Niccolò Machiavelli (1469-1527) – Insegnare ad altri quel bene che per la malignità dei tempi e della fortuna tu non hai potuto operare, acciocché, essendone molti capaci, alcuno di quelli più amati dal cielo possa operarlo

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Niccolo MACHIAVELLI, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Venice, Aldus, 1540.

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«Se la virtù che un tempo regnava e il vizio che ora regna non fossero più chiari che il sole, andrei parlando più rattenuto … Ma essendo la cosa sì manifesta che ciascuno la vede, sarò animoso in dire manifestamente quello che intenderò di quelli e di questi tempi, acciocché gli animi dei giovani, che questi miei scritti leggeranno, possano fuggire questi e prepararsi ad imitar quelli.
Perché è ufficio d’uomo buono insegnare ad altri quel bene che per la malignità dei tempi e della fortuna tu non hai potuto operare, acciocché, essendone molti capaci, alcuno di quelli più amati dal cielo possa operarlo».

Niccolò Machiavelli, Discorsi, Proemio, Libro II, 1531.

Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio


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Giorgio Penzo – Recensione a «Il ponte delle spie»

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Giorgio Penzo

Recensione al film

IL PONTE DELLE SPIE U.S.A. 2015

 

Dunque, la vicenda è nota: dopo l’assassinio dei coniugi Rosenberg, la Guerra Fredda procede a suon di spie […] Il punto di vista degli operatori americani è piuttosto macchiettistico e rispecchia i cliché che il cinema ha infiorettato su FBI e CIA negli ultimi 20-30 anni … [Leggi tutto]

 

Giorgio Penzo, recensione al film «Il Ponte delle Spie»

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Brooklyn lawyer James Donovan (Tom Hanks) is an ordinary man placed in extraordinary circumstances in DreamWorks Pictures/Fox 2000 Pictures' dramatic thriller BRIDGE OF SPIES, directed by Steven Spielberg.

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Koinè – Diciamoci la verità, oltre l’orizzonte del pensiero dominante

Diciamoci-in-verita

Diciamoci oltreSommario

***
***  Logo Adobe AcrobatLa società ad una dimensione

I. Società articolata ma non complessa / II. Società di mercato / III. L’ideologia dell’aziendalismo / IV. La tecnica come orizzonte storico / V. L’ideologia tecnocratica / VI. La falsità dell’idea della fine delle ideologie / VII. Una mitologia spiritualmente arida / VIII. L’economia come religione / IX. L’occultamento dell’economia umana concreta / X. Un universo tecnico che aggiunge problemi a problemi / XI. Il progresso capitalistico come regresso umano / XII. L’economia capitalistica come economia asociale / XIII. L’urgenza di un’economia che risponda ai bisogni umani / XIV. L’ambiente naturale come ambiente tecnico / XV. La lesione dell’integrità personale.

***  Logo Adobe AcrobatCritica dell’uomo ad una dimensione

XVI. Le strutture della personalità umana nella società di mercato / XVII. I cinque assiomi di un modo di pensare capace di contrastare la barbarie sociale /XVIII. L’assolutizzazione dell’orizzonte storico contemporaneo / XIX. Tecnica del plusvalore e valori umani / XX. Relativizzazione dell’economia del plusvalore / XXI. Da dove trarre le motivazioni per una nuova interpretazione del mondo? / XXII. L’uomo morale / XXIII. Una categoria esclusivamente umana: la fragilità / XXIV. Il nucleo essenziale di ogni morale / XXV. L’uomo che non si misura con la morale / XXVI. Narcisismo e concretismo / XXVII. La tecnica come potenza deprivatrice di senso / XXVIII. La tecnicizzazione della vita come espressione dell’odio dell’uomo per la propria umanità.

***  Logo Adobe AcrobatUna concezione forte della verità
come fondamento di una pratica anticapitalistica 

XXIX. Economia del plusvalore e costituzione della personalità / XXX. Forme di organizzazione della personalità individuale / XXXI. Il capitalismo si impone abbattendo ogni limite / XXXII. La storia insegna la storicità di ogni sua prospettiva / XXXIII. L’idea ultracapitalistica della illimitata plasmabilità della natura / XXXIV. Lo scopo morale / XXXV. L’orizzonte nichilistico della modernità / XXXVI. La riduzione dell’ontologia ad empiria / XXXVII. La concezione metafisica della verità / XXXVIII. La metafisica come dimensione entro la quale si costituiscono ragione e verità / XXXIX. Miseria del realitivismo antimetafisico / XL. La superficialità: cifra del relativismo antimetafisico / XLI. La concezione metafisica della verità non è un nuovo fondamentalismo / XLII. Concezione metafisica della verità e gerarchia di valori / XLIII. La verità oggettiva della ragione è la fonte dell’eticità umana / XLIV. La verità oggettiva della ragione è la fonte della dialogicità umana.

