Massimo Bontempelli, «La conoscenza del bene e del male» (Seconda Ed.) Prefazione di Fernanda Mazzoli. In Appendice: «Premio di Filosofia Massimo Bontempelli» (XII ed.), con scritti di A. Pellegrino, P. Simoncini, F. Sodi, V. Antichi, A. Colomba, M.E. Giorgi, G. Liut, K. Makdir, B. Monicelli, G. Pasanisi, L. Bontempelli.

Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male. Seconda Ed. Prefazione di F. Mazzoli. In Appendice: «Prremio di Filosofia Massimo Bontempelli» (XIIa ed.), con scritti di A. Pellegrino, P. Simoncini, F. Sodi, V. Antichi, A. Colomba, M.E. Giorgi, G. Liut, K. Makdir, B. Monicelli, G. Pasanisi, L. Bontempelli.
ISBN 978-88-7588-435-2, 2025, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il giogo” [206].
In copertina: Il mito biblico di Adamo ed Eva che nel “Giardino di Eden” sono tratti in tentazione dal serpente. Miniatura del X secolo



Prefazione di Fernanda Mazzoli

˝

Un libro pensato innanzitutto per gli studenti e gli insegnanti si espone al rischio di appiattirsi su un taglio manualistico prettamente informativo – opzione d’altronde assolutamente legittima, dato il contesto – che abbina alla proliferazione dei dati di varia natura la loro semplificazione concettuale e l’oscuramento della tela di fondo su cui essi si dispongono.

La finalità pedagogica, non sempre correttamente intesa, può spingere poi in direzione di un’attualizzazione brutale, cioè non opportunamente mediata sul piano culturale e storico, dei temi e problemi passati in rassegna, nell’illusorio per quanto comprensibile tentativo di rendere accattivanti argomenti indiscutibilmente ardui.

Ne risulta troppo spesso una  superficialità vanamente mascherata dalla quantità delle informazioni e dal sussiego della forma espositiva che cerca di coprire attraverso la profusione del lessico specialistico la mancanza di originalità. Sono libri destinati al consumo scolastico, numi tutelari per verifiche e punteggi per gli studenti, puntello alla memoria per i docenti. Strumenti sicuramente utili agli uni e agli altri, ma nulla di più.

Un libro insegna nella misura in cui segna, cioè lascia un segno nello spirito di chi lo legge e non semplicemente sul registro, a maggior ragione se si propone di affrontare questioni filosofiche, vale a dire questioni che investono la verità, il bene, il significato del nostro essere al mondo, la coraggiosa contemplazione delle cose al di là del loro apparire, per dirla con Eraclito cui non a caso Massimo Bontempelli ha dedicato uno studio, Eraclito e noi, di prossima ristampa.

Ora, questo suo testo  si inscrive a pieno titolo nella categoria dei libri che incidono, che cadono  con la lama affilata di una rigorosa riflessione e di un’inesausta passione intellettuale su una materia tanto primaria ed essenziale, quanto maltrattata e trascurata.

E squarciano il velo, o meglio il sudario, dentro il quale essa è stata occultata, ai fini di rimuoverla dal piano filosofico per lasciarla andare alla deriva del gusto individuale o di un’estemporanea esperienza privata. Ci troviamo dunque di fronte ad un libro coraggioso, proprio come Eraclito richiedeva alla filosofia di essere.

Evidentemente, si tratta di una materia pericolosa, se è stata sottratta agli sguardi dei più e privata della dignità di potersi avvalere di credenziali razionali e se il suo disseppellimento e successiva riabilitazione hanno richiesto una buona dose di audacia che mai, d’altra parte, ha difettato all’autore, specialista in operazioni filosofiche controcorrente, nel recupero e approfondimento di temi e problematiche rimosse, “relitti” di una sapienza millenaria che l’antica Grecia in primis ha regalato all’umanità e che l’era della post-verità ha relegato nel cantuccio delle curiosità erudite nel migliore dei casi, quando non ne ha decretato la morte per irrilevanza cognitiva e inutilità sociale.

Dunque, è a un percorso non rassicurante che Massimo Bontempelli chiama il lettore, sospinto dal suo argomentare pacato ma serrato, sostenuto da una lingua mirabilmente chiara anche quando si addentra in concetti complessi, ad abbandonare le false certezze incuneate nelle idee dominanti che hanno pervaso il corpo sociale, facendosi forti dell’autorevolezza scientifica in ambito accademico e dell’allineamento al sentire comune nell’ambito della vita quotidiana.

Basterebbe solo questo per raccomandare la lettura delle pagine che seguono, poiché ciò di cui c’è oggi disperato bisogno è di andare oltre uno specchio che rinvii sempre la stessa immagine, confermandoci che non vi è nessun’altra realtà, poiché tale oggetto «per mostrare tutto ciò che appare non rivela alcunché di ciò che non appare», come sottolinea icasticamente il filosofo.

E quel che non appare è, per esempio, che la distinzione fra bene e male è un oggetto di conoscenza  e che averlo estromesso come tale dal pensiero della modernità ha finito per oscurare gli stessi fondamenti etici del vivere umano e della convivenza sociale.

Quel frutto proibito – che è proprio la conoscenza del bene e del male – che i nostri progenitori gustarono nel giardino dell’Eden, acquisendo una sapienza che li ha strappati all’immediatezza della vita biologica e condannati contemporaneamente alla consapevolezza della mortalità sembra avere smarrito quell’aspetto invitante e quel sapore che persero loro e i loro discendenti, gettandoli nudi e tremanti nelle tempeste della vita e della storia. Insomma, il prezzo pagato per la conoscenza è stato alto, ma attraverso di esso l’umano è diventato pienamente tale. Questa capacità di discernimento così strettamente legata alla morte, ne costituisce anche un limite, un terreno in cui disputarle spazio: vita e morte si affrontano sotto le sembianze di Bene e Male, là dove il primo costituisce una presa di posizione per la vita contro la morte che avanza nel cuore stesso della vita, distruggendo quegli scopi – e la capacità di averne cura e di riconoscere quelli altrui – attraverso cui si esprime la vitalità.

L’estromissione dal terreno della ragione del Bene e del Male e il loro confinamento in una sfera residuale più o meno religiosa o mitica ha dunque aperto la strada al demone della distruzione che  divora la vita, alternando come in un gioco di maschere il guizzo feroce della pura malvagità al ghigno cinico e disperato del nichilismo o alla pacatezza levigata e fredda dell’homo economicus.

 Seguendo le vicissitudini del suo oggetto di ricerca, Bontempelli ci guida dall’antico mito biblico che in forma narrativa coglie una grande verità umana alla speculazione filosofica che, a partire dai Greci,  afferma l’oggettiva razionalità del Bene fino al punto di snodo cruciale situato fra XVII e XVIII secolo, in quella temperie culturale che vide imporsi la Rivoluzione scientifica, l’Illuminismo e il liberalismo.

 L’autore opera qui una scelta particolarmente felice, e di notevole rilievo didattico, approcciando il tema da un’angolazione abbastanza inusuale, ovvero mostrando l’enorme e misconosciuta influenza esercitata da pensatori considerati di secondo ordine e pertanto quasi sempre trascurati dalla manualistica scolastica: i fisiocratici – Quesnay, Sieyès, Condorcet –  e Benjamin Constant, più studiato a scuola (e più in un qualche corso monografico universitario che al Liceo) come autore romanticheggiante di Adolphe piuttosto che come teorico liberale.

Scelta felice e significativa più di quel che non appaia, visto che ci spinge a porre una problematica affatto secondaria: e se proprio gli autori “minori” fossero gli interpreti privilegiati dello spirito del tempo, capaci di accoglierne stimoli, domande e tendenze e di rielaborarli in modo da tematizzarli e strutturarli in una visione organica, capace di innalzarli sul senso comune?

Problematica non peregrina, se si considera l’impatto sulla nostra società dei think tanks, centri studi animati da intellettuali di non grande richiamo (e certamente di levatura culturale assai più modesta di quella dei filosofi francesi testé citati), potenti quanto poco noti canali di formazione – e de-formazione – dell’opinione pubblica.

 Trattandosi di gruppi organizzati e finanziati, l’analogia con i fisiocratici si arresta qui, ma induce ad una stimolante riflessione sul ruolo dirompente – sul medio-lungo periodo – esplicato da idee elaborate da pensatori considerati marginali rispetto ai grandi nomi consacrati dalla tradizione accademica, la cui trattazione, pertanto, viene trascurata nei programmi scolastici.

 È, inoltre, merito non secondario di questo libro di Bontempelli non solo avere magistralmente dimostrato come essi abbiano giocato un ruolo determinante nel mettere a punto quella razionalizzazione irrazionale che ha finito per essere la carta d’identità del mondo in cui viviamo, ma avere fornito al lettore una loro accurata scheda biografica, attenta particolarmente al loro rapporto con i circoli culturali dell’epoca e gli eventi pubblici.

 Un’antinomia difficile da leggere, quella della razionalizzazione irrazionale, perché vi sguazziamo – e vi affondiamo – come pesci nell’acqua, come se fosse il nostro ambiente naturale ed invece è l’esito solo apparentemente paradossale di una modernità che ha abbandonato le sue premesse – e promesse – emancipatrici.

 Il trionfo della capacità di calcolo, di previsione, di precisione, di una complessiva efficacia operativa ha prodotto l’universo tecnico in cui viviamo che non ha altri scopi se non il proprio incremento, finendo per fare coincidere il valore con l’efficacia stessa. Gli umani diventano una articolazione di questo razionalissimo apparato, con conseguente espropriazione delle proprie azioni che hanno valore unicamente se incorporate in tale apparato, macchina complessiva del comando sociale, nonché inevitabile compressione delle proprie potenzialità autenticamente creative, ovvero della libertà.

Condizione ben riassunta dalla bieca, anzi rivoltante, definizione di capitale umano di largo consumo nella scuola attuale, sempre più orientata attraverso la didattica delle competenze, la digitalizzazione ed i percorsi di Alternanza scuola-lavoro (ora Percorsi per le Competenze Trasversali) ed Orientamento ad addestrare rotelline per il suddetto apparato.

 Il divorzio fra ragione e valore degli scopi dell’esistenza umana consumato da fisiocrati e pensatori liberali fra XVII e XVIII secolo e perfezionato da Weber cento anni dopo, come ogni separazione non consensuale ha mietuto qualche vittima: una di esse è proprio la distinzione fra bene e male, vita e morte.

L’orizzonte della morte è stato rimosso o assorbito in un compiaciuto nichilismo, il bene è stato convertito in efficacia, oppure, nella sua versione più derisoria, in bene di consumo sul mercato della propaganda politica in cui coincide con l’adesione incondizionata a campagne di mobilitazione contro i “nemici” in agguato, identificati come “male assoluto”, specie quando non condividono l’entusiasmo per la democrazia  (il)liberale e l’economia capitalistica.  

Tutto quanto è fondamentale per l’uomo – è, per l’appunto, questione di vita o di morte – è stato estromesso dall’orizzonte storico attuale ed esiliato, se non negato, nella sfera privata dalla quale emerge spesso sotto forma di sofferenza esistenziale, né potrebbe essere diversamente: l’amputazione che l’essere umano ha subito sanguina come lacerazione sotterranea, al di sotto della soglia della consapevolezza.

Ed è nell’urgenza di favorire la maturazione di tale consapevolezza che l’elaborazione teoretica dello studioso si incontra con la sollecitudine del docente (Massimo Bontempelli ha affiancato all’attività di ricerca l’insegnamento liceale, vissuto da lui in chiave di impegno civile), particolarmente attento all’inquietudine, agli interrogativi, alle domande di senso di coloro che si affacciano alla vita adulta e alla necessità di fornire loro una strumentazione rigorosa ed autenticamente razionale, perché rispettosa della totalità del reale, per farvi fronte. Cassetta degli attrezzi utile quanto mai anche agli insegnanti, sempre più schiacciati tra acritica accettazione di una “innovazione” didattica  imposta dall’esterno e tutta giocata sul terreno delle nuove tecnologie ed un inerziale rimpianto della perdita dei valori da parte delle giovani generazioni.

Affrontare un tema dalle forti connotazioni etiche coinvolgenti nuclei vitali del presente comporta, infatti, il rischio di una rinuncia all’inquadramento esaustivo del problema per il più comodo approdo recriminatorio su tempora e mores.

I tempi, invece, qui sono ben messi a fuoco: sono i tempi lunghi – marcati, malgrado le contraddizioni interne, da un significativo filo conduttore – della gestazione e del parto di un modello di società puramente economica: dall’individuazione ad opera di Quesnay del Prodotto netto come autentica espressione delle risorse di cui una società dispone, alla fiducia di Condorcet che tutti i problemi lasciati irrisolti da religione,  filosofia e politica saranno chiariti dal sapere matematico e sperimentale, all’ipotesi di Sièyes di un futuro in cui la capacità di generare ricchezza supererà in importanza tutte le altre umane facoltà, alla coincidenza in Constant fra  bene sociale e libero scambio di risorse prodotte privatamente, al disincanto del mondo individuato da Weber come prodotto dello sviluppo industriale e scientifico con susseguente ripiegarsi della morale in una sfera residuale che pertiene alla singolarità della coscienza, emerge un orientamento comune.

