Claudio Lucchini – Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo

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Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx
Claudio Lucchini

Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale
e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo

***

La corretta puntualizzazione ontologica degli interventi trasformativi della prassi umana diretti a realizzare modalità disalienate di vita sociale e forme di ricambio organico con l’ambiente naturale circostante rispettosi degli equilibri ecologici, sembra essere un compito assai rilevante al fine di chiarire l’essenza, le possibilità concrete, i limiti di un agire storico-sociale che voglia concepirsi ed attuarsi non come incessante tendere ad un illimitato e vuoto trascendimento del dato verso un orizzonte di libertà e giustizia mai raggiunto, ma, al contrario, come fondazione di una quotidianità funzionante radicalmente democratizzata, mediamente foriera di riconoscimenti umanizzanti e non estranianti, sebbene al di fuori di qualsiasi automatismo riproduttivo o provvidenzialismo secolarizzato.
Una tale impresa – qui molto schematicamente abbozzata in alcune sue essenziali componenti teoriche – non può in alcun modo prescindere da un’adeguata tematizzazione del rapporto che connette la dimensione sociale e la dimensione naturale del vivere umano, facendo della seconda l’ambito entro cui soltanto la prima – come del resto qualsiasi altra cosa, a patto di rifiutare soluzioni pesantemente metafisiche – può svilupparsi e vivere secondo un’indubbia specificità, che tuttavia mai, lo ribadiamo, può sospendere il nesso con la totalità materiale della natura. È ovvio che, seguendo questa impostazione, si porrà seriamente in discussione l’idea che debba essere posta una radicale discontinuità tra oggettività naturale data e oggettivazioni realizzate dal lavorio storico della prassi sociale in tutte le sue forme, cercando di mostrare in quale senso questa relazione debba venir intesa, sia rispetto alla dimensione connessa al ricambio tra società e natura, sia in relazione al modellamento pratico-politico delle forme delle relazioni sociali e personali, alla possibilità di una loro valutazione etico-sociale processualmente universalizzabile e alla delineazione collettiva di un nuovo modello di società innervato di contenuti oggettivamente e universalmente liberatori.
Uno dei testi storicamente decisivi, nell’ambito del pensiero marxista, per comprendere in qual maniera venga argomentata la sussunzione della struttura “oggettiva” dei fatti naturali nella prassi umana, in particolare nella prassi universalizzatasi con l’affermarsi del modo capitalistico di produzione, è la celebre opera di György Lukács Storia e coscienza di classe – uscita nel 1923, lo stesso anno di pubblicazione di un altro famoso libro che gli è affine, Marxismo e filosofia di Karl Korsch –, dal filosofo ungherese successivamente ripudiata nei suoi presupposti teorici, come si avrà modo di constatare accennando alla tarda, grandiosa Ontologia dell’essere sociale (pubblicata postuma nel 1976).
[… Leggi tutto l’intervento aprendo il PDF qui sotto]

Claudio Lucchini,
Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo



Gli altri interventi
Luca Grecchi, Sulla progettualità
Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi
Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.
Antonio Fiocco, Difendere in tutti i modi la progettualità.
Alessandro Pallassini – Note marginali per la progettazione di un comunismo della finitezza a partire da Spinoza.
Luca Grecchi – Perché la progettualità?

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Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.

Quale progettualità?

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Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx
Claudio Lucchini

La progettualità comunista tra utopia concreta
e necessità di funzionamento quotidiano

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Sia pur in termini generali e sganciata da un’illustrazione particolareggiata di come dovrebbe articolarsi il funzionamento quotidiano di una società comunista, la prefigurazione concretamente utopica, cioè realmente attuabile sulla base di determinate condizioni sociali complessive, di modi di vita e di lavoro trascendenti l’orizzonte storico delle estraniazioni classiste e capitalistiche, è parte integrante ineludibile del pensiero marx-engelsiano, che perderebbe anzi, senza di essa, una propria decisiva componente.
Non è certo un caso che, dopo aver minuziosamente citato il celebre brano marxiano dei Grundrisse relativo alle fondamentali forme storiche occidentali dei legami sociali interumani colti nella loro valenza assiologica rispetto alla formazione della personalità individuale, brano in cui si teorizzano al contempo le condizioni indispensabili al sorgere della libera individualità integrale comunista, Costanzo Preve commenti con piena ragione:

«A mio avviso, questa è la più importante citazione filosofica che si possa fare spigolando nelle pagine di Marx. Nessuna altra citazione le è pari, neppure quella del giovane Marx sulla «alienazione». Qui Marx compendia la sua filosofia della storia, senza la quale le migliaia di pagine sulla crisi capitalistica, sui profitti e sui prezzi, sulle classi ecc. sono assolutamente mute e prive di qualsiasi espressività. Il fatto è che Marx aveva deciso di respingere la conoscenza filosofica […], ma era nello stesso tempo una persona intelligente, acuta e sensibile, e allora la filosofia non poteva fare a meno di tornare comunque nel processo della sua elaborazione di pensiero. Questa citazione ne è la prova indiscutibile, di fronte a cui cadono tutte le mura althusseriane erette in difesa di una impossibile considerazione “scientifica” del tutto depurata dalla filosofia». [… Leggi tutto nel PDF allegato]

Claudio Lucchini
La progettualità comunista tra utopia concreta
e necessità di funzionamento quotidiano



Luca Grecchi, Sulla progettualità

Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi


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Koinè – Bene comune

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Koinè, Periodico culturale, Anno XVIII  –  NN° 1-3 Gennaio-Giugno 2011, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiDiego Fusaro

Hanno contribuito e reso possibile la pubblicazione di questo numero di Koinè:

Enrico Berti, Olivia Campana, Francisco Canepa, Giovanni Casertano, Stella Maria Congiu, Lorenzo Dorato, Carmine Fiorillo, Diego Fusaro, Luca Grecchi, Davide Gallo Lassere, Claudio Lucchini, Alessandro Monchietto, Giacomo Pezzano,  Giancarlo Paciello, Costanzo Preve, Ilaria Rabatti, Emilia Savi, Pierangelo Sequeri, Maurizio Scarpari, Franco Toscani, Carmelo Vigna.

 

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che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx

 

 

Coperta Bene comune

Enrico Berti, Giovanni Casertano, Lorenzo Dorato, Diego Fusaro,
Davide Gallo Lassere, Claudio Lucchini, Alessandro Monchietto, Giacomo Pezzano, Maurizio Scarpari, Franco Toscani, Carmelo Vigna

Bene comune

 

