Ernst Cassirer – «Saggio sull’uomo». Il valore della cultura è nella sua struttura architettonica. Ciò che vivifica i segni materiali e che “li fa parlare” è la loro funzione generale simbolica. Senza questo elemento vivificante, il mondo umano resterebbe invero sordo, muto e cieco. È il sistema architettonico delle attività umane a definire e a determinare la sfera della “umanità”.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65) – La filosofia non è un’arte di cui si possa fare ostentazione: essa non consiste nelle parole, ma nelle azioni. La filosofia forma e foggia l’animo, regola la vita, governa le azioni, insegna ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare, sta al timone e dirige il corso delle navi.

Lucio Anneo Seneca 05
L.A. Seneca, Lettere a Lucilio. Tragedie. Questioni naturali, UTET

«[…] Per te è evidente, o mio Lucilio, lo so, che nessuno può vivere sereno se non si cura della sapienza, anzi neppure in modo sopportabile; ed inoltre che la sapienza perfetta rende la vita felice, mentre anche quando è appena all’inizio la rende tollerabile.
Ma ciò che è evidente bisogna rafforzarlo e con l’assidua meditazione imprimerlo più profondamente nell’animo: è più difficile mantenere i buoni propositi che farli.
Devi perservare e con l’incessante applicazione accrescere le energie spirituali, finché la buona volontà non si sia trasformata in saggezza.
Dunque non è affatto necessario che tu adoperi con me molte parole e molte assicurazioni: riconosco che tu hai già fatto progressi assai notevoli. So di dove scaturisce quanto mi scrivi: le tue non sono frasi false né artificiose. Tuttavia ti dirò il mio pensiero: riguardo a te già nutro buona speranza, ma non ancora una fiducia proprio salda. Vorrei che tu facessi la stessa cosa: non c’è ragione, per cui ti debba fidare tanto presto e facilmente di te stesso. Esamina la tua coscienza, scrutala da ogni parte e sta ben attento: innanzi tutto considera se hai progredito solo nella filosofia o anche nel modo di vivere.

La filosofia non è già un’arte atta a procacciarsi il favore del popolo e di cui si possa fare ostentazione: essa non consiste nelle parole, ma nelle azioni. E non si ricorre a lei per passare con un certo diletto le giornate, perché il tempo libero non sia rattristato dalla noia: la filosofia forma e foggia l’animo, regola la vita, governa le azioni, insegna ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare, sta al timone e dirige il corso delle navi in balia delle onde attraverso i pericoli. Senza questa nessuno può vivere libero da timori e tranquillo; ad ogni istante accadono innumerevoli fatti, i quali esigono consigli che solo essa può dare […]».

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, XVI, 1-3, a cura di Umberto Boella, UTET, Torino 1983, pp. 109-111.


Seneca – De brevitate vitae. Non è breve la vita, ma tale la rendiamo
Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65 d.C.) – Da quando il denaro ha iniziato a venire in onore, il reale valore delle cose è caduto in discredito. Gli uomini consacrano il denaro come espressione massima delle cose umane.
Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65) – Quale è la natura specifica dell’uomo? La ragione, che quando è retta e perfetta dà all’uomo la pienezza della felicità. Una tale ragione perfetta prende il nome di virtù, e altro non è che la coerenza morale.


Pasolini e il tempo della violenza genocidiaria. L’architrave dell’attuale indifferenza patrocinata dall’accumulo crematistico è l’edonismo massificante che erode il pensiero e la consapevolezza spingendoci nel precipizio del vuoto metafisico


Salvatore Bravo

Pasolini e il tempo della violenza genocidiaria. L’architrave dell’attuale indifferenza patrocinata dall’accumulo crematistico è l’edonismo massificante che erode il pensiero e la consapevolezza spingendoci nel precipizio del vuoto metafisico

 

L’indifferenza sostanziale al genocidio in corso in Palestina necessita di risposte e di ricerca. Anche se ci sono manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese, la passività di tanti cheassistono “indiffferenti” al ripetersi di un genocidio sono il sintomo della marcescenza occidentale. La crisi etica è palese e con essa la politica si inabissa fino ad evaporare dall’esistenza dei singoli e dei popoli. La politica è stata sostituita dal calcolo edonistico e degli interessi personali. La creatività, il pensiero e l’empatia muoiono sotto il cono d’ombra del capitalismo senza Katechon.

