Aldo Lo Schiavo – Omero filosofo. L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco.

Ad una filosofia attenta alle fonti storiche interessa non poco di conoscere come, dalle insufficienti intuizioni globalizzanti del mito e dal confronto con le più mature costruzioni teo-cosmogoniche, il pensiero razionale sia venuto lentamente precisando concetti, categorie, criteri costitutivi di una visione laica e scientifica del reale.


In cooertina: Archelao di Priene, Apoteosi di Omero, II sec. a.C., Londra, British Museum.

Aldo Lo Schiavo

Omero filosofo

L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco

Prefazione di Domenico Musti.

ISBN 978–88–7588–305–8, 2021, pp. 304, Euro 30 – Collana “Il giogo” [138].

indicepresentazioneautoresintesi


Il mondo rappresentato dai poemi omerici è così ricco e complesso da orientare i contenuti intellettuali della successiva letteratura greca. Lo stesso pensiero filosofico trasse spunti di riflessione dai canti epici, in cui era rifluita l’esperienza di generazioni. Omero dunque costituisce un «inizio» anche per la storia della filosofia. Nell’épos si era accumulata una «tradizione» che lasciò «residui» fecondi almeno su tre piani diversi: quello lessicale, della formazione cioè di un linguaggio scientifico (progressiva determinazione del polisemico lessico omerico); quello enciclopedico, ossia dei contenuti di vita, delle tecniche e dei valori elaborati da una cultura aperta sul variegato mondo della natura e degli uomini; quello del mito, le cui intuizioni intorno alle strutture del cosmo e alle forze dappertutto operanti implicano quasi un’architettura logica. Un’esigenza dell’indagine è quella di situare Iliade e Odissea nella loro età, un’altra consiste nel tentativo d’individuare il tessuto di significati o d’idee che il mito, esprimendosi nelle forme sue proprie, fu capace di costruire, fino a formare quasi una riserva di pensiero per le età che seguirono. Il mito costituisce una prima forma di sapere organizzato: in esso è come concentrata una larga esperienza di vita e di pensiero, offrendo materia di riflessione a chi si pose i primi interrogativi sui grandi temi dell’essere e del divenire. La religione olimpica, con la sua larga apertura sul mondo nella varietà molteplice delle sue forme, era già sulla via dell’incipiente filosofia greca, e non oppose al fiorire del pensiero razionale le resistenze di una religiosità diversamente orientata, mistica e dommatica. La reciproca interferenza di mito e pensiero razionale è rilevabile in quasi tutta la storia intellettuale della grecità: entrambe sono formazioni storiche, e come tali nella storia fanno registrare fra loro consonanze e divergenze, punti di contatto e fratture profonde. Ad una filosofia attenta alle fonti storiche interessa non poco di conoscere come, dalle insufficienti intuizioni globalizzanti del mito e dal confronto con le più mature costruzioni teo-cosmogoniche, il pensiero razionale sia venuto lentamente precisando concetti, categorie, criteri costitutivi di una visione laica e scientifica del reale.


Aldo Lo Schiavo (1934) si è laureato in giurisprudenza all’università di Bologna e in filosofia all’università La Sapienza di Roma. Dopo aver studiato l’idealismo di Giovanni Gentile (La filosofia politica di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1971; Introduzione a Gentile, Bari, Laterza, 1974) si è dedicato completamente allo studio del pensiero greco, dalle origini a Platone, pubblicando i seguenti lavori: Omero filosofo. L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco, Firenze, Le Monnier, 1983; Charites. Il segno della distinzione, Napoli, Bibliopolis, 1993; Themis e la sapienza dell’ordine cosmico, Napoli, Bibliopolis, 1997; Filosofia del mito greco, Roma, IPS Editrice, 2000; Il fondamento pluralista del pensiero greco, Napoli, Bibliopolis, 2003; Platone e le misure della sapienza, Napoli, Bibliopolis, 2008; La filosofia politica di Platone, Napoli, Bibliopolis, 2010. Ha anche sviluppato una approfondita analisi della civiltà romana, pubblicando Roma e la romanizzazione. I fondamenti della Civiltà Romana, Napoli, Bibliopolis, 2013.

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Di Aldo Lo Schiavo “petite plaisance” ha pubblicato, oltre a Omero filosofo:

Filosofia del mito greco. In Appendice: Themis, la dea del giusto consiglio, 2021

(indicepresentazioneautoresintesi).

 

Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico, 2021

(indicepresentazioneautoresintesi).