indicepresentazioneautoresintesi

Questo numero di Koinè sul “bene comune” segue il medesimo filo rosso della storia oramai quasi ventennale della rivista. Koinè si occupa infatti da sempre, con approccio filosofico-culturale, delle tematiche politico-sociali più importanti, che talvolta sono anche le più dibattute.
Il concetto di “bene comune”, da qualche tempo a questa parte, è tornato in effetti a occupare il centro della scena, almeno nei proclami di personaggi della politica e della cultura, mostrandosi come il “segnale” di una istanza necessaria della vita umana. Ricercando infatti la natura umana, per sua stessa essenza – questo il messaggio della tradizione greca e cristiana, in cui più è stato sviluppato il concetto di “bene comune” –, la armonia complessiva, è evidente come non il conflitto, bensì la comunanza su ciò che è essenziale, si ponga come la finalità più armonica della vita. Poiché l’attuale modo di produzione tende invece, per realizzare i fini di profitto dei vari soggetti privati che lo animano, a privatizzare tutto, sempre più spesso assistiamo a movimenti sociali in difesa di diritti fondamentali a rivendicare il valore di “bene comune” del carattere pubblico di alcune risorse e servizi: l’acqua, la scuola, l’ambiente, addirittura il lavoro (termine col quale, più che altro, si intende una dignitosa e partecipata sussistenza sociale).
L’espressione “bene comune” compare oramai sempre più spesso anche sulla bocca di politici che, smaccatamente, servono l’interesse privato, e sovente addirittura quello personale. Quanto ciò sia ipocrita è evidente; tuttavia, anche in questo caso si tratta di un “segno” importante di come sia forte – in quanto naturale – la necessità di porre le cose essenziali in comune (o almeno di enunciarlo, anche se poi non lo si fa), fuori dall’arbitrio della privatezza e della mercificazione. È questo lo spirito che da sempre anima la rivista Koinè.
Il volume collettaneo  si apre con un lungo saggio di Enrico Berti, che sintetizza come la tematica del “bene” si sia dipanata lungo l’intero arco della filosofia occidentale, dai Greci a noi; si tratta di un testo di rara chiarezza e profondità, che ben si prestava a fungere da introduzione al tema in questione. Il testo di Berti è seguito da altri due saggi di filosofi cristiani: Carmelo Vigna, che ha ben inquadrato la tematica della “metafisica del bene comune”, e Pierangelo Sequeri, autore di un breve testo molto vibrante.
Vi è poi un lungo scritto di Costanzo Preve sul tema della filosofia della storia, in cui l’autore prende posizione sulla tesi di Luca Grecchi circa la presenza di una “filosofia della storia” nel pensiero greco classico (tesi su cui ritorna anche nel suo saggio-recensione finale). Lungi dal non essere “in tema”, la disamina storico-filosofica di Preve – e soprattutto la sua opera quarantennale – è tutta implicitamente incentrata sulla importanza della realizzazione del bene comune; da questa valutazione, a suo condivisibile avviso, è verosimilmente nata la filosofia greca, e si è poi strutturato il migliore pensiero idealistico moderno (Fichte-Hegel-Marx).
Riflessioni molto interessanti sul tema del “bene comune” emergono anche dai saggi di Lorenzo Dorato, col quale vi è una forte concordanza “di spirito” con la redazione della rivista Koinè, e di Davide Gallo Lassere, nonché dalla  disamina critica del libro “Comune” di Antonio Negri compiuta da Diego Fusaro. Un approccio teoretico ed insieme storico, dedicato ad alcuni singoli autori che si sono occupati della tematica in oggetto, è ravvisabile poi nei saggi di Giovanni Casertano (su Platone), di Franco Toscani (su Aristotele), di Maurizio Scarpari (sulla concezione dell’essere umano nella filosofia cinese) e di Giacomo Pezzano (sul diritto romano).
Vi sono infine alcune interessanti “recensioni” (che sono in realtà veri e propri saggi autonomi), quali quella già citata di Preve, nonché in particolare due scritti, uno di Alessandro Monchietto a commento di un recente libro di Diego Fusaro, e quello di Claudio Lucchini a commento di due libri di Luca Grecchi. Si tratta, specie in questi due ultimi casi, di recensioni “critiche” ai direttori della rivista. Anche da questo, riteniamo, emerge da un lato il clima dialettico complessivo che auspichiamo faccia sempre parte delle relazioni fra le persone che gravitano intorno a Koinè; dall’altro, il fatto che le critiche che vengono qui svolte, riguardino esse singoli autori oppure la totalità sociale complessiva, non sono mai “fini a se stesse”, ovvero fatte per amore di polemica, ma sono sempre finalizzate ad un mutamento migliorativo del modo di produzione complessivo, da realizzare attraverso l’opera culturale: sono sempre finalizzate, cioè, alla realizzazione del bene comune, per il cui raggiungimento, però, è quanto meno necessario giungere a formulare una proposta comunitaria complessiva, che possa al contempo essere filosoficamente fondata e raccogliere intorno a sé un discreto consenso. Questa proposta è quanto cercheremo di realizzare, con l’aiuto di tutti coloro che vorranno partecipare, nel prossimo numero della rivista.

 

Carmine Fiorillo, Diego Fusaro, Luca Grecchi, Giancarlo Paciello

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Leggi i contributi

Enrico Berti,
Il bene
Carmelo Vigna,
Per una metafisica del bene comune
Pierangelo Sequeri,
Agorà-Oltre il dialogo. Sfida congiunta alle passioni tristi
Diego Fusaro,
Quale comune? Per una critica del marxismo deleuziano di Toni Negri
Davide Gallo Lassere,
Lo statuto della critica. Per una ricostruzione filosofica dell’ultimo quarantennio
Costanzo Preve,
Le avventure della coscienza storica occidentale
Giovanni Casertano,
Il bene e la linea
Franco Toscani,
Il rapporto etica-politica e il tema dell’amicizia in Aristotele
Maurizio Scarpari,
La concezione dell’essere umano nella filosofia cinese
Alessandro Monchietto,
Connivenza con l’insensatezza. Fatalismo, speranza e schiavitù
nel pensiero di Diego Fusaro
Giacomo Pezzano,
Contributo alla critica della giuridsizione umanitaria del bene comune
a partire dal diritto romano
Claudio Lucchini,
Alcune riflessioni sulle nozioni di felicità e di natura umana
nel pensiero di Luca Grecchi
Lorenzo Dorato,
Relativismo e universalismo astratto- le due facce speculari
del nichilismo.
Bene e Verità come concetti “rivoluzionari”
alla base di un universalismo sostanziale
Costanzo Preve,
Gli antichi, i moderni, l’umanesimo e la storia.
Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori
di Luca Grecchi e di Diego Fusaro

Immagine in evidenza:

Marc Chagall, La donna incinta, 1913. Amsterdam, Stedelijk Museum.



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Claudio Lucchini – Alcune riflessioni sulle nozioni di felicità e di natura umana nel pensiero di Luca Grecchi.