Questi autori hanno cucito, pur con fili diversi, quel tessuto della razionalità strumentale che assume come proprio fondamento e al tempo stesso finalità calcolo e quantità, dimediando il campo di intervento della ragione stessa e, in tal modo, immiserendo l’esistenza sociale ed individuale.

Essi hanno contribuito ad una rilevante trasformazione della mentalità collettiva, in direzione dell’universalizzazione delle relazioni tecniche, con il suo corollario in termini di divisione del lavoro e di rapporti sociali.

Il culto fisiocratico del prodotto netto e dell’economia ha percorso in due secoli e mezzo una lunga strada che è sfociata nell’universo della merce che ben conosciamo: un universo il cui scopo è la crescita illimitata di denaro, cioè di un mezzo: esempio estremo e lampante della razionalizzazione irrazionale, esito controverso e paradossale di una modernità tradita, in quanto da tale processo è la ragione per prima ad uscirne umiliata.

Universo che rinvia l’immagine deformata di un maccheronico paradiso perduto nel Paese di Cuccagna, ove non esistono più frutti proibiti, perché basta tendere una mano per toccare l’oggetto del desiderio, in un’illusione di immediatezza e pienezza appena scalfita dal prezzo da pagare, solitamente assai più a buon mercato di quello che toccò saldare ai nostri progenitori e senza la remora di un serpente tentatore occhieggiante da dietro uno scaffale, perché lo abbiamo già ucciso e digerito e, in caso contrario, potremmo sempre valutare di comperarlo: un paradiso di cartapesta pronto a scivolare nell’Inferno dell’insignificanza.

Mettere a nudo con argomentazioni razionali piuttosto che con moralistiche denunce in un testo rivolto innanzitutto al mondo della scuola la tragica incongruenza di una società costruita sull’idolatria  del campo economico e sulla sua illimitata espansione a discapito degli altri (che esso dovrebbe servire) traduce una scelta educativa dal segno inequivocabile ed anche un invito ai docenti a non abbandonare il loro magistero critico, la cura della formazione di un essere umano e non del pezzo intercambiabile dell’ ingranaggio produttivo-tecnologico.

 La conoscenza del bene e del male è stato pubblicato una prima volta nel 1998: nel giro di venticinque anni – lo spazio di una generazione – la potenza e la pervasività dell’apparato tecnico- scientifico sono aumentate a dismisura, al punto da pretendere ad una sorta di naturalità che ne offusca genesi storico-filosofica e contestualizzazione nel modo di produzione capitalistico: insomma, una seconda natura che nelle distopie transumanistiche potrebbe addiruttura divenire una prima natura, o la sola. É diventato pienamente il nostro orizzonte storico di cui Weber affermava la intrascendibilità con la nota metafora della gabbia di acciaio.

Ora, la riflessione di Bontempelli aiuta a riportare in un ambito razionale un fenomeno – l’intelligenza artificiale – su cui attualmente sono appuntati i riflettori: per gli uni straordinaria risorsa che aprirà nuove strade all’umanità, forse oltre il concetto stesso di umano, per gli altri mostro tentacolare che ne sancirà il definitivo asservimento alla logica della macchina, fino alla sostituzione o all’ibridazione. In entrambi i casi, assistiamo ad una enfatizzazione di questo sistema di automazione che ne sottolinea il carattere di dirompente novità, di scoperta epocale in grado di imprimere una svolta senza precedenti alle nostre vite, al modo di studiare, lavorare, interagire con il mondo. In realtà, l’intelligenza artificiale rappresenta la realizzazione all’ennesima potenza di quella capacità previsionale e di calcolo nel quale siamo già immersi da molto tempo, l’apoteosi di quell’efficacia che già informa l’apparato scientifico-tecnologico, lo strumento più rifinito di una teleologia sociale puramente quantitativa, anzi finalità in sé, laddove il mezzo ha fagocitato tutto il resto.

L’individuazione di questa continuità assume particolare rilievo se additata criticamente agli studenti, se proposta da un docente desideroso lui per primo di comprendere quello che non si vede nello specchio come tema di riflessione capace di coniugare il passato di una secolare elaborazione filosofica con il presente di tecnologie, la cui potenza operativa si impone con tutto il prestigio di una complessa ed avveniristica intelaiatura, mentre la sua ratio riposa su operazioni intellettuali piuttosto semplici. E su un ossimoro che ci riporta ancora una volta al processo di restringimento della ragione, al suo abbandono di cruciali territori dell’umano.

Come rifiuta la facile invettiva moralistica, così Bontempelli offre una lezione di lucidità particolarmente preziosa in un momento in cui alla tracotanza del totalitarismo tecnico- scientifico, cuore pulsante del modo di produzione capitalistico, verrebbe, per istinto di ribellione e per disperazione di poter mai uscire dalla famosa gabbia, da rispondere con il vagheggiamento di un passato idealizzato, di epoche e luoghi portatori di spirituale ricchezza.

Il filosofo sottolinea quale formidabile balzo in avanti nello sviluppo dei procedimenti razionali, nel possesso raziocinante del mondo abbia rappresentato la Rivoluzione scientifica, a quali autentiche problematiche poste dalla convivenza sociale abbiano cercato di rispondere i filosofi del Settecento e un padre del pensiero liberale come Benjamin Constant: dunque, nessun ritorno all’indietro, nessuna critica antiscientifica, a meno che non ci si voglia condannare alla sterilità del rimpianto, ma, piuttosto, l’acuta consapevolezza della frattura  avvenuta e della conseguente amputazione, perché è indispensabile avere una lente non banale con cui leggere il funzionamento effettivo del mondo della tecnica e delle merci.

Consapevolezza anche della necessità di trascenderlo, quindi di aprire varchi attraverso il grimaldello di una nuova metafisica capace di misurarsi, diversamente dalle tradizionali, con lo scenario plasmato dalla razionalizzazione irrazionale, una metafisica immanentistica e razionale imperniata sulla centralità della qualità (determinazione che si sottrae alla contabilità) e del limite che si oppone al cattivo infinito quantitativo.

Questa parte conclusiva del lavoro di Bontempelli, con i suoi riferimenti ad Heidegger e ad Hegel, da un lato è sicuramente di approccio più arduo per un liceale ed un lettore non specialista della disciplina, dall’altro però suona come un’inderogabile affermazione di possibilità di resistenza all’universalizzazione di tecnica e merci che nutre la speranza di quanti non ritengono tale universo un destino.

Resistere ai richiami delle sirene delle ultime novità tecnologiche, interrompere il ciclo produzione-consumo,  adottare ritmi di vita lenti, rifiutare le manipolazioni sui corpi biologici rappresentano opzioni a favore di un ristabilimento di un equilibrio antropologico che si è smarrito in una deriva che da una parte esibisce i tratti della frenesia efficientistica, cumulativa ed utilitaria, dall’altro quelli della resa al nichilismo, facce apparentemente discordi di una stessa medaglia: una vita mutilata, circoscritta entro le regole dettate dai mezzi promossi a fini, privata di scopi intrinseci ed orizzonti di senso, di bene in definitiva.

Affermare la conoscibilità del bene, dunque la sua razionalità, riportare l’etica al centro del discorso filosofico per correggere le storture di una ragione impoverita che si identifica con il calcolo è operare una scelta per la vita, per tutto quanto promuove un progresso di umanità. È questo il dono – gravido di promesse, ma anche di tenace impegno – che Massimo Bontempelli ha lasciato a coloro che, sulle soglie dell’esistenza adulta, sono chiamati a fare il loro cammino di umani, a contribuire con le loro azioni ad accrescere la vita universale e ad averne cura.

Il progetto che ha coinvolto alcuni professori e studenti del Liceo Classico “Galileo Galilei”di Pisa, dove Bontempelli ha a lungo insegnato (con l’istituzione del «Premio di Filosofia Massimo Bontempelli» giunto alla sua XIIa edizione, le considerazioni delle insegnanti che hanno guidato l’esperienza, ed in particolare  – ciò che è davvero importante – quanto scrivono gli studenti nella loro recensione al libro, ed infine le espressioni di Lucio Bontempelli – figlio di Massimo), tutto ciò rappresenta un segnale incoraggiante in questa direzione, una prova tangibile che la sua voce divergente è capace di spezzare silenzi e di suscitare echi, corrispondenze e nuove suggestioni.


Le insegnanti Antonia Pellegrino, Paola Simoncini, Francesca Soldi

L’insegnamento di Massimo Bontempelli è ritornato a vivere,

non solo a livello “filologico”,

ma di prassi attiva

Testo a cura delle Insegnanti

Antonia Pellegrino

Paola Simoncini

Francesca Sodi

Dipartimento di Filosofia e Storia

del «Liceo Classico Galilei»

Massimo Bontempelli, ha insegnato per molti anni nella nostra scuola, il «Liceo Classico Galileo Galilei» di Pisa. Docente, filosofo e studioso, ha ispirato “generazioni” di studenti attraverso un insegnamento visto anche come attività di militanza civile e politica.

La nostra scuola ha sempre mantenuto vivo il ricordo del suo impegno nella scuola e nella società, non solo dedicandogli l’Aula Magna dell’istituto ma anche attraverso l’attivazione, supportata dalla famiglia Bontempelli, di un Premio filosofico a lui intitolato, che ha realizzato la prima edizione nel 2013.

Il Premio di Filosofia Massimo Bontempelli rappresenta un percorso di valorizzazione delle eccellenze della nostra scuola. Fino al 2024 ai partecipanti veniva chiesto di riflettere su questioni filosofiche di ampio respiro, esercitando liberamente le loro capacità analitiche e critiche, sulla scia di quella che era stata la cifra dell’insegnamento di Massimo.

A partire da quest’anno, 2024/2025, il Dipartimento di Filosofia e Storia del «Liceo Classico Galilei», in accordo con la famiglia, ha deciso di intraprendere un percorso diverso.

È sembrato opportuno promuovere, presso le studentesse e gli studenti, un confronto diretto con le opere di Massimo Bontempelli, per una duplice motivazione.

Da un lato, il riconoscimento di una intervenuta e inevitabile separazione temporale, una frattura nella trasmissione diretta nella memoria e della conoscenza.

Dall’altro, la convinzione ferma che l’opera di Massimo Bontempelli possa offrire ancora oggi, alle nuove generazioni, degli strumenti utili di analisi della realtà sociale, politica, economica e culturale dei nostri giorni.

Consci però del fatto che ormai gli studenti di questi ultimi anni sono molto lontani dagli anni di insegnamento di Bontempelli per averne ancora una memoria viva, quest’anno abbiamo deciso, sempre con il supporto della famiglia Bontempelli, di cimentarci in un percorso più lungo e complesso che riprendesse anche quanto suggerito, per esempio, nella Introduzione dell’autore a questo testo: «la sua migliore utilizzazione è quella di affidarla all’autonoma lettura degli studenti, e di farne poi seguire alcune discussioni tematiche in classe, sotto la guida dell’insegnante».

Nella convinzione che la lettura del testo filosofico sia un momento imprescindibile nel percorso didattico, ma soprattutto formativo, accettando la sfida lanciata da Bontempelli, abbiamo proposto ai partecipanti al Premio, studentesse e studenti delle classi quarte e quinte, la lettura personale dell’opera completa La conoscenza del bene e del male, affiancandola a due incontri di introduzione, confronto collettivo e discussione delle problematiche filosofiche suscitate dalla lettura del testo.

Questi due incontri si sono contraddistinti per il loro carattere aperto, per l’accuratezza e la profondità delle riflessioni sviluppate dalle ragazze e dai ragazzi coinvolti, per la molteplicità delle questioni affrontate, varie eppure coerenti fra di loro perché frutto di uno sforzo di comprensione della realtà complessa e contraddittoria di cui siamo parte.

Agli incontri è seguita infine la prova concorsuale che ha visto i partecipanti cimentarsi nella redazione di una recensione filosofica dell’opera che ha evidenziato la capacità di analisi del testo e la varietà delle riflessioni personali.

L’insegnamento di Massimo Bontempelli è ritornato a vivere, non solo a livello “filologico” di conservazione della memoria, ma di prassi attiva.


Gli studenti

Viviana Antichi, Maria Elena Giorgi, Karim Makdir, Bernardo Monicelli, Annalisa Colomba, Giulia Liut, Giulia Pasanisi

La nostra recensione

del libro

di Massimo Bontempelli

Testo di

Viviana Antichi, Maria Elena Giorgi,

Karim Makdir, Bernando Monicelli

(alunni di quarta),

Annalisa Colomba, Giulia Liut, Giulia Pasanisi (alunni di quinta)

Nel suo saggio La conoscenza del bene e del male, Massimo Bontempelli riflette sull’origine e lo statuto di verità di questi due concetti. Lo fa esordendo con il mito del giardino dell’Eden da cui Adamo ed Eva vengono cacciati proprio per aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, conoscenza che per Bontempelli non è affatto arbitraria: l’uomo è invece perfettamente in grado di comprenderla dandone una definizione vera e condivisa, nonostante varie teorie filosofiche e orientamenti culturali siano di avviso contrario.

