Pelagio (354 d.C. – 420 d.C.) – La ricchezza ha forse un’altra origine che non sia, in primo luogo, l’ingiustizia e la rapina? Vediamo che soprattutto i malvagi hanno ricchezze in abbondanza. Nell’essere capace di distinguere la duplice via del bene e del male, nella libertà di scegliere l’una o l’altra sta il vanto dell’uomo di essere razionale.

Cruna

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«[L'uomo è] libero nel compiere il bene o il male.
 Se ci pensi bene, ti apparirà evidente come, proprio per questo,
 la condizione dell'uomo sia più alta e dignitosa,
 dove sembra e si crede invece più misera.
 Nell'essere capace di distinguere la duplice via del bene e del male,
 nella libertà di scegliere l'una o l'altra sta il suo vanto di essere razionale.
 Non vi sarebbe alcun merito nel perseverare nel bene,
se egli non avesse anche la possibilità di compiere il male.
Per cui è un bene che possiamo commettere anche il male;
perché ciò rende più bella la scelta di fare il bene.
Sembra che molti vogliano rimproverare il Signore per la sua opera,
dicendo che avrebbe dovuto creare l'uomo incapace di fare il male:
non sapendo emendare la loro vita, costoro vogliono emendare la natura!
Invece la fondamentale bontà di questa natura è stata impressa in tutti,
senza eccezioni [...].
Di quanti filosofi, infatti, abbiamo sentito dire o visto con i nostri occhi
che sono vissuti [...] modesti, benevoli,
sprezzanti degli onori del mondo e dei piaceri,
amanti della giustizia?
Di dove vennero loro queste virtù, se non dalla natura stessa?
Fa' dunque che nessuno ti superi nella vita buona e virtuosa:
tutto questo è in tuo potere e spetta a te sola,
poiché non ti può venire dal di fuori,
ma germina e sorge dal tuo cuore».

 Pelagio, Epistola a Demetriade

[7,2] La ricchezza ha forse un’altra origine che non sia, in primo luogo, l’ingiustizia e la rapina? Posso dimostrarlo a partire, innanzitutto, da questa argomentazione: quasi tutti coloro che vediamo diventare ricchi, da poveri che erano, sappiamo che non possono riuscirci senza commettere qualche ingiustizia, o qualche rapina. [3] Tu mi dirai che questo
vale per quanti diventano, da poveri, ricchi; ma quelli che notoriamente sono ricchi per aver ricevuto l’eredità dei genitori? quelli che potremmo definire “ricchi fin dalla nascita”? Di loro si potrebbe pensare che possiedono la ricchezza non per un’ingiustizia, ma per un’eredità del tutto legittima; io però mettevo in discussione non tanto il possesso di ricchezza, quanto la sua origine: mi sembra difficile che si possa avere la ricchezza senza una qualche ingiustizia. [4] Tu mi dirai: «cosa ne sai di dove ha avuto origine quella ricchezza, se non sai quando è iniziata?» […] Deduco il passato dal presente: credo infatti che ogni situazione di cui ora vedo l’origine si sia ripetuta uguale in passato, quando non ne vedevo l’origine.
[5] E quindi la ricchezza è ingiustizia? Non dico che la ricchezza sia in sé ingiustizia, ma credo che derivi per lo più dall’ingiustizia. E se tu fossi disposto a discutere con me serenamente, senza irritarti, e non cercassi di giustificare, sostenendola animatamente, quella posizione a cui ti sei ormai affezionato; se invece mettessi da parte ogni intento malizioso e con animo tranquillo e pacato volessi ascoltare un ragionamento veritiero, forse potrei provarti che difendere la ricchezza con tenacia eccessiva non è giusto. [8, 1] Dunque: ti sembra giusto che uno trabocchi del superfluo, mentre un altro manca di quanto è necessario per la vita quotidiana? Uno si rovina perché ha troppo, l’altro invece deperisce perché ha troppo poco? Uno si gonfia di cibi ricercati, sontuosi, ben oltre le necessità naturali, mentre l’altro non si nutre abbastanza neanche di cibi scadenti?
[…] Uno è ricco d’oro, d’argento, di pietre preziose e di risorse di ogni genere, l’altro invece si esaurisce per la fame, per la sete, per la mancanza di abiti e per le privazioni di ogni genere? E poi, è da qui che sorge il sospetto maggiore di questa ingiustizia: vediamo che soprattutto i malvagi hanno ricchezze in abbondanza, mentre i buoni soffrono le miserie della povertà.