***  Logo Adobe AcrobatL’essere della libera comunità e l’amore  

XLV. Comunità arcaica e libera comunità / XLVI. Lo spazio dialogico / XLVII. L’uomo universale / XLVIII. La libera comunità come universalità umana / XLIX. Libera comunità e resistenza / L. L’inesistenza di un soggetto sociale anticapitalistico/ LI. L’amore: rapporto dell’uomo con la fragilità / LII. Le quattro condizioni ontologiche dell’amore / LIII. La radice ontologica dell’amore.


L’intero testo di 49 pagine in PDF.

Diciamoci oltre

Logo Adobe AcrobatDiciamoci la verità oltre l’orizzonte del pensiero dominante


Chi non spera quello
che non sembra sperabile
non potrà scoprirne la realtà,
poiché lo avrà fatto diventare,
con il suo non sperarlo,
qualcosa che non può essere trovato
e a cui non porta nessuna strada.
 Eraclito



 

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Iris Murdoch (1919-1999) – La virtù che eccelle gratuitamente ci sorprende nell’arte così come fa spesso nella vita reale. Bisogna essere buoni senza secondi fini

Murdoch

Esistenzialisti e mistici

La virtù che eccelle gratuitamente, senza un fine preciso, slegata dalla religione e dalla società, ci sorprende nell’arte così come fa spesso nella vita reale: la gentilezza di Patroclo nel pieno di una guerra cruenta, la fedeltà di Cordelia in una corte di adulatori. L’estrema casualità della vita umana e l’evidenza della morte rendono forse sempre la virtù, nel momento in cui vengono rimossi i suoi illusori fondamenti, qualcosa di gratuito, ma anche qualcosa che è assolutamente in primo piano nella nostra esistenza, insieme a beni evidenti come mangiare e non avere paura. Ed è in questo modo, credo, che essa si manifesta nella migliore letteratura. La bontà è indispensabile, bisogna essere buoni senza secondi fini, per ragioni immediate e ovvie, perché qualcuno ha fame o qualcuno sta piangendo.

Iris Murdoch, Esistenzialisti e mistici. Scritti di filosofia e letteratura, a cura di P. Corradi, Il Saggiatore, Milano, 2006, p. 241.



 

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Ruth E. Groenhout – Senza relazioni di cura la vita umana cessa di fiorire: una cura adeguata richiede un forte senso della giustizia.

Groenhout
«Per la struttura generale di un'etica della cura,
 sono stata fortemente influenzata da
Nel Noddings, Virginia Held, e Joan Tronto».

Ruth E. Groenhout

Vite collegate (Rowman & Littlefield, 2004)

 

«Senza relazioni di cura la vita umana cesserebbe di fiorire. Senza relazioni di cura nutrite con attenzione la vita umana non potrebbe realizzarsi nella sua pienezza. La cura è finalizzata, nella sua prospettiva ideale, a promuovere il pieno benessere intellettuale, emozionale, spirituale e fisico di chi-riceve-cura: essa ha luogo in un contesto di strutture sociali che incoraggiano lo sviluppo delle capacità di dare e di ricevere cura. […] Occorre dare fondamento rigoroso all’idea che la cura è essenziale all’esistenza in quanto gli esseri umani sono esseri sociali, con una naturale tendenza a offrire e ricevere cura da altri. […] La cura non è in opposizione alla giustizia; invece, una cura adeguata richiede un forte senso della giustizia».

 

 

Connected Lives [Vite collegate]: Human Nature and an Ethics of Care
Rowman & Littlefield Publishers, 2004, p. 24, 27, 29.


 

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Beniamino Biondi – La disciplina giuridica del settore cinematografico in Italia

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Beniamino Biondi

La disciplina giuridica del settore cinematografico in Italia

In copertina: Insegna e vecchio cinema comunale di Crespino (RO), Agosto 2005. Foto di Enrico Andreotti. L’insegna è caduta nel 2006.

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Risvolto di copertina

L’opera cinematografica ha duplice natura, di prodotto artistico ed economico: il film, bene unico, originale e con forti contenuti artistici; il suo processo produttivo, complessa interazione di risorse umane, finanziarie, tecniche e artistiche. Appartiene dunque sia alla categoria dei beni culturali che a quella dei prodotti dell’industria culturale: è un’opera “unica”, ma anche riproducibile, anzi concepita proprio per essere riprodotta. Il presente studio analizza la disciplina giuridica del settore in Italia, con riferimento alle disposizioni sui finanziamenti pubblici per le attività artistiche. Ben consapevole che un’analisi completa delle sue dinamiche necessita di uno sguardo interdisciplinare, l’Autore ha voluto offrire un inquadramento del panorama legislativo in materia di spettacolo, con una speciale attenzione rivolta all’ordinamento giuridico vigente, attraverso i suoi snodi storici in ambito nazionale, con riferimenti alle normative di livello regionale, provinciale, locale ed europeo.