In questa tesi, ribadita convintamente e sostenuta da argomentazioni diverse, risiede forse uno degli aspetti che rendono il libro assolutamente “controcorrente”.

La distinzione fra bene e male, secondo Bontempelli, è immediatamente derivabile dalla riflessione sulla vita e su ciò che può sostenerla e preservarla.

Dunque la vita e la morte non sono viste come qualcosa di fisico-biologico, ma come eventi che definiscono l’esistenza degli esseri umani: in assenza di una morte che ponga fine al raggiungimento dei nostri obiettivi, non avremmo neanche il bisogno di “scopi” che ci possano rendere vivi.

Bontempelli esemplifica questo con una situazione reale di vita quotidiana nella quale un giovane comprende di aver commesso qualcosa di male nel momento in cui ha negato ad una bambina un dono tanto desiderato.

Ciò che fa percepire l’azione come male è la delusione, lo spegnersi di uno scopo vitale della bambina, e il testo si sofferma proprio sulla parola “scopo”, e congiunge questo concetto con la vita stessa.

Avere “riguardo”, ovvero “cura”, nei confronti degli scopi altrui vuol dire quindi compiere il bene, mentre impedire la realizzazione altrui porta anche ad una nostra morte interiore.

Se il bene consiste nel preservare la vita dalla morte, anche la conoscenza e il confronto con la morte sono essenziali per conoscere e operare il bene.

Identificando il bene con la conoscenza della morte, nasce una nuova cognizione anche del concetto di male: esso, essendo il contrario del bene, sarà l’ignoranza della morte, che può condurre paradossalmente alla sua enfatizzazione.

È in particolare quest’ultima riflessione ad averci ricordato la visione lucreziana quale emerge dalle descrizione della della peste di Atene: qualsiasi morale si sgretola, insieme ad ogni legame sociale, dinanzi ad una situazione tragica, e dunque il tentativo disperato di allontanare la morte finisce per identificarsi con la morte stessa. In generale il timore, più o meno consapevole, di un’imminente cessazione della vita può portare alla nascita di un’oscura ossessione nei confronti della morte, rendendola perciò sempre più vicina.

Nella seconda parte l’autore, ripercorrendo le tappe filosofiche del pensiero moderno, descrive l’impatto sotterraneo che alcuni filosofi hanno avuto sull’analisi e la concezione della società, mettendo in evidenza il loro metodo razionale che allontana però, in modo del tutto irrazionale, la riflessione teleologica dalla società.

Le nostre forme di conoscenza infatti «si sono gradualmente ristrutturate in relazione alla ridefinizione dei loro oggetti teorici» isolandoli sempre di più dal loro contesto. Il processo di astrazione ed isolamento conferisce un maggior potere predittivo, ed è infatti tipico delle scienze moderne. Prendendo ad esempio la fisica, durante lo studio di un fenomeno, generalmente si crea un modello del fenomeno in studio che permette di analizzarlo in modo isolato rispetto alle diverse variabili.

«La costituzione di un oggetto teorico» afferma Bontempelli «dal significato più ristretto e maggiormente separato dagli altri […] rappresenta un progresso nel possesso razionale del mondo» e costituisce «un momento di razionalizzazione delle cose». Il restringimento e l’isolamento sono le fonti costitutive del processo di astrazione e in accordo con quanto affermato da Benedetto Croce «per distinguere occorre astrarre» e «ragionare è distinguere».

Questo accrescimento della comprensione razionale avviene quindi per mezzo di un processo di irrealizzazione della realtà, scindendo «la totalità in elementi teorici separati». L’elemento scisso e irreale si afferma certo come essenziale nello studio anche secondo una prospettiva hegeliana, nella quale però appare anche necessario ricollegare l’oggetto teorico alla complessità «mediante la congiunzione dialettica dei concetti separati».

Bontempelli fa propria questa prospettiva e arriva alla conclusione che la mancanza di un ricongiungimento dialettico comporta che oggi si raggiunga al contempo il massimo livello di razionalità, attraverso l’astrazione, e il massimo livello di irrazionalità.

In particolare nell’economia Bontempelli evidenzia con facilità la coesistenza di razionale e irrazionale: «Dove tutto è merce, tutto è quantificabile e […] tutto diventa calcolabile, prevedibile […]: la razionalità trionfa. Ma il movimento globale, frutto di innumerevoli astrazioni, diventa incontrollabile, e valori, visuali e sentimenti perdono qualsiasi visibilità: l’irrazionalità trionfa».

Bontempelli quindi non considera la razionalità irrazionale come una contraddizione in termini: si tratta invece di un «modello di razionalità» avente caratterizzazioni proprie della ragione «ma che non ha scopi, e che può avere tutte quelle caratterizzazioni in un orizzonte di irrazionalità». Il modello di una razionalità priva di scopi annienta però la possibilità di distinguere il bene dal male.

Alla luce della lettura del libro sono nate tra noi osservazioni di vario genere, e punti di vista anche molto diversi.

La razionalizzazione sempre più totalizzante ci ha condotto e ci sta tuttora guidando verso una progressiva perdita della capacità di considerare le finalità generali delle nostre azioni.

Ciò crea una società molto individualista e pragmatica la quale, riconducendo tutto a una ragione unicamente tecnica, distrugge la capacità umana di cogliere le intenzioni e gli obiettivi dietro le varie azioni senza necessariamente circoscriverle e ricondurle all’efficienza.

Se però alcuni di noi concordano con l’autore nel pensare che l’etica non sia intellegibile alla mentalità odierna, altri ritengono invece che la comprensione dell’etica non sia totalmente oscurata, ma che richieda semplicemente un maggiore sforzo di riflessione.

Anche l’identificazione della morte con il male non è stata da tutti condivisa. Abbracciando l’ideale epicureo la morte, proprio in quanto cessazione della vita, ci appare come una condizione che non possiamo sperimentare. L’associazione del male alla morte sarebbe quindi dovuta al dolore che si prova precedentemente alla morte e che provano, successivamente, coloro che restano. Non sarebbe dunque la morte in sé stessa il male, ma piuttosto la sofferenza e il dolore.


Una nota di Lucio Bontempelli

Nella viva relazione

con gli studenti,

si produce

nuova conoscenza

Una delle tesi fondamentali di questo libro è che ci sia un nesso profondo tra il tipo di conoscenza tecnologica e scientifica che la nostra civiltà ha saputo sviluppare, e la perdita di riferimenti etici che ci ha precipitato in una crisi dagli esiti ad oggi del tutto imprevedibili.

Abbiamo concentrato la nostra razionalità su realtà isolate dal loro contesto perché così, astraendole in modo artificiale dal più ampio equilibrio di cui fanno parte, acquistiamo su di loro un potere illimitato di manipolazione; tranne però scoprire che limiti ci sono e sono al di fuori del nostro controllo, perché è il senso complessivo della realtà e della nostra stessa esistenza ad esserci diventato incomprensibile.

Occorre allora ricomporre un sapere unitario, che vada al di là degli ambiti specialistici, che tocchi le finalità delle nostre azioni e la direzione complessiva della nostra civiltà.

Si collegano a questa esigenza tre idee cardine di questo libro: due esplicite ed evidenti; una terza più nascosta ma, a mio avviso, non meno importante.

La prima tesi è che occorra mettere in discussione l’idea, ormai fortemente connaturata all’orizzonte attuale di pensiero, che una valutazione del significato etico delle nostre azioni sia troppo intrecciata ad aspetti di percezione soggettiva per essere oggetto di un pensiero compiutamente razionale.

All’opposto, una ricomposizione unitaria del sapere è possibile solo assumendo un diverso punto di vista sulla conoscenza del bene e del male – di qui il titolo dell’opera – attraverso il difficile tracciato di una nuova metafisica tutto ancora da percorrere, e sul quale si tenta di muovere alcuni passi preliminari.

La seconda tesi è che sia necessario comprendere il percorso storico che ha portato a concentrare sempre di più la razionalità su ambiti specialistici, potenziando il controllo tecnico sulla realtà, ma facendo diventare incomprensibili i nessi che legano ciascuna parte al tutto di cui è parte.

E vengo alla terza tesi, non esplicita, ma per me in qualche modo ugualmente evidente.

Il libro si rivolge, fin dalla sua introduzione, agli studenti liceali e ai loro insegnanti.

Non si tratta di un caso, né di un’attenzione alla didattica a latere degli scopi principali dell’opera.

L’autore, che ha dedicato tutta la sua vita all’insegnamento, credeva infatti che nella scuola – e in particolare proprio nella scuola secondaria – si mantenesse quella connotazione unitaria del sapere che era necessaria in questo cammino etico e metafisico. Credeva che proprio nel dialogo con gli studenti si potesse misurare quanto una conoscenza riesce a parlare al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Vedeva la didattica non come un’altra scienza specialistica, che si applica alle relazioni a scuola come una tecnica si applica al suo oggetto; piuttosto riteneva che nella relazione viva con gli studenti, in un’autenticità al di fuori da obiettivi misurabili e procedure standardizzate, si producesse nuova conoscenza.

Abbiamo allora provato a mettere alla prova questa tesi con un manipolo di studenti che hanno letto il libro e l’hanno discusso con i loro insegnanti, restituendo alla fine le loro impressioni in un tema finale. La descrizione di questo percorso la trovate nelle pagine precedenti.

Lucio Bontempelli




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Fernanda Mazzoli – «Note sparse su un suicidio militarmente assistito». Non cerchiamo un’improbabile quiete in mezzo alla tempesta. Dobbiamo smascherare la pretesa universalità di interessi venduti come generali laddove non sono che espressione dei gruppi dominanti, e opporci al coinvolgimento sempre più massiccio dell’Europa nei principali conflitti in corso fatti per rinsaldare la vacillante egemonia degli USA. Gli interessi dei popoli non coincidono con questa operazione, né con quelli dei governi nazionali che la sostengono. Ogni ritardo in questa consapevolezza è un ulteriore opzione verso l’autodistruzione, una strada sulla quale già molti passi sono stati fatti in questi anni, sospinti da nichilismo, rassegnazione, abdicazione ad una piena ed effettiva cittadinanza in cambio di una promessa di sicurezza e benessere che proprio la spirale militare rende carta straccia.

Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Fernanda Mazzoli – Il lettore ansioso, “toujours anxieux au moment de lire …”. «… era il libro a cercarmi, non viceversa, era lui a condurmi per vie impreviste all’incontro e che questo avviene quando è il momento … Il libro che marcherà un’esistenza può avere atteso a lungo, dimenticato apparentemente su un ripiano, oggetto di timorose occhiate in tralice, una promessa per il futuro …».




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Fernanda Mazzoli – Le traversie degli Armeni del Nagorno Karabakh, in fuga dalle terre in cui vivono da più di duemila anni, non sembrano suscitare un’eco particolare né da parte del sistema mediatico, né da parte degli organismi internazionali deputati alla regolamentazione delle situazioni di conflitto.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Fernanda Mazzoli – Pedagogia della paura e omologazione sociale: una riflessione sulla caccia alle streghe

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Fernanda Mazzoli – La storia in ostagggio. Oggi più che mai, studiare la storia e fare ricerca storica potrebbe essere atto di resistenza, non solo e non tanto ai politici da strapazzo oggi in voga, ma prima di tutto atto di resistenza all’imbarbarimento culturale e spirituale di cui la destoricizzazione è un asse portante.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

Fernanda Mazzoli – Non di solo Covid sono morti i degenti delle RSA, ma del virus più temibile, della solitudine e della sottrazione di personalità.

Egon Schiele, “La morte e la fanciulla”, dipinto nel 1915.

E. Munch, Das kranke Kind, 1907.


Familiari dei “condannati a morte nelle Rsa italiane”

e contributi di

Laura Campanello, Alessandra Filannino Indelicato, Fabio Galimberti,
Franca Maino, Lorena Mariani, Linda M. Napolitano Valditara,
Gianni
Tognoni, Silvia Vegetti Finzi

La tragedia di essere fragili

Filosofia biografica per una nuova cultura della vecchiaia

a cura di Alessandra Filannino Indelicato

ISBN 978-88-7588-367-6, 2022, pp. 208, Euro 15.

In copertina: Alfredo Pirri, Facce di gomma, latice in gomma, cotone, tempera, 1992.

indicepresentazioneautoresintesi





Mamma,

ho sognato che non avevi perso la memoria e ti ricordavi chi ero.

Oggi lo sai cosa è successo e speravo di sentirti ma ti sogno solo.

