del nostro esperire, che finché viviamo essa per noi non esiste. Per Landsberg, sulla scia di Agostino, è la morte dell’altro cui sono relazionato, il momento davvero rivelatore della mia stessa morte. Il cuore della sua tanatologia è una filosofia dialogica della morte. A monte vi è la sua concezione di persona: l’uomo non è una monade isolata, ma si attua solo nella sua relazione con l’altro, nella rete di rapporti vitali entro una comunità. In connessione con una profonda filosofia dell’amore: «L’amore è l’esperienza di una realtà fondamentale: Io e Tu, diversi, legati nella differenza e diversi nel legame». Landsberg applica la metodica dialogica all’evento in apparenza radicalmente antidialogico: la morte. In realtà la morte dell’altro è sempre ed essenzialmente anche la mia morte poiché determina una lacerazione in radice dell’originaria realtà spirituale costitutiva del mio Io nella sua relazione con un Tu. Relazione non accidentale per l’Io ma ontologicamente auto-costituente.

Landsberg rileva in Heidegger un limite insuperabile: «In lui il con-essere è e rimane una categoria estremamente formale. La sua filosofia non contiene l’amore». Il silenzio dell’altro che si è consegnato alla morte evoca e anticipa l’orrore dell’analogo silenzio mortale che io consegnerò a chi mi è prossima. La desolazione che io provo nel suo inaccettabile abbandonarmi nella morte anticipa anche il mio sempre possibile «non-esser più risposta» alle parole che l’altro mi rivolgerà, il mio futuro silenzio mortale. Diversamente da Heidegger, è questa la vera “anticipazione” della morte. In un passaggio fulminante Landsberg illumina questa nuova prospettiva: «Una chiara coscienza della necessità della morte si desta solo attraverso la partecipazione e attraverso l’amore personale in cui questa esperienza era completamente immersa. Noi abbiamo stretto un patto con colui che muore, abbiamo costituito un noi con il morente. In questo noi, tramite la forza di questo nuovo essere d’ordine personale, siamo condotti alla conoscenza vissuta del nostro proprio dover morre . Seguiamo il “noi” che spezza, vivendo tale spezzarsi fino agli estremi confini dell’aldilà; sì, per un istante approdiamo al paese della morte e siamo investiti proprio dall’atmosfera che da lì proviene, entriamo nell’estremo estraniamento che subito porta via la persona amata dal mondo conosciuto del rapporto con noi. Subito dopo siamo già rientrati dal regno delle tenebre. Ma in quell’istante il gran freddo non ci ha forse colpiti? Siamo ancora gli stessi? Potremo essere ancora gli stessi dopo averlo provato?».

 

Silvano Zucal, Landsberg, l’anti Heidegger. Recensione al libro di Paul-Ludwig Landsberg, L’esperienza della morte, Il Margine, Trento 2011, recensione pubblicata su Avvenire, 21-05-2011, p. 29.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Madame de Staël (1766-1817) – Non c’è nulla di più dolente che l’istante che succede all’emozione; il vuoto ch’essa lascia dietro di sé è sofferenza più grande ancora che la privazione stessa dell’oggetto la cui attesa vi teneva in tensione.

Madame de Staël 01
Manuscrits déguisés. Dix années d’exil, Portaparole, 2017

«Non c’è nulla di più dolente che l’istante che succede all’emozione; il vuoto ch’essa lascia dietro di sé è sofferenza più grande ancora che la privazione stessa dell’oggetto la cui attesa vi teneva in tensione».

Madame de Staël (Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein, meglio nota con il nome di Madame de Staël), Manuscrits déguisés. Dix années d’exil, Portaparole, 2017.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Koinè – Il nostro invito augurale: A COSA SIAMO CHIAMATI ? La nostra umanità esige, per non morire, una resistenza, in primo luogo culturale, alla attuale logica sistemica.

Koinè - Resistenza culturale - Fiorillo Carmine

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Il nostro invito augurale:
A COSA SIAMO CHIAMATI ?

L’alternativa del futuro è  quella tra una società diventata libera comunità senza capitalismo, e una società capitalistica senza più alcuna comunità.

Il valore della libera comunità è il principio costitutivo della verità delle cose umane e del giudizio morale su di esse.

