Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione

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«Io vivo, dunque spero […]. Noi speriamo sempre e in ciascun momento della nostra vita. Ogni momento è un pensiero, e così ogni momento è in un certo modo un atto di desiderio, e altresì un atto di speranza, atto che benché si possa sempre distinguere logicamente, nondimeno in pratica è ordinariamente un tutt’uno, quasi, con l’atto del desiderio, e la speranza è una quasi stessa, o certo inseparabil, cosa col desiderio».

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri [con il numero di pagina dell’autografo leopardiano e la data di stesura del testo citato], p. 4145, 18 ottobre 1825.

***

«[…] allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima si immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario».

 Ibidem, p. 170, 12-13 luglio 1820.

***

«Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione».

Ibidem, p. 4418, 30 novembre 1828.

***

«Qualunque cosa ci richiama l’idea dell’infinito è piacevole per questo, quando anche non per altro. Così un filare o un viale d’alberi di cui non arriviamo a scoprire il fine. Questo effetto è come quello della grandezza, ma tanto maggiore quanto questa è determinata, e quella si può considerare come una grandezza incircoscritta».

Ibidem, p. 185, 25 luglio 1820.

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William Shakespeare (1564-1616) – La sua lezione di regia: «Tenetevi misurati, dovete ottenere e conservare quella sobrietà che consente morbidezza di toni. Accordate l’azione alla parola, la parola al gesto: lo strafare è contrario alla vocazione dell’arte teatrale. Il gigioneggiare quanto il recitarsi addosso non può che disgustare l’intenditore».

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Non c’è altra oscurità che quella della tua ignoranza.

epa04072088 A reproduction of a previously unknown portrait of English poet and playwright William Shakespeare is presented in Mainz, Germany, 12 February 2014. Shakespeare expert Hildegard Hammerschmidt-Hummel claims to have proven the authenticity of two pictures as genuine portraits of Shakespeare (1564-1616). She used a catalog of criteria, which considered specific facial and disease characteristics, to confirm their authenticity. The painter of the works is unknown as well as the whereabouts of the originals. EPA/DANIEL REINHARDT ATTENDTION EDITORS: EDITORIAL USE ONLY IN CONNECTION WITH REPORTS ON THE PRESENTATION EDITORIAL USE ONLY

William Shakespeare


 

Statua di William Shakespeare (anno 1874) in Leicester square, London,

Statua di William Shakespeare (anno 1874) in Leicester square, London.

L’iscrizione: «There is no darkness but ignorance»,
«[…] tu persisti nell’errore! Non c’è […] altra oscurità che quella della tua ignoranza.
Nella quale appunto tu sei immerso»

(W. Shakespeare, La dodicesima notte, Atto quarto, scena seconda).


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Amleto – Atto Terzo – Scela Seconda –  Sala in castello.

Amleto e tre attori.

AMLETO
Dite il vostro discorso, vi prego, come ve l’ho recitato io; come se vi danzasse sulla lingua. Che se me lo urlate come fanno certi nostri attori moderni, tanto mi varrebbe affidare i miei versi a un banditore di piazza. E non falciatemi l’aria con la mano, così: ma tenetevi misurati; ché anche nel torrente, nel vortice, diciamo pure nell’uragano, dei vostri affetti, dovete ottenere e conservare quella sobrietà che consente morbidezza di toni. Ah mi guasta il sangue quando sento un accidentaccio tanto fatto, imparruccato, ridurre a brandelli la sua passione dilaniandola a morsi pur di sfondar gli orecchi a quelli giu in platea; ai quali arriva tutt’al più, una pantomima incomprensibile, per quel fracasso. Uno così io lo farei frustare per concorrenza sleale al capitan Fracassa e per la sua pretesa di straerodiare Erode. Per carità evitatemi quello strazio.