La Risposta che a suo tempo, nel 1963, diede Hannah Arendt ne “La banalità del male” oggi appare assai insoddisfacente. La filosofa individuò nell’assenza di pensiero critico la causa della complicità con cui uomini ordinarisi lasciarono coinvolgere nel genocidio. Uomini come Adolf Eichmann erano affetti dal “non pensiero”, in quanto il totalitarismo aveva divorato i corpi medi e assorbito ogni dimensione all’interno dello Stato-Partito. La tesi della Arendt, discutibile già a suo tempo, appare oggi impraticabile per leggere il nostro tragico presente. Il genocidio è crimine contro l’umanità e risponde a genetiche storiche che mutano nel tempo. L’indifferenza del nostro tempo non è sovrapponibile alla criminale complicità che si consumò durante il genocidio ebraico. Cercare le ragioni della normalizzazione del male, ormai percepitocome fatale, significa individuare il “male” nella sua nuova forma e metamorfosi.Il sistema procede nella sua marcia atomistica e coloro che “cadono” sono solo gli sconfitti e i perdenti. L’indifferenza del nostro tempo è il peso inerte della storia, e specialmente sostiene il sistema con i suoi crimini. Innocenza e colpa si fondono e confondono. La ragione di tale profonda “patologia strutturale” che attraversa in modo conclamato le società e gli Stati a capitalismo pienamente realizzato è stata analizzata da Pier Paolo Pasolini.

In occasione del referendum sul divorzio nel 1974, lo scrittore palesa che la vittoria non è il “segno” della crescita qualitativa degli italiani, ma la ragione della vittoria è da identificarsi, a prescindere dallo schieramento politico, nella conversione degli italiani al consumismo. Il divorzio è parte della logica dell’«usa e getta», organica all’edonismo di massa.Un principio condiviso in una cornice segnata dall’utilitarismo e dall’individualismo acefalo e che diventa un mezzo per affermare il personale narcisismo. Il diritto si trasforma in un’arma. Il capitalismo è dunque il nuovo fascismo, in quantoomologa e divide e nel contempo coltiva in ogni individuo la sudditanza al consumismo. Ne consegue la regressione del “senso sociale e della sensibilità politica”. Il narcisismo edonistico è il nuovo fascismo che ha abbandonato limiti e divieti imposti per dominare con “l’atomistica delle solitudini”:

 

Sia il Vaticano che il partito comunista hanno dimostrato di aver osservato male gli italiani e di non aver creduto alla loro possibilità di evolversi anche molto rapidamente, al di là di ogni calcolo possibile.
Ora il Vaticano piange sul proprio errore. Il PCI, invece, finge di non averlo commesso ed esulta per l’insperato trionfo.
Ma è stato proprio un vero trionfo?
Io ho delle buone ragioni per dubitarne. Ormai è passato quasi un mese da quel felice 12 maggio e posso perciò permettermi di esercitare la mia critica senza temere di fare del disfattismo inopportuno.
La mia opinione è che il cinquantanove per cento dei «no», non sta a dimostrare, miracolisticamente, una vittoria del laicismo, del progresso e della democrazia: niente affatto: esso sta a dimostrare invece due cose:

  1. che i «ceti medi» sono radicalmente – direi antropologicamente – cambiati: i loro valori positivi non sono più i valori sanfedisti e clericali ma sono i valori (ancora vissuti solo esistenzialmente e non «nominati») dell’ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano. È stato lo stesso Potere – attraverso lo «sviluppo» della produzione di beni superflui, l’imposizione della smania del consumo, la moda, l’informazione (soprattutto, in maniera imponente, la televisione) – a creare tali valori, gettando a mare cinicamente i valori tradizionali e la Chiesa stessa, che ne era il simbolo.

  2. che l’Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c’è più, e al suo posto c’è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una completa borghesizzazione, del tipo che ho accennato qui sopra (modernizzante, falsamente tollerante, americaneggiante ecc.)1.

 

 

Differenze nominali

Fascisti e antifascisti post 1968 si ritrovano eguali nell’idolatrico culto del consumo e nella pratica del solo interesse personale. Il “primitivismo di massa”con i suoi belati sempre pronti ad accogliere l’ultima novità che il mercato somministra abilmente è il risultato finale di tale regressione di massa, in cui il popolo si trasforma in suddito incapace di pensare e di desiderare un mondo altro. In tale contesto le differenze sono solo nominali. Fascisti e antifascisti sono intercambiabili, ciò ha anticipato la perfetta simmetria tra destra e sinistra. Il fascismo non è più da identificare con un sistema che aveva il suo punto di riferimento nel nazionalismo, nella Chiesa e nella borghesia con i suoi valori/disvalori. Oggi il fascismo è nel nominalismo, ovvero nella pratica di un nichilismo assoluto in cui il soggetto si obnubila nella corsa furibonda e bellicosaverso il consumo. Il capitalismo è stato il cattivo maestro che ha insegnato a ”non riconoscere l’altro”; l’altro è il competitore che potrebbe impedire l’ultimo piacere e un po’ di luce nella società dello spettacolo. L’omologazione è trasversale, e dunque il capitale è riuscito ad ottenere una massificazione impensabile a cui il “fascismo” non era giunto:

 

Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un’organizzazione culturale arcaica, all’organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini.
L’omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c’è più dunque differenza apprezzabile – al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando – tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c’è niente che distingua – ripeto, al di fuori di uncomizio o di un’azione politica – un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l’omologazione è ancor più radicale2.