L’Autore

Beniamino Biondi è nato e risiede ad Agrigento. Ha compiuto studi classici e si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo. Scrittore e saggista, si occupa di poesia e di cinema. Collabora con riviste di letteratura e critica cinematografica, cura rassegne di cinema d’autore e ed è direttore di collana per alcuni editori. Ha curato l’edizione delle poesie complete del filosofo Aldo Braibanti ed ha pubblicato numerose opere di letteratura e di saggistica critica e teorica. È membro del Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici.


 

Altre pubblicazioni di Beniamino Biondi


Messico! Cinema e rvoluzione

Messico. Cinema e rivoluzione

Il 19 novembre 1975 un gruppo di dodici cineasti messicani, costituitisi in Fronte di Lotta, firma e pubblica su vari organi di stampa e diffusione un Manifesto nel quale si constata che il cinema messicano è stato per vari decenni uno strumento esclusivo della classe dominante, a sostegno di un ordine iniquo e servile, responsabile operoso del colonialismo culturale mediante la fabbricazione di prodotti deteriori, alienanti e intesi a divulgare valori ideologici il cui ruolo è perpetuare tale dominio. Il Manifesto rappresenta la sintesi compiuta di un percorso solidale tra personalità disparate: cineasti rigorosi o velleitari parodisti, autori esigenti o grotteschi mattatori. Il Fronte di Lotta assurge a simbolo di un cinema rivoluzionario per l’America Latina e il Terzo Mondo, e l’esperienza consumata da questi cineasti irriconciliati col sistema non ha smesso di incidere, con le sue inquietudini sociali e le sue controversie formali, sul discusso panorama del cinema messicano odierno.


Fata Morgana. Il cinema catalano e la scuola di Barcellona

Fata Morgana. Il cinema catalano e la scuola di Barcellona

Il lavoro di Beniamino Biondi tenta una ricapitolazione critica del fenomeno della scuola di Barcellona, movimento cinematografico d’avanguardia, che, di fatto, ha rappresentato la sola autentica nouvelle vague spagnola. All’analisi delle premesse storiografiche, sia di natura estetica che ideologica, seguono i ritratti dei vari componenti del movimento, a commento delle loro opere e delle ragioni linguistico-formali che ad esse presiedono. Si è inoltre deciso di far precedere il discorso da una sintetica rassegna sul cinema degli anni ’50 e ’60, così da fornire gli strumenti per una riconduzione del fenomeno sperimentale (anche in funzione oppositiva) ai prodromi della cinematografia catalana, e di farlo seguire da un più ampio panorama sul nuovo cinema, che comprende quegli autori che della scuola di Barcellona furono compagni di strada, nella coscienza d’impegno civile del loro lavoro, come quegli autori che mai ne furono sodali e che hanno così percorso altre strade, non potendo ad ogni modo disconoscere nella libertà creativa degli anni ’60 il fondamento espressivo della loro opera. Lo studio si conclude con i cineasti che esordirono alla fine degli anni ’70, nel momento in cui l’esperienza dello sperimentalismo e della nuova libertà acquisita con la fine della dittatura si esaurirono (eccetto che per alcuni rilevantissimi casi) nel compimento di un cinema socialmente meno impegnato e linguisticamente più convenzionale.


Giappone underground. Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70

Giappone underground. Il cinema sperimentale degli anni '60 e '70

Dai primi maestri come Takahiko Iimura e Nobuhiko Obayashi si giunge ai sodali di Koji Wakamatsu, primo fra tutti Masao Adachi, passando per l’esperienza isolata dello scrittore Yukio Mishima, fino ai nomi dei grandissimi Toshio Matsumoto e Shkji Terayama.