Ma non siate poi neanche pappemolli. Lasciatevi guidare dal vostro criterio e gusto. Accordate l’azione alla parola, la parola al gesto: – badando, particolarmente, di non oltrepassare la misura né i limiti della naturalezza; ché lo strafare è contrario alla vocazione dell’arte teatrale, di cui il fine è sempre stato ed è quello di porgere, si direbbe, uno specchio alla natura che mostri alla virtù il suo vero aspetto, al vizio la sua precisa immagine; e d’ogni età e di interi cicli storici, impronta e forma. Ora, il gigioneggiare quanto il recitarsi addosso può far, talvolta, piacere al pubblico che è l’orbetto, ma non può che disgustare l’intenditore: e il biasimo di uno solo di questi buongustai deve avere più peso per voi gente dell’arte, che l’applauso di un «esaurito» di balordi. Oh, certi attori che ho sentito recitare e lodare, e anche stralodare, per non dir peggio, da ignoranti! Certi attori senza accento né portamento da cristiani né da pagani né da uomini; capaci solo di pavoneggiarsi e muggire! Veniva da pensare se non li avesse manipolati uomini, nel laboratorio della Natura, qualche avventizio che doveva averli sbagliati, tanto era subumana la loro imitazione dell’umanità.

PRIMO ATTORE
Mi lusingo di avere sradicato quasi del tutto questi difetti dalla mia compagnia.

AMLETO
Del tutto dovete sradicarli. E a quello che fa la parte del buffone dite di non infarcirIa di soggetti, ma di attenersi al testo che fu scritto per lui; perché ce n’è di quelli che, pur di trascinare alla risata i piu tangheri spettatori, cominciano essi a dare in grandi risate fracassose, e magari proprio quando l’attenzione avrebbe da fermarsi su battute essenziali che non debbono andar perdute. Volgarissima truffa; la quale mostra, nello sciocco che la compie, bassa ambizione e miseria mentale.
Andate a prepararvi.

William Shakespeare, Amleto, in Id., Teatro, vol. III, Einaudi, 1964, pp. 700-701.


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Statua di Shakespeare, opera di John Massey Rhind,
situata presso il Carnegie Museums di Pittsburgh.


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George Sand (1804-1876) – La fonte più viva e più profonda del progresso dello spirito umano è la nozione di solidarietà. La mollezza delle abitudini ci invecchia e finisce con l’ucciderci.

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Storia della mia vita

Storia della mia vita

«La fonte plù viva e piu profonda del progresso dello spirito umano è la nozione di solidarietà. Gli uomini di tutti i tempi l’hanno sentito istintivamente o distintamente, e tutte le volte che un individuo ha avuto il dono, piu o meno sviluppato, di saper manifestare la propria vita, è stato spinto a farlo dal desiderio delle persone care o da una voce interiore non meno possente. Gli sembra allora di eseguire un dovere, e lo è infatti, sia che racconti gli avvenimenti storici di cui è stato testimone, sia che abbia frequentato personalità importanti, sia che abbia viaggiato e abbia conosciuto e apprezzato uomini e cose nuovi. Vi è un genere di lavoro personale, che è stato compiuto piu raramente e che, secondo me, è altrettanto utile: quello che consiste nel raccontare la propria vita interiore, la vita dell’anima, cioè la storia del proprio spirito e del proprio cuore».

George Sand nel 1864

George Sand nel 1864.

«Preferisco gli uomini alle donne e lo dico senza malizia, profondamente convinta che i fini della natura siano logici e completi, che la soddisfazione delle passioni sia solo un lato ristretto e accidentale dell’attrattiva di un sesso per l’altro e che, al di fuori della relazione fisica, le anime cerchino di realizzare una specie di alIeanza intellettuale e morale, in cui ognuno dei due sessi porta ciò che è di complemento per l’altro».

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Portrait de George Sand
(nom de plume de Amantine Aurore Lucile Dupin)
en costume masculin, Musée Carnavalet.