 

 

Nuovo fascismo

Il nuovo fascismo è nel senso di penuria introiettato, per cui si è sempre alla ricerca dell’ultimo piacere e dell’accumulo crematistico. Si è presi da un automatismo belligerante, in cui conta solo il proprio desiderio, mentre “il mondo applaude ai nuovi vincenti”. Si aderisce ad un’ideologia in modo aprioristico e si ripete un modello nell’azione del tutto privo di ogni senso, e pertanto non resta che la violenza. L’architrave dell’ipotesi di Pasolini è l’edonismo che erode il pensiero e la consapevolezza e in tale vuoto metafisico generalizzato le differenze sono solo scenografia a cui non corrisponde nulla. Il nuovo fascismo che ha causato la mutazione antropologica è il nuovo capitalismo post 1968 con il suo edonismo massificante. La grammatica emotiva conseguente è l’incapacità acquisita di indignarsi dinanzi al male:

 

Dunque il fascismo non è più il fascismo tradizionale. Che cos’è, allora?I giovani dei campi fascisti, i giovani delle SAM, i giovani che sequestrano persone e mettono bombe sui treni, si chiamano e vengono chiamati «fascisti»: ma si tratta di una definizione puramente nominalistica. Infatti essi sono in tutto e per tutto identici all’enorme maggioranza dei loro coetanei. Culturalmente, psicologicamente, somaticamente – ripeto – non c’è niente che li distingua. Li distingue solo una «decisione» astratta e aprioristica che, per essere conosciuta, deve essere detta. Si può parlare casualmente per ore con un giovane fascista dinamitardo e non accorgersi che è un fascista. Mentre solo fino a dieci anni fa bastava non dico una parola, ma uno sguardo, per distinguerlo e riconoscerlo.
Il contesto culturale da cui questi fascisti vengono fuori è enormemente diverso da quello tradizionale. Questi dieci anni di storia italiana che hanno portato gli italiani a votare «no» al referendum, hanno prodotto – attraverso lo stesso meccanismo profondo – questi nuovi fascisti la cui cultura è identica a quella di coloro che hanno votato «no» al referendum.
Essi sono del resto poche centinaia o migliaia: e, se il governo e la polizia l’avessero voluto, essi sarebbero scomparsi totalmente dalla scena già dal 1969.
Il fascismo delle stragi è dunque un fascismo nominale, senza un’ideologia propria (perché vanificata dalla qualità di vita reale vissuta da quei fascisti), e, inoltre, artificiale: esso è cioè voluto da quel Potere, che dopo aver liquidato, sempre pragmaticamente, il fascismo tradizionale e la Chiesa (il clerico-fascismo che era effettivamente una realtà culturale italiana) ha poi deciso di mantenere in vita delle forze da opporre – secondo una strategia mafiosa e da Commissariato di Pubblica Sicurezza – all’eversione comunista. I veri responsabili delle stragi di Milano e di Brescia non sono i giovani mostri che hanno messo le bombe, né i loro sinistri mandanti e finanziatori3.

 

Se il nuovo fascismo (capitalismo) prevarrà, sarà un fascismo assolutamente nuovo per il quale non abbiamo mappe e bussole per decoficarlo, o meglio non possiamo usare le categorie del passato per comprenderlo. La resistenza è sempre possibile, ma è necessario ridisegnare le mappe e rafforzare il carattere per poter porre in atto la resistenza al nuovo fascismo:

 

Se il loro fascismo dovesse prevalere, sarebbe il fascismo di Spinola, non quello di Caetano: cioè sarebbe un fascismo ancora peggiore di quello tradizionale, ma non sarebbe più precisamente fascismo. Sarebbe qualcosa che già in realtà viviamo, e che i fascisti vivono in modo esasperato e mostruoso: ma non senza ragione4.

 

Il fascismo pienamente realizzato è il grande successo del capitalismo. Per la prima volta siamo innanzi ad una omologazione totale nei gusti, nei gesti, nel linguaggio e nei corpi. Con tale tragedia bisogna confrontarsi per defatalizzare la storia. La natura umana non la si può cancellare, essa resta anche se inespressa, da questo dato bisogna partire per uscire dal dramma dell’indifferenza. Il nuovo fascismo ottunde la mente e i corpi, ma la natura etica e razionale dell’essere umano è la speranza onto-assiologica della rinascita.