Pelagio, La ricchezza, 7, 2-5; 8,1; trad. di L. Pasetti.


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Adriano Ercolani – La ricerca eretica di Valentino Bellucci

stellari

246 ISBN

Valentino Bellucci
Da Pitagora a “Guerre Stellari”. Il sapere esoterico dei veri illuminati.
indicepresentazioneautoresintesi

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Valentino Bellucci (1975), laureatosi in Filosofia nel 2001 presso l’Università di Urbino con una tesi di antropologia filosofica dedicata alle teorie del colore, insegna nei licei della provincia di Pesaro-Urbino. Nel 2003 si aggiudica il secondo premio presso il prestigioso concorso dedicato alla poesia, il De Palchi-Raiziss (Verona-New York), e il suo componimento in versi è inserito nell’antologia del premio con prefazione di Giovanni Raboni. Docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata ha tenuto il corso: Storia e analisi-critica del video-teatro. Numerosi i suoi testi di saggistica filosofica, con una particolare attenzione al pensiero orientale, al cui studio fu iniziato dal grande orientalista Icilio Vecchiotti. Sviluppa inoltre ad una intensa attività pittorica e grafica, proseguendo la grande scuola figurativa di Pietro Annigoni. Pratica dal 2006 il Bhakti-yoga, all’interno della millenaria tradizione della Brahma-Madhva-Gaudya-Sampradaya, approfondendo i testi della mistica indù-vaishnava e divulgandone il profondo significato filosofico ed esistenziale. Si laurea in Sociologia nel 2013, con una tesi sulle strutture sociali dei Varna, che pubblica con prefazione del prof. Luigi Alfieri nel 2014.Tra le sue pubblicazioni: Il pensiero estremo (2004); Walter Benjamin. La duplice genealogia del simbolo e della verità (2004); Dialogo su Georges Battaille (2004); Lo yoga devozionale indiano. Il vaishnavismo (2011); Il benessere attraverso l’āyurveda (2013); Cristo era vegetariano? Interrogarsi su una parte dis toria forse taciuta o dimenticata (2013); L’invenzione dell’inferno (2015).

***

Nella continua consultazione di testi filosofici, orientali e occidentali, ortodossi ed eretici, classici o contemporanei, può capitare di imbattersi in studiosi liberi, dallo sguardo trasversale e affrancato dalle asfissianti mode culturali, insieme sincretico e diacronico: studiosi allergici a dogmi contrapposti e sovrastrutture stantìe.
Tale è il caso di Valentino Bellucci, ricercatore dal peculiare approccio spirituale, in grado di conciliare una notevole erudizione (soprattutto nell’ambito della tradizione vedico-bhaktica) con un’incessante ricerca di nuovi stimoli e approfondimenti.
Questa voracità intellettuale rende comunque interessanti i suoi studi, che talvolta possono apparire, per menti poco abituate ad uscire dal ghetto culturale eurocentrico, al limite di quella arbitrarietà spesso ascritta, da chi si muove entro i limiti razionali, a qualsivoglia rivelazione esoterica.
Per i lettori narcotizzati dai paralizzanti veleni del relativismo moderno, infatti, l’assertività di Bellucci (propria di uno studioso che pratica nel quotidiano ciò che teorizza) potrebbe risultare viziata da fanatismo o esaltazione. Questo proprio perché egli non rispetta, anzi vìola sistematicamente tutti i tabù intellettuali del falso progresso moderno, rivolgendosi a lettori dalla mente aperta e dalla risvegliata intelligenza emotiva.