«Non odio iI lusso, anzi lo amo, ma non so che farmene. I gioielli mi piacciono terribilmente: secondo me non vi è niente di piu bello di queste creazioni di metallo e di pietre preziose che possono avere le forme piu svariate e le composizioni piu delicate. Mi piace esaminare le parures di gioielli e le stoffe dai colori vivaci: le cose di gusto mi affascinano. Vorrei essere un gioielliere o un sarto, per poter dar sfogo alla mia inventiva
e per dar vita, con il mio gusto, a questi materiali cosi ricchi. Ma non mi interessa usare le belle cose: un bel vestito mi impaccia, i gioielli mi irritano la pelle; in ogni caso, la mollezza delle abitudini ci invecchia e finisce con l’ucciderci. In definitiva, non sono nata per essere ricca e se non cominciassi a sentire i malesseri della vecchiaia, sinceramente vivrei in una capanna dal tetto di paglia nel Berry, purché fosse pulita – e ci tengo a dire che quasi tutte lo sono – con altrettanto piacere che in una villa in Italia. A cinquant’anni, sono esattamente com’ero da bambina: mi piace sognare, meditare, lavorare […].

George Sande, Histoire de ma vie, 1855; Parisi, Gallimard, 1970.

Auguste Charpentier, George Sand

A. Charpentier, George Sand.

«Se lei parla delIe mie risorse, può dire in tutta coscienza che sono sempre vissuta, di giorno in giorno, col frutto del mio lavoro, e che io considero questo modo di organizzare la propria vita come il piu felice».

George Sande, Lettera a Louis Ulbach.

E, Delacroix, George Sand e Fryderyk Chopin

E, Delacroix, George Sand e F. Chopin.


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Benito Pérez Galdós (1843-1920) – «Ma cucire, cucire… Calcola i punti che si devono dare per tenere in piedi una casa…».

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«Per capir facilmente le inquietudini di Tristana, conviene far luce il più possibile su don Lope, per non considerarlo né migliore né peggiore di quanto realmente fosse”» (Benito Pérez Galdós, Tristana, 1892, capitolo II).

«E di che vive una donna che non ha rendite? Se potessimo diventare dottoresse, avvocatesse, o anche farmaciste e maestre, non dico fare il ministro o sedere in Senato, potremmo insomma… Ma cucire, cucire… Calcola i punti che si devono dare per tenere in piedi una casa… Quando penso a quel che sarà di me mi viene voglia di piangere»

Benito Pérez Galdós, Tristana, 1892, capitolo V

 

Tristana è anche un film del 1970 diretto da Luis Buñuel (grande estimatore di Benito Pérez Galdós: dal suo romanzo è trattala sceneggiatura): il film fu presentato fuori concorso al 23º Festival di Cannes.


 

«Mi proposi di discendere negli infimi strati della società madrilena, descrivendo e presentando i tipi piu umili, la somma povertà; la mendicità professionale, il vagabondaggio vizioso, la miseria, quasi sempre dolorosa, ma in taluni casi canagliesca o criminale e meritevole di castigo. Per ciò dovetti  lunghi mesi in osservazioni e studi diretti dal vero, visitando i covili della gente infelice e malvagia che dimora nei  quartieri del sud di Madrid … »
Benito Pérez Galdós,  Prefazione all’edizione francese di Misericordia.

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André Gide (1869-1951) – «Io mi sporgo oltre il presente. Ho in odio tutto ciò che diminuisce l’uomo; tutto ciò che tende a renderlo meno saggio, meno fiducioso o meno pronto».

 I nutrimenti terrestri

«Mi son fatto vagabondo per poter avvicinare chiunque vada errando: mi sono acceso di tenerezza per tutti quelli che non sanno dove scaldarsi, e ho amato appassionatamente ogni creatura raminga».

«Non so bene chi mi abbia messo sulla terra. M’han detto ch’è Dio; e se non fosse lui, chi potrebbe essere? È vero che a esistere provo una gioia così viva, che talora mi chiedo se già non desiderassi di essere quando ancora non ero.

«Non ho grande contatto con la mia età e i giochi dei miei contemporanei non mi hanno mai divertito gran che. Io mi sporgo oltre il presente. Io presagisco un’età nella quale si durerà fatica a capire ciò che oggi ci appare vitale».

«Dal giorno in cui riuscii a persuadermi che non avevo bisogno d’esser felice, la felicità incominciò ad abitare in me; sì, dal giorno in cui mi persuasi che non avevo bisogno di nulla per essere felice. Pareva, dato il colpo di zappa all’egoismo, che avessi fatto scaturire istantaneamente dal mio cuore una tale abbondanza di gioia da poterne abbeverare tutti gli altri. Capii che il miglior insegnamento è l’esempio. Accolsi la mia felicità come una vocazione».