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Esaminando le caratteristiche peculiari di quel processo di «razionalizzazione irrazionale» che è venuto via via imponendosi nella contemporaneità capitalistica, dissociando infine «la ragione dal valore degli scopi della esistenza umana»,1 Massimo Bontempelli ha cura di evidenziare il nesso che intercorre tra un siffatto paradigma di razionalità e l’ipostatizzazione storico-sociale della categoria ontologica del mezzo: «Nell’universo tecnico la razionalità non può che non avere scopi, ed essere perciò irrazionale, in quanto la tecnica appartiene per definizione alla sfera dei mezzi, non degli scopi. Finché dunque la tecnica è subordinata ad altre istanze sociali, essa è ancora compatibile con una razionalità connessa a scopi. Ma in un universo tecnico lo scopo è lo stesso apparato scientifico-tecnologico, cioè un mezzo senza alcun intrinseco scopo che non sia la sua natura di mezzo. Inoltre il nostro universo è anche un universo di merci, e la circolazione delle merci ha come scopo l’accrescimento senza limite del denaro, che è un altro mezzo senza alcun intrinseco scopo che non sia la sua natura di mezzo [ossia il suo valere come strumento indispensabile per una cieca affermazione di potenza nel contesto di una società dominata dalle strategie della lotta intercapitalistica nelle sue molteplici dimensioni economiche, politiche, culturali]».2
Sono le modalità sociali attuali, scrive a sua volta Luca Grecchi in pagine di spiccata intelligenza filosofica, a costituire il terreno più fecondo per una simile relativizzazione strumentalistica e nichilistica del valore e del senso del nostro esistere, sollecitando il generalizzarsi intensivo ed estensivo di quella crematistica per la quale si viene gravemente intorbidando l’«originario fiume umanistico» che percorre dall’inizio la storia degli uomini e reca con sé un’essenziale riferimento alla dimensione razionale, morale e comunitaria delle migliori potenzialità della natura umana.3 Se la “regola d’oro” (non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, o, positivamente, fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te) è il «principale comune denominatore, attraverso i secoli e le civiltà» di tale fiume,4 la “regola di latta” è l’espressione quintessenziale del suo contraltare dialettico, negatore e spregiatore, in nome di un cieco utilitarismo individualistico, della pienezza di un contesto di vita eticamente realizzato.5 «Nel clima antiumanistico oggi dominante rappresentato dalla regola di latta – sostiene dunque Grecchi –, l’individuo si percepisce come un atomo isolato dagli altri, e relazionantesi ad essi solo tramite un rapporto strumentale. Quando domina una simile regola, per ciascuno gli altri uomini rappresentano solo dei mezzi necessari al raggiungimento del fine della massimizzazione della propria utilità, ed il pensiero è ritenuto anch’esso soltanto o una modalità in tal senso persuasiva (relativismo, retorica, ecc.), o una modalità strumentale al raggiungimento di un determinato fine (pragmatismo, ecc.). È evidente però come tale regola costituisca solo il risultato di modalità di vita inumane, in cui all’uomo rimane sconosciuta, e dunque impedita, la propria vera essenza, e con essa la comprensione della necessità della sua cura per il raggiungimento di una condizione di felicità».6
L’incessante rinvio di Grecchi a quelle forme storicamente determinate della riproduzione sociale complessiva che inibiscono il ricco sviluppo delle possibilità ontologiche più alte del genere umano, distinguono radicalmente le sue posizioni da quelle – pur tra loro differenziate – diagnosi sui mali del nostro tempo, tendenti a ravvisare nel puro e semplice dominio della tecnica la fonte principale della relativizzazione nichilistica oggi imperante. L’enfasi sulla «centralità della tecnica» quale connotazione essenziale della società e della cultura occidentali finisce infatti col misconoscere una ben più decisiva centralità, quella del modo capitalistico di produzione, la cui dinamica, afferma correttamente Bontempelli nel suo scritto sopra citato, è invece l’unica a poter rendere compiutamente conto della «proliferazione tendenzialmente infinita delle tecniche, e [della] progressiva tecnicizzazione di ogni spazio umano».7 «Indicare la tecnica come essenza dell’Occidente» (e, in prospettiva, per il tramite del mondializzarsi dell’economia e della cultura occidentali, del mondo intero) equivale perciò, commenta ulteriormente Grecchi, ad indicare non «il fenomeno reale, ma solo la sua ombra, e questo comporta indubbiamente dei vantaggi a quegli interpreti che non vogliono inimicarsi troppo le strutture oggi dominanti. Il fenomeno reale è infatti il modo di produzione capitalistico con tutto il suo portato di ingiustizia, sopraffazione e sofferenza, di cui la tecnica capitalistica costituisce semplicemente l’apparato di funzionamento».8
Checché ne dicano Heidegger, Severino o Galimberti, la causa principale della tecnicizzazione vieppiù accresciuta dell’economia e dell’ambiente umano di vita non è dunque certamente da ricercarsi «nella struttura autoincrementativa dell’apparato tecnico», ma, in maniera ben più convincente, «nelle finalità e nelle strutture del modo di produzione sociale» che nella nostra epoca tende ad imporsi su scala globale, determinando «la derealizzazione della vera natura dell’uomo. È infatti la brama del massimo profitto (non l’incremento dell’Apparato tecnico) che conduce alle guerre ed alle attuali modalità della produzione e della distribuzione di beni e servizi. È tale esasperata brama che spezza tuttora il pianeta in ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati, integrati ed emarginati, e che pone l’alienazione come unica (ma indesiderabile) forma di eguagliamento universale. Si tratta forse di una lettura datata o retrò? Può essere, ma finché di questa lettura non verrà data una seria confutazione (ed, a nostra conoscenza, essa non è stata data), continueremo a considerare il modo di produzione capitalistico, e non la tecnica, come il cuore pulsante dell’attuale Occidente».9
Respinta una simile analisi dei guasti prodotti dalle vicende della metafisica occidentale, la quale dovrebbe appunto esprimere la sua natura nichilistica – o, se si preferisce, la sua “follia” – nel dominio planetario della tecnica, e denunciati con altrettanta forza, sulla scorta soprattutto degli studi critici di Domenico Losurdo, i tratti disumanizzanti del pensiero liberale, teoreticamente e storicamente contiguo all’atomizzazione mercificante della crematistica capitalistica,10 Grecchi sostiene risolutamente la necessità inderogabile di recuperare quella che gli appare essere l’insuperata lezione umanistica della grande filosofia greca. È stato infatti Platone, egli precisa, ad aver per primo compreso che l’essere umano «è nella sua essenza un ente razionale, morale e simbolico»,11 portatore dunque di contenuti «che purtroppo la contemporaneità ha rimosso, sfavorendone una effettiva realizzazione e condannando l’uomo all’infelicità».12 Il vero bene dell’umanità consiste infatti, secondo il decisivo insegnamento platonico e aristotelico, nella costituzione storica di un tessuto comunitario del vivere sociale che stimoli positivamente nei singoli l’attuarsi di un equilibrio armonico delle tre componenti suddette della natura umana: la razionalità – intesa soprattutto come ricerca sui significati delle cose in funzione del loro miglior utilizzo per una compiuta realizzazione etico-sociale –,13 la quale «consente di comprendere gli uomini e il mondo, nonché la corretta misura dell’approccio di ogni uomo al mondo»;14 la moralità, nella sua triplice articolazione di affetto, comunitarietà e amore,15 che «consente di rapportarsi al mondo in maniera consapevole, e di incarnare adeguati comportamenti di vita»;16 la simbolicità, che permette invece «di arricchire il proprio approccio esistenziale tenendo conto della ambivalenza dei contenuti che inevitabilmente ci si pongono innanzi».17
L’ostilità costantemente risorgente nella storia contro la possibilità medesima di definire teoreticamente sia le migliori potenzialità dell’uomo sia quella loro proporzionata ed equilibrata combinazione in cui va ravvisata, come si è detto, l’autentica felicità degli esseri umani – ostilità particolarmente accentuata nell’epoca della capillare mercificazione degli ambiti di vita e della relativizzazione consumistico-capitalistica di comportamenti, bisogni, scopi –, deve ricondursi, a parere di Grecchi, ad un duplice ordine di fattori tra loro connessi, il primo di natura antropologica, il secondo di carattere storico-sociale. «Il motivo di ordine antropologico concerne il fatto che l’uomo, come è noto, è il solo fra gli esseri viventi ad essere pienamente consapevole della propria condizione mortale. […] Proprio per l’angoscia che il tema della morte pone innanzi, l’uomo che non sa vivere in buona armonia con se stesso e col mondo tende ad identificare con la morte, ed a temere, tutto ciò che si rapporta a lui come un limite, come una chiusura. In questo senso ogni stabile definizione, ed in particolare ogni sistema di pensiero, tendono a rappresentare all’uomo la dimensione finita dell’esistenza. È anche per questo che tali tematiche sono così spesso state trascurate, rimosse e addirittura combattute nella storia del pensiero filosofico. La de-finizione essenziale dell’uomo, in particolare, è il tema che più appare come una chiusura di orizzonti di vita. Per questo il pensiero filosofico, scientifico, psicologico, letterario, poetico e artistico in genere ha sempre insistito sulla profondità insondabile dell’anima umana (la originaria tesi di Eraclito), e mai sulla struttura essenziale dell’anima stessa, mostrando nei confronti di questo tema un claustrofobico timore».18 L’angoscia antropologicamente connotata nei confronti del proprio morire è stata potentemente accentuata, nel corso della storia, dalle concrete modalità in cui si è venuta articolando la costituzione e la riproduzione della vita della società: le attuali modalità sociali infatti, ribadisce ancora una volta Grecchi, «svuotando di umanità la vita, hanno sempre più lasciato l’uomo in balia del proprio connaturato timore della morte».19
L’esplicita preferenza accordata «al pensiero filosofico greco, che faceva della cura dell’anima e dell’apertura alla vita i propri capisaldi»,20 conduce l’analisi grecchiana a ritenere portatore di indebito riduzionismo qualunque tentativo di mediare una prospettiva onto-assiologica di natura filosofica con gli apporti di una ricerca scientifica volta a chiarire i presupposti biologico-evolutivi del vario complesso di facoltà cognitive ed emozionali umane interagenti nelle concrete risposte etiche elaborate nella densa problematicità dialettica dei processi storici. Il nostro autore, a dimostrazione della validità di ciò che afferma, porta come esempio «un comportamento molto noto, quello di Socrate. Egli, pur ingiustamente condannato per empietà dagli ateniesi, decise di rimanere in cella e di bere la cicuta, nonostante la possibilità di fuga che gli fu apertamente prospettata da alcuni amici. Dobbiamo allora chiederci: Socrate decise forse di rimanere in cella a morire perché i suoi neuroni gli bloccarono le gambe? Niente affatto. Egli prese consapevolmente questa decisione in quanto comprese che la conformità agli ideali che aveva sempre sostenuto non gli avrebbe reso possibile vivere evitando il dialogo filosofico, come invece il tribunale ateniese gli imponeva. […] La biografia di Socrate mostra dunque che le questioni del senso della vita, ossia quelle che più influenzano la felicità, non si determinano sul riduttivo piano biologico, ma sul più complessivo piano umano (o filosofico)».21 Il che, se è vero qualora si pretenda di rintracciare a livello del mero scorrimento della processualità naturale la chiave per interpretare in modo ontologicamente corretto le fondamentali questioni etico-sociali umane, non toglie affatto che solo a partire da una determinata dotazione biologica (evolutivamente sviluppatasi al di fuori di ogni teleologia unitariamente operante nel corso spontaneo della natura) divenga possibile l’apertura alla storicità e alla stessa problematizzazione critica di stampo filosofico ed etico. Il rinvio alle zone cerebrali che controllano il movimento, nel contesto dell’esempio portato da Grecchi, non pare molto ben scelto. Non appena, infatti, si ponga mente al nesso che recenti studi – per fare solo un semplice esempio – hanno mostrato sussistere tra lo sviluppo dell’intelligenza sociale e la facoltà umana di metarappresentazione, l’influsso coevolutivo del linguaggio e delle sue strutture sintattiche completive su di essa, l’accesso conseguente ad una capacità di tematizzazione estesa di alternative possibili e di riflessione (entro certi limiti) autocosciente – tutto ciò ovviamente associato al possesso innato di una serie di inclinazioni empatico-simpatetiche, altruistiche, cooperative, ecc. –,22 appare chiaro come Socrate neppure si sarebbe potuto mentalmente figurare il problema che si è posto se non avesse posseduto un ventaglio articolato e innato (di nuovo, nel senso di evolutivamente formatosi, attraverso exaptation, tramite l’agire da bricoleur della selezione naturale) di facoltà e predisposizioni biologicamente determinate, le quali si manifestano e si sviluppano mediandosi concretamente coi processi storici in atto. Come scrive assai correttamente Edoardo Boncinelli, la nozione umana di male (e del suo correlativo, il bene) può svilupparsi solo in riferimento alla «capacità di confrontare una serie di circostanze con le loro capacità alternative, compiendo un’operazione riflessiva e comparativa che negli animali più evoluti è carente e può riguardare al massimo l’immediato presente, ma non il passato. L’uomo al contrario si lamenta, s’infuria, recrimina e rimpiange, almeno a partire da una certa età».23 Non esiste quindi alcuna scissione radicale tra determinatezza materiale-naturale e concreta storicità umana, dato che è solo sul fondamento della prima che la seconda può svolgersi ed influire sull’ulteriore vicenda evolutiva della specie, la quale però non può mai rescindere il suo legame con la processualità naturale in cui soltanto le ideazioni e le posizioni teleologiche degli uomini possono formarsi e operare. La moralità umana, pur dotata di una sua indiscutibile specificità, pare dunque essersi costituita a partire da «una base naturale. […] Solo gli esseri umani hanno la capacità di ragionamento morale, sanno interiorizzare i bisogni degli altri e sanno valutarli in modo disinteressato. Ma sia gli esseri umani sia gli altri primati hanno la capacità di aiutare gli altri e di non danneggiarli».24