Il volto della medusa. Il cinema di Nikos Koundouros 

Medusa

Nikous Koundouros è uno dei maggiori registi di un paese, la Grecia, la cui cinematografia è stata sempre, a torto, ritenuta minore. Persino la grandezza oramai acquisita di Thodoros Anghelopoulos non è riuscita a diffondere nel mondo le opere di numerosi altri cineasti dal ricco immaginario, dalle inquiete tensioni morali, da una ricerca formale inesausta e suggestiva. Nikos Koundouros, salutato come un genio dal giovane critico Francois Truffaut, è il padre del cinema greco d’autore, colui che ha reso la forma cinematografica come forma d’arte e di intervento culturale. A questo cineasta difficile e contraddittorio, noto per il suo carattere irascibile, si devono alcuni certi capolavori: O Drakos, che ha anticipato con modernità sconcertante le tematiche dell’alienazione e del cinema esistenzialista, e Vortex, prestigioso esercizio simbolico di raffinata avanguardia ed opera ancora oggi ignota e maledetta. Un regista la cui poetica della dissolvenza e del brulichio, che stratifica situazioni, destini ed idee, compone una visione totale del mondo, irrimediabilmente greca e dunque irrimediabilmente europea. L’intera cinematografia di Nikos Koundouros possiede tratti originali ed è riferimento costante per tutti i cineasti della Grecia, che a lui guardano ossequiosi come ad un “maestro”.


Prometeo in seconda persona. Il nuovo cinema greco

Prometeo

Il Nuovo Cinema Greco nasce negli stessi anni in cui in Europa e in alcuni paesi dell’America Latina sorgono quei movimenti di contestazione cinematografica e palingenesi linguistica che proprio negli anni ’60 avranno la loro consacrazione critica e in qualche modo anche il loro esaurimento, chi correggendo la polemica entro i confini del cinema di consumo, chi radicalizzando il proprio discorso ai margini del mercato. In Grecia, le ragioni del Nuovo Cinema sono molteplici e afferiscono ai differenti contesti della natura economica del cinema come processo di produzione e della sua natura estetica come processo euristico di un nuovo ordine teorico. Una tendenza all’acquisizione del concetto di Nuovo Cinema avviene nei primi anni ’60, in un momento storico assai delicato per il paese, e nel più ampio malumore sociale che condurrà a forme di lotta rivoluzionaria ben prima che nel resto dell’Europa; così i cineasti affiancano le lotte sociali ed esprimono con i mezzi della loro opera il dissenso e la rivolta.


Cherosene

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Nelle rapide annotazioni di “Cherosene” Beniamino Biondi ci offre il suo frammentario rapporto sul mondo come l’ha conosciuto nei suoi trentacinque anni di vita di siciliano impegnato culturalmente nella scrittura e nella critica. Qual è il risultato di questo Piccolo Testamento di Biondi in versi franti? Piuttosto sconsolante, parrebbe. È un mondo urbano abitato da larve al limite della sopravvivenza, fatto di periferie industriali, bidonville, bassi, interni cupi. É un inventario da cui trapela poca luce, condotto nel corso di una trentina di schegge frammentarie, anche lapidarie. Predomina il senso di un discorso, o chiacchiera, dal carattere fatico, cioè quasi più orale che scritta. L’estro formale, sempre contenuto, sottolinea quelle che sono in effetti delle microstorie di un mondo banale senza redenzione. Prevale il sentimento di un inventario del caos in tonalità saturnina o malinconica, con una presenza ricorrente della morte, anch’essa anonima.


Sangue nudo. Il cinema terminale di Hisayasu Sato

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Hisayasu Sato sin dai suoi esordi negli anni ’80 ha esplorato le proprie visioni e ossessioni coniugando nella sua opera la sottocultura porno all’avanguardia. I suoi lavori (50 film in meno di dieci anni) affrontano i temi del vuoto e dell’alienazione sociale attraverso la violenza e il fanatismo dei suoi antieroi. Un panorama delirante di maniaci stupratori che vivono in oscuri seminterrati o in cisterne vuote, di scolarette paranoiche separate dal mondo reale, di burattini animati dal desiderio folle di una cieca tecnologia. In una cornice di estremo concettualismo, Hisayasu Sato descrive uno scenario terminale: feticismo, perversione, nevrosi, omosessualità, voyeurismo, suicidio. Ma il lavoro del cineasta giapponese pone soprattutto le questioni radicali del senso della riduzione letterale delle immagini e dei limiti della rappresentazione, annunciando in qualche modo la morte del cinema e la sua frenetica decomposizione attraverso un processo (talora contorto e doloroso) di metaforizzazione per eccesso di realtà. Il senso del suo lavoro è affidato alle parole dello stesso Hisayasu Sato: “Voglio fare un film che faccia impazzire gli spettatori, che li spinga a commettere un omicidio”.