«Ho in odio tutto ciò che diminuisce l’uomo; tutto ciò che tende a renderlo meno saggio, meno fiducioso o meno pronto. Non accetto che la saggezza vada unita sempre a cautela e a diffidenza».

André Gide,  I nutrimenti terrestri, Mondadori.

 

 

 

Andre Gide at Jersey – Theo van Rysselberghe

Andre Gide at Jersey – Theo van Rysselberghe

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Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana

Maura Del Serra 010

Quadrifoglio

Quattro saggi di Maura Del Serra in onore di Dino Campana
pubblicati nel volume:

 

083G

Di poesia e d’altro , II,

[con scritti su F. Thompson – A. Panzini – E. Lasker-Schüler – D. Campana – A. Onofri – V. S. Solov’ëv]

ISBN 88-7588-085-9, 2006, pp. 176, formato 140×210 mm., € 15,00 – Collana “Egeria”

indicepresentazioneautoresintesi

 


quadrifoglio irlandese

Quadrifoglio

in onore di Dino Campana

 

Sul ponte dei “Canti Orfici” e oltre

Canti Orfici Prima

 

La storia del mio rapporto con Campana e col suo libro unico – quei Canti orfici nei quali la figura del poeta appare versata con così totale e sacrificale aderenza da farli ritenere una vera ipostasi magica, un “doppio” fantastico ancora bruciante della tormentata avventura terrena del loro autore – è, in sintesi, la storia inconclusa di un duplice attraversamento, biografico e lirico, della letteratura: duplice per il potere di esemplarità e in un certo senso di vicariato che il percorso di Campana ha rivestito nella mia esperienza interiore, in anni in cui tali proiezioni sono una tappa insopprimibile di manifestazione e crescita della propria domus profonda. Già dunque nel primissimi anni Settanta, quando il giovanile amore, nato da un incontro solitario e da una frequentazione quasi ancora adolescenziale degli Orfici, si andò concretando e approfondendo vocazionalmente nel lavoro di laurea e nei due successivi volumi critici del 1973 e del 1974 dedicati a Campana, … [Continua a leggere]

Maura Del Serra – Sul ponte dei “Canti Orfici” e oltre

 

Targa Marradi

Targa commemorativa in via Fabbroni, a Marradi.

 

Tipografia Ravagli, Via Fabroni, Marradi

La Tipografia Ravagli, in via Fabroni, a Marradi, all’epoca di Dino Campana.

 

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 La Verna di Campana

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A distanza di quasi un settantennio dalla prima apparizione dei Canti Orfici (1914) il segno novecentesco, che fin da allora ne emergeva chiaro dal composito fondo dell’eredità ottocentesca europea – decadentismo e simbolismo – si è ormai decantato e identificato nella direzione interpretativa di un’arte «totale», aperta, che ha le sue radici nell’interazione profonda di vita e letteratura, di parola e cosa. Attraverso il costante approfondimento del senso delle immagini evocate, la poesia campaniana mira infatti, con progressione via via più cosciente, alla conversione reciproca della materia vissuta nella forma espressa; o, sul piano dell’espressione lirica, alla progressiva ricostruzione – demitizzante nei confronti degli stilemi usurati del tardo decadentismo – dell’immagine stessa, che viene recuperata alla sua polivalente unità di rapporti (conoscitivi, simbolici ed iconico-espressivi) con la sua fonte concettuale più vitale. Mediante questa dinamica – perseguita nel costante quanto intenso travaglio dialettico fra intenzione ed espressione – quest’arte segna dunque pienamente, da parte del poeta e dell’uomo Campana, la verifica di un’autoconoscenza creativa… [Continua a leggere]

Maura Del Serra – La Verna di Campana

 

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Sacrificio e conoscenza
Elementi di simbologia nei ‘Canti Orfici’ di Campana