 

1 P.P. Pasolini, sul «Corriere della sera» (10 giugno 1974) e in Scritti Corsari. Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia.
2 Ibidem.
3 Ibidem.
4 Ibidem.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Flavia Palmieri – Dove si discute la relazione tra economia e crematistica, e la tesi di Aristotele sull’innaturalità della seconda, facendo emergere la stretta connessione tra la nozione di limite e quella di fine . Recensione al libro di Arianna Fermani, «Economia e felicità. Del buon uso della ricchezza in Aristotele».



Books by Flavia Palmieri

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Le dottrine dell’anima nell’Accademia antica. Speusippo e Senocrate.

Tab Edizioni, 2025

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Il volume analizza il ruolo dell’anima nella filosofia dei primi scolarchi dell’Accademia antica dopo Platone, Speusippo e Senocrate, ricostruendone le dottrine attraverso testimonianze frammentarie, indirette e spesso di controversa interpretazione. Alla luce del rigoroso metodo storico-critico e sistematico, sono qui indagati i legami tra psicologia, “ontologia”, cosmologia, epistemologia ed etica, evidenziando le innovazioni teoriche rispetto a Platone e al dibattito veteroaccademico. Si tratta di un’opera che tenta di colmare una lacuna negli studi, offrendo nuove prospettive di ricerca sulla psicologia antica.

Flavia Palmieri è dottoressa di ricerca in Filosofia presso Sapienza Università di Roma. È stata assegnista di ricerca presso il medesimo ateneo, dove è anche cultrice della materia in Storia della filosofia antica. I suoi interessi si concentrano principalmente sull’Accademia platonica antica e sul pensiero economico dell’antichità.

Pubblicazioni:

https://research.uniroma1.it/researcher/b037a355b87864e818c69557f4c5aa21577000bc6ef6d7e715bcf5ae


Papers by Flavia Palmieri

Economia, etica e politica nell’Economico dello Ps.-Aristotele: tra l’età classica e l’ellenismo

Bollettino della Società Filosofica Italiana, 2023


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Tra religione e politica nell’Accademia antica. Il possibile ruolo dell’anima

Archivio di Filosofia, 2023

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Ἀρετή e φύσις: tra etica del saggio e mondo naturale nell’Accademia platonica antica

in “Etica, economia, ecologia. Sguardi sulla complessità”,
Atti del XLI Congresso nazionale della Società filosofica italiana, ETS, pp. 357-372, 2023


Anime platoniche. Studi sulla psicologia della prima Accademia

Archivio di Storia della Cultura, 2022


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La critica di Sesto Empirico ai numeri pitagorici

Elenchos, 2022

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review of Richard Schorlemmer: Transmission und Transformation. Überlieferungsanalysen und Rekonstruktionen frühperipatetischer Seelenlehren. Basel: Schwabe Verlag 2022. 322 S. 4 s/w Abb. (Schweizerische Beiträge zur Altertumswissenschaft 54).

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M. Catapano, Sesto Empirico e i tropi della sospensione del giudizio, Hakkert, («Lexis Ancient Philosophy», 13), Amsterdam 2018, in «Rivista di Cultura Classica e Medievale», LXIII, 2, 2021, pp. 619-623.


Forcignanò, F. (ed.), Platone: Settima lettera, Carocci, Roma 2020, in Syzetesis VIII (2021) 439-445.


M. .Bonazzi, F. Forcigranò, A. Ulacco (eds.), “Thinking, Knowing, Acting. Epistemology and Ethics in Plato and Ancient Platonism”, Brill, Leiden-Boston, in “BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ FILOSOFICA ITALIANA”, 229 (2020), pp. 92-95.


S. Marchand, Le Scepticisme: Vivre sans opinions,
“Syzetesis – Rivista di filosofia” VI/1 (2019) pp. 279-286, ISSN 1974-5044


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Nichilismo e Umanesimo. La cecità relazionale insita nell’assolutizzare l’utile economico è ormai dilagante nel suo volersi imporre come norma indefettibile dei rapporti sociali e interpersonali. Bisogna allora ricostruire l’umanesimo e opporsi alla guerra che è in atto contro l’essere umano. Il mero utile economico è soltanto calcolo nel quale l’altro muore, ma così ognuno di noi muore al mondo e alla comunità. L’umanesimo è rischio che deve essere affrontato (un rischio che già Platone invitava ad accettare se realmente desiderosi del bene e del bello). E così Pasolini diceva: «Solo l’amare, solo il conoscere conta […]».




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Leonardo da Vinci – Il grande amore nasce dalla grande cognizione della cosa che si ama, e se tu non la conoscerai, poco o nulla la potrai amare […] l’amore è tanto più fervente quanto la cognizione è più certa.