La visione dell’Amore del Figlio di Dio di Ildegarda

Quando, in un articolo molto interessante pubblicato nella rivista Fenix, lo studioso ha sostenuto  che la mistica Ildegarda di Bingen ebbe nelle sue meditazioni la chiara visione di Shri Krishna (il celebre Cristo-Uomo Blu che ella descrive in pagine memorabili), sollevando in tal modo un sordo coro di bercianti critiche dal versante cattolico, in realtà ha ipotizzato qualcosa non solo che Jung avrebbe facilmente compreso e Zolla probabilmente sottoscritto, ma che qualsiasi ricercatore della verità troverebbe assolutamente logico.
L’accesso agli archetipi dell’Inconscio Collettivo è prerogativa dei mistici e degli artisti illuminati.
Non è certo un caso che Hillman menzioni proprio quella grande pagina di Ildegarda in una sua dissertazione sul blu quale colore alchemico.

Fedeli al titolo blakeano che campeggia su queste colonne, ancora una volta ci accingiamo a spezzare le manette della mente: benché Bellucci si rifaccia a figure spirituali a noi non vicine, benché non possiamo dire di condividere nel dettaglio ciascuna affermazione dei suoi dotti e pungenti testi, concordiamo con lui su alcuni fondamenti del suo discorso storico-filosofico.
Ad esempio, lo smascheramento dei dogmi incrollabili dell’ateismo di massa, eguali e contrari a quelli della Chiesa Cattolica (come avviene ne La Chiesa di Darwin, Ed.Harmakis); la dimostrazione dell’esistenza della dottrina della reincarnazione nel Sufismo, nella Qabbalah ebraica come nel Cristianesimo gnostico delle origini, in una ricostruzione storica ispirata a un classico di decostruzione anti-dogmatica di Jacques Le Goff (L’Invenzione dell’Inferno, Ed. Harmakis); soprattutto, sottolineiamo la grande lucidità con cui Bellucci afferma e argomenta una nostra radicata convinzione: la cultura vedica come fonte del sapere esoterico universale (oltre a quella egiziana, da sempre indicata come tale), attraverso un tortuoso percorso in cui la conoscenza originaria è stata variata, corrotta, deformata, a volte arricchita, conservata in codici occulti e tramandata/tradotta/tradita tramite la tradizione orfico-pitagorica, il platonismo originario, la Gnosi, i circoli esoterici medievali, gli iniziati rinascimentali, le origini (idealmente pure) della Massoneria, fino ai giorni nostri (Da Pitagora a Guerre Stellari, Ed. Petite Plaisance).
Il prossimo libro in uscita di Bellucci si prospetta altrettanto interessante, affrontando i collegamenti tra Gnosi cristiana e tradizione vaishnavica, come illustrato qui di seguito:

Leggere le pagine di Bellucci, anche quando non siamo d’accordo, è insieme sia un piacere intellettuale (nei suoi testi squaderna un’erudizione sempre gravida di stimoli), che un conforto spirituale: in tempi di sgangherati sincretisti New Age, vedere che c’è qualcuno che ancora sa approfondire con dedizione fonti storiche e proporre rigorose argomentazioni razionali, affrontando una materia ardente e accecante come la mistica orientale, ci colma di speranza.
Non è un caso che, con sapiente capovolgimento dialettico, egli sia in grado di citare Voltaire contro gli eccessi del razionalismo moderno, lo stesso Darwin (e i suoi onesti dubbi) contro i suoi seguaci dogmatici, e che in Occidente abbia idealmente dialogato, dedicandovi testi accademicamente non conformi, con due intellettuali fuori dagli schemi quali Walter Benjamin e George Bataille.
Concludiamo con le righe conclusive della sua introduzione al suo ultimo testo citato, forse per noi il più riuscito, che donano la misura del suo approccio non convenzionale ma comunque equilibrato: “L’India non ha creato questa conoscenza, essa era diffusa su tutto il globo, ma dopo varie trasformazioni storiche e geologiche tale sapere si è conservato soprattutto in India; ma oggi la conoscenza vedica sta già migrando in occidente ed è compito dell’uomo occidentalizzato recuperare questo patrimonio che tanto ha donato alla cultura moderna e che ancora può donare, poiché si tratta di una filosofia perenne, di una conoscenza eterna, fuori dal tempo, ma in grado di manifestarsi nel tempo. I testi vedici possono darci una psicologia perfetta, con lo yoga, una architettura armoniosa e insuperabile, con il vastu, una medicina non  invasiva e naturale, con l’ayurveda … la lista delle scienze vediche è assai lunga. Si tratta di iniziare a studiarle seriamente e a mettere in pratica questo sapere millenario”.
Non possiamo che sottoscrivere questo invito.