In questi giorni sognavo te nell’ospedale nella RSA che non stavi bene e mi svegliavo male la mattina. Non volevo scriverti perché mi viene da piangere. Oggi ho ritirato la notifica dal tribunale, c’è scritto che l’Rsa non ti ha ucciso e io sto male e sono sola. […]

Una pubblicazione che prende una netta posizione rispetto alle ingiustizie subite dai familiari di molti ricoverati durante la pandemia, condannati a morte in alcune, moltissime, Rsa italiane. Incapacità di affrontare una crisi che ci ha coinvolti tutti, per ragioni storico-culturali molto complesse, ragioni a cui si tenta di dare voce in chiave filosofico-biografica, per spiegare (senza esaurire o ridurre) la più grande tragedia della nostra società contemporanea: quella di essere fragili, e anche quella di essere vecchi. Dando voce a chi ha subito ingiustizia e si trova ancora costretto all’anonimato, ancora costretto in una posizione di estrema impotenza, questa pub­blicazione è anche una raccolta di lettere-testimonianze dei familiari e vuole essere un monito. Un monito di speranza e di luminosa instancabile indomabile presenza e anelito alla lotta per la verità di chi la sua verità non può ancora dirla, nel compito della memoria di chi è morto nel silenzio generale. Un monito verso la non indifferenza individuale e collettiva che scuota le coscienze affinché si costruisca un sistema migliore di quello di cui tutti siamo stati inermi e terribili testimoni


La-tragedia-di-essere-fragili-Scheda-ed.-1Download


Chi-non-ha-memoria-vive-nella-menzognaDownload



Le lettere

Sono quasi due anni che te ne sei andata

La prima cosa che vorrei sapere

Eri tu quella farfalla arancione

“Mammina” – come ti chiamavo …

Ho sognato che non avevi perso la memoria

Sono due anni che siamo lontane

Come stai? Non è facile scriverti una lettera

Ti ricordi mamma?

Anche febbraio sta volgendo al termine

Proprio l’altro giorno, per Natale

Sei sempre stato un uomo forte

Così sei stata accolta

Scrivo a ruota libera

Quanto mi sei mancato

Quando finalmente

Tra te e me si è imposta la malattia

Una eccezione. L. se n’è andata



Gli autori dei contributi

Gianni Tognoni, vecchio (1941) ricercatore, con un retroterra di teologia e filosofia, e laurea in medicina, pensionato sempre attivo, dopo più di 40 anni di attività nell’Istituto Mario Negri (di Milano, e per 12 anni nella sede ora chiusa in Abruzzo), con contributi anche internazionalmente riconosciuti come innovativi nel campo della metodologia e dell’etica della sperimentazione clinica e della epidemiologia comunitaria. Ha pubblicato fin troppo , in campo strettamente scientifico e non, in inglese, spagnolo, italiano, con tracce facilmente ritrovabili anche recentemente su siti come Volere la Luna ed Altreconomia.
Dal 1979, nella sua vita parallela e assolutamente di riferimento, è Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.

Fabio Galimberti, laureato in Scienze Pedagogiche, è analista filosofo. Prima falegname, da vent’anni lavora come operatore di base in una Rsa. Si interessa di lingua locale, cultura tradizionale e botanica popolare della Brianza e della Lombardia alpina, con la pubblicazione di articoli, saggi e organizzando corsi, cammini e visite guidate.

Silvia Vegetti Finzi è psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia, della famiglia e della scuola. Ha condiviso per molti anni il lavoro intellettuale e l’impegno sociale con il marito Mario Vegetti, storico della filosofia antica. Dal 1968 al 1971 ha partecipato alla vasta ricerca sulle cause del disadattamento scolastico, promossa dall’Istituto IARD (F. Brambilla) e dalla Fondazione Bernard Van Leer di Milano. I suoi maggiori contributi hanno riguardato la storia della psicoanalisi, nonché lo studio delle problematiche pedagogiche da un punto di vista interdisciplinare, facendo rife­rimento soprattutto alla psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza ed alla psicoanalisi. I suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo, greco e albanese. Dal 1975 al 2005 è stata docente di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Pavia. Nel 1990 è stata tra le fondatrici della Consulta di bioetica. Ha fatto parte del Comitato Nazio­nale di Bioetica, dell’Osservatorio Permanente sull’Infanzia e l’adolescenza di Firenze, della Consulta Nazionale per la Sanità. È membro onorario della Casa delle donne di Milano e vice-presidente della Casa della Cultura di Milano. Nel 1998 ha ricevuto, per le sue opere sulla psicoanalisi, il premio nazionale “Cesare Musatti” e per quelle di bioetica il premio nazionale “Giuseppina Teodori”.

Linda M. Napolitano Valditara è professoressa ordinaria di Storia della filosofia antica (in pensione dal 2021). Ha insegnato negli Atenei di Padova, Trieste e Verona. Studia soprattutto Platone, la letteratura greca, i modi del formarsi del sapere-comunicare nel mondo antico e la loro ripresa odierna (filosofia della cura, dialogo socratico). A Verona, quale responsabile, tuttora, del Centro Dipartimentale di Ricerca “Asklepios. Filosofia della salute”, studia le forme di teoria e pratica della cura (Medicina Narrativa e Terapia della Dignità), interagendo con strutture e figure sanitarie del territorio. Studi: Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i Dialoghi di Platone, 2010; Pietra filosofale della salute. Filosofia antica e formazione in medicina, 2012; Prospettive del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, 20132; Virtù, felicità e piacere nell’etica dei Greci, 2014; Il dialogo socratico. Fra tradizione storica e pratica filosofica per la cura di sé, 2018; Filosofi sempre. Immagini dalla filosofia antica, 2021; con C. Chiurco: Senza corona. A più voci sulla pandemia (2020). Ha curato il volume collettaneo Curare le emozioni, curare con le emozioni (2020).

Lorena Mariani, Direttrice dell’Area Infermieristico – Assistenziale della Rsa Convento di S. Francesco della Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano. Esperta della cura della persona in età senile e appassionata di socio sanitario, crede nella potenzialità dei sistemi di cura integrati e nei risultati che tali atteggiamenti virtuosi producono. Si occupa di formazione, collaborando con le principali agenzie formative del territorio della Provincia di Lucca e della Toscana, svolgendo docenze nell’area sanitaria, tecnico assistenziale e sociale, come esperto di settore. Sovrintende a tutte le questioni socio sanitarie e di prevenzione che riguardano i servizi sanitari e sociali svolti dalla Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano ed è il punto di riferimento della stessa Misericordia per tutte le problematiche igienico sanitarie e di sicurezza riguardanti la pandemia Covid-19. Ha pubblicato il libro Il manuale: buone pratiche in Rsa, ed. Spazio Spadoni, 2021.

Laura Campanello, laureata in filosofia e specializzata in pratiche filosofiche e consulenza pedagogica. Collabora con la Scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano “Philo” ed è consulente etica nelle cure palliative e nell’ambito della malattia e del lutto. Nel corso della sua carriera ha studiato e approfondito il tema della felicità attraverso la pratica filosofica e la psicologia analitica e scrive di questi temi per il “Corriere della Sera”. È inoltre Presidente dell’Associazione di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (Sabof). Tra le varie pubblicazioni, si ricorda: Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita, Mondadori, 2020; Leggerezza. Esercizi filosofici per togliere peso e vivere in pace, Bur Rizzoli, 2021; Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte, Mursia, 2013.

Franca Maino dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare ed è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”, “Politiche Sanitarie e Socio-sanitarie”, “Welfare State and Social Innovation”.

Alessandra Filannino Indelicato è una ricercatrice in generale, nella vita, attualmente impiegata presso l’Università di Milano-Bicocca. Esperta di Pratiche Filosofiche e Gestalt counselor, lavora per vocazione nel campo dell’ermeneutica delle tragedie greche e della filosofia del tragico, offrendo corsi, seminari e consulenze individuali e di gruppo. Nel 2022 ha contribuito con “Pace gattesca” alla raccolta Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo Vademecum per la pace, Anima Mundi Edizioni. Per l’Editrice Petite Plaisance è anche Direttrice della collana “Coralli di vita”. Nel 2019, per Mimesis, ha pubblicato Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco, e nel 2022, per Petite Plaisance, Apologia per Scamandrio o dell’abbandono. Contributi di Iliade VI a una filosofia del tragico.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Fernanda Mazzoli – Il futuro, cento anni fa: «Scènes de la vie future», di Georges Duhamel. Dovremmo investigare il rapporto, a livello di immaginario, tra antichi miti dell’età dell’oro e promessa capitalistica del regno dell’abbondanza.



Fernanda Mazzoli

Il futuro, cento anni fa:
Scènes de la vie future, di Georges Duhamel

Dovremmo investigare il rapporto, a livello di immaginario,
tra antichi miti dell’età dell’oro e promessa capitalistica del regno dell’abbondanza


Nel 1929, in pieno proibizionismo e crisi finanziaria, il romanziere francese Georges Duhamel parte per gli Stati Uniti, spinto dall’intuizione che è là che sta incubando un nuovo modello sociale, una nuova forma di civiltà che non tarderà a conquistare il vecchio continente. Si ferma solo per alcune settimane, ma evidentemente dispone di uno sguardo profondo e sagace capace di vedere sotto la brillante superficie esibita da luoghi e persone e di un orecchio molto fine, atto a percepire, dietro il canto delle sirene che sale dalla neonata società dei consumi, la realtà brutale dell’alienazione e della disumanizzazione, pronte ad essere esportate nel mondo intero.

È questo suo intuito visionario che rende il suo resoconto di viaggio, Scènes de la vie future,1 sorprendente per attualità e prezioso per chiunque voglia leggere con lente critica il mondo in cui viviamo, quasi un secolo dopo l’esperienza americana di Duhamel. La sorpresa è anche maggiore se si considera che lo scrittore è oggi piuttosto dimenticato, relegato ad una paginetta scarsa nelle storie letterarie, vuoi come membro, accanto a Jules Romains, dell’Unanimisme,2 vuoi come esponente di un roman fleuve tenuto in gran sospetto dalla critica come retaggio ottocentesco, ciò che dimostra non tanto l’inadeguatezza di Duhamel – che in vita ricevette numerosi premi fra cui il Goncourt –, quanto il pressappochismo della critica stessa, costretta a pagare il suo tributo alle mode culturali.

 

1G. Duhamel, Scènes de la vie future, Points, Paris, 2018. I passaggi qui citati sono stati tradotti dall’autrice.

2Movimento letterario fondato agli inizi del Novecento intorno all’ Abbaye de Créteil, un falansterio artistico sul modello dell’abbazia rabelaisiana di Thélème; prende il nome dalla raccolta poetica La vie unanime di Jules Romains, secondo cui la poesia deve rendere gli uomini consapevoli della loro personalità comune, sociale che lega gli uni agli altri in un sentimento unanime.

Paradossalmente, quasi uno scherzo fatto da quel gran burlone che è il tempo, il libro che attesta il rifiuto da parte dell’autore della modernità quale si veniva disegnando negli USA e il suo radicamento nei tradizionali valori umanistici è ora diventato un testo quanto mai moderno, proprio per la sua capacità di prevedere gli sviluppi futuri di quel paradigma, sociale ma anche antropologico, che ha cambiato da cima a fondo le nostre società, fino a plasmarle nella forma che oggi conosciamo.

Degli Stati Uniti, in preda agli eccessi della civiltà industriale, il romanziere non ama quasi niente: gli ripugna il culto della velocità, dell’efficienza e del profitto, detesta l’architettura delle grandi città, rifiuta la spietata segregazione razziale, non lo convince la comodità offerta dall’automobile che, piuttosto che conquistare lo spazio, lo ha perso, denuncia nel cinema «il più potente strumento di conformismo morale, estetico e politico», percepisce dietro l’industria dell’intrattenimento l’amaro sentore di un veleno che avvilisce lo spirito, sollevandolo dallo sforzo di pensare, lo disgusta l’invadente presenza della pubblicità che finisce per deturpare gli affascinanti paesaggi del Connecticut, lo preoccupa l’interesse dell’amministrazione relativamente alle tendenze religiose e politiche dei visitatori stranieri. Lui, francese orgoglioso di quello spirito razionalistico che è una delle componenti essenziali della cultura natale, arriva a pensare che il volto della ragione potrebbe divenirgli addirittura odioso, a causa della curvatura che ha assunto in quel Paese, ovvero quella della ragione strumentale che ha assoggettato gli uomini ad un ritmo vitale in cui hanno perso il bene più prezioso: il tempo, tutto da dedicare alla produzione e all’accumulazione, salvo la parentesi prevista e consentita del divertimento che diventa, in senso pascaliano, divertissement, distrazione dalle grandi questioni dell’esistenza, quelle che consentono di attribuirle significato.

Duhamel non si limita a cogliere e a disapprovare gli aspetti più evidenti e fastidiosi di un’organizzazione sociale e di una forma di vita rispetto alle quali gli preme sottolineare la sua estraneità; non è in veste di moralista che ricusa il modello americano, anzi una delle storture che maggiormente lo inquieta è proprio il moralismo di fondo che sembra pervaderlo e che, in quel momento, trova espressione nel proibizionismo, ma che ispira anche le preoccupazioni dietetiche sul numero di calorie propinato da un pasto o l’ossessione igienista, o il divieto del fumo, o l’importuno controllo esercitato dalla burocrazia sulla vita privata dei cittadini. Senza fermarsi alla facciata più o meno folkloristica delle cose e senza incagliarsi nell’invettiva, egli afferra il nocciolo del problema, affronta l’avversario sul suo stesso terreno e lo smaschera con osservazioni fulminanti dette con un tono piano, senza pretese, nato dalla conversazione quotidiana con i suoi interlocutori, in gran parte – come non manca di precisare – ottime persone, amabili e colte. Suo bersaglio non è certo il popolo americano, ma quell’America che rappresenta l’Avvenire, un futuro già pronto all’uso su scala mondiale e decisamente allarmante.