Giganti e giocattoli. Il cinema di Yasuzo Musumura

Giganti

Nella storia del cinema giapponese Yasuzô Masumura è colui il quale ha compreso quei processi di frantumazione soggettiva e di polverizzazione sociale sorti nella gioventù postbellica, e li ha trasferiti in immagini facendo uso di un’estetica che ha tenuto in conto tanto il rigore delle strutture formali quanto le concezioni moderniste dei nuovi bisogni culturali. Di ciò si rese conto Oshima che in un suo famoso saggio del 1958 dal titolo “Si sta forse aprendo una breccia?” definisce Masumura come il cineasta “che possiede una più profonda coscienza sociale” rifiutando l’immobilismo ereditario del Giappone. Contro il senso della rassegnazione e l’enfasi tipicamente melodrammatica del vecchio cinema, Masumura rovescia i principi del neorealismo – che pure sono a fondamento del suo percorso – per una rappresentazione esasperata e irriflessiva della gioventù all’interno di un immaginario individualistico e liberatorio. Siamo di fronte al primo manifesto coscientemente strutturato del Nuovo Cinema Giapponese in cui la rappresentazione della realtà sensibile rifiuta l’individuo come puro spirito sovrasensibile per portarlo a processo in termini di relazione sociale.


Corpi della metafora. Paradigmi (post)moderni

Corpi della metafora. Paradigmi (post)moderni

Il silenzio, l’erotismo, il corpo, la metropoli, gli oggetti e le cose: sono questi alcuni dei temi che Beniamino Biondi, intellettuale siciliano, indaga con singolare acume e impronta polemica in questi brevi lavori. Il tracciato dei riferimenti culturali – autentiche ossessioni, come li designa l’autore è composto e differenziato, muovendo dal marxismo eterodosso all’irrazionalismo francese, dalle poetiche dell’assurdo alla teologia radicale, dall’indagine sull’architettura postmoderna (cui sono dedicati il saggio più esteso e un capitolo su Gibellina come “società estetica”) alla semiologia. Lo stile è ossimorico e oscuro, il procedimento frammentario e irregolare, procurando una lettura che pone l’itinerario del libro nel solco di una suggestiva inquietudine esistenziale.


Oratorio per nastro magnetico

Oratorio per nastro magnetico


 

manifesto

Manifesto


 

Teatro minimo

Teatro minimo


 

cariocinesi

Cariocinesi


 

Telegrafi

Telegrafi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ed altre ancora

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Marcello Vigli – Recensione al libro di Mauro Magini «Il mio amico Platone».

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È certo impegnativo chiamare Platone garante dell’onestà di fondo del proprio cammino esistenziale, ma l’autore non ha esitato a sceglierlo testimone delle sue riflessioni sul dispiegarsi della sua vita nella società e della esperienza religiosa che l’ha caratterizzata. Da questa, lascia intendere, ha maturato il suo modo d’intendere la religione e la sua idea di Chiesa che, in verità, costituiscono il tema che l’autore viene svolgendo nelle cento pagine del suo libro Il mio amico Platone.* Le brevi e sommarie note autobiografiche che le aprono sono di fatto solo una premessa per contestualizzare le pagine della seconda parte del libro nelle quali esplicita la sua professione di fede.
Le prime coprono, invece, quarant’anni di storia raccontati attraverso l’intreccio fra religione e politica. Le tensioni e gli scontri provocati nella società italiana dall’approvazione delle leggi che introducevano il divorzio e l’aborto sono rivissute attraverso le valutazioni dell’autore, che le giudicava da cristiano rispettoso, però, delle esigenze legislative proprie di un regime democratico. Nella stessa prospettiva si svolgono quelle che l’autore definisce Considerazioni varie sui grandi temi e problemi che hanno caratterizzato l’avvento del nuovo millennio nella dimensione ormai planetaria del processo storico. In particolare riflette sul ruolo e la funzione delle tre religioni monoteistiche con l’apporto del loro patrimonio di fanatismo nel confronto/scontro, fra terrorismo e pacifismo, che caratterizza il processo di trasformazione degli assetti sociali e politici che in quegli anni investe soprattutto il medio oriente.
Lo guida una chiara consapevolezza della differenza fra fondamentalismo e religione e, di conseguenza, fra tolleranza e fanatismo che gli consente, da un lato, di orientarsi fra i diversi islamismi e i diversi cristianesimi e, dall’altro, di poter negare la definizione dei conflitti fra religioni come “scontro di civiltà”.
Non trascura, però, di far memoria delle sue riflessioni sul dipanarsi della “storia” nella società italiana e nella comunità ecclesiale in ideale confronto con Veltroni, Mancuso, Panikkar e Küng, per giungere poi ad esporre la sua visione “teologica” del mondo, pur dichiarando di non essere teologo di professione.
Una visione, dichiara con particolare determinazione, maturata a partire dalla condivisione in una dimensione comunitaria del “nuovo” promosso dal Concilio. Frequente è il riferimento all’importanza da lui annessa alla sua frequentazione della Comunità di San Paolo.
Ad essa attribuisce la funzione di avergli consentito di liberarsi definitivamente dalla corazza religiosa che gli induceva sensi di colpa per il cammino compiuto per giungere ad una lettura moderna e razionale delle Verità contenute nei testi biblici che non ho più abbandonato e che mi ha dato la possibilità di credere in modo diverso: un modo conciliabile con la razionalità scientifica, di cui è imbevuta la nostra epoca.
Alla presentazione di questo modo l’autore s’impegna nella seconda parte del suo libro con il titolo Liberazione e fede. Essa, in verità, ne costituisce la vera ragion d’essere come rivela l’intento dichiarato, nella sua breve introduzione, di contribuire alla maturazione di fratelli nella fede e di chi fede non ha.
Muove dalla ricognizione della figura di Gesù e della sua costruzione nella storia, ispirata alla documentata indagine storica condotta da Giuseppe Barbaglio, configurando la religione nella quale oggi i cristiani si riconoscono. Sui valori da essa promossi si costruisce quella solidarietà fra diversi che può rendere vivibile la convivenza planetaria e quel rapporto con la Legge che permette di conciliare obbedienza e tolleranza simboleggiato dal racconto evangelico dell’incontro di Gesù con l’adultera, che gli presentano chiedendone la condanna. Più impegnativa l’accettazione dell’immaginario di riferimento della fede, fatto di misteri e di miracoli, che esige approfondimento esegetico delle “sacre scritture” come strumento indispensabile nonostante i suoi limiti.
Riflette poi sull’integrarsi della esperienza di fede individuale, che diventa nel processo storico religione, cioè cristianesimo, con tutto quello che esso ha prodotto come teologia e come chiesa e che l’autore sente l’esigenza di confrontarlo con altre religioni, l’islamismo e l’induismo, e con il superamento della stessa dimensione religiosa.
Le conclusioni che ne trae lo inducono a interrogarsi sulla fede nella quale si riconoscono quelli che intendono richiamarsi alla figura di Gesù.
Le pagine in cui propone la risposta costituiscono la fine del suo percorso e si configurano come una vera e propria professione di fede.