Si comprende, alla luce di queste pur sommarie considerazioni, come il giusto, incessante rinvio di Grecchi alla natura umana quale fondamento di universale verità etico-sociale possa venire potenziato e non condurre necessariamente ad un volgare riduzionismo scientista in virtù di un processo di acquisizione concretizzante – opportunamente mediato sul piano concettuale – di ciò che la ricerca scientifica, neurobiologica, etologica, ecc. viene via via elaborando; questo, in effetti, sembra poter consentire di determinare con sempre maggior approssimazione la stessa nozione di essenza umana, sottraendola tanto alle secche di un’eccessiva genericità quanto al pericolo di un discontinuismo dualistico, che, nonostante la più volte ribadita unità psicofisica sostenuta dai greci, non può non fare capolino quando le matrici evolutivo-biologiche di fondamentali processi cognitivi ed emozionali non siano minimamente prese in considerazione.
In modo analogo, si possono già individuare da tale insieme di valutazioni i contorni del giudizio che, sia nei suoi aspetti largamente positivi sia in quelli più cautamente critici, può essere formulato a proposito di quello che lo stesso Grecchi afferma essere «il fondamento teorico» delle sue argomentazioni e di tutti i suoi scritti. «In conformità al titolo del nostro primo libro pubblicato, [la struttura metafisica sistematica che abbiamo cercato, in questi anni, di elaborare] pone l’anima umana (l’essenza dell’uomo) come fondamento della verità. Questa struttura parte da un assunto molto semplice, ma fondamentale: poiché la totalità dell’essere (ossia la totalità di ciò che è, e che l’uomo può sempre comprendere e comunicare) è tale, nella sua struttura concettuale, solo in quanto pensabile dall’uomo, ne risulta che l’uomo (e nessun altro ente, poiché l’uomo è il solo ente dotato di questa qualità) è il fondamento dell’essere. Poiché l’uomo, approcciandosi all’essere, sa comprenderne la realtà solo quando può relazionarsi all’intero mediante la propria essenza razionale, morale e simbolica (anima), ne risulta che l’anima umana è il solo fondamento della realtà dell’essere. Se si accettano queste assunzioni, si deve necessariamente addivenire ad una conclusione: che l’uomo è il solo ente in grado di attribuire significato all’essere, e che tale significato, se elaborato dalle componenti universali dell’uomo, può assumere valore di verità assoluto».25
Grecchi ha certamente ragione, nella sua duplice battaglia contro il relativismo nichilistico e le modalità sociali che potentemente lo favoriscono, a sottolineare la possibilità dell’uomo di porsi come fondamento di una verità oggettiva. Chi scrive, però, è disposto a seguirlo solo qualora si espliciti che questa verità processualmente universalizzabile non può essere altro che la verità etico-umana, risultato di processi riflessivo-ideativi e di atti teleologici del porre che non possono sussistere svincolati da quella base naturale-materiale – di per sé indifferente ad ogni scopo umano – nella quale soltanto si radica, in ultima istanza, il loro poter essere. Che ad un certo punto del processo evolutivo si costituisca, al di fuori di ogni predeterminata direzione finalistica, un ente capace di attività teleologica e progettuale, dotata di struttura alternativa ed (entro certi limiti) autocosciente, non significa affatto che il divenire storico che ne consegue e la sua oggettiva dialettica di senso riducano effettivamente a sé la totalità (estensiva ed intensiva) della realtà naturale, la quale, nello spontaneo svolgersi delle sue legalità e dei suoi processi, resta rigorosamente ateleologica. È quanto sostiene ripetutamente György Lukács nel suo approccio ontologico-materialistico all’essere sociale, rimarcando per esempio sia il costante risorgere di alternative nello svolgimento processuale della prassi umana,26 sia gli ineliminabili fattori causali che interferiscono con i processi storici («E se ora io mi rifaccio alle più alte forme di unità del reale ritorno [al seguente fatto]: la natura – tanto la natura organica quanto quella inorganica – si svolge secondo la propria dialettica e si realizza indipendentemente dalle posizioni teleologiche dell’uomo. Così la costituzione fisiologica dell’uomo e anche il suo destino psicologico dipendono, socialmente parlando, dal caso. Marx osserva giustamente a questo proposito che dipende appunto dal caso se una determinata situazione rivoluzionaria trova a capo della classe operaia un certo individuo, sebbene ciò non sia già più una circostanza meramente fisiologica o psicologica. In ogni caso rimane un residuo ineliminabile di casualità che scaturisce però dal corso meramente causale degli eventi naturali»).27
Non già, beninteso, che tali considerazioni vanifichino l’intelligente correlazione posta da Grecchi tra definizione della natura umana ed affermazione di un universalismo etico-politico fortemente polemico con le forme sociali attuali e con le loro ideologie relativistico-nichilistiche; soltanto, almeno così sembra a me, possono inquadrarla in una più convincente totalità concettuale concreta, e problematizzarla, ancorandola ad un’ineliminabile condizione di finitezza materiale, al di fuori di qualsiasi tentazione meramente pragmatica, ermeneutica, ecc., insomma al di fuori di correnti di pensiero che possano legittimare direttamente o indirettamente la prassi manipolatoria oggi imperante. Si pensi, in merito a ciò, al modo in cui le precisazioni ontologiche testé esposte possono contribuire a rendere più determinata – sempre ovviamente a parere dello scrivente – l’importante questione affrontata da Grecchi circa il carattere «stabile» di una felicità scaturente da un’avveduta consapevolezza filosofica. Rifacendosi nuovamente al grande pensiero platonico e aristotelico, il nostro autore sostiene infatti che «la felicità è la stabile condizione di chi vive la propria compiutezza umana anche contro, se necessario, le modalità sociali esistenti; l’infelicità è invece la condizione di profonda tristezza di chi non vive la propria compiutezza umana, non riuscendo peraltro nemmeno ad adeguarsi in maniera efficace alle modalità sociali esistenti; la condizione di serenità, che costituisce appunto un mixtum, è invece la condizione di chi, pur non vivendo pienamente la propria compiutezza umana, sa almeno conformarsi alle modalità sociali esistenti, apparentemente senza sofferenza».28 La filosofia greca, in altri termini, pensava correttamente «la felicità come lo stabile raggiungimento, dopo una adeguata ricerca, di una condizione di compiutezza dell’uomo. Da tale condizione indubbiamente, in alcuni momenti, era possibile anche degradare, ma sempre fermo restando il fatto che, una volta compresa e assaporata, la felicità diventava una condizione nella sua essenza non obliabile né perdibile. Contrariamente al possesso di beni esteriori, infatti, la felicità era costituita da una stabile conoscenza dell’uomo e del mondo, che si deposita nell’anima in maniera permanente. Per i Greci, dunque, la felicità non era questione di picchi da mantenere e da innalzare continuamente, come accade oggi per i grafici che indicano i profitti delle aziende. Essa era una condizione di armonica apertura alla vita (harmonìa) che può essere tale solo nella incarnazione di rapporti affettivi e comunitari».29 Ovviamente Grecchi sa benissimo che un compiuto inveramento delle più essenziali caratteristiche della natura umana non può non essere intralciata e ostacolata, in varia misura e maniera, dal dominio ontologico-sociale delle attuali forme capitalistiche di vita; per tal ragione egli, respinto ogni mortificante adattamento del progetto di vita di ciascuno alle coordinate sociali esistenti, e ribadito, di contro alla quasi totalità del pensiero contemporaneo, l’insopprimibile legame ontologico intercorrente tra l’essenza dell’uomo e il pieno dispiegarsi di un’esistenza umana felice, afferma la necessità di «rimarcare che chi consapevolmente cerca di realizzare grandi progetti di vera umanità, analizzando dapprima se stesso ed il mondo, difficilmente si illude che gli stessi possano compiutamente realizzarsi in queste modalità di vita. È anzi molto fermo nella conoscenza della quasi impossibilità di riuscire a mutare in meglio la situazione. Costui, dunque, in realtà non si illude, e pertanto non può, più di tanto, né deludersi né soffrire. La sofferenza gli deriverebbe, invece, dal non aver tentato i propri grandi progetti, il proprio sogno, la realizzazione della propria umanità in un determinato campo della vita».30
Nuovamente, se, da un lato, non si possono non sottolineare le profonde ragioni e la profonda validità teoretica della concezione ontologica della felicità proposta da Grecchi, dall’altro pare indispensabile, rispetto a quest’ultima, formulare talune precisazioni nei termini di una ontologia sobriamente materialistica. Non v’è dubbio che la felicità, quanto al suo nucleo concettuale centrale, sia in un certo senso stabile, una volta che la si intenda come un complesso di capacità, sviluppate a partire dalle più alte potenzialità della natura umana (quelle, in altri termini, concorrenti a realizzare la consapevole «genericità per sé» degli esseri umani) e universalizzabili sulla base della comune dotazione cognitiva ed emozionale della specie. Ma poiché l’intrascendibile radicamento materiale cui sono sottoposti i processi ideativo-riflessivi e gli atti del porre teleologico mediante i quali viene storicamente sostanziandosi l’autocoscienza umana, pongono sempre di nuovo gli uomini di fronte a scelte e decisioni alternative, la cui natura può costituire peraltro un essenziale terreno di ulteriore sviluppo concreto della riflessione autocosciente della specie, l’universalità della felicità e del bene umano non può che assumere la forma essenziale del processo determinato, dell’incessante – ma non relativistico perché ontologicamente fondato – lavorìo problematizzante e riflessivo, aperto a più profonde e circostanziate determinazioni: così, per esempio, il giusto richiamo alla misura cui deve essere sottoposta ogni prassi produttiva trasformatrice della natura, viene innervata di concreti contenuti oggettivamente (approssimativamente) validi dalla riflessione sorta storicamente dai problemi ecologici e antropologici generati da una dissennata accumulazione di beni in forma di merce. La felicità, nella sua maggiore o minore compiutezza, è sempre, in altri termini, l’esisto di disposizioni etiche, di abiti morali fondati sullo sviluppo concreto della propria autocoscienza umano-generica, disposizioni e abiti i quali devono sempre di nuovo rispondere alle risorgenti alternative poste dai processi reali; nel far ciò, essi devono dar prova di saper effettivamente perseguire, senza alcuna aprioristica garanzia e nei limiti di condizioni oggettive non tutte necessariamente conosciute o controllabili, lo scopo di arricchire e sviluppare la più vera (la migliore possibile) umanità dell’uomo (tesi, quest’ultima, su cui, lo ripetiamo, Grecchi ha totalmente ragione). Questo complesso problematico, peraltro, non è certo ignoto al pensiero grecchiano, che pure non sempre considera a dovere la dimensione ontologicamente processuale del bene umano rispetto alle possibilità di concretizzazione universalistica del suo concetto; in un passo assai bello, il nostro autore scrive molto efficacemente: «Così descritto, il tema morale sembra molto facile da sviluppare, ma tale in realtà non è, e ciò non va nascosto. È infatti estremamente problematico – questo il dramma della condizione umana – decidere in concreto le scelte migliori da attuare: destinare il proprio tempo e le proprie risorse ad un’attività anziché ad un’altra, ad una persona anziché ad un’altra, e così via. Ciò nonostante, in questa problematicità, la centralità della cura dell’anima, propria ed altrui, costituisce una bussola nel lungo termine infallibile».31
In che modo queste importanti affermazioni di Grecchi debbano essere intese, in rapporto alle osservazioni svolte in precedenza, dovrebbe ormai essere chiaro, così come non può non apparire chiaramente a chiunque si confronti con essi l’indiscutibile valore dei testi grecchiani qui esaminati, fecondo terreno di dialogo teorico ispirato ad un’idea profondamente sentita di verità etico-umana senza la quale la filosofia è destinata a diventare futile gioco accademico o pedestre apologia dell’esistente.