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Giorgio Riolo – «La via del classico. Letteratura, società, vita quotidiana, conoscenza».

Giorgio Riolo,
La via del classico. Letteratura, società, vita quotidiana, conoscenza

ISBN 978-88-7588-423-9, 2025, pp. 488,  Euro 35 .

In copertina: Vittorio Amedeo Corcos, Sogni, 1896, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma.



Indice


Introduzione

Perché la letteratura e perché i classici.

Un necessario discorso preliminare

Bibliografia minima generale

Nota al testo

Parte prima

L’antichità classica

Capitolo I – Il mondo greco

Omero

Omero, Iliade

Omero, Odissea

Bibliografia minima

I tragici

Il teatro greco – Le tragedie

Eschilo, Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi)

Bibliografia minima

Sofocle, Edipo re, Edipo a Colono, Antigone

Bibliografia minima

Euripide, Medea

Bibliografia minima

I filosofi

Platone

Bibliografia minima

Platone, Simposio

Bibliografia minima

Platone, Apologia di Socrate

Bibliografia minima

Platone, Eutifrone, Critone, Fedone

Bibliografia minima

Platone, La Repubblica

Bibliografia minima

Platone, Fedro

Bibliografia minima

Epicuro, Lettera a Meneceo

Bibliografia minima

Capitolo II – Il mondo romano

Seneca, Lettere a Lucilio

Bibliografia minima

Capitolo III – Il Vicino Oriente

La Bibbia e i Vangeli di Matteo e Luca

La Bibbia

Il problema Gesù: il Gesù storico e il Cristo della fede

Bibliografia minima

Parte seconda

Dal Medioevo all’età moderna

Capitolo I – Dante, Machiavelli, Shakespeare, Goethe

Dante, La Divina Commedia

Bibliografia minima

Niccolò Machiavelli, Il principe

Bibliografia minima

William Shakespeare

Bibliografia minima

W. Shakespeare, Amleto, Re Lear

Bibliografia minima

W. Shakespeare, Giulio Cesare, Il mercante di Venezia

Bibliografia minima

W. Shakespeare, Macbeth, La tempesta

Bibliografia minima

W. Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate,

Saggio di Laura Cantelmo

Bibliografia minima

Johann Wolfgang Goethe, Faust

Bibliografia minima

Capitolo II – Il Settecento e l’Illuminismo

Jean-Jacques Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti, Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini, Fantasticherie di un passeggiatore solitario

  • Bibliografia minima

Parte terza

La grande stagione del romanzo realistico

Capitolo I – I francesi

Honoré de Balzac

Premessa

Vita e opere

Balzac, Illusioni perdute, Splendori e miserie delle cortigiane

Bibliografia minima

Balzac, Eugénie Grandet

Bibliografia minima

Balzac, Papà Goriot

Bibliografia minima

Stendhal, Il rosso e il nero

Bibliografia minima

Capitolo II – I russi

Nikolaj V. Gogol’, Racconti di Pietroburgo

Bibliografia minima

Fëdor M. Dostoevskij

Bibliografia minima

Dostoevskij, Delitto e castigo

Bibliografia minima

Dostoevskij, L’idiota

Bibliografia minima

Dostoevskij, I demoni

Bibliografia minima

Dostoevskij, I fratelli Karamazov

Bibliografia minima

Lev N. Tolstoj

Tolstoj, Tre morti, I cosacchi, Dopo il ballo

Tolstoj, Padrone e lavorante

Tolstoj, La cedola falsa

Tolstoj, La morte di Ivan Ilic

Tolstoj, Il divino e l’umano

Tolstoj, Padre Sergio

Tolstoj, La sonata a Kreuzer

Tolstoj, Hadzi Murat

Tolstoj, Guerra e pace

Tolstoj, Anna Karenina

Tolstoj, Resurrezione

Bibliografia minima

Anton P. Cechov

Cechov, Racconti

(La steppa, La signora col cagnolino, Reparto N. 6)