(*) M. Magini Il mio amico Platone. Riflessioni su società, religione, vita Petite plaisance, Pistoia, 2015, pp.123

Roma, 8 febbraio 2016

Marcello Vigli


Alcune pubblicazioni di Marcello Vigli

 

Contaminazioni

Marcello Vigli, Contaminazioni. Un percorso di laicità fuori dai templi delle ideologie e delle religioni, Edizioni Dedalo, pp. 304, 2006.


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Marcello Vigli, con Raffaele La Porta, Corrado Mauceri, Antonio Santoni Rugiu, Angelo Semeraro, Scuola pubblica. Scuola privata, La Nuova Italia, 1998.


Coltivare speranza

Marcello Vigli, con Mario Campli, Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile, Edizioni Tracce, 2009.



 

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Carmine Fiorillo – Tracce di significato in una vita vissuta in pienezza di valore.

Traccia
Noi siamo storia
e siamo la nostra storia nella storia.
Siamo una trama di significati.
Le nostre tracce di significato sono ponti.
Costruiamo ponti che ci portino ad amare e generare il bene e il bello.

 

Vediamo oggi che non solo la filosofia, ma anche la storia – e lo studio della storia,  la riflessione sulla storia (intesa come passato non meramente temporale), anche la storia che alcuni considerano “minore”, la storia soggettiva di ciascuno di noi, è fatta oggetto di dileggio e di derisione.

Fukuyama Francis: La fine della storia e l'ultimo uomo. Rizzoli 1992

Bisogna pur dire che La fine della storia di Fukuyama ha fatto breccia in ambiti culturali che – assumendo prima le idee di Progresso Illuminato e di Evoluzione Sociale – hanno finito poi per approdare a quell’antropologia capitalistica che rigetta l’idea stessa di storia, perché tale approdo capitalistico non ha più bisogno di storia.
La storia è soprattutto trama di significati universali; e per ogni essere umano è trama di significati di quel che la persona è stata, le scelte che ha compiuto, le azioni che ha messo in atto per concretizzare la propria progettualità sociale e il proprio cammino di conoscenza, come pure le azioni che non ha messo in atto per preservare la propria identità in questo cammino. La storia di chi ha cercato (e cerca) di vivere con profondità di senso e di valori ogni esperienza di comunicazione è costituita dalla traccia di significato di quei fatti che continuano ad essere in lui vitali, e preservati in spirito, ad illuminare il nostro presente nella progettazione di ponti verso il futuro. Noi siamo storia e siamo la nostra storia nella storia.
Dobbiamo sempre cercare una possibile strada per liberarci dalla “gabbia d’acciaio” del “puro presente” e per combattere il nichilismo moderno che ci avvolge da ogni lato cercando di convincerci che sia possibile vivere solo “al presente”, senza bisogno di storia, senza bisogno di passato, senza bisogno di futuro.