Aldo Lo Schiavo – Il sapere filosofico, quando non si isola in un formalismo tecnico fine a se stesso, trae sostanziale giovamento dall’analisi delle origini e del radicamento delle rappresentazioni mentali nel fitto tessuto di esigenze, sentimenti, reazioni individuali e collettive espresse nelle concrete situazioni in cui gli uomini operano e costruiscono la loro civiltà.
Aldo Lo Schiavo – Themis sa guardare all’avvenire del mondo, per il quale auspica un ordinamento al tempo stesso stabile e giusto, senza prevaricazioni e violenze. Themis pertanto esprime una normatività non costrittiva, non cieca, perché portatrice di una specifica sapienza cosmica.
Aldo Lo Schiavo – La condanna platonica della tirannide è radicale. Per Platone la città perfetta è un prodotto della ragione filosofica. La politeia ideale è il coerente progetto di trasformazione etico-politica della società temperato dal concetto di unità nella diversità. Il manifesto del filosofo laico.
Aldo Lo Schiavo – Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Il velo dell’ignoranza sulla democrazia. Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo

Salvatore Bravo

Il velo dell’ignoranza sulla democrazia.
Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo

Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo; le parole e i loro costrutti non sono forme affette da rigidità e astrattezza, ma fin quando si trasmettono e sono linguaggio vivo formano il modo di essere e di operare dei cittadini o dei sudditi. Il potere nella forma del dominio controlla l’ordine del discorso, filtra con le parole i significati in un vano tentativo di eternizzarsi. La storia ha i suoi snodi cruciali solo se l’esperienza linguistica è mediata dal logos.

L’uso delle parole comporta una visione del mondo, una modalità pratica di gestione delle relazioni. La lingua viva è il veicolo più impalpabile con cui la violenza entra nel presente dalle porte mai chiuse con il passato. Ci troviamo invischiati in un presente che ha ostracizzato molte parole, ma nel contempo sta riattivando semantiche e lessico del passato. L’esemplificazione della lingua sostenuta dalle tecnologie che “costringono” ad un linguaggio immediato e degradato è il fenomeno politico più importante degli ultimi decenni. In nome dell’utile e della velocità venerati come miti, la prassi politica si è degradata a slogan, le visioni politiche e progettuali sono state sostituite da provvedimenti d’urgenza nell’interesse del popolo e degli italiani. Nessun approfondimento, nessuna contestualizzazione o raffronto per meglio comprendere dati e riforme, solo il luccichio delle parole infilate senza spessore logico e argomentativo per ammaliare e zittire le eventuali critiche. Rendere tutto “semplice”, contrapporre gruppi umani senza ascoltarne le ragioni, anzi dipingere i dissenzienti come pubblico pericolo è l’arma con cui il dominio persegue i suoi criminali propositi con il consenso delle vittime. Abbattere la semantica e la capacità argomentativa di un popolo sono gli espedienti più efficaci con cui ammanettarlo e renderlo suddito. La distruzione della pubblica discussione è demolizione dell’abilità logica senza la quale non vi è che il velo dell’ignoranza a scendere sui cittadini per trasformarsi in ceppo. Il livello di democrazia di un popolo dipende dalle sue capacità linguistiche, non si tratta di retorica o sofistica, ma di abitudine all’uso pubblico e critico della ragione.

La sottrazione delle parole è un furto doloso ai danni della cittadinanza. Un popolo senza parole è in catene dinanzi ai padroni del discorso. La condizione attuale registra la sudditanza globale, in quanto le oligarchie transnazionali possiedono i mezzi di comunicazione e con il loro enorme reddito comprano i venditori di parole. Il circo mediatico è la breccia da fendere per arrivare a loro e smascherare i padroni dell’ordine del discorso. Il lessico del circo mediatico con i suoi giullari rivela l’intenzionalità politica degli oligarchi, il tentativo di riattivare vecchi e antichi fantasmi per conservare il dominio.

Nelle ultime settimane i giornali nostrani hanno dichiarato all’unisono «Draghi tira dritto», l’uomo della provvidenza non si fa distrarre da proteste e dubbi, ma mette in atto la ricetta preparata altrove. In una nazione con un livello medio di democrazia ciò recherebbe scandalo. Il circo mediatico, invece, sorregge l’azione dell’uomo della provvidenza senza critiche, anzi lo rappresenta come il “salvatore” del popolo dinanzi alle proteste che malgrado divieti e Daspo1 continuano nella nazione. L’uomo della provvidenza, di fascista memoria, implica la passività del popolo, che incapace attende il suo angelo custode, che nulla ha di trascendente, ma i suoi obiettivi sono bancocentrici.