Claudio Lucchini

Il saggio è stato pubblicato su Koiné, Periodico culturale , Anno XVIII  –  NN° 1-3,  Gennaio-Giugno 2011, pp. 221-229.

Note

1 Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, Petite Plaisance, Pistoia, 1998, p. 123.

2 Ibidem.

3 Cfr. Luca Grecchi, Occidente: radici, essenza, futuro, Il Prato, Saonara (Pd), 2009, pp. 48-50.

4 Ibidem, p. 50.

5 Ibidem, pp. 50-51.

6 Ibidem, p. 51.

7 Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, op. cit., pp. 130-131.

8 Luca Grecchi, Occidente: radici, essenza, futuro, op. cit., pp. 101-102.

9 Ibidem, pp. 104-105.

10 Ibidem, pp. 121-138. Un’efficacissima sintesi delle analisi di Domenico Losurdo è contenuta nel volumetto (da lui medesimo scritto) Il peccato originale del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 1998.

11 Luca Grecchi, Conoscenza della felicità, Petite Plaisance, Pistoia, 2005, p. 41.

12 Ibidem, p. 40.

13 Ibidem, p. 41.

14 Ibidem, p. 94.

15 Cfr., in ibidem, p. 43.

16 Ibidem, p. 94.

17 Ibidem.

18 Ibidem, pp. 26-27.

19 Ibidem, p. 27.

20 Ibidem.

21 Ibidem, p. 38.

22 A titolo puramente indicativo, rinviamo per la trattazione di tali questioni al bel libro di Francesco Ferretti, Perché non siamo speciali. Mente, linguaggio e natura umana, Laterza, Roma-Bari, 2007; e agli importanti scritti di Frans de Waal, di cui ci limitiamo a menzionare Primati e filosofi. Evoluzione e moralità, Garzanti, Milano, 2008. Un’esposizione sintetica delle argomentazioni di tali autori e una loro discussione critica, inquadrate nel più ampio tentativo di abbozzare un’etica fondata su un’ontologia sociale materialistica, sono contenute nel mio Il bene come processo possibile concreto. Natura umana e ontologia sociale, Mimesis, Milano-Udine, 2010.