L’unico modello in rapporto al quale è umanamente sensato capire cosa vada accettato, e cosa respinto, di un sistema economico, è la libera comunità.
Il sistema economico contemporaneo è la negazione speculare della libera comunità, in quanto produce una collettività disgregata, despiritualizzata, coattivamente e ossessivamente comandata dalla ricerca del profitto e dalle procedure della tecnica. Esso prefigura perciò la morte dell’umanità dell’uomo, proprio in quanto è al di fuori di ogni giustizia e di ogni amore. Un sistema economico, come quello oggi vigente su scala planetaria, che ha come suo elemento motore e come suo fine intrinseco il profitto monetario privato, e che si sviluppa senza più alcun condizionamento di princípi non economici, è la materializzazione stessa dell’ingiustizia.
Chi vive tranquillo sotto un simile sistema, non trovando nulla di riprovevole nell’attività delle banche, delle società finanziarie e delle imprese volte al profitto, dando il proprio voto ai politici che legittimano questo stato di cose, evitando di condannare pubblicamente i detentori del potere, accettando entusiasticamente tutte le innovazioni tecniche, è perciò un operatore di ingiustizia.
Le esperienze di resistenza a questo sistema sociale (esperienze di agire comunitario non mercantile, esperienze di rifiuto dei comportamenti tecnicizzati, esperienze di autentica comunicazione culturale al di fuori dei ruoli imposti dai poteri dominanti, esperienze di contrasto dei poteri economici e politici, ecc.), se sono vissute in maniera spiritualmente sana come esperienze d’amore per l’umanità dell’uomo e di libera comunità, non possono non essere avvertite come gratificanti e realizzanti di per se stesse nel loro presente, indipendentemente dall’esito storico dei loro risultati nel loro presente e futuro temporale.
Se si ha capacità di amare e di progettare un mondo diverso, si resiste alla logica di questo sistema sociale semplicemente perché si vuol vivere bene e nella verità.

A COSA SIAMO CHIAMATI ?

La nostra umanità esige, per non morire, una resistenza, in primo luogo culturale, alla attuale logica sistemica.

Ciascuno di noi è chiamato, come uomo morale, a questa resistenza:

– è chiamato a considerare gli oligarchi dell’economia sempre avidi di sfruttare il lavoro, il territorio, i mercati, e i tecnoscienziati intenti a manipolare le specie viventi, per quello che in realtà sono: gli artefici consapevoli della distruzione dell’umanità dell’uomo;

– è chiamato a sottrarsi, nei limiti del possibile, alle logiche disumanizzanti;

– è chiamato a sperimentare le forme oggi possibili di agire comunitario;

– è chiamato a dare l’esempio di una vita non motivata dalla ricerca del denaro e dei consumi e non guidata dalla tecnica;

– è chiamato a pensare concettualmente e criticamente anche riguardo al funzionamento della propria personalità.

Quando la resistenza degli esseri umani, guidati dalla loro capacità di amare, dal loro spirito di giustizia, e dalla loro comprensione intelligente di se stessi e della società, avrà spezzato in qualche punto della presente vita coattivamente “associata” l’attuale logica sistemica, e quando le carenze e le disfunzioni derivanti da tali rotture saranno affrontate con una logica nuova, in vista di soluzioni ispirate al vincolo solidale e comunitario che deve legare tutti gli esseri umani, allora saremo usciti dal sentiero della notte.

Associazione culturale Petite Plaisance

 

La contraddizione
Amici
Amore
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Roberto Andreotti – Esiste un altro modello di rappresentazione nel quale la memoria è concepita come corredo funzionale in grado di interferire nel profondo con il nostro vissuto, con il nostro modo di concepire e organizzare il mondo hic et nunc.

Roberto Andreotti 01

«Esiste un altro modello di rappresentazione, assai più articolato e prospettico, nel quale la memoria è concepita come corredo funzionale in grado di interferire nel profondo con il nostro vissuto, con il nostro modo di concepire e organizzare il mondo hic et nunc. In questa seconda cornice gli antichi paiono balzare fuori dalla vetrina delle cose morte e sepolte per diventare di fatto nostri contemporanei. Saperi, testi, immagini, istituti, comportamenti – ma anche il lunghissimo dossier delle loro edizioni, cioè delle loro successive interpretazioni – configurano una sorta di codice antropologico, la cui formulazione non è mai definitiva e il cui significato dipende anche dal modo in cui esso viene riorganizzato, interattivamente, all’interno delle reti contemporanee: codice aperto, quasi in divenire. (Resta esemplare, in questo senso, l’insegnamento di Eric R. Dodds, la cui ricerca dell’«irrazionale greco», alla fine degli anni Quaranta, nacque sotto la spinta di una forte motivazione contemporanea: un approccio che definiremmo appunto antropologico, non necessariamente paradigmatico, o agonistico – come anni dopo ricorderà anche l’allievo Bernard Williams, opponendosi con tutte le sue forze al luogo comune dei greci come stadio primitivo dell’evoluzionismo occidentale.)».