È ai due pilastri di questa civiltà, ai suoi più conclamati motivi di vanto – la ricchezza e la libertà – che egli applica il proprio sguardo smitizzante. Quanto alla prima, la corsa al successo alla quale milioni di persone, sulla scia dei cercatori d’oro, sacrificano la propria vita gli sembra il segno perspicuo di una grande povertà che nega all’esperienza umana ogni dimensione che non sia quella materiale; d’altra parte, il sogno americano si rovescia molto spesso nell’incubo della discriminazione razziale o dell’emarginazione economica che schiaccia i perdenti.

Quanto alla libertà, essa si è capovolta in schiavitù: al suo stupefatto interlocutore, che oppone la libera Repubblica americana ad un’Europa sotto le grinfie dei regimi dittatoriali, Georges Duhamel oppone un punto di vista originale e discordante:

«Ciò che chiamate la libera America mi permette di giudicare cosa può diventare la libertà nel mondo futuro, in una società dalla quale mi immagino escluso senza troppo dispiacere. […] La dittatura politica è sicuramente odiosa e mi sembrerebbe senza dubbio intollerabile, ma, per strano che vi possa apparire, vi confesso che non occupa, nei miei timori, un posto davvero considerevole. La servitù politica è spesso violenta, grossolana, chiama e finisce per provocare la sommossa. Lo spirito della ribellione politica, fortunatamente, non è spento nel cuore dell’uomo.

[…] Non appena giunti ad un certo grado di cultura e a nutrire il sentimento del loro valore e delle loro speranze, gli uomini sopportano a fatica le restrizioni imposte dal tiranno nazionale o dal dominio straniero: invece, si adattano molto bene all’altra dittatura, quella della falsa civiltà, ed è questo che mi tormenta. […] Voi siete schiavi, ve lo ripeto, dei vostri moralisti, dei vostri legislatori, dei vostri igienisti, dei vostri medici, dei vostri urbanisti e persino dei vostri estetisti. Dei vostri poliziotti, dei vostri pubblicisti che altro ancora? Siete schiavo dell’America, come il mondo intero sarà in futuro, sul vostro esempio, schiavo di se stesso».

Una schiavitù dolce e tenace che ha preso piede quasi insensibilmente ed in base a principi così ragionevoli – l’igiene, la morale, l’estetica, la protezione sociale – che opporvisi sarebbe equivalso ad opporsi a quel legittimo desiderio di sicurezza per il quale gli uomini sono disposti ad accettare una serie di limitazioni e a delegare ogni potere a specialisti tanto zelanti quanto interessati. Il cittadino non solo è preda di una burocrazia che lo sottomette a controlli, indagini, censure, ma accetta di assecondare lui stesso i suoi tormentatori, di compiere una parte del loro lavoro.

Duhamel – medico ancor prima che letterato – era rimasto sconvolto, nel porto di New Orleans, dalla pratica di sottoporre i nuovi arrivati ad una sbrigativa cerimonia di controllo sanitario che gli aveva fatto intravvedere (e con quanta preveggenza possiamo oggi giudicare con cognizione di causa!) una possibile pericolosa deriva salutista delle moderne società, anche in questo caso intuendo una questione di fondo che i recenti avvenimenti pandemici hanno posto all’ordine del giorno. Al suo anfitrione, molto orgoglioso degli innegabili progressi scientifici conseguiti pure nel campo della profilassi, lo scrittore-medico fa notare che, anche qualora si possedesse, contro ogni infezione contagiosa, un vaccino da somministrarsi obbligatoriamente, si soffrirebbe non più delle malattie, ma degli obblighi imposti dalle leggi, si soffrirebbe di salute. L’obbligo alla salute come dovere civico regolamentato dallo Stato che si incarica paternamente di difendere il cittadino contro se stesso allo scopo di salvaguardare per la patria la sua condizione fisica (come rivendica l’interlocutore del romanziere, Mister Pitkin) è materia di riflessione non banale e che apre una finestra non proprio limpida su implicazioni di bruciante attualità. Infatti, l’autore si chiede se dopo avere proibito a qualcuno di bere e poi di fumare, non si passerà a metterlo nell’impossibilità di «procreare una miserabile progenie», eventualmente scoprendo e ponendo in opera dei «procedimenti di fecondazione perfettamente razionali e controllati», attraverso un istituto scientifico in grado di consegnare materia seminale «selezionata». Il medico francese si diverte provocatoriamente ad elencare i diversi tipi da proporre alle signore in cerca di un bebé su misura: il businessman innanzitutto, poi il boxeur, lo sportivo, l’intellettuale … Insomma, qualche settimana negli USA sul finire degli anni Venti del Novecento (ed una decina di anni prima dell’avvio degli esperimenti nazisti di eugenetica) era bastata al nostro per comprendere quale direzione avrebbe imboccato, in nome del progresso e del miglioramento dell’uomo, la civiltà occidentale presa in ostaggio dal primato dell’economia e della tecnica. Non a caso, Mister Pitkin, che non è uno scienziato pazzo od un politico all’inseguimento di ricette elettorali vincenti, ma una persona posata e ragionevole, un cittadino esemplare del “migliore dei mondi possibili” prende al volo l’idea suggerita sarcasticamente dal suo ospite e comincia a fare dei conti e ad abbozzare uno schizzo relativo alla parte meccanica della faccenda … Il dominio della macchina, il suo progressivo sostituirsi all’uomo, non sembrano a Duhamel premessa di un affrancamento di quest’ultimo dalla fatica del lavoro, quanto, piuttosto, negazione delle sue qualità sostanziali, di ciò che lo rende tale. La macchina che pretende di liberarlo dallo sforzo, rischia in realtà di liberarlo da tutto, vivere compreso.

È alla luce di tale minaccia che lo scrittore, con un altro scarto rispetto alle idee correnti, matura, al termine del suo sofferto soggiorno, l’opinione che questa civiltà non rappresenti affatto il prolungamento, per quanto peculiare, di quella europea, ma piuttosto una rottura. È, questo, sicuramente un giudizio storico alquanto sommario ed opinabile che non tiene in debito conto indubbi motivi di continuità anche culturale, ma che ha il pregio di sottolineare la radicale distanza che Georges Duhamel intende stabilire tra i valori in cui si riconosce – fondati sull’umanesimo – e quelli giunti a maturazione sulle sponde dell’Atlantico. Pur presago della resa imminente al modello americano che per lui riveste i tratti di una vera distopia, la fedeltà a quei valori gli sembra la sola possibilità di salvare un patrimonio spirituale e di cultura che, malgrado i suoi tanti errori, ha arricchito l’intera umanità.

Quasi cento anni più tardi e di fronte all’avvenuta conquista a tappe più o meno forzate di buona parte del globo da parte dell’American way of life, la risposta del romanziere francese ci può apparire superata od inadeguata per affrontare l’attuale fase. Resta che di fronte all’affermazione del transumanesimo come ingrediente ideologico di punta del capitalismo più innovativo, dinamico ed aggressivo, il radicamento in una plurimillenaria tradizione culturale di ampio respiro, e che ha in se stessa gli strumenti per ripensarsi, risulta a mio parere imprescindibile.

Un manifesto che pubblicizza la vendita di biglietti per vaporetti verso la corsa all’oro in California
“Un nuovo superbo clipper in partenza per San Francisco”, pubblicità per il viaggio in California pubblicata a New York negli anni 1850

Così come imprescindibile è un’altra domanda, alla quale Duhamel risponde in modo leggermente spiazzante, come nel suo stile, offrendo al lettore uno spunto interessante, ma sicuramente bisognoso di approfondimento: da dove nasce tanta capacità di penetrazione, da dove trae la sua forza e il suo successo questo sistema che, mentre sembra esaltare le potenzialità individuali, in realtà le annichilisce? La sua capacità di seduzione riposerebbe sulla sua semplicità, o meglio facilità: «Incanta le persone semplici e delizia i bambini». Risposta tutta giocata sul piano di una psicologia elementare e che non può certo accontentare chi cerca la rotellina capace di fare deragliare un meccanismo apparentemente ben rodato.

Riprendendo l’osservazione dello scrittore (tralasciando pertanto l’enorme investimento economico e militare che ha sostenuto la diffusione del modello culturale statunitense), una via feconda da percorrere potrebbe essere quella di investigare il rapporto, a livello di immaginario, tra antichi miti dell’età dell’oro e promessa capitalistica del regno dell’abbondanza.

Fernanda Mazzoli

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Mauro Armanino – Dissociazioni vaticane. Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini, ma c’è “resistenza” nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla “pandemia” Covid.

Mauro Armanino

Dissociazioni vaticane

Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini
ma c’è ‘resistenza’
nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid

*****
***
*


Il testo che segue è una lunga lettera aperta scritta da un missionario che opera da anni in Niger. Prende spunto dall’improvvida decisione vaticana di coniare una moneta celebrativa del vaccino e da un intervento di Civiltà cattolica entusiasticamente schierato a favore della vaccinazione per sviluppare una serie di considerazioni sulle politiche pandemiche, le quali toccano temi cruciali che, partendo dalla contingenza sanitaria, gettano una luce significativa su una temperie culturale ed antropologica che dovrebbe suscitare la massima attenzione e vigilanza.
I temi toccati, con lucido e acuto giudizio illuminato da profonda sensibilità umana, sono tanti, ma arrivano a fondersi in una riflessione coerente ed unitaria, capace di offrire a chi legge spunti preziosi da riprendere ed approfondire ed un filo conduttore per orientarsi in uno scenario dove da due anni la manipolazione, dell’informazione innanzitutto, dirige il coro, delegittimando pesantemente chi rifiuta di recitare la parte assegnata o di applaudire i recitanti.
L’orizzonte in cui si inserisce questo coraggioso intervento è racchiuso fra due parole, non a caso poste in apertura, già nel titolo, e in conclusione: Dissociazioni e r-esistere.
Quanto alla prima, l’autore intende sottolineare la propria abissale distanza dalle posizioni assunte dall’istituzione di cui fa parte: se dissentire, non uniformarsi al pensiero dominante ha sempre garantito al refrattario una certa emarginazione, almeno dai circuiti del successo professionale e sociale, oggi è diventato (con buona pace dei valori della democrazia liberale che, paradossalmente ma non troppo, siamo chiamati a difendere lontano dalle nostre frontiere) un esercizio decisamente pericoloso che inscrive tout court chi lo pratica nella lista abietta dei nemici del bene pubblico e del genere umano. Oggetto di pesante scomunica morale, essi sono suscettibili anche di provvedimenti molto pratici, tesi ad espellerli dalla vita collettiva e a privarli della possibilità stessa di sostenersi, con allontanamento dal lavoro, o, come è successo nel democratico e progressista Canada qualche mese fa per stroncare la protesta dei camionisti, con il blocco dei conti correnti.
Insomma, ai nostri tempi dissociarsi e rivendicare la propria libertà di coscienza non è più una posa da intellettuali frondeurs, con un piede nell’Accademia e l’altro nella barricata. La partita si è fatta molto dura, perché è in gioco una profonda riconfigurazione complessiva della società, funzionale al riassestamento del capitale in un contesto geopolitico molto diverso da quello del Novecento.
Inoltre, dissociarsi richiede una certa capacità di leggere la realtà, un certo legame con la sua superficie impervia e scabra, con il suo cuore pungente e stratificato, al fine di evitare di scivolare sul terreno di cera della nuova Babele, dove il demone della menzogna linguistica asservito al potere inverte il significato delle parole e coltiva spericolati ossimori come il capitalismo inclusivo benedetto dal Vaticano e denunciato da Mauro Armanino con l’indignazione del cristiano consapevole che non si possono servire due padroni.[1]
Dall’atto intellettuale del dissentire alla scelta morale di resistere: non solo per non rendersi complici di chi ha strumentalizzato l’epidemia da Covid 19 per ridisegnare il mondo (le élites economico-politiche e i loro cani da guardia incaricati di affinare i dispositivi ideologici), ma per custodire e valorizzare l’esistenza che è stata umiliata e negata proprio quando si è voluto farla coincidere con la nuda vita da salvaguardare ad ogni costo. E il costo è stato il sacrificio di libertà e diritti che si ritenevano consolidati e delle relazioni interpersonali su cui si è da sempre fondata la socialità umana. L’egoismo della sopravvivenza, alimentato a suon di campagne mediatiche di stampo terroristico, è stato contrabbandato per rispetto degli altri, mentre rappresentava l’estrema torsione dell’istinto individualistico a preservare il benessere personale, nel disinteresse per il dissolvimento di quanto restava di vincoli comunitari e di spazi democratici. E intanto i malati morivano soli negli ospedali, o si ritrovavano abbandonati in casa sospesi tra tachipirina e beckettiana attesa, ai morti era negato l’estremo omaggio della sepoltura (pratica nata con l’umanità stessa), i vivi non vaccinati venivano sottoposti a misure di apartheid, i vaccinati erano aizzati contro i cattivi renitenti al siero, tutti passavano sotto le forche caudine di una paralizzante operazione di infantilizzazione di massa all’insegna della paura, mentre i bimbi imparavano a (dis)conoscere il mondo tramite lo schermo di un computer o di una mascherina.
Giustamente, Armanino evoca da un lato missionari e santi che, in passato, non esitarono a correre il rischio di ammalarsi per portare conforto ai sofferenti e dall’altro il transumanesimo che si affaccia asettico e performante dietro le porte ben protette di Davos. Aggiungo agli esempi di autentica solidarietà citati, tutti coloro che hanno affrontato la morte, battendosi per una causa per la quale erano convinti valesse la pena rinunciare alla vita biologica. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà:[2] è questa una verità capace di sovvertire i calcoli meschini, di scardinare la forza di ricatto di chi comanda, di vincere la paura – e l’oscuramento della mente e del cuore che ne nasce – e di fondare la libertà ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta.[3]
È per scongiurare un salto antropologico radicale – con la sua pretesa di annullare millenni di cultura e di civiltà umane ormai inutili e persino d’inciampo sulla via della servitù volontaria e collaborativa che è il nuovo modello sociale messo a punto dal personale di servizio ideologico – che l’autore di questa lettera aperta chiama alla r-esistenza: resistere significa ormai difendere le condizioni stesse per continuare ad esistere, in dignità, libertà e umanità.