Canti-Orfici

Dopo sette decenni di laboriosa acquisizione critica, fiancheggiata da una concrescente mitologia biografica, Campana appare oggi assunto a classico dell’anticlassicismo di quel Novecento che si è variamente interrogato sul segno e sul senso, sulla qualità e sul prezzo del destino conoscitivo di un tale poe-ta-meteora, sulla sua avventura creativa esaltante e dolorosa, che spontaneamente quanto tenacemente persegue sulla pagina il ritrovamento della primigenia equazione creativa e sacrale fra suono e significato, fra parola e cosa: e la persegue attraverso la tensione costante fra immagine ostensiva ed essenza sfuggente. È questa tensione, caratteristica di Campana, a creare l’ansioso e gonfio alone simbolico dei suoi versi «in fuga», nonché a permettergli di attraversare sperimentalmente, artigianalmente direi, le remore dell’eredità tardoromantica e decadente italo-europea, l’imprinting scenico-affabulatorio dannunziano (che a giudizio di Campana «invecchiava» il reale): e di attraversarle nel nome assoluto della poesia (anzi, dell’«arte») che gli è insieme magistra vitae e belle dame sans merci, salvezza e perdizione, perché è il “doppio” fantastico immediato, mai definitivamente “sublimato”, della tormentata avventura vitale del poeta stesso… [Continua a leggere]

Maura Del Serra, Sacrificio e conoscenza- elementi di simbologia nei ‘Canti Orfici’ di Campana

 

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Il labirinto mediterraneo negli “Orfici”

La prima stesura dei Canti Orfici

Le rivisitazioni ormai cicliche dei Canti Orfici, dettate ogni volta da un senso che vorrei dire di occasione necessitante, non devono e non possono dimenticare che questo libro è in ogni senso figlio di quei «primi dieci anni del secolo ventesimo» a cui Rebora dedicava i Frammenti Lirici, l’altra memorabile raccolta poetica “sperimentale” del protonovecento: e noi, entrati negli ultimi dieci anni di quello stesso secolo e millennio, non sappiamo ancora, in verità, se abbiamo avuto od avremo un libro di poesia analogo, da levare in parallelo o a contrasto attivo (immaginativamente e spiritualmente attivo) come un pollice catalizzante, rispetto a quell’indice teso con tanta giovanile febbre verso l’oltre, quell’indice che fu la vita-opera di Campana nei suoi fatidici 33 anni di presenza agonica sulla scena del suo tempo… [Continua a leggere]

Maura Del Serra, Il labirinto mediterraneo negli “Orfici”

 


 


 

Vedi anche nel Blog:

Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano
Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.
Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»
Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole
Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”
Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864

 


MAURA DEL SERRA

È nata il 2 Giugno del 1948. Ha una figlia e due nipotini. Sostiene le cause per la difesa delle libertà della persona umana ed è attiva anche in iniziative ambientaliste e per la difesa degli animali. Ha pubblicato nove raccolte poetiche, l’antologia Corale. Ha dedicato volumi critici a Dino Campana, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Clemente Rebora, Piero Jahier, Margherita Guidacci e saggi a numerosi poeti e scrittori italiani ed europei.
Ha curato alcune antologie, fra le quali: Kore. Iniziazioni femminili. Antologia di racconti contemporanei, Firenze, Le Lettere, 1997; Margherita Guidacci, Le poesie, Firenze, Le Lettere, 1999; Egle Marini. La parola scolpita, Pistoia; Artout, Maschietto e Musolino, 2001; Poesia e lavoro nella cultura occidentale, Roma, Edizione del Giano, 2007.
Ha pubblicato venti testi teatrali e fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Quinto Tullio Cicerone, William Shakespeare, George Herbert, Francis Thompson, Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Dorothy Parker, Rabindranath Tagore, Marcel Proust, Simone Weil, Victoria Ocampo, Jorge Luis Borges.
Per la sua attività ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, fra i quali: il premio “Montale” per la poesia, il premio “Flaiano” per il teatro e il premio “Betocchi” per la traduzione.
Nell’anno 2000 le è stato assegnato il premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei ministri.