23 Edoardo Boncinelli, Il male. Storia naturale e sociale della sofferenza, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2007, p. 6.

24 Vittorio Girotto – Telmo Pievani – Giorgio Vallortigara, Nati per credere, Codice edizioni, Torino, 2008, p. 127.

25 Luca Grecchi, Conoscenza della felicità, op. cit., p. 113.

26 Cfr., a titolo di esempio, quanto Lukács scrive alle pp. 43-45 dell’ Ontologia dell’essere sociale, vol. II, Editori Riuniti, Roma, 1981.

27 Wolfgang Abendroth – Hans Heinz Holz – Leo Kofler, Conversazioni con Lukács, De Donato Editore, Bari, 1968, p. 88.

28 Luca Grecchi, Conoscenza della felicità, op. cit., p. 141.

29 Ibidem, pp. 120-121.

30 Ibidem, pp. 142-143.

31 Ibidem, pp. 44-45.

Il saggio è stato pubblicato su Koiné, Periodico culturale , Anno XVIII  –  NN° 1-3,  Gennaio-Giugno 2011, pp. 149-167.

 

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Autori, e loro scritti

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Etienne de La Boétie (1530-1563) – Della servitù volontaria.

Tommaso Labranca (1962-2016) – Andy Warhol era un coatto. Decise di fare più soldi possibile con i suoi quadri coatti, la cui ispirazione nasceva nei supermercati. Andy come coatto era comunque un numero uno, una specie di capo banda. Ed incontrò Ronald Trump.

Antonio Labriola (1843-1904) – L’umanesimo socratico, negli scritti di Labriola, ha come fine la felicità. Il concetto della vita per Socrate dipende, in tutto e per tutto, dal principio della consapevolezza: l’atto di fendere i “dis-valori” del politicamente corretto segna una faglia ed è l’incipit della storia e delle storie.

Raffaele La Capria – La funzione dello scrittore è sempre quella di porsi come critico della società cui appartiene.

François de La Rochefoucauld (1613-1680) – L’amore di sé e di ogni cosa in funzione di sé rende gli uomini idolatri di se stessi e li renderebbe tiranni degli altri se la fortuna ne desse loro i mezzi.

Olivia Laing – Volevo insinuarmi sotto la superficie dell’universo quotidiano e salire sulla cresta dei sogni. I fiumi racchiudono un mistero che ci attira, si muovono attraverso il tempo e lo spazio, attraversano le civiltà come i fili attraversano le perle, hanno una destinazione e sono metafora specie per coloro che hanno perso la fiducia nella loro meta.

Ronald D. Laing (1927-1989) – Fuori formazione o … fuori rotta? Il criterio di “fuori formazione” è quello positivistico. Il criterio di “fuori rotta” è quello ontologico.

Ronald D. Laing (1927-1989) – Se uno dice che gli uomini sono macchine può essere considerato un grande scienziato. Ma se dice di essere lui stesso una macchina …? L’esperienza che si ha di se stessi e degli altri come persone è primaria. Essa si valida da sé.

Mario Lancisi – “Processo all’obbedienza. La vera storia di don Milani”: «Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto».

Paul-Ludwig Landsberg (1901-1944) – In Heidegger il “con-essere” è e rimane una categoria estremamente formale. La sua filosofia non contiene l’amore.

Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.

Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti

Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.

Diego Lanza (1937-2018) – «Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune». Prefazione di M. Stella. Postfazione di G. Ugolini.

Diego Lanza, Gherardo Ugolini – «Storia della filologia classica». Si è cercato di illustrare tutta la problematicità della filologia, mostrando al contempo quanto lo studio dell’antico abbia sempre interferito con i dibattiti che hanno via via segnato lo svolgersi della cultura europea negli ultimi due secoli.

Diego Lanza (1937-2018) – Euripide porta sulla scena lo spettatore, l’uomo della vita di ogni giorno.

Diego Lanza (1937-2018) – Il libro di A. Meillet ci offre un’immagine della lingua greca oltremodo ricca, nel costante riferimento a precise condizioni storiche. Il rapporto tra lingua e società si definisce con chiarezza come rapporto tra lingua e civiltà, cultura in senso antropologico.

Diego Lanza (1937-2018) – «Il tiranno e il suo pubblico» è il tentativo di definire la genesi, lo sviluppo e la fortuna di una figura ideologica, che sempre meglio si precisa nella letteratura ateniese tra la metà del V e la metà del IV secolo a.C.

Silvia Gastaldi, Fulvia de Luise, Gherardo Ugolini, Giusto Picone – ** MARIO VEGETTI e DIEGO LANZA **, In ricordo di una amicizia filosofica.

Simone Lanza – Perdere tempo per educare. Di fronte a una società che non perde tempo, il compito della pedagogia oggi è quello di rallentare ancora di più. Come già insegnava Rousseau, saper perdere tempo, lasciare spazio all’imprevisto, all’incontro, per dialogare con bambini/e, per sorprenderci e stupirci.

Simone Lanza – Le nuove tecnologie digitali stanno privando infanzia e adolescenza della possibilità di sviluppare memoria, senso critico, capacità cognitive. La realtà virtuale non è l’opposto della realtà, è la dimensione peggiore della realtà odierna: questo libro è dedicato a chi creda che abbia ancora senso sollecitare tutta la comunità educante a perdere tempo per educare.

Christopher Lasch (1932-1994) – Il capitalismo assoluto pone tutto sulla stessa linea d’orizzonte perché tutto dev’essere valore di scambio. La tolleranza diventa indifferenza, il pluralismo culturale, deprivato di giudizio etico, degenera in mero spettacolo estetico e rende inappropriato parlare di impegno etico in qualsiasi senso.

Rossella Latempa – La scuola fabbrica di Capitale Disumano

Mario Lavaggetto (1939-2020) – C’è una coscienza di lettore, una coscienza ermeneutica che si misura con un’altra coscienza, «con la coscienza di un testo», e la tensione tra queste due coscienze porta inevitabilmente a disegnare un modello irriducibile al cerchio, ma che fa piuttosto pensare a un’ellisse.

David Herbert Lawrence (1885-1930) – Ciò che vogliamo è distruggere i rapporti falsi e inorganici, specialmente quelli connessi al denaro.

David Herbert Lawrence (1885-1930) – Tutta la loro vita si basa sul denaro che spendono. Se si potesse soltanto dir loro che vivere e spendere non sono la stessa cosa. Il denaro avvelena quelli che ne hanno e affama quelli che ne sono privi.

David Le Breton – La carezza è il tentativo di abolire la distanza avvicinandosi all’altro in una reciprocità che si vuole immediata. La carezza non è un semplice sfiorare: ma un foggiare.

David Le Breton – Il rumore non molla mai la presa sull’umanità contemporanea e nasce la nostalgia del silenzio e l’aspirazione a ritrovarlo. Il silenzio è un omaggio che la parola rende allo spirito.

Joseph LeDouxNatura e cultura contribuiscono a ciò che siamo. I nostri geni possono condizionare la maniera in cui ci comportiamo, ma i sistemi di gran lunga responsabili di ciò che facciamo e di come lo facciamo sono plasmati dall’apprendimento. Apprendimento e sviluppo sono due facce della stessa medaglia.

Joseph Ledoux – Una mente senza emozioni mon è affatto una mente, è solo un’anima di ghiaccio, una creatura fredda, inerte, priva di desideri, di paure, di affanni, di dolori e di piaceri.