Fernanda Mazzoli

***



Mauro Armanino

Dissociazioni vaticane

Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini
ma c’è ‘resistenza’
nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid

*****
***
*

  1. La moneta vaticana

La serie è composta da 8 monete, sul rovescio ci sono le caratteristiche tecniche uguali per tutti i paesi aderenti alla moneta unica europea. Sul dritto è raffigurato lo stemma di Papa Francesco, Sovrano dello Stato del Vaticano, la scritta “Città del Vaticano” e dodici stelle. La serie è disponibile in due versioni: la prima con la moneta da 20 euro in argento e la seconda con la moneta in oro da 50 euro. La moneta in argento da 20 euro, opera di Chiara Principe, è dedicata ad un argomento attuale che sta molto a cuore a papa Francesco: le cure per contrastare la pandemia e la necessità di vaccinarsi. Sulla moneta sono raffigurati un medico, un infermiere e un ragazzo che è pronto a farsi iniettare il vaccino. Il Santo Padre ha più volte sottolineato l’importanza della vaccinazione, ricordando che la cura della salute è “un obbligo morale” ed è importante “proseguire lo sforzo per immunizzare anche i popoli più poveri”… [4]

Ecco come è introdotta la moneta vaticana. L’immagine mi era stata segnalata da Martin Steffens, giovane filosofo francese, critico dell’attitudine ufficiale della gerarchia ecclesiastica sulle politiche riguardanti la gestione dell’epidemia Covid.[5]

Se ancora esistevano dubbi a riguardo, la moneta in questione è una rivelazione, uno smascheramento che insinua più o meno apertamente almeno tre messaggi:

Adesione: mentre ancora ferve il dibattito, almeno contradditorio, tra chi vuole includere i bambini nella vaccinazione e chi ritiene che essa sia non solo inutile ma dannosa, il ‘Vaticano’ prende posizione. In virtù di un mandato che appartiene al ‘Capo dello Stato vaticano’, lo stesso che molto democraticamente obbliga i propri dipendenti a vaccinarsi pena l’esclusione dal lavoro, diritto e dovere di ogni cittadino. Nello stesso stato vaticano le organizzazioni sindacali sono vietate, malgrado l’esistenza di una ‘Dottrina Sociale’ della Chiesa che ne auspica l’esistenza e l’azione. Tramite l’immagine citata si opera un’adesione incondizionata e evidente alle politiche sanitarie ‘imposte’ da scelte la cui validità scientifica è stata messa in discussione da persone competenti e preparate.[6]

Il fatto di presentare in modo iconico il medico (la scienza), l’infermiere (la cura), il ragazzo e la siringa è inequivocabile: la salvezza è a portata di … siringa.

Arroganza. Detta conclusione ‘monetaria’ appare nel contempo arrogante perché esclude ogni possibile scelta alternativa, per quanto fondata essa sia. La stessa accomodante arroganza, d’altra parte, che ha accompagnato l’adesione alle scelte dei decreti legge durante la ‘crisi’, creata o presunta essa sia stata. Vi sono state decine di dichiarazioni ufficiali, da parte di migliaia di scientifici che hanno messo in serio dubbio le politiche di gestione della pandemia. Dal confinamento, alla distanziazione sociale per passare all’uso intimidatorio delle mascherine. Tutto falsamente omogeneo e in consonanza con la scienza che invece è apparsa come la grande perdente di tutte queste operazioni. Lo ricorda l’antropologo della salute Jean Michel Dominique: la medicina non è una scienza ma un’arte che si avvale della scienza …!

Manipolazione. Quasi per caso appare, nell’immagine citata, una piccola croce appena sopra il capo del ragazzo rappresentato, mascherato come gli altri due personaggi che lo attorniano. La croce che, in tutto il periodo citato, è stata usata e abusata per giustificare o proteggere le scelte governative di controllo sociale col pretesto della gestione della malattia. Una profanazione che, vista dal lontano/vicino Sahel dove ben altri sono stati i problemi di questo tempo, ha posto la ‘nuda vita’ , per dirla con l’amico Giorgio Agamben, come la nuova religione assoluta. Dov’era dunque la croce quando morivano, sole e abbandonate le persone anziane nelle case di riposo (eterno), nelle chiese sostanzialmente chiuse (neppure in guerra era accaduto) e nella ‘distanziazione sociale’ (con che coraggio leggere il vangelo nel quale il Cristo ‘tocca’ i lebbrosi?). Si tolga almeno la croce dalla moneta … già i venditori nel tempio era stati avvisati a suo tempo … Dovremmo altresì espungere, come ‘sovversivi’, i santi che si mettevano sulle spalle i malati, gli appestati o qualcuno come San Damiane de Veuster, diventato a suo volta lebbroso per non rispetto delle distanze sanitarie. Lo stesso accadde coi primi missionari che, sapendo di vivere per pochi mesi, partivano nelle zone dove la malaria o la febbre gialla li falcidiavano. Ora si muore, tristemente, di vecchiaia … con la croce del cimitero a fare compagnia.

  1. La civiltà cattolica

Organo semi ufficiale del vaticano perché diretto dai gesuiti sotto immediata obbedienza papale. È con un notevole senso di sconcerto che, scorrendo un articolo sulla ‘vaccinazione’ si leggeva quanto segue…

papa Francesco manifesta un approccio accogliente e costruttivo nei riguardi della scienza … mostra che il contributo della ricerca scientifica in campo sanitario, che ha consentito di mettere a punto vaccini sicuri, efficaci, con effetti indesiderati minimi e identificabili, testati cilinicamente in modo esteso e rigoroso, può essere al servizio della salute quale bene comune e globale [7]

Le sottolineature sono mie…

Una tale leggerezza, cosciente o meno, è da considerare a-scientifica e, in fondo a-morale, al di là del numero limitato di lettori di questa rivista: è il principio, lo stesso, che viene così riconfermato. Alcune considerazione veloci:

♦ La palese falsità dell’affermazione. Si sapeva o comunque si poteva supporre che i ‘vaccini’, vista la l’origine sospetta di alcune della case farmaceutiche, la manipolazione riconosciuta dei test vaccinali, l’opacità dei contratti con gli Stati, avrebbe comportato problemi per i vaccinati. Così è stato, com’è ampiamente documentato e riconosciuto dalle statistiche ufficiali. Com’è stato riconosciuto dalle stesse ditte farmaceutiche, i test sono stati scelti, ridotti e manipolati ed i risultati più sconcertanti espunti, con cognizione di causa. La ‘civiltà cattolica’ ha così tolto la propria maschera perché quanto scritto, indebitamente, su questo tema potrebbe essere riferito anche ad altri: con quale credibilità’.

(Il database delle reazioni avverse ai farmaci dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA) sta ora segnalando 45.752 decessi e 4.522.307 reazioni avverse a seguito dei vaccini COVID-19, mentre il sistema di registrazione degli eventi avversi del vaccino degli Stati Uniti (VAERS) sta ora segnalando 29.031 decessi e 1.307.928 reazioni avverse a seguito della vaccinazione COVID- 19.8 … Dal sito Data base Italia).

La mancanza di discernimento e dunque l’imprudenza in un ambito nel quale vale il famoso motto della medicina: primo non nuocere … Un farmaco in sperimentazione che arriva di botto ad inondare il mercato farmaceutico, uno dei grandi business dell’epoca in chiave di ‘religione sanitaria’, con buona parte di politici e di comitati di gestione della crisi con conflitti di interesse). Sottacendo che fin dall’inizio sono stato trovate e proposte soluzioni alternative alla vaccinazione genica. L’uso tempestivo della idroclorochina, ivermectina … avrebbero permesso di salvare molte vite. Si è preferito, come da copione sceso (divinamente?) dall’alto di impedire ai medici di operare e si è preferito l’isolamento, l’attendismo e il paracetamol … Aberrazioni a dir poco criminali dal punto di vista etico e scientifico.[8]

Connivenza dunque con la ‘doxa’ accettata, trasmessa, propagandata dai media nazionali e internazionali. Questo dovrebbe destare stupore per l’istituzione ecclesiale che si è sempre vantata di ‘essere nel mondo ma non del sistema’ … E invece, con inusuale fretta, le ‘istituzioni vaticane’, tramite il capo supremo e le conferenze episcopali, hanno facilitato il lavoro degli organi statali, come se questi ultimi cercassero davvero il bene personale e comune dei cittadini. Detta attitudine, esplicita o implicita, non ha fatto che favorire lo scivolamento verso un totalitarismo medico le cui conseguenze sull’assetto democratico sono estremamente deleterie. Una divisone tra buoni cittadini e cittadini ‘ricalcitranti’ è potuta accadere con maggiore facilità perché prima c’è stata la classificazione papale tra buoni e fedeli cristiani (vaccinati o vaccinandi) e gli altri, egoisti, superficiali o perlomeno insubordinati all’ordine pubblico ecclesiale ( i non vaccinati). L’idea, a questo proposito, di ‘religione civile’ che puntella la religione sanitaria dello stato, non è anodina ma consustanziale al ruolo che è stato affidato, ormai da tempo, alla religione. Si è contribuito a creare cittadini ‘sottomessi’ all’autorità contro i diritti umani più elementari ( di riunione, di lavoro, di culto, di movimento … di aria libera e di un volto umano).

  1. L’Alleanza vaticano-capitalismo inclusivo

«È necessario e urgente un sistema economico giusto, affidabile e in grado di rispondere alle sfide più radicali che l’umanità e il Pianeta si trovano ad affrontare. Vi incoraggio a perseverare lungo il cammino della generosa solidarietà e a lavorare per il ritorno dell’economia e della finanza a un approccio etico…cercando modi per rendere il capitalismo uno strumento più inclusivo…». All’inizio di dicembre del 2019, papa Francesco si era rivolto con queste parole ai membri del nuovo “Consiglio per un capitalismo inclusivo con il Vaticano”… Tra i manager che fanno parte del Consiglio figurano i dirigenti di colossi come Mastercard, Allianz, Merck, CalPERS, Johnson & Johnson, State Street Corporation, Bank of America, Fondazione Rockefeller. Ma è presente anche il presidente di un colosso delle fonti fossili come British Petroleum. E perfino un membro del consiglio d’amministrazione della compagnia petrolifera saudita Saudi Aramco.

«La vostra presenza qui – ha affermato Bergoglio – è un segno di speranza, perché avete riconosciuto le questioni che il nostro mondo è chiamato ad affrontare e l’imperativo di agire con decisione per costruire un mondo migliore. Vi esprimo la mia gratitudine per il vostro impegno nel promuovere un’economia più giusta e umana». Inoltre, secondo il Financial Times, il Vaticano avrebbe anche «concesso l’uso del proprio nome».[9]

Sconfessione della teologia popolare o della liberazione. Sappiamo che non si possono seguire o affidarsi a due padroni, camminare due strade differenti. Da un lato si promuovono alleanze coi movimenti popolari, coi poveri, non oggetti ma protagonisti di trasformazione, come si afferma da sempre nella teologia della liberazione e in quella popolare seguita e promessa finora, almeno nei discorsi, da Roma. E nel contempo ci si allea col ‘capitalismo inclusivo’, ossimoro, contraddizione in termini come ben si sa da sempre. Il capitalismo è nato senza cuore e non sarà certamente un innesto chirurgico, sia pure col vaticano, tutto meno che innocente in ambito finanziario, a cambiarne i connotati. Ciò è semplicemente scandaloso e malgrado le tresche passate con potere del momento, i concordati con le dittature e gli arrangiamenti coi detentori della ricchezza, non si era mai giunti a tanto. Com’è possibile andare dai poveri in pellegrinaggio, ad esempio tra i campi per profughi o migranti e nel contempo allearsi con coloro che direttamente o meno creano quanto sta accadendo in termini di esclusione sociale e di sfruttamento globale?