L'opera del vento

Tentativi di certezza

Maura Del Serra, Teatro

Il teatro di Maura Del Serra, qui riunito nella molteplice complessità del suo arco cronologico trentennale, abbraccia una pluralità di forme sceniche, ora corali ora dialogiche ora monologanti, che spaziano con incisiva e vivace profondità dall’“affresco” epocale alla fulminea microcellula drammatica e a forme singolari di teatro-danza sempre sorrette da un inventivo simbolismo di luci, colori, voci fuoriscena e suggestioni scenografiche. L’organon di questa scrittura – in versi e in prosa – fonde il nitore visionario con un senso vivace e concreto del phatos quotidiano, spesso nutrito da uno humour tipicamente affidato a personaggi “terrestri” fino al farsesco, secondo la tradizione della commedia antica. Il teatro decisamente anti-minimalista della Del Serra mostra infatti il suo grato debito creativo verso i classici della tradizione drammaturgica e poetico-letteraria europea, dai tragici e lirici greci al barocco inglese e ispanico, al decandentismo e alle avanguardie artistiche del Novecento.
I suoi personaggi, a vario titolo esemplari fino all’archetipo, sono scolpiti e dominati da una solitudine “eroica” non astratta bensì coerentemente testimoniale, tormentati e salvati dalla grandezza antistorica e metastorica del loro dono “eretico” che si oppone geneticamente alla forza oppressiva del potere nelle sue varie espressioni, da quelle canoniche politico-sociali a quelle suasive dell’intelletto, fino a quelle della “sapienza senza nome” della vita. Ed è perciò sempre agonico il rapporto fra la certezza di una verità ultima e inattingibile e l’illusione soggettiva, mediante l’utopia salvifica affidata all’ardore dei protagonisti. Motore e forma privilegiata di queste compresenze è l’eros generatore e multiforme, espresso in tutte le sue pulsioni, dall’amicizia alle polarità maschili e femminili, fino ad una complessa androginia psicologica e spirituale.
In questa straordinaria galleria evocativa di presenze, che spaziano dall’ellenismo alla contemporaneità al futuro, le voci interiori dell’autrice si incarnano di volta in volta, come la poesia ed ogni arte, per “sognare la verità del mondo”.


 

Maura Del Serra – Wikipedia
Pagine di Maura Del Serra
ANTOLOGIA POETICA
Maura Del Serra, aforismi
Parole in coincidenza 8: Maura Del Serra tradotta da Dominique Sorrente
Maura Del Serra e Cristina Campo
Maura Del Serra, “Tentativi di certezza. Poesie 1999-2009”
Silvio Ramat: L’opera del vento, di Maura del Serra

 

 

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Italo Calvino (1923-1985) – L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme.

Calvino Italo

Le citta invisibili

***

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà:
se ce n’è uno è quello che è già qui,
l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme.

Due modi ci sono per non soffrirne.

Il primo riesce facile a molti:
accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui:
cercare e saper riconoscere che e che cosa,
in mezzo all’inferno,
non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, 1972.

 

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Aleksandr Ivanovič Herzen (1812-1870) – Oggi quel che importa è la merce, l’affare, la roba, l’essenziale è la proprietà.

Herzen

«[…] quel che importa è la merce, l’affare, la roba, l’essenziale è la proprietà» (p. 786)

Chi aspira soltanto a «vendere la merce mettendola in vetrina» e a «comprare a metà prezzo», finisce per «spacciare sciocchezze per cose serie» (pp. 788-789)

Dove la vita è soltanto una «continua lotta per il denaro», «de facto l’uomo viene trasformato in un accessorio della proprietà. La vita si riduce a un gioco di borsa, tutto si trasforma in botteghe di cambiavalute e in mercanti: le redazioni delle riviste, i comizi elettorali, le camere» (p. 788).

 

Aleksandr Ivanovič Herzen, Il passato e i pensieri, Torino, Einaudi, 1996, Vol. I.

 

 

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Cardinale Bessarione (1403-1472) – I libri vivono, discorrono, parlano con noi, ci insegnano, ci ammaestrano, ci consolano: se non ci fossero si cancellerebbe anche la memoria degli uomini.