Bibliografia minima

Capitolo III – Thomas Mann

Thomas Mann, I Buddenbrook

Thomas Mann, Tonio Kröger

Thomas Mann, La morte a Venezia

Thomas Mann, Tristano

Thomas Mann, Disordine e dolore precoce

Thomas Mann, La montagna incantata

Thomas Mann, Doctor Faustus

Bibliografia minima

Capitolo IV – LOttocento italiano

Alessandro Manzoni, I promessi sposi

Bibliografia minima

Giacomo Leopardi, Canti, Operette morali

Bibliografia minima

Giovanni Verga, Novelle

Bibliografia minima

Parte quarta

La grande letteratura italiana del secondo dopoguerra

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo

Bibliografia minima

Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia

Bibliografia minima

Primo Levi, Se questo è un uomo, I sommersi e i salvati

Bibliografia minima

Italo Calvino, La giornata di uno scrutatore

Bibliografia minima

Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli

Bibliografia minima

Cesare Pavese, La luna e i falò

Bibliografia minima

Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Una questione privata

Bibliografia minima

Francesco Jovine, Le terre del Sacramento

Bibliografia minima

Ignazio Silone, Uscita di sicurezza

Bibliografia minima

Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Il contesto,

Todo modo, Gli zii di Sicilia, Il mare colore del vino

Bibliografia minima

Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari e Lettere luterane

Bibliografia minima

don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa

Bibliografia minima

Parte quinta

Marguerite Yourcenar

Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Bibliografia minima

Parte sesta

La storia

Edward H. Carr, Sei lezioni sulla storia

Bibliografia minima

Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico

Bibliografia minima

AA.VV. Lettere di condannati a morte della Resistenza europea

Bibliografia minima

Massimo M. Salvadori, Storia d’Italia.

Il cammino tormentato di una nazione. 1861-2016

Bibliografia minima

Parte settima

Il pensiero critico

Karl Marx, Opere

Bibliografia minima

Antonio Gramsci, Alcuni temi della quistione meridionale,

Lettere dal carcere, Quaderni del carcere

Bibliografia minima

György Lukács, Il marxismo e la critica letteraria,

Estetica

Il fascino delle origini

L’intermezzo moscovita

Le concezioni estetiche di Marx ed Engels

Il realismo critico, la particolarità e il “tipo”

Lo scoiattolo e l’elefante

Il rigore della maturità

Dalla vita quotidiana alla vita quotidiana

La catarsi, dall’antica Atene alle moderne metropoli

La catarsi nella vita e nella letteratura: Lev Tolstoj

Bibliografia minima

Ernst Bloch, Il principio speranza

Ernst Bloch e il marxismo critico

Il principio speranza

Il diritto degli esseri umani a “camminare eretti” e il socialismo

Il Sessantotto e oltre

La vita e l’opera

Bibliografia minima

Simone Weil, La prima radice

Bibliografia minima

Frantz Fanon, I dannati della terra

Bibliografia minima

Indice dei nomi




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Salvatore Bravo – Equilibrio e civiltà nello spirito di M. Zambrano. L’etica dell’amicizia e del dono non è solo un ideale, ma è una pratica che stabilisce il cammino verso cui orientarsi. A noi tutti spetta il lavoro dello spirito, affinché l’Aurora di M. Zambrano risorga e la “nascita” possa sostituire la morte. Ogni nascita è un ponte verso la vita, ogni nascita reca con sé la dimensione del dono.


Salvatore Bravo

Equilibrio e civiltà nello spirito di M. Zambrano.
L’etica dell’amicizia e del dono non solo un ideale,
ma è una pratica che stabilisce il cammino verso cui orientarsi.
A noi tutti spetta il lavoro dello spirito, affinché l’Aurora di M. Zambrano risorga
e la “nascita” possa sostituire la morte.
Ogni nascita è un ponte verso la vita, ogni nascita reca con sé la dimensione del dono

 

La parola civiltà deriva da civitas, ovverossia la città. Il luogo dove vivono le buone relazioni è la città nella quale le idee si sviluppano parallelamente alle buone relazioni. Anche il conflitto rientra nelle buone relazioni, se esso non è mortifero, ma è fecondo scontro dialettico. La civitas è luogo urbano e simbolico della civiltà. Le buone relazioni presuppongono la stabilità e la valutazione etica. La stabilità è data dal reciproco riconoscimento della comune umanità sempre mediata dalla consapevolezza delle differenze, mentre la valutazione etica è la condizione che pone la geometria delle buone relazioni; è lo spazio ideale all’interno delle quali esse devono essere fondate. Si pensi alla sfera di Parmenide metafora dell’essere. Ogni punto della superficie è equidistante dal centro. La sfera è il simbolo della civitas-polis, l’uguaglianza senza stabilità e reciprocità è solo vuoto ciarlare. La sfera è indivisibile, come la civitas, se in essa subentra la divisione non è più tale, ma è semplice giustapposizione di individui. L’etica dell’amicizia e del dono non è, dunque, solo un ideale, ma è una pratica che stabilisce il cammino verso cui orientarsi. La madre è archetipo del dono e della mediazione della legge, mentre il padre è la legge che pone il limite entro cui è necessario disporsi. La civiltà necessita della complementarietà dei due archetipi, i quali sono incarnati in figure reali, il padre e la madre, o in figure simboliche e istituzionali. L’equilibrio fonda la possibilità della civiltà. Già Empedocle affermava che solo l’equilibrio tra forze contrastanti consente la vita.