Adeguamento al ‘sistema Davos’, nel senso che, in fondo, le politiche vaticane ‘Covid’ sono state finora sostanzialmente funzionali al piano di ‘global reset’ promosso dalla cricca che organizza i famosi vertici dell’élite economico-politica del mondo nella cittadine elvetica. Un piano che tendenzialmente azzera lo spirito umano, l’anima, i desideri più grandi del cuore umano, per appiattirsi su una rivoluzione transumanista che punta al controllo totale del mistero della vita, una sorta di reinvenzione della creatura, fatta a immagine e somiglianze delle intelligenze artificiali. Le scelte vaticane del periodo della pandemia e il post, sono funzionali a questo sistema, senza una parola di critica per favorire le lusinghiere sirene del consenso per attrarre investimeni (in vaticano?). La profezia di un mondo nuovo si identifica con le politiche vaccinali, ideologiche ed economiche che permettono finalmente la luce promessa dopo il buio dei mesi del confinamento. Nulla sarà più come prima si ripete a menadito. Si attende il mondo secondo il vangelo di ‘Davos’, fondamentalmente idolatra (Mammona, in termini profetici), perché pone al centro se stesso come unica salvezza.

La svendita di un patrimonio unico antropologico al miglior acquirente è appunto ciò che sembra accadere. La persona, il volto, la relazione, la com-unione di intenti e di destino, tutto ciò è stato, in questo periodo, svenduto. Distanze, isolamento, disinfezioni, conteggio di morti … il processo si è rivelato fin dall’inizio, per i più attenti osservatori, come l’uso egemonico-patologico della paura che ha di fatto mutilato la civilizzazione e le più elementari nozioni di convivialità. La morte di persone sole e abbandonate ne è stata la metafora forse più emblematica. Com’è stato possibile rinunciare, in poche settimane e con così poca resistenza, ad un patrimonio così ricco e articolato come quello che ha contraddistinto la visione della persona come mistero di comunione e relazione con un proprio destino, legato a quello degli altri. Si è poi contrabbandato il concetto di ‘bene comune’ per l’obbligo vaccinale mentre tutto, nella società, da anni spinge all’individualismo esacerbato e consumista. Appare perlomeno sospetto che dei perfetti egoisti in economia, politica ed etica diventino, senza colpo ferire, paladini del bene comune e dell’abnegazione.

  1. Obbligo morale?

Dal momento in cui è stato disponibile il primo dei vaccini contro l’epidemia Covid-19 un coro pressoché unanime si è levato per sostenere l’obbligatorietà della vaccinazione stessa, chi non volesse sottoporsi al trattamento verrebbe emarginato. Le stesse persone che chiedono questo in nome di un bene collettivo però devono sapere che la somministrazione di un farmaco sperimentale contro la volontà del soggetto è inequivocabilmente in contrasto con le norme del Codice di Norimberga redatto per definire la base giuridica della medicina nazista che si andava a condannare nel tribunale. (Enzo Pennetta, gennaio 2021)

La libertà di coscienza. La stessa Unione europea si è affrettata ad adottare, nel giugno scorso, un regolamento (il n. 953/2021, relativo all’EU Digital Covid Certificate), il cui preambolo afferma la necessità di evitare la discriminazione diretta o indiretta dei soggetti che “hanno scelto di non vaccinarsi”. I principi e le norme in parola sono volti a salvaguardare i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo nei confronti delle applicazioni della biomedicina … Rilevano, in modo specifico, il principio del primato dell’essere umano sugli interessi della scienza e della società, nonché i principi di precauzione, di beneficenza, di non maleficenza e di equo accesso alle cure mediche.

Nella prospettiva indicata assume speciale rilevanza il dovere del medico/sperimentatore di rispettare gli obblighi professionali ispirati al rigore, alla prudenza, alla professionalità, all’onestà intellettuale e all’integrità morale non solo nella trasparenza delle decisioni adottate e nell’utilizzo delle migliori conoscenze disponibili, ma anche nella presentazione dei risultati scientifici conseguiti (art. 4 della Convenzione di Oviedo, art. 13 della Dichiarazione universale dell’UNESCO del 1997, art. 18 della Dichiarazione universale dell’UNESCO del 2005).[10]

La citazione del papa, riportata all’inizio di questa lettera aperta, facente allusione all’obbligo vaccinale

Il Santo Padre ha più volte sottolineato l’importanza della vaccinazione, ricordando che la cura della salute è “un obbligo morale” ed è importante “proseguire lo sforzo per immunizzare anche i popoli più poveri”…

invita ad alcune considerazioni.

La più facile è quella di rilevare che i Paesi più poveri, tra questi il più povero in assoluto nel quale si trova chi scrive, il Niger, è stato solo lievemente sfiorato dalla pandemia. I tentativi di ‘facilitare’ o imporre il vaccino sono sistematicamente caduti nel vuoto. In tutta l’Africa, a parte forse il Sudafrica, il Marocco e l’Algeria colpiti in relativa misura, l’epidemia è stata ben gestita, verrebbe da dire, grazie alla non-vaccinazione! Ma il punto principale è legato, appunto, alla coscienza. Da un lato, quando conviene, si vogliono persone, cittadini, cristiani, consapevoli e responsabili e dall’altra si ‘obbliga’ pena l’esclusione virtuale e reale dal lavoro, dalla comunità una parte di coloro che cercano di prendere sul serio la libertà di coscienza. Sembra perlomeno contradditorio appellarsi al senso critico e alla maturità dei cristiani nei confronti delle ideologie dominanti della società e al contempo ‘imporre’ sotto pena di minaccia una visone unica, accomodante e funzionale al potere del momento in ambito sanitario. Come non rilevare la contraddittorietà del modo di trattare chi, per legittima scelta, ha rifiutato la vaccinazione e si trovato ai margini della Chiesa. La misericordia e l’attenzione dovuta a chi ha perso il lavoro e, spesso, la reputazione avrebbe dovuto trovare accoglienza e ascolto nelle comunità cristiane.

La censura precoce di altre possibilità terapeutiche si è sviluppata fin dall’inizio e la sola prospettiva vaccinale presa come una garante di uscita dalla crisi dell’epidemia. Come già sottolineato si sono esclusi tutti i tipi di trattamento di una malattia che in sé non era sconosciuta e di cui esistevano dei protocolli di intervento. Fortunatamente, anche nel momento più forte del totalitarismo del pensiero unico sulla malattia, non sono mai mancate voci ‘furi dal coro’, come ad esempio il dottor Jean Michel Dominique, antropologo della salute che sul suo blog, ha continuato a pubblicare notizie diverse dalla doxa …

Riprende, tra l’altro, un articolo che contesta la narrazione ufficiale. Sulla gravità, meno del previsto e che tocca prevalentemente una fascia della popolazione, spesso con altre comorbidità…

… ‘La médecine c’est soigner les gens, quant à la science elle consiste principalement en l’observation… Et dans ce domaine, l’observation faite par les praticiens de terrain à travers le monde a mis en évidence plusieurs associations qui donnent de bons résultats : l’association Hydroxychloroquine/Azithromycine/Zinc ou l’association Macrolide/Céphalosporine/Zinc semblent éviter les formes graves à condition d’être prises tôt dans l’infection. Utilisée en Afrique, l’Artemisia annua semble aussi avoir une efficacité contre le covid . Aux stades plus avancés, l’on peut recourir aux corticoïdes comme la dexaméthasone, les anticoagulants pour éviter les phénomènes de thromboses, ou encore l’oxygénothérapie.[11]

Correi dunque di uno stato di cose che ha contribuito a trasformare una relativa semplice malattia in una pandemia ‘incontrollabile’ con lo scopo, appena larvato, di arrivare ad un certificato vaccinale europeo che permetta di ‘controllare’ ogni cittadino. Le ricadute, non è difficle, immaginarlo, potrebbero andare verso una distopia che solo la fantasia degli scrittori di scienza-fiction, potrebbero lasciar indovinare. Una pesante responsabilità nei confronti di ciò che, attraverso azioni o omissioni, mette le basi per un mondo (occidentale per ora), sostanzialmente dominato dagli interesi delle grandi ditte farmaceutiche e dei cosiddetti GAFA …

Conclusione. Che tempo fa dall’altra parte del mondo?

Chi scrive ha passato buona parte lontano dai centri di potere, come missionario apprendista in Costa d’Avorio, Argentina, Liberia e, da oltre 11 anni, nel Niger della sabbia. Chi scrive, nel mese di luglio del 1982 è stato salvato da operazioni e cure mediche nell’ospedale pubblico San Martino di Genova e non ha mai disdegnato le vaccinazioni. Chi scrive, oltre quelle dell’infanzia, ha assunto il vaccino contro la febbre gialla e, prima di partire la prima volta nel Niger nel 2011, è stato volontariamente vaccinato contro una delle forme più diffuse della meningite. Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini ma c’è ‘resistenza’ nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid.

Infatti una cosa è la malattia e l’altra le politiche di uso della malattia per controllare, modificare e preparare un mondo diverso e funzionale all’egemonia di una élite che, per usare una metafora evangelica, sotto l’apparenza di ‘agnelli’ benefattori illuminati dell’umanità, non sono che lupi feroci. Peccato che alcune istituzioni vaticane, e non delle minori, abbiano accettato di collaborare con loro. Molti altri, pagando di persona e discriminati all’interno della stessa Chiesa e nella società come cittadini, hanno scelto di r-esistere.

Niamey, primo luglio 2022

P.S.– In tutti questi anni lo stato italiano mi ha ignorato. Per rinnovare il passaporto scaduto e con un’ambasciata a Niamey, con tanto di militari, di controllo di frontiere e migranti, sono dovuto andare fino ad Abidjan, in Costa d’Avorio…

Da casa mi si comunica che c’è in atto un procedimento amministrativo che comporterebbe una penalità di 100 euro per non compimento vaccinale. Mi è stata chiesta copia della carta d’identità e del codice fiscale. … Ecco il benvenuto in patria dopo tre anni di assenza…

https://www.lepoint.fr/societe/vatican-le-plus-petit-etat-au-monde-dirige-par-le-dernier-monarque-absolu-13-03-2013-1639682_23.php

Il testo di Mauro Armanino è già stato pubblicato anche sul sito di «Sinistrainrete», il 12 luglio 2022.


Note

[1] «In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”» (Mt. 6, 24).

[2] Lc. 17, 26-37.

[3] D. Alighieri, Purgatorio, I, vv. 71-72.

[4] https://www.ilsussidiario.net/news/nuova-moneta-da-20-euro-del-vaticano-medico-e-infermiere-iniettano-vaccino-covid/2361854/

[5] https://www.republicain-lorrain.fr/culture-loisirs/2021/07/06/martin-steffens-philosophe-alerte-sur-les-risques-d-une-societe-masquee

[6]https://globalcovidsummit.org/news/declaration-iv-restore-scientific-integrity?utm_campaign=ICYMI%3A%20Please%20review%20our%20latest%20Declaration&utm_medium=email&utm_source=Mail

[7] Andrea Vicini s.j., «La civiltà cattolica», 4115, 2021, 433.

[8] https://nouveau-monde.ca/balance-avantages-risques-des-injections-anti-covid19-au-28-juin-2022/

[9] https://valori.it/consiglio-capitalismo-inclusivo/

[10] Il testo originale del Parere è pubblicato sul sito: www.ecsel.org/cieb, fondato dall’amico Luca Marini, giurista.

[11] M. Annès Bouria, un des signataires du remarquable Appel adressé par des soignants belges à leur gouvernement. Dal testo originale in francese sul sito Anthropo-logique, di J.M. Dominique.


Alcuni libri di Mauro Armanino


Cercando il volto. L’umanità nel missionario, Ed insieme 2000

Cercare il verbo che esprime meglio la dimensione missionaria della Chiesa di oggi: essere in cammino, cercatori d’infinito, alla ricerca di un Dio che si nasconde fra le pieghe della debolezza dell’uomo. Delle piccole contraddizioni quotidiane di un’umanità spesso stanca e delusa, Egli si serve per mostrare e comunicare la ricchezza del suo amore che libera e rende felici”. (Dalla premessa di don Giovanni D’Ercole).


La storia si fa con i piedi. Diario di missione a Genova, EMI 2011

Clandestino non è l’unica parola che avrei incontrato innumerevoli volte nel lessico quotidiano. Certo è stata quella che mi ha ferito di più. Ho vissuto per vent’anni fuori dall’Italia. Al massimo mi hanno chiamato comunista, mai clandestino”. In attesa di ripartire per l’Africa, padre Mauro continua ad essere missionario anche in Italia. Negli anni trascorsi a Genova, incontra immigrati, detenuti, prostitute. Con loro spezza il pane, piange o ride, s’indigna. I suoi passi si confondono con i loro piedi.


Un dio qualunque. Sguardi e attraversamenti dal Niger, Museodei by Hermatena, 2013

Rifugiati, sopravvissuti, sfollati e dimenticati… a loro sono dedicate le lettere da Niamey, scritte da padre Mauro, che vive là, insieme a loro. Li vede ogni giorno, condividendone le sorti… Storie di ordinaria sofferenza lungo le strade che attraversano il Niger.