Articolo pubblicato su: «Spezzando le manette della mente» del 8-5-2016.

 

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Domenico Segna – Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

Gangale in evidenza

Coperta Gangale

 

Domenico Segna
Un caso di coscienza.
Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

 

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Filosofo, giornalista, glottologo, amico di Piero Gobetti, nome dimenticato, se si esclude l’ambiente protestante italiano, Giuseppe Gangale è un caso unico nella storia culturale del Novecento italiano. Nato a Cirò Marina, in Calabria, animatore di Conscientia, una delle migliori riviste di matrice protestante degli anni Venti, Gangale tentò di unire la propria fede calvinista con il pensiero di Hegel sino al punto di delineare un inedito «Marx calvinista». Nel 1925 raccolse l’invito di Gobetti di pubblicare, presso le omonime edizioni, un testo destinato a restare sepolto per decenni: La Rivoluzione protestante. Il presente saggio è un’indagine su questo evangelico battista e sulla particolare temperie culturale, dominata da Croce e Gentile, in cui si trovò a testimoniare sia la propria fede religiosa, sia il suo antifascismo: una «doppia eresia» di fronte all’instaurazione della dittatura fascista e al Concordato tra Stato e Chiesa cattolica del 1929. Analisi di un eretico e della sua citata opera il cui emblematico incipit così recita: «Il cattolicismo è il male d’Italia». Muovendo da questo presupposto Gangale pose, in modo radicale rispetto ad analoghi tentativi, il problema della mancata Riforma in Italia e del suo sfacelo politico ed etico. Lo stesso Risorgimento, a suo dire, fallì perché non sostanziato da una fede religiosa che avrebbe potuto e dovuto trovare nel verbo di Giovanni Calvino lo strumento più adatto per trasformare, plasmare, forgiare una nuova mentalità negli italiani affetti da secoli da un «male oscuro» identificato, appunto, nel  «cattolicismo». Pur considerando l’attuale evoluzione del cattolicesimo alla luce del Concilio Vaticano II, riproporre, a distanza di decenni, la personalità di Gangale, messa maggiormente in risalto anche da una conversazione con il teologo e pastore valdese Paolo Ricca, significa porsi la domanda sul perché del degrado delle cose presenti in Italia: significa porsi un «problema di coscienza».

Domenico Segna, nato a Roma vive e lavora a Bologna. Giornalista, è vicecaporedattore de I Martedì del Centro San Domenico di Bologna, dove scrive prevalentemente di letteratura contemporanea. Attivamente impegnato nel dialogo ecumenico, lavora nell’ambito della redazione della rivista Il Regno. Laureato in Lettere all’Università “La Sapienza” di Roma e in Scienze Bibliche e Teologiche presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma è docente di Protestantesimo  presso lo Studio Filosofico Domenicano, l’Università “Primo Levi” e l’Istituto “Carlo Tincani” di Bologna. Coautore, ha pubblicato nel 2007, con una nota di Roberto Roversi, Libro (Pendragon) testo di prosa poesia scritta a quattro mani, unica opera di poesia così concepita nel panorama poetico italiano. Nel 2014 ha pubblicato una nuova raccolta di poesie, Le chiese scomparse,  presso con-fine edizioni. Per il Cinquecentenario della Riforma Protestante ha curato due volumi, di prossima pubblicazione, concernenti rispettivamente un’antologia di testi dei Riformatori del XVI secolo e un commento storico- teologico sulle 95 Tesi di Martin Lutero.

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Giuseppe Gangale

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La Rivoluzione protestante di G. Gangale, con Prefazione di Paolo Ricca, teologo valdese.

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Paolo Ricca

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Domenico Segna – L’assurdo e la felicità: Albert Camus.