Roberto Andreotti, Ritorni di Fiamma. Augusto, Virgilio, Ovidio e altri classici, Rizzoli, 2009.

Roberto Andreotti

Nato a La Spezia nel 1959, vive e lavora a Roma. Studioso di letteratura latina e greca, è stato allievo di Maurizio Bettini. È uno degli editor di “Alias”, il supplemento culturale de “Il manifesto”.  Ha scritto Classici elettrici. Da Omero al tardo-antico (Rizzoli 2006), Resistenza del classico (BUR Rizzoli 2009) e Ritorni di fiamma. Augusto, Virgilio, Ovidio e altri classici (BUR Rizzoli 2009).

Classici elettrici. Da Omero al tardoantico, Rizzoli, 2006
Almanacco Bur 2010. Resistenza del classico, Rizzoli, 2009

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Il vessillo dell’Occidente consumistico è la libertà astratta dell’homo consumens. La modernità trionfante soddisfa l’istinto dell’animalità troglodita.

Homo consumens– Libertà astratta
Salvatore Bravo
Il vessillo dell’Occidente consumistico è la libertà astratta dell’homo consumens

La modernità trionfante soddisfa l’istinto dell’animalità troglodita.

A. Gramsci

La parola libertà è tra le parole il cui significato è maggiormente inflazionato. Alla parola libertà si associano azioni e comportamenti astratti. O meglio, la libertà è astratta poiché nell’opinione generale essere liberi significa non avere vincoli sociali, non avere vincoli con se stessi, non avere un destino, ma solo attività desideranti. Il limite è vissuto come l’antitesi alla propria libertà individuale. Il diritto a tutto è la chiave di lettura della libertà del liberismo attuale. Libertà da. La libertà è così una corsa verso la disintegrazione di sé, degli altri: si ascoltano i propri desideri, li si concretizza a prescindere dalle loro conseguenze e dalla loro qualità. Libertà diviene cecità dinanzi a se stessi ed agli altri. La libertà astratta coincide con la negazione di sé, della storia, della razionalità. Libertà diviene immediatezza della soddisfazione, un gioco in cui emozionarsi senza conoscersi e conoscere. La razionalità è così negata, per diventare calcolo veloce, algoritmo per la soddisfazione immediata.

Libertà senza congedo
La libertà, vessillo dell’Occidente consumistico, è la malinconia dell’usura di se stessi e dell’altrui presenza. Il liberismo – nell’attuale fase – deve inneggiare alla libertà da ogni vincolo non solo per chiare cause ideologiche dietro cui si celano lapalissiane ragioni economiche, ma specialmente deve nascondere la verità della libertà liberista, il nichilismo che divora l’occidente, cannibalizza le persone, le istituzioni, la storia concreta di ogni identità nazionale. La libertà da ogni limite diviene azione nel nulla e per il nulla, poiché l’agire non è legato ad alcun paradigma di riferimento, non è integrato nella storia personale che dialoga con l’identità comunitaria a cui ogni soggetto inevitabilmente appartiene. La libertà da ogni vincolo non ha inizio, un punto solido da cui prendere l’abbrivio, perché non vi è storia personale, famigliare, comunitaria, linguistica da cui congedarsi, ma è libertà senza congedo. L’ebbrezza, il fascino della libertà astratta ormai realizzata è il brivido di venire dal niente e di potere tutto, volontà di potenza che si autocrea e si autogenera. La libertà diviene il mito di sé, l’autocelebrazione senza comparazioni e legami che dona la percezione di un’autonomia che, in quanto appare assoluta, comporta la percezione di sé come assoluto (dal lat. absolutus, sciolto da ogni vincolo). Pertanto non c’è bisogno di visioni del mondo, di religioni, di prospettive ideologiche consapevoli: ci si sente divinità planate sulla terra, e ciascuna è pronta a mettere in pratica il desiderio, la grandezza di un io astratto ed autoreferenziale. Il sistema liberista ha la sua forza, il consenso generalizzato, nell’illusione, nella potenza dell’autoillusione di massa.

