Punti Critici N° 3 (Maggio 2000) – Scritti di Vladimir I. Arnold, Laura Catastini, Franco Ghione, Sandro Graffi, Pietro Greco, Giovanni Lombardi, Angela Martini, Emanuele Narducci, Lucio Russo.

Punti Critici n. 3

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Comitato di direzione: Franco Ghione, Sandro Graffi, Paolo Maddalena, Angela Martini, Lucio Russo, Giovanni Stelli.
Comitato scientifico: Alberto Giovanni Biuso (Liceo Beccaria di Milano), Laura Catastini (Istituto Statale d’Arte, Pisa), Antonio Gargano (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Franco Ghione (Università di Roma Tor Vergata), Sandro Graffi (Università di Bologna), Antonio La Penna (Università di Firenze), Paolo Maddalena (Corte dei Conti per il Lazio e Università di Viterbo), Emanuele Narducci (Università di Firenze), Lucio Russo (Università di Roma Tor Vergata), Paolo Serafini (Università di Udine), Augusto Schianchi (Università di Parma), Giovanni Stelli (IRRSAE dell’Umbria, Perugia).

Segretaria di redazione: Carla Russo.

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   Presentazione

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   In questo numero

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 11-39 

Angela Martini,
Abitare le rovine.
Il destino dell’educazione liberale nell’epoca della globalizzazione


Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 41-56

Emanuele Narducci,
Umberto Eco. le Guerre Puniche e la luna rossa, nonché I Baluba

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 57-59

Giovanni Lombardi,
Formarsi sui videogiochi o progettarli? Il caso del Giappone

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 61-70  

Lucio Russo,
Due libri sulla scuola italiana

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 73-85    

Vladimr I. Arnold,
Sull’insegnamento della matematica

Logo Adobe Acrobat   Freccia rossa   pp. 87-98    

Lucio Russo,
L’articolo di Arnold e i rapporti tra storia della cultura e scienza esatta

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 99-128  

Laura Catastini e Franco Ghione,
Immagini, analogie e sassolini nei pitagorici

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 129-141

Pietro Greco,
Ideali scientifici mediterranei

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 143-171    

Sandro Graffi,
Sull’origine dell’interpretazione statistica della meccanica quantistica

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Notizie sugli autori

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Per leggere le pagine

del n° 1.

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Punti Critici N° 1 (Maggio 1999) – Scritti di Fabio Acerbi, Giovanni Gallavotti, Sandro Graffi, Giovanni Lombardi, Paolo Radiciotti, Lucio Russo, Maria Sepe, Giovanni Stelli.

Per leggere le pagine

del n° 2.

Coperta N- 2

Punti Critici N° 2 (Settembre/Dicembre 1999) – Scritti di Paolo Maddalena, Alberto Giovanni Biuso, Giovanni Gallavotti, Sandro Graffi, Lucio Russo, Stefano Isola, Marco Mamone Capria, Angela Martini.

Per leggere le pagine

del n° 4.

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Punti Critici N° 4 (Febbraio 2001) – Scritti di Fabio Acerbi, Piero Brunori, Giovanni Lombardi, Angela Martini, Paolo Maddalena, Lucio Russo, Ledo Stefanini, Mauro Zennaro.

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Alberto Jori – La responsabilità ecologica. Con la «colonizzazione» concettuale e tecnologica della natura, la cultura moderna ha perduto la capacità di apprendere i limiti.

Alberto Jori
La responsabilità ecologica

La responsabilità ecologica

 

La «colonizzazione» concettuale e tecnologica della natura

Dall’«umanizzazione» della natura si è […] passati alla sua sistematica «colonizzazione» concettuale e tecnologica. Di tale processo si possono scoprire gli inizi nel nuovo atteggiamento verso la creazione che viene teorizzato da Francesco Bacone e, soprattutto, nella proposta, formulata da Cartesio, di un nuovo metodo d’indagine, imperniato sui principi della ragione analitico-deduttiva (ossia matematica).[1] Contestualmente si verifica un significativo spostamento di accenti e d’interesse, dalla dimensione del prattein a quella del poiein, dall’agere al facere.[2] Ed è precisamente lungo tale itinerario che l’uomo giunge a costituirsi come detentore di un potere assoluto sulla natura. Egli anzi diviene ai propri occhi la realtà assoluta in riferimento alla quale tutti gli altri enti acquisiscono il loro effettivo statuto ontologico: il progetto di un sapere «totale», inteso come equivalente alla capacità di produrre ogni genere di effetto (e, in fondo, ogni sorta di realtà), si accompagna infatti alla pretesa che l’uomo possa diventare simile a Dio, ossia all’auspicata sostituzione del regnum hominis al regnum Dei. Tutto ciò è chiaro già in Bacone.