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Herbert Marcuse (1898-1979) – È possibile distinguere tra bisogni veri e bisogni falsi

Bisogni falsi

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È possibile distinguere tra bisogni veri e bisogni falsi. I bisogni «falsi» sono quelli che vengono sovraimposti all’individuo da parte di interessi sociali particolari cui preme la repressione: sono i bisogni che perpetuano la fatica, l’aggressività, la miseria e l’ingiustizia. […] il risultato è pertanto un’euforia nel mezzo dell’infelicità.

La maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono, il bisogno di rilassarsi, di divertirsi, di comportarsi e di consumare in accordo con gli annunci pubblicitari, di amare e odiare ciò che altri amano e odiano, appartengono a questa categoria di falsi bisogni.

Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione.
L’ideologia della società industriale avanzata
, Torino, Einaudi, 1967. (1964)

L'uomo a una dimensione

 

 

Herbert Marcuse – L’uomo ad una dimensione riconosce se stesso nelle proprie merci; l’apparato produttivo assume il ruolo di un’agente morale

 

Marcuse, L’uomo a una dimensione. Una recensione di Stefano Lechiara

 

Immagine in evidenza: Un fotogramma di Metropolis, 1927, di-Fritz Lang.

 


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Andrea Bulgarelli – «Costanzo Preve marxiano», intervista a cura di Luigi Tedeschi sul libro “Invito allo Straniamento” II.

Intervista ad Andrea Bulgarelli sul libro a cura di Alessandro Monchietto:

Costanzo Preve marxiano

“Invito allo Straniamento” II, Editrice Petite Plaisance, 2016

 

254 ISBN

indicepresentazioneautoresintesi

Il concetto marxiano secondo cui “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”, viene ad essere reintepretato da Preve alla luce della dialettica della filosofia idealista. L’interpretazione di Preve contraddice il determinismo ideologico marxista, in quanto contesta l’interpretazione economicista del rapporto tra socialità ed individualità umana. La coscienza è un prodotto sociale, ma si determina attraverso un processo dialettico che si istituisce tra individuo e la comunità in cui vive. Qualora la coscienza individuale fosse unicamente determinata dall’essere sociale inteso come rispecchiamento della propria condizione di appartenenza ad una classe sociale, la libera individualità verrebbe annullata. L’uomo è un ente naturale generico e la comunità in cui vive, è il prodotto della interazione solidale tra libere individualità. Quindi le finalità dell’uomo e della comunità non sono né determinabili né prevedibili a priori: l’uomo è “potenzialità immanente”. Tuttavia, vorrei osservare che nella società capitalista contemporanea, sembra invece inverarsi proprio quel principio determinista criticato da Preve. Si è infatti determinata una stratificazione sociale che ha creato una divaricazione sempre più accentuata tra le classi sociali, in termini di redditi, consumi, diritti. Sono quindi i differenziali di produzione e consumo e la cultura mediatica di massa a creare diversi bisogni, desideri indotti inappagati diversificati a creare una differente coscienza negli individui, in coerenza con la condizione sociale dell’individuo nell’ambito della società capitalista.

La tua domanda è molto impegnativa, in quanto chiama in causa non solo il dibattito (ormai consegnato ai libri di storia della filosofia, ma in passato estremamente acceso) interno al marxismo tra determinismo meccanicistico e autonomia della prassi umana, ma anche quello assai più antico sul libero arbitrio. Preve ha tentato una sintesi originale che la coniuga deduzione sociale della produzione intellettuale di stampo marxista con la libera individualità, che di per sé non è “deducibile” in maniera lineare dal contesto sociale. Questa sintesi è esposta in maniera articolata nella sua Una nuova storia alternativa della filosofia, senza però essere sistematizzata fino in fondo. Le ragioni di questa mancata sistematizzazione possono avere a che fare con il percorso filosofico di Preve, ma a mio avviso dipendono anche dalla materia stessa, che non si presta a schematizzazioni: la tensione tra determinazione sociale e libera individualità non può essere risolta da formule astratte. Tuttavia Preve ci ha indicato due concetti che possono fungere da bussola: quello di “ente naturale generico” ripreso da Marx e quello di “potenzialità immanente” ripreso da Aristotele. Sostenere che l’uomo sia un ente generico significa rifiutare il determinismo, ma anche riconoscere che le potenzialità di cui l’umanità è portatrice si coniugano in maniera differente a seconda del quadro storico e sociale. Proprio perché è potenziale, la libertà non è mai indeterminata. E questo ci porta alla seconda parte della tua domanda, in cui ti chiedi se la società capitalistica contemporanea non sia in realtà il trionfo del principio deterministico su quello della libertà. La logica mercantile ha ormai colonizzato tutto lo spazio dell’esistenza quotidiana, compresa la dimensione dei desideri e dell’immaginario. Nel XIX e XX secolo sopravvivevano residui pre-capitalistici o comunque non capitalistici, sia tra la borghesia (cultura aristocratica) che tra le classi popolari (cultura solidale contadina e artigianale). La società attuale appare molto più coerente e meno contraddittoria, il che lascia meno spazi a disposizione del libero sviluppo individuale e comunitario. Ciò non vuol dire però che tali spazi siano scomparsi. [Leggi tutto]