La libertà dell’homo consumens
All’homo oeconomicus è succeduto il narcisismo di massa, il disimpegno dei consumatori costantemente alla catena del mercato. Quest’ultimo può sopravvivere solo incentivando l’assurdo di massa, elevando la tensione del desiderio di consumare in un’esaltazione egocentrica di massa. L’homo oeconomicus, col suo pensiero calcolante, conosceva l’impegno, la fatica del calcolo e dell’accumulo quotidiano, viveva la tensione della difesa della proprietà, bellicoso nei suoi pensieri, ma impegnato in un progetto atomistico; l’homo consumens, divora i suoi stessi desideri, non ha impegni costanti, ma solo immediati appetiti. Il salto dall’homo oeconomicus all’homo consumens è svolto, è compiuto.

Tempo circolare della frustrazione
La libertà di perseguire bisogni indotti implica l’incapacità di attendere, un basso livello di frustrazione che si esplica in una temporalità vissuta in modo frammentato ed è incapace di pensare, di vivere il pasto del momento. L’accelerazione tormentata del momento ribalta la libertà da in violenza, in incapacità di controllare i morsi del desiderio. La violenza capillare che si infiltra in ogni legame scindendolo ha come fondamento veritativo la cultura della soddisfazione immediata: la rigidità – mentre tutto fluisce – del desiderio che non vuole che se stesso. La regressione infantile di massa al pensiero magico, la corsa-rincorsa di ciascuno a vivere il mondo immaginato, e l’apparir del vero inevitabile, causa violenza, poiché non si è nelle condizioni emotive – e spesso non si hanno gli strumenti cognitivi – per costruire le relazioni di causa-effetto. L’irrazionale trionfa, la realtà diviene incomprensibile, per cui la libertà da ogni vincolo diviene percezione di essere oggetto di una violenza senza ragione. La libertà astratta dell’homo consumens si rovescia in violenza, il mondo non sta al gioco, le speranze tradite non sono comprese, la colpa della tragedia, ovvero della verità storica, che entra nella vita è proiettata sugli altri, sui colpevoli di turno. Il sistema liberista si nutre di tali circuiti, alimenta la violenza circolare dell’ homo consumens, lo destabilizza, lo invita a compensare la sconfitta con un altro desiderio di onnipotenza. Il tempo circolare della frustrazione senza uscita è la gabbia d’acciaio in cui si rinchiudono le persone ed i popoli.

Pianeticidio
La politica dovrebbe rispondere alle esigenze della comunità, dovrebbe trovare risposte condivise ai grandi temi che il proprio tempo vive drammaticamente. Le istituzioni e la politica sono i invece grandi assenti, i grandi complici della condizione attuale, anzi consolidano – con il loro esempio vissuto, con il linguaggio, con i comportamenti – la pedagogia dello spreco e del disprezzo di ogni vincolo, da ogni legge istituzionale ed etica. La libertà astratta è la violenza resa istituzionale: poiché – in assenza del concetto – non resta che il vilipendio costante delle parole usate come croci frecciate contro il nemico di turno. La libertà soggettiva violenta la realtà storica, perché non ne cerca la verità e con essa le leggi della storia e le sue contraddizioni. Eppure, malgrado il trionfo della libertà soggettiva contro la libertà oggettiva, non vi è possibilità di aggirare l’ostacolo, le contraddizioni divengono sempre più minacciose, il pericolo di un collasso del pianeta è ineludibile. La libertà soggettiva può sopravvivere solo a prezzo di un nuovo tipo di genocidio quale mai è apparso nella storia dell’umanità “il pianeticidio”, il neologismo può essere improprio, ma è la verità a cui porta la libertà soggettiva globalizzata.

Che fare?
La domanda che bisognerebbe introdurre nella politica che non c’è è sul tipo di libertà che si vuole realizzare per il presente e per il futuro del pianeta, nel quale vi sono le comunità umane e non umane. La Filosofia può esserci di ausilio. Hegel e Marx ci hanno insegnato la libertà oggettiva, la quale riporta gli esseri umani a rispondere alle contraddizioni del presente ed al problema delle prospettive e delle possibili soluzioni a partire dalle condizioni storiche in cui ci si trova, e specialmente responsabilizza collettivamente verso le potenzialità che il momento storico ha in sé. La libertà oggettiva è capace di convergere il campo di forze verso un obiettivo comune, e specialmente elabora percorsi collettivi di consapevolezza ed azione rilevando razionalmente che classi e comunità trasversali condividono interessi e contraddizioni che esigono soluzioni, al fine di dare una prospettiva partecipata ed universale. La libertà oggettiva scioglie le rigidità regressive della libertà soggettiva per sublimarla verso l’universale. Quest’ultimo è costituito dalle condizioni materiali, economiche, culturali che i soggetti condividono, ponendoli come soggettività collettiva che può dar vita alla prassi rivoluzionaria. Spetta ai singoli ricominciare, creare ponti con le possibilità presenti nella contemporaneità. La libertà soggettiva è libertà senza legami, senza storie, senza prospettive, per uscire dalla malinconia senza fondamento è necessario il coraggio di un no razionale che si configura come una corrente calda capace di catalizzare forze, persone, pensieri, al fine di capire la verità del presente per poterne immaginare una possibile alternativa storicamente fondata. Per un nuovo inizio è necessario guardare la libertà soggettiva con occhi critici, essa è l’istituzionalizzazione del lupo che alberga in ciascun soggetto, a quel lupo è necessario dare una razionale risposta e visione del mondo:

«Una contessa affittacamere, un sacerdote commerciante, banchiere, sensale; un impiegato a duecento lire al mese che spende seicento lire per l’appartamento nella grande città; lo scontro belluino. Basta. Il modo è antico: la scure, non il cloroformio o l’ipnotismo. Il lupo è rimasto l’antico, l’antidiluviano lupo in tanto trionfo di modernità: squarta, immerge le mani nel sangue, e a ciò la gente si interessa, prende gusto. Il ognuno della folla è un po’ del lupo che dilata le narici all’acre odore del sangue. E la modernità trionfante soddisfa l’istinto dell’animalità troglodita». [1]

La libertà soggettiva è il lupo già descritto da Fedro il cui agire è indotto solo dal desiderio di consumare e autopercepirsi come onnipotente. Contro ciò la libertà oggettiva deve far valere le ragioni di un mondo umano, a misura di comunità e persone.

Salvatore Bravo

[1] Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, chiarelettere, 2016, pag. 45.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Josè Saramago (1922-2010) – Marx ed Engels hanno scritto nella “Sacra famiglia”: «Se l’uomo è formato dalle circostanze, allora bisogna formare le circostanze umanamente». Il comunismo è per me uno stato dello spirito.

José Saramago comunista

Josè Saramago

Di come il personaggio fu maestro e l’autore suo apprendista.
Discorsi di Stoccolma – 7 e 10 dicembre 1998.
Testo portoghese a fronte. Traduzione e cura di Simonetta Masin.
indicepresentazioneautoresintesi

Marx ed Engels hanno scritto nella Sacra famiglia: «Se l’uomo è formato dalle circostanze, allora bisogna formare le circostanze umanamente». Niente di più chiaro, niente di più eloquente, niente di più ricco di senso. Non avevo ancora trent’anni quando, per la prima volta, lessi quelle parole. Furono, per così dire, la mia via di Damasco. Capii che mi sarebbe stato impossibile tracciare una rotta per la mia vita al di fuori di quel principio e che solo un socialismo integralmente inteso (dunque, il comunismo) avrebbe potuto soddisfare i miei aneliti di giustizia sociale.

Molti anni più tardi, in una intervista con Bernard Pivot, che voleva sapere perché continuassi a essere comunista dopo gli errori, i disastri e i crimini del sistema sovietico, risposi che, essendo un comunista «ormonale», mi era impossibile avere delle idee diverse: gli ormoni avevano deciso.

La spiegazione è più seria di quanto sembri: e forse si capisce meglio se dico che, in qualche modo, ha un equivalente nel «non possumus» biblico.

Recentemente, suscitando lo scandalo di certi compagni dediti alla più canonica ortodossia, ho osato scrivere che il socialismo – e a maggior ragione il comunismo – è uno stato dello spirito. Continuo a pensarlo. E la realtà si incarica giorno dopo giorno di darmi ragione.

José Saramago, da «Comunista a chi?», numero speciale il manifesto, 17 dicembre 2009.

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Josè Saramago

Di come il personaggio fu maestro e l’autore suo apprendista.

Testo già edito da Editorial Caminho, nel 1999; si ringrazia la Fondazione José Saramago per averne autorizzato la pubblicazione; traduzione e cura di Simonetta Masin, pp. 40.

Josè Saramago (1922-2010) – Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti la serenità e l’armonia
José Saramago (1922-2010) – Quanti anni ho, io? Ho l’età in cui le cose si osservano con più calma, ma con l’intento di continuare a crescere. Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento. Per continuare senza timore il mio cammino, perché porto con me l’esperienza acquisita e la forza dei miei sogni.
Josè Saramago (1922-2010) – Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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