Stone arch with red stone at top in the morning on a beach

Le nostre tracce di significato sono ponti, sono ciò che unisce “quel che è stato” a “quel che sarà”, perché i ponti, ancor prima di essere strutture materiali, sono strutture di pensiero che pongono in comunicazione, descrivendo la particolare funzione di uno stato relazionale. Attraverso questi ponti eidetici noi consentiamo, e ci consentiamo, un passaggio, un attraversamento, da un luogo ad un altro, dal passato al presente, dall’oggi al futuro.
L’antropologia capitalistica ci riserva distopia: offre “in dono” il “presente assoluto” come una pianura senza fine, con un paesaggio assolutamente piatto, che non necessita della presenza di ponti.
Per il capitalismo mondializzato l’idea stessa di ponte è un “non senso”, ma anche un pericolo, in quanto i costruttori di ponti testimoniano un grado di differenziazione dall’onnivora omologazione e di consapevolezza delle possibili condizioni per il movimento, per l’attraversamento, per il cambiamento, per il dialogo, ed anche per il conflitto.
Impariamo dunque che il senso profondo della cultura e della storia, della nostra storia (anche “minore”, anche della nostra storia personale e psicologica) lo dobbiamo ritrovare progettando quei ponti su cui si sedimentano tracce di significato. Ponti che ci portino ad amare e generare il bene e il bello, promuovendoli nella relazione con tutti coloro che incontriamo nell’attraversamento della quotidianità, generando ciò che davvero vale e che ci sopravvive.

Tracce di significato, perché traccia è:

segno” lasciato sul terreno della storia;

vestigio” che permette di riconoscere, ricordare, rammemorare;

testimonianza”  di pienezza di valore vissuta,
di progettualità impegnata comunitariamente;

orma” che rinvia al “cammino” dell’uomo
nella realizzazione della propria compiuta umanità;

indizio” di eventi passati che il tempo ha reso evanescenti,
ma che sono prefigurazione di un futuro;

cifra” di virtualità che cercano la vita nel presente;

segnacolo” di accadimenti futuri;

impronta” della possibile dialettica di comprensibilità tra passato e presente;

abbozzo” che serva da guida;

filo conduttore” di un discorso di rilevanza umanistica;

schizzo” di un progetto di ricerca sul bene e sul bello;

metafora” della fiducia critica nella memoria storica dell’uomo.

Carmine Fiorillo


 

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Domenico Segna – L’assurdo e la felicità: Albert Camus.

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A. Camus, La peste

A. Camus, La peste.

«[...] solo nei libri come La peste di Camus regalatomi da una donna avara, [...] si trova scritto in modo nitido, che il bacillo della pestilenza, il suo essere il male può restare addormentato per anni tra i mobili del salotto buono e la biancheria racchiusa in un armadio. Pazientemente aspetta anno dopo anno per poi improvvisamente svegliare i suoi schifosi topi aizzandoli contro uomini e donne che vivono in una città felice. Solo una continua resistenza può per qualche tempo salvarli: il tempo farà la sua parte».

 

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Cosa avrei potuto dire, o fare, a quale Dio avrei potuto rivolgere l’esclamazione di una donna: “È così difficile vivere!”. Quella donna rimaneva in silenzio per ore ed ore davanti alla finestra della sua stretta cucina. Trascorreva pomeriggi interi facendo a maglia, un unica preoccupazione le corrugava di tanto in tanto la fronte: assicurarmi una vita felice. Quella donna era mia madre. Vivevamo la luce distillata dalle tende, rammendava losanghe di sogni, uncinetti di rimpianti. Giù in strada il corteo delle ore lento marciava, inesorabile avanzava, nel crepitio del giorno mostrava la sua inconsistenza. Procedeva sino a che c’era chiaro, sino a che il sole iniziava il suo viaggio notturno: era un esercito ben addestrato che dilagava abbattendo difese, proverbi, ansie. La guardavo mentre sferruzzava calze di lana. Aveva freddo mia madre. Tutti avevano freddo. – Chi ha tempo, non aspetti tempo! –  era il suo detto. Se di buon umore cantava. Erano canzoni di prima della guerra. A volte le chiedevo “A cosa pensi?”, “A niente” rispondeva. Ed era vero. In fondo credere in Dio la domenica pomeriggio è un atto di coraggio. Lei lo possedeva, io no. Con gli occhi, però, bevevo il distillato puro della notte. Un tram interrompeva, turbandolo per qualche attimo, il silenzio. Poi esso riprendeva come una fatica di Sisifo.Un nuovo tram sarebbe passato e la fatica di ricomporre il silenzio sarebbe ripresa.
Avevo poco più di sedici anni quando morì mio padre, … [Continua a leggere]