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Il cardinale Bessarione, in una lettera del 31 maggio del 1468 indirizzata al doge Cristoforo Moro – con cui il cardinale accompagnava il lascito della sua importante biblioteca (482 volumi greci e 264 latini) alla città di Venezia – scriveva:

«I libri sono pieni delle parole dei saggi, degli esempi degli antichi, dei costumi, delle leggi, della religione. Vivono, discorrono, parlano con noi, ci insegnano, ci ammaestrano, ci consolano, ci fanno presenti ponendole sotto gli occhi cose remotissime dalla nostra memoria. Tanto grande è la loro dignità, la loro maestà e infine la loro santità, che se non ci fossero i libri, noi saremmo tutti rozzi e ignoranti, senza alcun ricordo del passato, senza alcun esempio; non avremmo alcuna conoscenza delle cose umane e divine; la stessa urna che accoglie i corpi, cancellerebbe anche la memoria degli uomini».

 

 

Bessarione nella serie degli uomini illustri dello Studiolo di Federico da Montefeltro. Il quadro è ospitato presso il Museo del Louvre.

Bessarione nella serie degli uomini illustri dello Studiolo di Federico da Montefeltro.
Il quadro è ospitato presso il Museo del Louvre.

 

Cardinale Bessarione, Lettera del 31-5-1468, citata in Eugenio Garin, La cultura del Rinascimento, Milano, Il Saggiatore, 1988, p. 41.

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Federico García Lorca (1898-1936) – «Libri, Libri!»: Chi non è percorso da un minimo anelito di sapere non conosce amore, né conosce una scintilla di pensiero, e neppure una fede o una minima ansia di liberazione, prerogative imprenscindibili per tutti gli uomini degni di tale nome

«Non di solo pane vive l’uomo. […] È giusto che tutti gli uomini abbiano da mangiare, ma è altrettanto giusto che tutti gli uomini abbiano accesso al sapere. Che tutti possano godere i frutti dello spirito umano, perché il contrario sifginifica trasformarli in macchine al servizio dello stato, significa trasformarli in schiavi di una terribile organizzazione sociale. […] Io ho visto molti uomini tornare a casa dal lavoro, affaticati […] e aspettare il trascorrere dei giorni, sempre con la stessa cadenza, senza che l’anima sia percorsa da un minimo anelito di sapere. Uomini […] che non riflettono neppure un barlume di quella luce e di quella bellezza alla quale può giungere l’animo umano […] dormono il loro sonno sotto terra, poiché è la loro anima ad essere morta […] perché non conosce amore, né conosce una scintilla di pensiero, e neppure una fede o una minima ansia di liberazione, prerogative imprenscindibili per tutti gli uomini degni di tale nome» ( F.G. Lorca, Libri, Libri!, pp. 10-11).

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Lorca, Libri, Libri!

Federico García Lorca,

Libri, Libri! Discorso al paese di Fuente Vaqueros

€5,00

Formato: 16,5X11,5 cm – Pagine 36 – Brossura
ISBN: 978-88-89508-47-3
©2014 collana Azulejos


Un’appassionato inno d’amore per i libri che Federico García Lorca pronunciò in occasione dell’inaugurazione di una biblioteca nel suo paese natio. Ogni parola trasuda amore per la cultura e per i libri che ne costituiscono l’anima più profonda.
Il volume è arricchito da alcune illustrazioni


Federico del Sagrado Corazón de Jesús García Lorca

Federico del Sagrado Corazón de Jesús García Lorca

Tra l’utopia della cultura

e quella della merce e del mercato,

noi crediamo fortemente nella prima.

Scrive Lucilio Santoni nella sua bella Postfazione (dal titolo: L’utopia della cultura):

«Molti hanno detto che [Lorca] era un utopista […]. E quei molti hanno anche detto che l’utopia è una cosa da ridere, che ci vuole la concretezza, il denaro, il potere, che i sogni falliscono […]. Hanno detto che il mondo è sempre andato così e chi vive con l’utopia nel cuore è un bambino che non vuole crescere, invece bisogna diventare adulti, fare gli affari, credere in una crescita infinita in un pianeta infinito e riempire il vuoto dell’esistenza con lo sfavillio della merce accumulata a dismisura. Ma tra l’utopia della cultura e quella della merce e del mercato, noi crediamo fortemente nella prima, in quella buona, come Federico García Lorca».

 

GARCIA-LORCA-la-poesia

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