Henri Lefebvre (1901-1991) – Passeggiamo per la campagna senza saper decifrare il paesaggio umano che contempliamo, confondiamo fatti della natura e fatti umani, non vediamo i prodotti dell’azione umana – quel volto che cento secoli di lavoro hanno dato alla nostra terra

Ursula K. Le Guin (1929-2018) – Non si può cambiare niente dall’esterno. Stando al di fuori, puoi scorgere le linee del disegno. Vedi cosa è sbagliato, cosa manca. Vorresti aggiustarlo. Ma non puoi annodare i fili. Devi esserci dentro, tesserli. Tu stesso devi esser parte del tessuto.

Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) – Quando si discute intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l’uomo possa fare ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza.

Gottfried W. von Leibniz (1646-1716) – La causa perché la mente agisca, ovvero il fine delle cose, è l’armonia. Il fine della mente è l’armonia massima.

G. Wilhelm von Leibniz (1646-1716) – Tutti i possibili, ossia tutto ciò che esprime l’essenza o realtà possibile, tendono con egual diritto all’esistenza.

Wilhelm von Leibniz (1646-1716) – Amare significa gioire della felicità dell’altro. Amare sive diligere est felicitatem alterius delectari.

Alessandro Leogrande (1977-2017) – Mi chiedo se lo sguardo di Caravaggio nel «Martirio di San Matteo» non sia anche il nostro sguardo nei confronti dei naufragi, dei viaggi dei migranti e soprattutto della violenza politica o economica che li genera. La violenza del mondo. Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte.

Leonardo da Vinci (1452-1519) – Quelli che si innamorano della pratica senza scientia sono come nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teoria.

Giacomo Leopardi – Cos’è la lettura per l’arte dello scrivere.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – La felicità non è che la perfezione, il compimento della vita.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Un sorriso e una poesia possono aggiungere un filo alla trama brevissima della vita, accrescendo la nostra vitalità.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – La più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo s’innalza per mezzo di essa come al di sopra di se medesimo.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – «Dialogo della Moda e della Morte». La moda appartiene perciò a quel tipo di fenomeni che tendono a un’estensione illimitata. Cara Morte, mostri di non conoscere la potenza della Moda, perché ho messo nel mondo tali ordini e tali costumi, che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell’animo, è più morta che viva.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Parlerò della miseria umana, degli assurdi della politica, dei vizi e delle infamie non degli uomini ma dell’uomo.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Come l’uomo dimostra la grandezza e la potenza dell’umano intelletto, l’altezza e nobiltà sua, l’immensa capacità della sua mente.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Niente nella natura annunzia l’infinito, l’esistenza di alcuna cosa infinita. L’infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Gli uomini compassionevoli sono sì rari, e la pietà è posta, massimamente in questi tempi, fra le qualità le più riguardevoli e distintive dell’uomo sensibile e virtuoso.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Desiderio naturale, necessario, e perpetuo nell’uomo, di un futuro miglior del presente. Importanza quindi dell’avere una prospettiva e una speranza. Questo è ufficio del filosofo, ed è pratica incomparabilmente utile al viver felice.

Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) – Il valore dell’uomo non sta nella verità che qualcuno possiede, ma nella sincera fatica compiuta per raggiungerla. Il possesso rende quieti, indolenti, superbi.

Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) – Ciò che è l’educazione per il singolo uomo, è la rivelazione per l’intero genere umano. A costituire il valore dell’uomo è non la verità di cui chicchessia sia in possesso, o pretenda di esserlo, bensì l’impegno sincero che l’uomo ha profuso per scoprirla. È attraverso la ricerca della verità, e non col possesso di essa, che le sue forze si fanno più grandi.

Jonathan Lethem – La maschera è caduta: non si può più ignorare la forza distruttiva del capitalismo e del dominio delle multinazionali, la catastrofe ecologica, la violenza e le diseguaglianze che hanno causato. Non è possibile un capitalismo egualitario

José Jorge Letria – Il deserto innominabile

Emmanuel Lévinas (1906-1995) – Un mondo senza volto ha bisogno della carezza, che è accoglienza, e non chiede altro che essere partecipe dell’infinito, della traccia di infinito presente sul volto dell’alterità.

Emmanuel Lévinas (1906-1995) – Il volto in cui si presenta l’Altro – assolutamente altro – non nega il Medesimo, non gli fa violenza come l’opinione o l’autorità, non lede la mia libertà ma la chiama alla responsabilità e la instaura.

Mario Vargas Llosa – Elogio della lettura.

Primo Levi (1919-1987) – Ogni tempo ha il suo fascismo.

Claude Lévi-Strauss (1908–2009) – La specie umana non può appropriarsi del nostro pianeta come se fosse una cosa e per comportarvisi senza pudore e senza discrezione.

Claude Lévi-Strauss (1908–2009) – Lo scienziato non è l’uomo che fornisce le vere risposte, è quello che pone le vere domande.

David Lifodi – Il grido è già un coro: in Argentina libera Milagro Sala.

Jean-Etienne Liotard (1702-1789) – La passione della lettura nel ritratto.

Gilles Lipovetsky e la società della seduzione. Se il capitalismo immateriale avanza senza limiti, ciò è possibile perché mancano le narrazioni veritative. Se la Filosofia si limita ad una critica sociologica e non propone la verità come centro di un processo rivoluzionario, la sua critica è solo puro parlare senza effetti.

Gilles Lipovetsky – La seduzione di oggi si rivolge all’individuo privato e ai suoi piaceri. Una forza di attrazione sostenuta non dall’immaginario di un futuro migliore per l’umanità, ma dalle promesse di godimenti immediati dell’individuo.

Li Zhi, detto Zhowu (卓吾. 1527–1602) – Ride, la gente colma d’ignoranza, Di chi per i suoi libri arde d’amore … il vero amante è chi li sfoglia … coloro che si danno allo studio cercano di scoprire in se stessi il fondo della vita e della morte.

John Locke (1632-1704) – Conoscendo la nostra forza, sapremo meglio che cosa intraprendere con qualche speranza di successo.

Jack London (1876-1916) – Nella macchina industriale nessuno è libero delle proprie azioni, tranne il grosso capitalista. Questi signori sono stolti. S’intendono solo di affari. Non comprendono né il genere umano né il mondo, e tuttavia si ergono ad arbitri della sorte di milioni di affamati e di tutta la massa umana.

Federico García Lorca (1898-1936) – «Libri, Libri!»: Chi non è percorso da un minimo anelito di sapere non conosce amore, né conosce una scintilla di pensiero, e neppure una fede o una minima ansia di liberazione, prerogative imprenscindibili per tutti gli uomini degni di tale nome.

Federico García Lorca (1898-1936) – Parole sul teatro: Il teatro è uno degli strumenti più espressivi e più utili per la formazione di un paese, ed è il barometro che ne segna la grandezza o la decadenza.

Federico García Lorca (1898-1936) – Poeta a New York: «La luce è sepolta da catene e rumori in sfida impudica di scienza senza radici: qui non esiste domani né speranza possibile. Le monete a sciami furiosi penetrano e divorano bambini addormentati: sanno che vanno nel fango di numeri e leggi, nei giochi senz’arte, in sudori senza frutto».

Federico García Lorca (1898-1936) – La poesia è qualcosa che cammina per le strade. Il teatro è sempre stato la mia vocazione. Adesso sto lavorando a una nuova commedia. Gli uomini non riusciranno mai a immaginarsi l’allegria che esploderà il giorno della Grande Rivoluzione. Non è vero che sto parlando proprio come un socialista?

Federico García Lorca (1898-1936) – Il “duende” brucia il sangue, estenua, rompe gli stili, ama il bordo, la ferita, e si avvicina ai luoghi dove le forme si fondono in un anelito superiore alle loro espressioni visibili.

Federico García Lorca (1898-1936) – Tanta fretta. Perché? Per prendere la barca che non va da nessuna parte. Amici miei, tornate! Tornate alla vostra sorgente! Non abbandonate l’anima nel bicchiere della Morte.

Franco Lorenzoni, «I bambini pensano grande», Sellerio, 2014: «Tra le tante culture che ci sono al mondo, io credo che esista anche la cultura infantile».

Mario G. Losano – Kelsen vuole non spiegare, ma descrivere, poiché la sua teoria formale lascia ad altri lo studio dei contenuti. In questo periplo della dottrina pura del diritto ho additato più le secche che i porti. Per me, l’esprimere pensieri e ripensamenti legati al testo kelseniano che tradussi da studente è non tanto un’opera accademica, quanto un frammento di autobiografia culturale.