Per i Greci antichi le attività tecnico-scientifiche avevano un codice etico interno

[…] Nel mondo greco, al quale appunto dobbiamo l’elaborazione della nozione di techne (ossia di scienza-tecnica), fu convinzione comune, almeno per un certo periodo, che ognuna delle attività tecnico-scientifiche avesse una sorta di codice etico interno, vale a dire un momento di autonormatività alle cui indicazioni l’operatore professionale doveva assolutamente attenersi sul piano pratico. In caso contrario, infatti, egli si sarebbe posto al di fuori dell’ambito medesimo di esercizio della propria techne. Così, nel quadro dell’autocoscienza delle technai si aveva una chiara consapevolezza non solo degli obiettivi-cardine (i telai) che andavano perseguiti dai technitai, ma anche e correlativamente dei limiti al di là dei quali per l’operatore professionale era impossibile o comunque inopportuno procedere: chi avesse compiuto tale tentativo sarebbe stato tacciato di hybris, ossia di tracotanza, di presunzione, mentre il suo comportamento sarebbe stato ritenuto obbiettivamente «atecnico».
In parallelo, i Greci manifestarono sempre una diffidenza pressoché insuperabile per quella forma di ingegnosità o di «astuzia» che permette all’uomo di aggirare gli ostacoli frapposti dalla natura e di carpirne i suoi segreti. Tale diffidenza costituì anzi, presumibilmente, una delle cause, se non addirittura la causa principale, del fatto che essi non giunsero né a conoscere né tantomeno a teorizzare l’impiego sistematico dell’ esperimento.

 

Cosmo ed etica «contestuale»

Determinante, nel quadro dell’esperienza greca della realtà – così di quella naturale come pure di quella sociale – fu la nozione di ordine, di armonia, di regolarità: in una parola, il concetto di kosmos. Il carattere «cosmico» (nel senso precisato) della totalità degli enti era inteso come preesistente all’iniziativa conoscitiva e pratica dell’uomo: esso veniva dunque a identificarsi con una gerarchia ontologica e valoriale dotata di significato oggettivo.
All’uomo spettava il compito essenziale di interpretare in modo adeguato l’ordine della realtà: è appunto da qui che scaturiva la centralità del ruolo che i Greci attribuivano all’investigazione «ermeneutica» della natura.
Proprio dall’ordine che struttura il dominio dell’esistente – puntualmente riflettendosi nella regolarità e nell’armonia dei processi che si verificano all’interno delle differenti «regioni antologiche» in cui tale dominio si articola – derivano, secondo i Greci, i criteri di autolimitazione inerenti alle diverse technai, ciascuna delle quali assume come proprio oggetto, teorico e operativo insieme, un differente ambito del mondo naturale. Si comprende agevolmente, allora, per quale motivo i principi etici cui facevano riferimento le technai, soprattutto nella loro fase applicativa, fossero intesi come principi ad esse interni, vale a dire intrinseci alla stessa ricerca e operatività tecnico-scientifiche, e non come «leggi» imposte da un’autorità esterna o, in generale, come norme contesto-indipendenti. La loro validità veniva infatti a fondarsi sull’ordine oggettivo e normativo della stessa realtà indagata. Quella dei technitai era dunque un’etica che potremmo chiamare «contestuale».