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Domenico Segna, Libro, Pendrago, 2007Domenico Segna, Libro, Pendragon, 2007

 

«C’è, qua dentro, qualcosa di lucido e riflettente, che si insinua a interferire, ma non a sovrapporsi, nel testo; come un mosaico disteso sul pavimento, su cui si può camminare ma con il rispetto della suggestione e senza mai distogliere lo sguardo; con l’impressione, che è un brivido, di vederci riflettere il proprio volto e forse anche un frammento della propria vita» (dalla Nota di Roberto Roversi).

 


 

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Domenico Segna, Estetica della pace in Simon Weil,
in I. Malaguti (a cura di), Filosofia e pace, ed. Fara, 2000.


Domenico Segna, Le chiese scomparseDomenico Segna, Le chiese scomparse, con-fine edizioni, 2014.

Una raccolta che ci riporta indietro nel tempo, quella di Domenico Segna. Le chiese scomparse è infatti un viaggio a ritroso, razionale e sentimentale, alla ricerca di un tempo perduto di ricordi privati, famigliari, già fluiti nel tessuto di un’esperienza comune. Anche nello stile, che accoglie esperienze moderniste e surrealiste, l’autore sembra guardarsi alle spalle, a quel Novecento da cui proviene e a cui questi testi rendono esplicito omaggio, tra letteratura e vita. Al lettore non resta che avventurarsi tra questi versi, misteriosi e squillanti, avvertire il sentimento del sacro che li anima e che anima il loro autore, sospeso tra una parola catartica, quasi profetica, e una dimensione seriosamente giocosa, pienamente surrealista. Una poesia che scaturisce dal silenzio, questa, che ci fa abbandonare “i cortili dell’istante” verso la conquista d’una terra di “eremite abbondanze”.

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Gabriella Putignano – Quel che resta di Raoul Vaneigem

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 «[...] il Traité rimane uno scossone, un urlo
[...] a fare un bilancio rispetto a ciò che rimane
della soggettività come desiderio, 
come piacere, come relazione solidale.»
Pasquale Stanziale
Gabriella Putignano

Quel che resta di Raoul Vaneigem

Coperta 249

ISBN 978-88-7588-167-2, Petite Plaisance, 2016, pp. 64, Euro 8
In copertina: Dino Di Bonito, Singapore.

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Risvolto di copertina

In quello che vuole essere una sorta di fulminante pamphlet, l’autrice ci invita a riscoprire il pensiero di uno dei membri storici dell’Internazionale Situazionista, Raoul Vaneigem. Il saggio si articola così in una pars destruens, ove l’attualità del pensatore belga emerge in tutto il suo significativo spessore, ed in una pars construens, volta a ridestare il valore sovversivo dei sentimenti, l’eccedenza della gratuità, la potenza liberante dell’Eros. Nell’iper-liberismo odierno – scrive l’Autrice, seguendo Vaneigem, – non è più sufficiente arrestarsi alla marxiana ʻstrutturaʼ, poiché occorre far seguire una revolutio dell’intero apparato valoriale egemone, un bisogno di rendere la propria esistenza un tessuto solcato di tenerezza, cooperazione, empatia.


L’autrice

Gabriella  Putignano (Bari, 1987) si laurea nel 2011 con il massimo dei voti in Scienze filosofiche presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” con una tesi in Filosofia teoretica su Carlo Michelstaedter. Nel 2013 si abilita all’insegnamento in Filosofia e Storia e dal medesimo anno inizia ad inse-gnare nei Licei. È autrice di numerosi saggi brevi su rivista ed in volume collettanei, nei quali ha trattato il pensiero di Giuseppe Rensi, Albert Camus, Carlo Michelstaedter, Aldo Capitini. Ha, inoltre, pubblicato la monografia L’esistenza al bivio. La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter (Stamen, Roma 2015) e curato il libro «Filosofare dal basso» (Sentieri Meridiani, Foggia 2015).


Noi che desideriamo senza fine

Raoul Vaneigem, Ai viventi

RAOUL VANEIGEM, IL MOVIMENTO DEL LIBERO SPIRITO

Raoul Vaneigem, Trattato del saper vivere

Raoul Vaneigem

Raoul Vaneigem


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