Tira dritto” è la nuova versione del me ne frego fascista coniato da Gabriele D’annunzio a Fiume (1919-1920). Ecco che riemergono atteggiamenti fascisti per conservare il dominio delle oligarchie con l’assenso del circo mediatico asservito. Se è possibile l’ostentazione del “tira dritto”, che ammicca al peggior linguaggio autoritario a cui ci stiamo abituando, lo si deve al fatto che i conti con il fascismo non sono stati fatti. L’esperienza storica fascista non è stata collettivamente pensata, sin da subito il potere si è difeso dai processi di democratizzazione lasciando decantare i miti bugiardi del fascismo da ripescare nei momenti di crisi. Queste ultime divengono occasione con cui sottrarre spazi sempre più ampi di democrazia e diritti sociali per inoculare il virus mortale del nuovo “Me ne frego” con il quale perseverare con linguaggio demagogico all’annichilimento dei diritti delle classi lavoratrici e della classe media. La responsabilità della classe accademica e del giornalismo è impressionante: sono disponibili a vendersi pur di raccogliere le copiose briciole che cadono dalle tavolate dei Grandi, resi tali dalla debolezze degli ultimi e dalla complicità del giornalismo sempre pronto ad adattarsi nelle parole e nell’interpretazione dei fatti all’ultimo dei potenti arrivati. Non resta che denunciare la violenza antidemocratica di questi anni senza opposizione e senza idee. Ai fuchi dell’intelletto insteriliti dal meritricio della parola bisogna opporre la forza dialettica della parola che riuscirà a fendere il velo di Maya che impedisce di guardare la verità storica e di agire su di essa con gli innumerevoli mezzi della democrazia. La regressione di questi anni non è la fine della lotta, ma una parentesi in attesa vigile ed operativa di quello che sarà e verrà. Ognuno può fare qualcosa, può resistere e accumulare le energie per un nuovo soggetto politico alternativo che per ora non si profila, ma è da preparare con l’impegno paziente delle parole. All’ateismo dilagante dei spregiatori della verità si può opporre l’umanesimo filosofico integrale da cui ricominciare per ricostruire una prospettiva comunitaria:

È il marxismo un “ateismo”? A mio parere non lo è necessariamente. Il marxismo è indubbiamente un umanesimo filosofico integrale (non sono quindi d’accordo con la scuola francese di Louis Althusser). Ma l’umanesimo filosofico integrale è anche il terreno di incontro e di dialogo fra credenti e non-credenti, che spesso verificano nei fatti di pensare la stessa cosa. Nella misura in cui la prospettiva di Marx riguarda non certamente l’esistenza e la non-esistenza di Dio (non sono infatti d’accordo con chi ritiene che la critica alle ipostasi religiose sia il presupposto necessario per la critica alle ipostasi dell’economia politica – e non sono d’accordo anche se so bene che il giovane Marx pensava proprio questo), ma la teoria dei modi di produzione ed il comunismo, ritengo che l’ateismo non sia assolutamente un pezzo di motore necessario per la macchina di Marx. Non si tratta del carburatore, ma della bambolina che penzola sul cruscotto. In definitiva penso che alcuni preti cattolici “dissidenti” (Fernando Belo, Giulio Girardi ecc.) abbiano ragione nell’essenziale”. 2

1 D.A.SPO., acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive.

2 Costanzo Preve, Considerazioni introduttive sugli attuali dibattiti fra laicismo, scienza, filosofia e verità, Petite Plaisance, Pistoia 2008, pag. 18.

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La filosofia è una pratica ermeneutica. La ricostruzione genetica della particolare postura filosofica di Costanzo Preve è un’operazione complessa, e certamente esercizio quanto mai laborioso, a causa della copiosa produzione di scritti e dell’ordito di mezzi da lui scelti per portarla a noi. Malgrado tali difficoltà, può senz’altro affermarsi che la filosofia di Costanzo Preve è stata costantemente dialogica, aliena all’innalzamento di sterili palizzate ideologiche, poiché al contrario mirava – facendo leva sulla forza del concetto – a scanalare brecce nelle cinte fortificate di purismi e ideologie rinchiuse in se stesse. È questa una capacità che gli ha consentito di elaborare una sintesi tra tradizioni e filosofi differenti, divergenti, allo scopo di ritrovare un sentiero che conducesse fuori dalla palude del nichilismo. Tale genesi composita fa sì che l’addentrarsi nel suo pensiero sia un’esperienza di “straniamento”, perché egli sa mettere proficuamente in crisi le facili e sterili dicotomie su cui reggono quei poteri sclerotizzati nell’abitudine, assieme a quei pregiudizi ideologici che favoriscono il consolidamento dei totalitarismi ideali, siano questi confessi e riconosciuti o meno.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Gabriele Guzzi, Diego Melegari, 
Alessandro Monchietto, Bruno Segre, Marco Veronese Passarella – Idee sottosopra. La sfida della pianificazione: controllo sociale o società del controllo?

Quando ci domandiamo se un altro mondo è possibile,
ci stiamo innanzitutto chiedendo:
esiste 
un metodo alternativo per ripartire le risorse?
Come distribuiremo le cose in modo diverso?