Aldo Lo Schiavo – Il sapere filosofico, quando non si isola in un formalismo tecnico fine a se stesso, trae sostanziale giovamento dall’analisi delle origini e del radicamento delle rappresentazioni mentali nel fitto tessuto di esigenze, sentimenti, reazioni individuali e collettive espresse nelle concrete situazioni in cui gli uomini operano e costruiscono la loro civiltà.

Aldo Lo Schiavo – Themis sa guardare all’avvenire del mondo, per il quale auspica un ordinamento al tempo stesso stabile e giusto, senza prevaricazioni e violenze. Themis pertanto esprime una normatività non costrittiva, non cieca, perché portatrice di una specifica sapienza cosmica.

Aldo Lo Schiavo – La condanna platonica della tirannide è radicale. Per Platone la città perfetta è un prodotto della ragione filosofica. La politeia ideale è il coerente progetto di trasformazione etico-politica della società temperato dal concetto di unità nella diversità. Il manifesto del filosofo laico.

Aldo Lo Schiavo – Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico.

Aldo Lo Schiavo – «Filosofia del mito greco». Il mito ha potuto esplicarsi e fiorire così liberamente in Grecia conservando il suo policentrismo, perché non ebbe un’ortodossia religiosa, non adottò libri sacri, non conobbe una casta sacerdotale chiusa, E ciò permise la più ampia libertà spirituale.

Jurij Michajlovič Lotman scrive su Aleksandr Nikolaevič Radiščev (1749-1802) – Vuoi sapere chi sono? cosa faccio? dove vado? Sono colui che ero e sarò sempre nella vita: uomo! Lo scrittore può essere profeta di verità o essere al servizio della menzogna.

Jurij M. Lotman (1922-1993), Boris A. Uspenskij – La storia intellettuale dell’umanità si può considerare una lotta per la memoria. Non a caso la distruzione di una cultura si manifesta come distruzione della memoria, annientamento dei testi, oblio dei nessi.

Johannes Baptist Lotz (1903-1992) – La solitudine è esperienza dell’uomo in quanto uomo.

Leo Löwenthal – In una società terroristica, dove tutto è pianificato nel dettaglio, il progetto per gli individui consiste in questo:per loro non c’è, né può esserci un progetto.

Michael Löwy, «Walter Benjamin. Esthétique et politique de l’émancipation», L’Harmattan, Paris, 2014.

Michael Löwy – La tensione rivoluzionaria di Benjamin si alimenta alle immagini utopiche del rapporto armonico con la natura, nella critica all’ideologia del progresso.

Julia von Lucadou – Il capitalismo feticizza i corpi imponendo loro prestazionalità e sfruttamento. Tutto ciò ci allontana da noi stessi rendendoci infelici. I dispositivi digitali mettono aziende e governi in una posizione di potere per controllare il comportamento.

Uliano Lucas – Tatiana Agliani – La realtà e lo sguardo. Storia del fotogiornalismo in Italia.

Giulio A. Lucchetta – La salvezza della città. Ethos e logos in democrazia. Tornare a credere nell’educazione e nella crescita culturale dei “cittadini” è l’unica premessa possibile all’esercizio della “buona politica”.

Giulio A. Lucchetta – L’ulivo è immagine del processo di produzione del cosmo, perché esso è eterno ed è prodotto dell’intelligenza. Il profumo dell’olio è il profumo dell’utopia, cioè simbolo di un rapporto lavorativo dove regni una spiccata armonia d’intenti e una grande sagacia organizzativa.

Claudio Lucchini – Alcune riflessioni sulle nozioni di felicità e di natura umana nel pensiero di Luca Grecchi.

Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.

Claudio Lucchini – Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo.

Claudio Lucchini – L’etica umana tra natura e storia. Sulla possibilità di un universalismo radicalmente democratizzante.

Claudio Lucchini – Carrelli e moduli: i problemi dell’etica umana nell’intreccio di biologia e storicità concreta.

Luciano di Samosata (120-192) – Non scrivere guardando solo al momento presente, con l’intento che ti lodino e ti onorino i contemporanei, perchè si dica: quello sì che era un uomo libero, pieno di franchezza, nessuna adulazione e nessun servilismo, ma verità in tutto.

György Lukács (1885-1971)  –  «Thomas Mann e la tragedia dell’arte moderna». Il momento puramente soggettivo, l’estraniarsi da ogni collettività, il disprezzare ogni comunità annulla ogni vincolo con la società e nell’opera stessa: autodissoluzione dell’arte in seguito a quella lontananza dalla vita ch’essa si pone per principio.

György Lukács (1885 – 1971) – Il fuoco che arde nell’anima partecipa all’essenza delle stelle. Perché il fuoco è l’anima di ogni luce, e nella luce si avvolge il fuoco.

György Lukács (1885-1971) – Considerazioni su «Marx, il cinema e la critica del film», un libro di Guido Aristarco (1918-1996). La tendenza generale è il dominio della manipolazione, a cui in misura sempre più vasta si va assoggettando anche, e tutt’intero, il campo dell’arte.

György Lukács (1885-1971) – Una relazione tra persone riceve il carattere della cosalità e quindi un’«oggettualità spettrale». Questo trasformarsi in merce di una funzione umana rivela con la massima pregnanza il carattere disumanizzato e disumanizzante del rapporto di merce.

György Lukács (1885-1971) – Uno dei tratti più fecondi e caratteristici di Lenin è che egli non cessò mai di imparare teoricamente dalla realtà e che in pari tempo era sempre pronto ad agire.

György Lukács (1885-1971) – Il rapporto con Marx è la vera pietra di paragone per ogni intellettuale che prenda sul serio il chiarimento della propria concezione del mondo, lo sviluppo sociale, in particolare la situazione presente, la propria posizione stessa ed il proprio atteggiamento rispetto ad essa.

György Lukács (1885-1971) – Nei giovani la dedizione entusiastica ad una causa può terminare al medesimo modo o nella fedeltà (lucida o ottusa) ad essa, o nel passaggio ad un diverso campo, oppure ancora nella perdita di capacità di dedizione in genere. Occorre esaminare se e fino a quale punto una dedizione è in grado di indurre l’individuo ad innalzarsi sopra la propria particolarità, oltre che a dar luogo ad una passione durevole.

György Lukács (1885-1971) – Il metodo e il contenuto della filosofia di Heidegger esprimono il sentimento della vita proprio dell’intellettuale filisteo in un’epoca di grave crisi: stornare il pericolo che minaccia la propria ‘esistenza’ in maniera che non ne risulti alcun obbligo di modificare le proprie condizioni esteriori di vita o anche solo di collaborare al cambiamento dell’obiettiva realtà sociale.

György Lukács (1885-1971)  – L’uomo  che diviene solitario può trovare il senso e la sostanza della propria anima, che in nessun luogo trova una patria.

Raimondo Lullo (1232-1316) – L’amore può moltiplicarsi solo nell’amare.

Romano Luperini – Non si dà educazione senza utopia, senza un progetto. Ogni educazione presuppone una utopia, la esige. La scuola deve educare coltivando l’universale umano che è in tutti noi.

Romano Luperini – Prigionieri di una logica e di un linguaggio esclusivamente economici, dovevamo subito seppellire questo linguaggio. E invece con questo linguaggio ci hanno perfettamente addomesticato e addestrato. Noi stessi, noi docenti, siamo diventati la macchina amministrativa del sistema.

Romano Luperini – La scena dell’incontro è fondativa della società umana, ne indica simbolicamente l’orizzonte linguistico, comunicativo e interdialogico. L’incontro è anche scambio di segni, dunque linguaggio. il prisma dell’incontro indica un percorso che presuppone ancora fiducia nella libertà e nella responsabilità dell’uomo.

Romano Luperini – Non solo la scrittura influenza la lettura, ma questa condiziona quella: ne determina infatti il significato. Il significato di un’opera è inseparabile dal processo della ricezione e dai processi di valorizzazione e attualizzazione dei testi.

Lu Xun (1881-1936) – La speranza è come una strada e le strade si formano quando gli uomini, molti uomini, percorrono insieme lo stesso cammino.

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