 

 

 

Costanzo Preve marxiano
Intervista ad Andrea Bulgarelli sul libro a cura di Alessandro Monchietto
“Invito allo Straniamento” II

Intervista a cura di Luigi Tedeschi già pubblicata su:

Italicum_2015_0910 1Periodico di cultura, attualità e informazione del Centro Culturale ITALICUM


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Ulrich Duchrow – Il mercato globale rende assoluto il meccanismo dell’accumulazione del capitale basato sulla proprietà privata

Ulrich Duchrow

Property

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«Il mercato globale rende assoluto il meccanismo dell’accumulazione del capitale basato sulla proprietà privata, idolatra se stesso ed esclude tutti coloro che sono senza proprietà. E sempre più distrugge la vita di tante persone e la Terra stessa».

Ulrich Duchrow, Property, for People, Not for Profit, Zed Books, 2004.

 

 


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Vincent Van Gogh (1853-1890) – Preferisco la malinconia che aspira e che cerca

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VINCENT VAN GOGH RITRATTO DEL DOTTOR GACHET *** Local Caption *** 00040539

VINCENT VAN GOGH
RITRATTO DEL DOTT. GACHET

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«[…] Invece di abbandonarmi alla disperazione, ho optato per la malinconia attiva […] ho preferito la malinconia che aspira e che cerca a quell’altra che, cupa e stagnante, dispera».

                                                     Vincent Van Gogh, 1880

 

 


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Georg Simmel (1858-1918) – Nell’essenza del denaro si percepisce qualche cosa dell’essenza della prostituzione

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«Nell’essenza del denaro si percepisce qualche cosa dell’essenza della prostituzione. L’indifferenza con cui si presta ad ogni utiizzazione, l’infedeltà con cui si separa da ogni soggetto, perché non era veramente legato a nessuno, l’oggettività, che esclude qualsiasi rapporto affettivo e lo rende adatto ad essere un puro mezzo, tutto ciò che determina un’analogia fatale fra danaro e prostituzione».

Georg Simmel, Filosofia del denaro, Utet,  1984, p. 112.

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John Berger – L’attività dei ricchi è costruire muri, compreso il muro del denaro. La strategia della resistenza è questa …

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«L’attesa appartiene al corpo, mentre la speranza appartiene all’anima».
J. Berger

Da A a X. Lettere di una storia

Da A a X.

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Risvolto di copertina

Che cosa fa la scrittura se non convocare gli assenti, riportare a noi chi è lontano, trattenere al nostro fianco i morti e i non ancora nati, tessere e ritessere il nostro passato, immaginare il futuro e le persone con cui vorremmo condividerlo? A'ida, la A del titolo di questo romanzo d'amore lieve e incandescente, duro e gioioso, scrive per non arrendersi alla separazione. Perché l'opposto dell'amore non è l'odio, ma il distacco, che cancella i corpi e sbarra l'orizzonte al qui e ora della vita, ai suoi dolcissimi "nel frattempo". X, Xavier, l'uomo amato, è in carcere, condannato a due ergastoli per presunte attività terroristiche. La sorda giustizia del più forte lavora sui sensi, sulla progressiva perdita di contatto con il reale, sull'amnesia dei sentimenti. Mira a disconnettere, a creare dei vuoti di memoria, a cancellare. A la combatte scrivendo le lettere stupefacenti che fanno da spina dorsale a un romanzo che sembra arrivare dalle periferie dolenti del mondo contemporaneo e insieme dal suo cuore malato. Scrive per vivere e far vivere a X non solo il loro amore "interrotto", ma i progetti, i desideri e le speranze che li hanno uniti e - attraverso un vero e proprio miracolo narrativo - il senso atmosferico della realtà, della natura, dei corpi e delle voci che non possono più raggiungerlo se non grazie a lei e alla sua capacità di fargli sperimentare la vita attraverso il racconto.