Disarmonie

L’occidente ha rotto ogni equilibrio, l’archetipo della madre trova il suo senso nella tensione feconda col padre. Ancora una volta la cultura classica ci svela e rivela la verità: il polemos eracliteo è armonia degli opposti. L’armonia dinamica consente il fiorire della vita e delle vite nell’equilibrio tra gli opposti. La relazione tra gli opposti pone il senso e il significato. L’occidente a tutto questo ha rinunciato. Il logos, relazione dialogica, in cui i dialoganti attraversano gli spazi che li divide per ritrovarsi nella verità è già civitas-civiltà. Non a caso dialoghi socratici con una sola eccezione sono sempre ambientati nella città. L’occidente muore nell’efferatezza, perché ha rinunciato alla civitas, al logos e alla relazione dialettica tra gli archetipi. Non è un evento indeterminato, ma la rinuncia alla civiltà è l’effetto finale del momentaneo trionfo del capitalismo. Quest’ultimo deve trasformare ogni creatura in un essere consumante e in carriera. Esso ha sollevato con successo l’atomistica delle solitudini e governa mediante l’illimitata conflittualità. Tutto è odio e tutto è indifferenza verso l’umano. In questo clima di guerra e di solitudine competitiva l’efferatezza delle relazioni non meraviglia. I generi si guardano con sospetto e la perpetua campagna di denigrazione del maschile non può che favorire con la solitudine generale. L’occidente si frammenta e si disperde nella guerra di tutti contro tutti. Le nuove generazioni sono nutrite col cattivo cibo del desiderio che rende indifferenti al bisogno altrui e insegna ad ascoltare solo il proprio immediato desiderio; differirlo e pensarlo è considerato “il male”. I padri e le madri non ci sono. Il senso dell’uno e dell’altro è nella relazione tra le differenze. La rottura dell’equilibrio ha comportato il tramonto di entrambe le figure. Non resta che il mercato, il quale è diventato “il cattivo maestro” di tutti, poiché assimila nell’illimitato, in quanto si nutre dei desideri indotti e deforma la natura razionale ed etica dell’essere umano. La civiltà declina e all’orizzonte non si profila una nuova civitas, ma il “niente” nel presente appare con la sua incomparabile efferatezza. L’Occidente è, di conseguenza, sterile, produce guerre e non vita. La vita biologica e le nascite spirituali sono fortemente osteggiate, in quanto sono il consumo e la logica della morte a governare.

 

Coscienza e viscere in Maria Zambrano

Dove non vi è equilibrio e stabilità come i classici ci hanno insegnato regna la negazione. Tutto questo non è un destino, ma una contingenza storica. Innumerevoli sono i percorsi della prassi, uno dei fondamentali è riconnettere la “coscienza al viscere”, ovvero alla vita sentita come Maria Zambrano nel suo esilio filosofico e politico ci ha indicato. Bisogna ricongiungere interiormente e nelle relazioni ciò che la civiltà del globish ha diviso per innalzare gli altari della competizione-dominio in cui tutto muore e nulla nasce:

«E la terra le servirà da appoggio, da spazio illimitato. Ma la superficie, il piano, non le basta, alla vita già dotata di un corpo, per assimilato che questo sia alla pianura, alla desolazione della semplice superficie. Essa ritorna nella cavità della grotta iniziale protetta dalla luce e da qualsiasi elemento che non sia lei, torna alla terra, alla terra come tale, al viscere terrestre. In seguito, il corpo vivo otterrà di recare in sé questo viscere. E la grandezza delle viscere, la loro molteplicità, la loro ricchezza, il loro rigore, anche, contrassegneranno la scala della vita, la scala in cui l’essere vivente mostra già il suo viso. Al sembiante dell’essere vivo fa riscontro l’oscurità delle viscere; al sembiante, fattosi chiaro, del mammifero, e al suo luminoso volto, corrisponde il viscere vivo, tesoro che ormai la caverna terrestre non avrà più il privilegio di contenere. Viscere, ha la terra, in cui la luce è custodita scintillante, indelebile. La luce formata di acqua e di fuoco, di aria e di sale. Il sale della terra che assorbe e fissa la luce».1