La nave di sabbia, Museodei by Hermatena, 2015

La vista, i poveri, l’esodo forzato degli ultimi, il commercio umano, gli angeli di carne, la maternità obbligata, le tappe al contrario del cammino natalizio che Armanino ci propone, con quel suo tocco sapiente di disincantato pittore della sua gente di “frontiera”, quotidianamente ascoltata e accolta, mai giudicata o esclusa. Forte rimane il movimento di questo cammino condiviso, anche nelle grandi solitudini sensoriali (cecità), affettive (prostituzione), economiche (guerre, carestie), dove tutti i protagonisti vengono abbracciati dallo sguardo d’amore dell’autore, consapevole che dalla periferia nasce la speranza.


La città sommersa. Il mondo altro dei migranti del mare, Museodei by Hermatena, 2017


Mare muro. Il Mediterraneo sguardato dalla parte di chi parte e non sempre arriva, Pendagora 2017

53 sguardi e altrettante riflessioni sul mondo dei migranti, inviate da Niamey (Niger) tra il 2012 e il 2017 da Mauro Armanino, prete, missionario e testimone. Armanino non parla di numeri, non si ferma agli aggettivi (profughi, sfollati, richiedenti asilo, e ancora dieci altre targhette di gran moda), ma li chiama ciascuna e ciascuno per nome, ci racconta che hanno un volto e nel bagaglio una storia, che non vengono dall’Absurdistan, ma da un luogo che anch’esso ha un nome, dove hanno lavorato o studiato, dove hanno lasciato una famiglia, una comunità di persone che hanno un nome, e poi – nome dopo nome – ci racconta di chi nel viaggio ha assaggiato l’antipasto dell’inferno e di chi non è arrivato né tornato, e ancora racconta di governi collusi, di organizzazioni compiacenti, di potenze della finanza e della politica che prosciugano le ricchezze del centro del mondo e le convogliano nella nostra periferia. Con lingua schietta, nello stesso tempo poetica e viscerale, senza sconti alla verità né alle responsabilità, questo libro parla di noi


L’ arca perduta nel Mediterraneo. Prove di naufragio di una civiltà, Museodei by Hermatena, 2019



L’ isola delle speranze rubate. Diario di bordo dal Sahel, Museodei by Hermatena, 2022

Storie di speranze perdute, navi che salpano verso isole inesistenti. Storie di ordinaria sofferenza lungo le strade che attraversano il Niger, accompagnate dal vento, dalla sabbia e dal dolore. Un diario di bordo, in un affresco unico, che narra le “avventure” di un’altra Africa. L’altra faccia di un’umanità che non conta. Testimonianze disperate di violenza e follia. Storie di corruzione e manipolazione. Storie di oggi. Nascoste tra le onde di un naufragio, nel cui sciabordio si ode la voce forte e coraggiosa di chi è indotto a lasciare una terra che sembra non appartenergli più.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Fernanda Mazzoli – Una vita consumata: a proposito di «La Peau de chagrin» di Balzac: un’esistenza che si è persa, irretita dalle volgari sirene di una società che riconosce e venera solo la ricchezza

Fernanda Mazzoli

Una vita consumata:
a proposito di
La Peau de chagrin

Un’esistenza che si è persa, irretita dalle volgari sirene di una società
che riconosce e venera solo la ricchezza e il potere d’acquisto che ne deriva

***

Il 25 febbraio del 1867,  poco prima di consegnare alle stampe il Primo Libro del Capitale, Karl Marx scrisse al suo amico Friedrich Engels suggerendogli di leggere due racconti di Balzac, «pieni di deliziosa ironia».

***

«Balzac, che io ritengo maestro del realismo di gran lunga maggiore di tutti gli Zola del passato, del presente e dell’avvenire, ci dà nella Comèdie humaine  un’eccellente storia realista della società francese, poiché, sotto forma di una cronaca, egli descrive quasi anno per anno, dal 1816 al 1848, la spinta sempre crescente della borghesia in ascesa».

F. Engels

 


Parigi 1831: si celebra con fasto sfrontato il matrimonio d’interesse fra la monarchia di luglio, esito moderato delle Trois glorieuses1 dell’anno precedente, e la borghesia degli affari e delle professioni. Invitata d’onore la stampa, chiamata a svolgere un ruolo di primo piano a garanzia del fruttuoso sodalizio che lega indissolubilmente potere politico e potere economico. Fuori dagli hôtels particuliers,2 teatro di feste sfarzose dove si concentrano, ostentano e sperperano fortune di dubbia provenienza, gli esclusi, per scelta o per necessità: repubblicani irriducibili, uomini di studio e di pensiero votati esclusivamente alla propria arte e poveri di ogni sorta.

Fra questi, Raphaël de Saint-Valentin, il protagonista di un folgorante romanzo di Honoré de Balzac, La Peau de chagrin,3 collocato nell’edizione del 1834 della Comédie humaine nella sezione Etudes philosophiques. La storia è presto detta: un giovane aristocratico rovinato, di grande intelligenza e cultura, di animo ardente e sensibile, ma condotto alla disperazione da una povertà che il suo talento non arriva a scalfire entra in possesso di un singolare talismano, la pelle di un onagro, un asino selvatico che vive in Asia. Il bizzarro mercante di antichità nel cui magazzino essa è custodita lo mette in guardia dal potere straordinario che risiede in questo lembo di pelle su cui è incisa una misteriosa iscrizione che promette a chi la possiede di possedere tutto, di vedere esaudite tutte le proprie brame. La contropartita a questo illimitato potere è, però, inquietante: ad ogni volere soddisfatto, la pelle si assottiglierà esattamente come i giorni di chi ha espresso il desiderio. Noncurante delle ammonizioni del vecchio mercante, Raphaël accetta lo sciagurato patto; in breve diventa incredibilmente ricco, ma con orrore deve constatare che l’iscrizione dice il vero: la pelle si è ridotta e lui comprende appieno in quale abisso si è lanciato. Rinchiuso nel meraviglioso palazzo che può ora permettersi, arredato con il gusto che la sua sensibilità d’artista gli suggerisce, conduce una vita triste e solitaria, oppresso dall’angoscia per la fine che sente ineluttabile e vicina. Per evitare di desiderare, cioè di accorciare la propria vita, smette di vivere, rinuncia alle ragioni stesse che rendono l’esistenza desiderabile, innanzitutto l’amore e l’amicizia. Ma la vita è più forte e finisce per valicare le spesse mura difese da un domestico devoto incaricato di frapporsi tra il giovane e il mondo. L’amore sa trovarlo e smuovere la sua voluta indifferenza, la pelle continua a ridursi, Raphaël, nel fiore degli anni, si ammala e a nulla valgono gli esperimenti che tenta con insigni scienziati per distendere il maledetto frammento. La minacciosa promessa contenuta nell’iscrizione si compie, trascinando l’avventato e sventurato ragazzo nelle braccia della morte.

Il racconto, concentrato in tre capitoli che scandiscono l’inesorabile marcia del protagonista dall’accettazione del patto all’agonia, è molto di più di una riflessione filosofica e/o di un apologo morale sul potere corruttivo e venefico della ricchezza e la sua inadeguatezza a garantire la felicità.

Con la forza visionaria che lo caratterizza, con la sua ambizione di cogliere e restituire la totalità sociale e attraverso essa i destini individuali, Balzac individua e isola con sorprendente precisione un carattere fondante della condizione umana nella società dove il capitale ha ormai imposto la sua legge: l’illimitata disponibilità di beni che esso promette e gli altrettanto illimitati desideri che esso accende finiscono per assorbire la vita fino alla sua negazione, nel momento stesso in cui sembrano consentirle di manifestarsi in tutte le sue possibilità, di coronare il suo sogno di pienezza.

L’orgia che riunisce giornalisti, artisti e cortigiane nella sontuosa dimora di un parvenu di dubbia fama e che spalanca all’aristocratico in miseria le porte di un mondo dove tutto è permesso, a condizione di disporre di faccia tosta e denaro, fornisce lo sfondo brillante e cangiante sul quale si muove un’umanità frenetica, piena di sé eppure insoddisfatta e rancorosa, pronta a giocare con tutte le opinioni, perché in fondo non crede in nulla, se non nel proprio diritto ad occupare un posto adeguato nel gran festino.

Ebbene, voglio vivere nell’eccesso, ribatte, afferrando convulso la pelle magica, il protagonista alle argomentazioni dell’antiquario che non gli nasconde i rischi del talismano che riunisce in sé volere e potere, a un’intensità tale da condurre agli eccessi più temibili e distruttivi. E così, il romantico mal di vivere, nobile ed inesausta aspirazione dello spirito insofferente dei limiti della propria umana natura verso l’Infinito e l’Ignoto, si trasforma, nel nuovo contesto sociale e politico contrassegnato dal trionfo della borghesia, in mal di consumo, in cui a finire per essere letteralmente consumata è la vita stessa.

Intuizione poetica e lucidità dello sguardo si intrecciano sotto le sapienti mani del romanziere a creare una potente metafora della reificazione della vita, ridotta ad oggetto che si usura al ritmo dei desideri che realizza, fino all’annientamento.

Doppiamente peau de chagrin: la pelle di asino, un oggetto fra i tanti in un polveroso magazzino di antichità, si rivela in realtà pelle di dolore,4 quanto mai provvisorio ed infelice di un’esistenza che si è persa, irretita dalle volgari sirene di una società che riconosce e venera solo la ricchezza e il potere d’acquisto che ne deriva.

Anche se Raphaël mancasse di perspicacia, la brutale materialità della pelle che sotto le sue dita gli segna il tempo lo riporterebbe immediatamente all’enormità della sua scelta, gli farebbe comprendere la tragica portata del passo che, distogliendolo momentaneamente dal suicidio con cui aveva deciso di risolvere una situazione di intollerabile esclusione, lo ha portato comunque alla morte, ma attraverso una desolazione, un rimpianto e un’angoscia anche più grandi, scontati ogni giorno. Il giovane, per proteggersi dai propri desideri – da se stesso in definitiva – che gli accorciano la vita, deve abdicare alla vita per continuare a vivere. Insomma, lui che aveva sognato amori splendidi, forti emozioni, squisite sollecitazioni dei sensi si ritrova a salvaguardare la propria salute con l’attenzione paranoica di un vegliardo minacciato dalla stessa aria che respira e naturalmente la perde. La vita, infatti, si prende gioco della nuda vita, della vita biologica che le arranca dietro senza poterla raggiungere, nemmeno sfiorare.

Come tutti i libri che vale la pena leggere, anche questo interroga direttamente il lettore su una questione fondamentale, ineludibile: che cosa è vivere, che cosa è una buona vita? Raphaël, cercando di dare un senso a questa domanda, si è cacciato in una tragica impasse, ha sconfessato tutte le promesse che erano dischiuse per lui alla nascita, ha ceduto alle lusinghe dell’affermazione sociale, ha sacrificato alle divinità del suo tempo (sostanzialmente le stesse del nostro), si è perso nel cattivo infinito dei desideri che dalla società rimbalzavano fino al suo cuore.

Sfortunato eroe di una fiaba moderna senza lieto fine, l’incontro con l’oggetto magico che consentiva al giovane smarritosi nel bosco di rovesciare una situazione svantaggiata, se non disperata, segna la sua perdita: nel racconto di Balzac, infatti, tale oggetto è al centro di una scelta, non si tratta di un dono non cercato e accettato con noncuranza. È una scelta etica in cui si traduce una certa idea della vita, è una prova senza appello che il protagonista non supera. Né l’oggetto è di alcuna utilità nei confronti di mostre e streghe appostati sulla sua strada: prendendone possesso, è proprio alla loro corte che liberamente e baldanzosamente corre, credendo di potersi sedere da pari alla loro tavola imbandita. Confidando nella forza e nel potere, è la debolezza estrema che stringe, è il nulla. Ha tradito se stesso, ha calpestato le buone qualità che natura ed educazione gli avevano generosamente elargito per un riflesso di bonheur inviatogli da uno specchio menzognero. Lo specchio si è infranto, la verità gli si è rivelata, spalancandogli innanzi il pozzo di una sofferenza senza fondo, ma ormai il gioco non è più nelle sue mani. Se lo è lasciato scappare da quando le ha tese bramoso di afferrare la pelle di zigrino, questa pelle che ci ammicca da tutte le vetrine, da tutti i palcoscenici, da tutti i banchetti già apparecchiati e dove resta un posto scoperto, un posto da occupare, e forse è proprio il nostro.

1 Vengono così denominate le tre giornate di insurrezione del luglio 1830 (27, 28 e 29) che portarono alla caduta della monarchia assoluta e all’ascesa al trono di Louis-Philippe d’Orléans, roi des Français e non più de France, vale a dire sovrano costituzionale.

2 Lussuose dimore spesso occupate da una sola famiglia.

3 H. de Balzac, La peau de chagrin, Gallimard, Paris, 2003; ha conosciuto in italiano numerose traduzioni, sotto il titolo La pelle di zigrino, pubblicate da diverse case editrici.

4 Chagrin è termine appartenente al campo semantico della sofferenza: dolore, dispiacere, pena …


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

1 2 3 4