La cosiddetta «legge» di Hume

Le considerazioni ora svolte non sembrano del tutto prive di significato, in ordine a una valutazione di taluni rilevanti aspetti del pensiero moderno. Se, infatti, non si riconosce l’esistenza di un ordine naturale oggettivo – o comunque non si ammette la sua effettiva conoscibilità da parte dell’uomo –, inevitabilmente si arriverà a negare che la realtà possa, attraverso l’«ostensione» della struttura teleologica presente nelle sue varie «regioni», fondare la validità di determinate leggi «naturali» di carattere contestuale.
Non pare casuale, a tale proposito, che sia stato Hume a negare la legittimità del passaggio dalle proposizioni descrittive a quelle prescrittive, con la formulazione di quella che viene ricordata come la sua «legge». Lo stesso Hume, com’è noto, nega, infatti, in sostanza, anche l’intelligibilità del reale, o comunque la legittimità dell’impiego dei concetti – in particolare quelli di causa e di sostanza – mediante i quali si era tradizionalmente presunto di riuscire a comprendere la struttura oggettiva dell’esistente. E il mito maxweberiano dell’«avalutatività» della scienza, al quale è connessa l’elaborazione dell’immagine – e dell’ideale – dello scienziato «neutrale», trae la propria origine, in ultima analisi, precisamente dalla frattura, consumatasi nel quadro del pensiero humiano, tra descrizione e prescrizione, tra «fatto» e «valore».

La cultura moderna ha perduto la capacità di apprendere i limiti

Come scrive P. Donati, «non soltanto la cultura moderna ha perduto il senso del limite, ma ha anche perduto in buona misura la capacità di apprendere i limiti». Ciò finisce col configurare una situazione di notevole gravità, perché, com’egli ancora osserva, «i valori e l’autocoscienza possono emergere solo attraverso processi di autodelimitazione, di auto-imposizione, di auto-preclusione».[3] In tale prospettiva, potrebbe essere utile recuperare oggi almeno una parte dei contenuti concettuali che i Greci associavano alla nozione di techne. Questa nozione infatti implicava, come si è visto, la consapevolezza di avere a che fare con un ordine naturale-oggettivo dotato di una precisa portata normativa, che marcava anche i limiti entro i quali doveva porsi l’intervento del technites. Pertanto, con il recupero di tale visione e delle sue implicazioni si riproporrebbe, al livello della stessa attività tecnico-scientifica, l’esigenza di un approccio profondamente responsabile al mondo naturale, visto come un complesso da investigare nel suo ordine e nella sua interna articolazione, ma anche da rispettare nella sua fondamentale realtà di «cosmo». Questo significherebbe anche – ed essenzialmente – mettere nuovamente a fuoco il ruolo particolarissimo che la vita umana riveste nella totalità del reale.

Alberto Jori, La responsabilità ecologica, Edizioni Studium, 1990, pp. 27-48.

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Note

[1] Cfr. E. BERTI, Ragione scientifica e ragione filosofica nel pensiero moderno, Roma 1977, p. 43 ss.

[2] Va ricordato, a tale proposito, che negli ultimi decenni si è andato manifestando, soprattutto in Germania, un particolare interesse per la problematica relativa all’eclissi, nel quadro della cultura moderna, della dimensione della prassi. In quest’ottica, è stata riscoperta la filosofia pratica classica, con espliciti richiami al pensiero greco e soprattutto ad Aristotele: cfr. E. BERTI, Le vie della ragione, Bologna 1987, p. 55 ss. e p. 271 ss.; si veda anche F. VOLPI, Spaesamento postmetafisico? Per una contestualizzazione dell’attuale diballito sulla razionalità pratica, in AA.VV., La ragione possibile. Per una geografia della cultura, a cura di G. Barbieri e P. Vidali, Milano 1988, pp. 75-87. Ancora E. Berti fornisce un’analisi eccellente del metodo della filosofia pratica in Aristotele nel volume Le ragioni di Aristotele, Roma-Bari 1989 (p. 113 ss.); cfr. anche P. RICOEUR, Dal testo allazione. Saggi di ermeneutica (tit. or.: Du texte à l’action. Essais dherméneutique II), trad. it. G. Grampa, Milano 1989, soprattutto pp. 238-39 (appunto dedicate al concetto aristotelico di praxis).

[3] P. DONATI (a cura di), La cultura della vita. Dalla società tradizionale a quella postmoderna, Milano 1989, p. 26.

 


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