 

«Parole torturate

Dire la verità? Parole torturate finché non si arrendono al loro esatto opposto. Democrazia, Libertà, Progresso, quando vengono rimandate nelle loro celle, sono incoerenti. Poi ci sono altre parole, Imperialismo, Capitalismo, Schiavitù, alle quali è negato l’ingresso, che vengono ricacciate indietro ad ogni posto di frontiera e i cui documenti sono confiscati e consegnati a impostori come Globalizzazione, Libero Mercato, Ordine Naturale.

Soluzione: la lingua notturna dei poveri. Chi la usa riesce a dire e avere qualche verità.

 

La strategia della resistenza è questa...

Il nemico non può essere affrontato in modo diretto. Avvicinato frontalmente, è invincibile. Avvicinato frontalmente, non si può che riconoscerlo vincitore. Per continuare a essere vincitore il nemico ha bisogno di nuovi nemici frontali. Dal momento che non esistono, li inventa. La aspettiamo come la nostra occasione per innumerevoli attacchi laterali. La strategia della resistenza è questa… I poveri sono collettivamente inafferabili. Non sono soltanto la maggioranza del pianeta, sono dappertutto, e anche il più piccolo evento parla in qualche modo di loro. Di conseguenza l’attività dei ricchi è costruire muri: muri di cemento, di sorveglianza elettronica, sbarramenti missilistici, campi minati, frontiere armate, disinformazione mediatica, e infine il muro del denaro …».

            John Berger, Da A a X. Lettere di una storia.

 

Ilaria Rabatti – Un libro di John Berger: «Da A a X. Lettere di una storia»

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Philippe Jaccottet – La pazienza che significa aver vissuto, aver pensato, aver “resistito”

Jaccottet

jaccottetcio

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Risvolto di copertina

La ciotola del pellegrino è insieme un'opera di poesia, un saggio sulla pittura di Giorgio Morandi e una meditazione sulla pazienza e la concentrazione, nell'arte e nella vita. Se è vero, come diceva Kafka, che tutti gli errori umani sono frutto d'impazienza, allora queste poche ma intense pagine di Jaccottet potrebbero essere molto utili. E se è vero che questa è l'epoca della dispersione, della dissipatezza, allora queste pagine potrebbero anche essere interpretate come un invito a resistere allo spirito del tempo: «Come se qualcosa meritasse ancora di essere tentata, persino al termine di una così lunga storia, come se tutto non fosse assolutamente perduto e si potesse ancora fare altro che gridare, balbettare di paura o, peggio, tacere». Ma il punto centrale rimane un altro, e cioè l'enigma delle emozioni suscitate dalle opere del pittore, che è poi uno dei modi in cui si declina l'enigma dell'esistenza di quell'universo naturale che Jaccottet insegue da sempre con gli strumenti della poesia.

 

 

«[…] la bella parola “pazienza” […] che ti fa pensare alla pazienza dei vecchi contadini […]. La pazienza che significa aver vissuto, aver pensato, aver “resistito” con modestia, sopportazione, ma senza indifferenza, né disperazione; come se, dentro questa pazienza, si attendesse nonostante tutto una sorta di arricchimento; quasi che la pazienza permettesse di impregnarsi sordamente dell’unica luce che conta».

 

Philippe Jaccottet, La ciotola del pellegrino (Morandi), traduzione di Fabio Pusterla, Bellinzona, Casagrande, 2007.

 

 


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