E chi deciderà come vengono distribuite?

 

Per quanto possa sembrare futuristico, la visione di individui e gruppi considerati come entità da tracciare continuamente ha una storia lunga. È cominciata circa sessant’anni fa alle Galapagos, dove una tartaruga si trovò ad ingoiare un succulento boccone nel quale uno scienziato aveva amorevolmente inserito un sensore.
L’aspetto interessante è che le soluzioni adottate all’epoca da chi studiava alci, tartarughe e oche sono oggi adottate dai capitalisti della sorveglianza e presentate come una caratteristica inevitabile della vita nel Ventunesimo secolo.
Quel che è cambiato è che ora gli animali da tracciare siamo noi.

In fin dei conti, cosa fanno Facebook e Google? Ci stimolano – delicatamente e con il nostro consenso – a rivelare informazioni su noi stessi. Gli utenti di queste piattaforme non devono pagare un prezzo in denaro, devono solo lasciare che i loro dati vengano estratti. Per ora, i dati accumulati sono perlopiù usati per vendere prodotti o spazi pubblicitari, ma le possibilità sono molto più ampie.
Come sottolinea Shoshana Zuboff, una delle grandi domande del XXI secolo sarà: chi possiede e controlla i dati che stanno rapidamente diventando una risorsa economica chiave? Il loro uso servirà a favorire processi democratici, o si rivelerà il propellente di un nuovo capitalismo della sorveglianza?

È possibile che pezzi di un mondo migliore stiano lentamente spuntando, e che il capitalismo abbia infine creato i propri becchini (solo che saranno algoritmi, non lavoratori)?

Gli incalcolabili miliardi di gigabyte che Amazon raccoglie – e le meraviglie dei software utilizzati per analizzare questi dati – forniscono un quadro incredibilmente dettagliato di ciò che la gente desidera. Come ogni società Dot-com, Amazon raccoglie quantità improbabili di dati sui suoi consumatori: un negozio convenzionale non sa quali prodotti osservate, quanto tempo passate a guardarli, quali mettete nel carrello e poi riponete sullo scaffale prima di arrivare alla cassa, o anche quali “vorreste” avere. Ma Amazon lo fa. 
Nel frattempo, l’integrazione delle operazioni con i fornitori gli assicura che i prodotti possano essere pronti in quantità sufficienti e in tempi rapidi, così da poter esser consegnati in 24 ore.

Considerata l’enorme scala di questa economia, vediamo affiorare una riorganizzazione rivoluzionaria della produzione capitalista, che potrebbe indurci a porre domande audaci: e se Jeff Bezos si stesse in realtà rivelando un maestro della pianificazione, avvicinandosi nelle sue pratiche molto più al pensiero dei padri del socialismo che ai mentori dell’epoca neoliberale?

I capitalisti dell’epoca IoT (Internet of Things) pianificano quotidianamente più di quanto non si riesca ad immaginare, ma se la buona notizia è che la pianificazione evidentemente funziona, la cattiva è che attualmente si esercita entro i confini di un sistema di profitto che limita ciò che può essere prodotto a ciò che è redditizio.

È tuttavia lecito domandarsi se i piani che i campioni del capitalismo di piattaforma usano ogni giorno per portare beni e servizi nelle mani di coloro che possono pagarli, possano un giorno esser trasformati per assicurare che ciò che produciamo arrivi a coloro che ne hanno più bisogno. Detto diversamente, potremmo conquistare le attuali centrali logistiche e di pianificazione – i Google e le Amazon del mondo – e riconvertirle per costruire civiltà egualitarie ed ecologicamente sostenibili?
Trasformando il modo in cui distribuiamo le cose, potremmo forse iniziare a trasformare tutto il resto dell’economia – da quali cose produciamo e come, a chi lavora e per quanto tempo?

È giunto il momento di riconoscere che il capitalismo è inadeguato a risolvere i problemi che ha creato, dall’ambiente alle diseguaglianze sociali. E che sia ormai impossibile rimettere il dentifricio nel tubetto.
Quello che si può – e si deve – fare, è ridurre progressivamente il campo in cui è il meccanismo impersonale del mercato a regolare i nostri rapporti, ed estendere il campo in cui sono le nostre volontà coscienti a riunirsi su basi paritetiche nel formare una scelta collettiva. Realizzare una società in cui siano i bisogni degli individui e della collettività a muovere la produzione e l’allocazione delle risorse, e non la semplice e inarrestabile sete di profitto.

Di queste ed altre questioni discuteranno – sabato 27 novembre a partire dalle ore 14.30, presso il Polo del ‘900 di Torino – Gabriele Guzzi, Diego Melegari e Marco Veronese Passarella. 
Presiede: Bruno Segre. Modera: Alessandro Monchietto. 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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