Civiltà è nel sentire la presenza dell’altro, il quale nella sua sacralità ci riconnette con la vita consentendo la comunicazione tra il sentire delle viscere e il pensare. Il taglio sanguinoso tra il sentire e il pensare produce individui che hanno sostituito il logos con il calcolo dell’immediato e con l’abbaglio dei risultati da ottenere subito in termini di piacere, denaro e potere. In questo contesto uccidere è un’azione banale, è un mezzo tra i tanti, tanto più che la vita non è più un valore sacrale, ma è anch’essa assoggettata al desiderio. L’Occidente ha perso l’Aurora, ancora una volta le parola della filosofia poetante di Maria Zambrano sono preziose per riorientarci tra le macerie del presente. L’Aurora è il pensiero che emerge dall’equilibrio tra il femminile e il maschile, l’Aurora è la condizione chiaroscurale del sentire nella quale è possibile la nascita del “nuovo”:

«L’Aurora, che ha risvegliato il germe – preesistente ma quasi normalmente assopito – dell’illimitato e dell’ardente, ci appare come un limite, un confine che ci arresta e ci chiama in modo ineludibile. È un sogno, un luogo dove i semplici sentire, con il loro naturale fantasticare, sembrano sul punto di essere soppressi […]. L’apparizione dell’Aurora unifica i sentire trasformandoli in senso, reca il senso. […] In nome di quale ragione occulta, sconosciuta, l’Aurora appare e scompare? Appare così, senza ragione, si mostra all’improvviso, oscillando tra la purezza massima della ragione e il suo apparente opposto […]. Improvvisamente qualcosa che sembrerebbe naturale si manifesta come una rivelazione: il fatto che abbia colore. […] Ci sembra allora inevitabile che l’Aurora apra il senso, l’orizzonte e la luce di ogni giorno […], che la luce debba anch’essa farsi ogni giorno di nuovo, perché la vita, a sua volta, ogni giorno si faccia; perché l’essere e la vita uniti non muoiano una volta per sempre, come se fossero stati creati […] una volta sola e per sempre qui, dove siamo: se l’eternità ci si offrisse fin dal principio, se questo principio non fosse una gloriosa, impensabile rivelazione. Se il pensiero non dovesse alimentarsi respirando, anche solo per lievi istanti, l’eternità; un inconfondibile tremore, e quell’inconcepibile fiore che a volta è l’Aurora […]. È lei, l’Aurora, che fugge nell’istante in cui viene percepita, che si nega ad avere un corpo, che annuncia, tremando, questo sì, un mondo altro, in cui i sensi si trovano in un tempo proprio […]; poiché il tempo ci appare come il primo datore dell’essere, e non come il suo rivale. […] Il vuoto in cui la bellezza appare, sarà a sua volta proprio esso a manifestarsi? Essere, essere in altro modo, o essere in verità, o oltre la verità, o oltre l’essere; vuoto e bellezza annunciano qualcosa che non si perde ma che non si dà. E lei è, così immaginiamo, l’unica tra tutti gli dèi e le parole che un tempo furono come dèi; lei è, ci sembra, la sola ad aver conservato quella condizione. Lei, l’Aurora».2

A noi tutti spetta il lavoro dello spirito, affinché l’Aurora risorga e la “nascita” possa sostituire la morte. Ogni nascita è un ponte verso la vita e le vite, ogni nascita reca con sé la dimensione del dono. L’alternativa al comunismo deve fondarsi sulla Metafisica della vita e dell’intero. Se ciò non accadrà il futuro non sarà che la fosca ripetizione del passato da cui dobbiamo congedarci già nel presente. Il compito è grande, ma il percorso è necessario.

1 M. Zambrano, I Beati, a cura di Carlo Ferrucci, SE Edizioni, Milano 2010.

2 M. Zambrano, Dell’Aurora, Marietti, 2020, pp. 27-29


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Carlo Natali – «[…] una lettura del concetto di natura in Aristotele come fonte della normatività pratica, deve essere discussa anche dal punto di vista storiografico per valutare la correttezza del richiamo all’autorità del pensatore antico, e, soprattutto, per trovare se nella lettera del testo si trovino spunti teorici ulteriori e più complessi, utili sia a una comprensione storica del concetto di natura in Aristotele, sia all’utilizzo di questo concetto in una discussione moderna sull’idea del bene umano. Questo è il compito che si è assunto P.M. Morel nel suo bel libro su “La nature et le bien”».


Il testo che pubblichiamo è la versione italiana della recensione,
scritta da Carlo Natali originariamente in lingua francese,
al libro di Pierre-Marie MOREL,
La nature et le bien.
L’Éthique d’Aristote et la question
naturaliste,
Louvain-La-Neuve, Peeters, 2021 (Aristote. Traductions et études), p. 279,
e pubblicata sulla rivista «Philosophie antique [En ligne]», 22, 2022.
Ringraziamo la direzione e la redazione di
«Philosophie antique»
per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazion
anche della versione
italiana.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Rodolfo Mondolfo – Senza un lungo studio e un grande amore non si può fare l’indagine scientifica né in filosofia né in qualsiasi altro ramo della cultura.




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